Johann Wolfgang von Goethe
Faust

PARTE II

ATTO QUINTO

Un palazzo. Parco spazioso: canale navigabile

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Un palazzo. Parco spazioso: canale navigabile

 

 

Faust, cadente per età, va passeggiando soprapensieri.

 

Linceo (guardiano della torre, parla colla tromba marina). Il sole tramonta, le ultime navi entrano sollecite nel porto. Una gran lancia sta per arrivare qui sul canale; i pennoncelli di vari colori ondeggiano allegramente; gli alberi si alzano in tutta la loro magnificenza; il pilota è giubilante pensando a te a cui tutti augurano la felicità per lunghi anni. (S'odono i rintocchi della campanella sulla duna.)

Faust (infuriato). Maledetto scampanìo, che mi ferisce vergognosamente nel cuore come un colpo di fucile nei cespugli! Il mio regno si stende dinanzi a me senza confini, e consentirò io che il nemico mi derida alle spalle, e mi rammenti con questa invidiosa campana che il mio territorio è illegittimo! Lo spazio occupato dai tigli, quella scura capannuccia, e la cappella coperta di muschio, non mi appartengono. Se per distrarmi, voglio rivolgere i miei passi verso quella parte, mi sento preso da uno strano spavento. Dure spine mi feriscono gli occhi, e spine trafiggono i miei piedi. Ah! fossi io ben lontano di qui!

Il Guardiano della Torre (parlando colla tromba marina come sopra). Oh! come la variopinta lancia viene sollecita ed allegra verso di noi, spinta dalla brezza della sera! Essa è tutta ingombra di casse, di forzieri e di sacchi! (Compare una lancia magnifica ed elegante, con carico ricco e svariato di prodotti dei paesi lontani.)

Mefistofele e i tre campioni (suoi compari).

Coro.             Già presso è la riva,

                        Sul lido scendiam.

                        Di salve e d'evviva

                        Al donno e signore

                        Onore rendiam!

(Scendono dalla lancia e sbarcano tutte quelle ricchezze.)

Mefistofele. Ci siamo comportati da prodi; felici se il padrone ci approva! Alla nostra partenza non avevamo che due navi, ed ora entriamo nel porto con una ventina; il nostro operato si può giudicare dal nostro carico. Il libero mare emancipa lo spirito: chi può sapere ciò che sia la prudenza, quando si solcano le onde? La poca gente ma ardita: ecco quanto occorre per far fortuna: ora si prende un pesce, ora una nave; e quando si arriva ad averne tre, la quarta ti viene in mano facilmente; in quanto alla quinta, guai per essa! purché si abbia la forza, questa il diritto. Si domanda il perché e non il come. Non voglio punto intendermi di navigazione, se la guerra, il commercio e la pirateria non sono una trinità indivisibile.

I tre Campioni Compari. Né graziesaluti, né salutigrazie! come se noi portassimo delle immondizie! Egli ci fa una brutta accoglienza; il bottino reale non lo soddisfa.

Mefistofele. Non aspettate perciò nessuna ricompensa; ma prendete ciascuno la vostra parte.

I Compari. Tutto ciò non è che per l'incomodo; — noi pretendiamo tutti una parte uguale.

Mefistofele. Mettete in ordine, sala per sala, quanto avete di prezioso con voi e quando egli verrà a contemplare il ricco spettacolo, e a rendersi conto di tutto ciò con maggiore esattezza, voi vedrete ch'egli non farà il pitocco, e darà alla flotta regali e feste sopra feste. Gli uccelli dal manto variopinto arriveranno domani; io avrò cura ch'essi siano provveduti nel miglior modo. (Il carico è interamente trasportato.)

Mefistofele (a Faust). Colla fronte accigliata, con guardo cupo e melanconico, ascolti tu dunque la notizia della tua suprema felicità. L'alta saggezza è coronata, la spiaggia si è riconciliata col mare che di buon grado prende le navi dalla riva per portarle velocemente nel loro lungo cammino. Confessa dunque che da questo tuo palazzo, il tuo braccio si stende sul mondo intero. È da questo luogo che ogni cosa cominciò: qui fu costrutta la prima nave, fu scavato un piccolo fosso ove il remo laborioso rompe oggi le profonde e spumanti acque. L'eccelso tuo senno e l'operosità dei tuoi hanno saputo conquistare la terra ed i mari. Da qui...

Faust. Il maledetto è qui! mi opprime. A te, essere al quale gli spedienti non fanno difetto, debbo confessarlo, ho l'anima sempre più esulcerata, mi è assolutamente impossibile di andar più oltre così! Solo a parlarne ne provo confusione e rossore. Bisognerebbe che quei due vecchi laggiù si allontanassero; vorrei quei tigli per la mia residenza; quei pochi alberi che non mi appartengono mi guastano il possesso del mondo. Vorrei, perché nulla all'ingiro m'impedisse la vista, appiccare il fuoco laggiù a quegli arbusti, e schiudermi così un vasto orizzonte per poter contemplare tutto quanto ho fatto e con un solo sguardo abbracciare il capolavoro dello spirito umano, popolando col pensiero, tutti quest'immensi dominii.

Non è forse la più aspra tortura sentire nella ricchezza, ciò che ci manca? Il tintinnio della campanella, l'odore di quei tigli, mi stringono il cuore come se io fossi in chiesa oppure già nella tomba. Il volere dell'Onnipotente si fa strada anche su questi sabbioni: ho un bel farmi animo, la campanella manda un suono ed io sono subito in preda ad una forte rabbia.

Mefistofele. È affatto naturale che un fastidio mortale avveleni la tua vita. Chi lo potrebbe negare? A qualunque orecchio delicato, il rintocco delle campane è noioso e ripugnante. È quel maledetto din don din dirin don, che agita sempre la serena atmosfera della sera, si frappone ad ogni accidente, dalla prima abluzione fino alla sepoltura, come se fra din e don tutta quanta la vita non fosse che un sogno vano ed inutile.

Faust. La resistenza, la testardaggine, amareggiano la più ricca possessione; è solo per tuo danno e per la tua tortura che lavori a metterti sulla strada della giustizia.

Mefistofele. E ciò ti fastidio? Fra tutti i tuoi progetti non vi è forse anche quello di stabilire delle colonie?

Faust. Va, dunque, e procura di farli sgombrare! Tu sai qual bel poderetto io abbia destinato a quella vecchia coppia.

Mefistofele. Si levano via di qui, si posano laggiù; e prima che abbiano potuto voltarsi indietro, essi sono al loro posto. La violenza che sarà loro fatta sarà dimenticata di fronte alla bellezza della loro nuova abitazione. (Manda un fischio forte ed acuto. i tre si avanzano.)

Mefistofele. Prendete gli ordini del padrone, e domani vi sarà festa navale.

I Tre. Il vecchio signore ci ha ricevuti male; e bisogna che in compenso la festa sia magnifica.

Mefistofele (agli spettatori). Accade ora qui ciò che accadde da lunghissimo tempo: la vigna di Naboth esisteva già.

 



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