Johann Wolfgang von Goethe
Faust

PARTE II

ATTO PRIMO

Il palazzo imperiale. La sala del trono

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Il palazzo imperiale. La sala del trono

 

 

Il Consiglio di Stato in attesa dell'imperatore. — Fanfare.

Cortigiani in abbigliamenti sfarzosi e svariati.

L'Imperatoresul trono; alla sua destra l'Astrologo.

 

L'Imperatore. Salute a' miei cari e fedeli vassalli, che da presso o da lontano siete qui convenuti. Veggo a' miei fianchi il saggio, ma non il matto. Che n'è del mio buffone?

Un Giovane Gentiluomo. Proprio dietro lo strascico del tuo manto, rotolò giù dalla scala, sicchè si dovette trasportare di quella enorme massa di carne. Non si sa se era morto o ubbriaco fracido.

Un Secondo Gentiluomo. Con una prontezza invero prodigiosa, un altro si è subito presentato a surrogarlo, vestito d'abiti così ricchi, che ognuno rimase stupito. Le guardie incrociando le alabarde si studiano impedirgli d'entrare. Nondimeno, eccolo già qui quel folle temerario!

Mefistofele (inginocchiandosi ai piedi del trono). Chi è colui che sempre maledetto è sempre il benvenuto? Qual è la cosa che ardentemente desiderata, si rifiuta sempre? Quale quella che ciascuno ama prendere sotto la sua protezione? Che v'ha che sia oggetto di biasimo e di acerbe accuse? Quale nome tu devi guardarti d'invocare, e quale ama ciascuno sentir proferire? Chi è che si accosta ai gradini del tuo trono, e chi se ne allontana da se stesso?

L'Imperatore. Pel momento bando alle parole; gli enigmi qui sono inopportuni; è affare per questi signori. Spiegati chiaro e mi farai piacere. Il mio vecchio buffone se n'è andato, io temo, pel gran viaggio. Prendi il suo posto e siedi al mio fianco.

(Mefistofele sale i gradini del trono, e va a collocarsi a sinistra dell'Imperatore.)

Mormorii nella folla. Un nuovo buffone? Nuovo tormento! Da dove viene? Come mai s'è introdotto qui? Quell'altro è bello e ito! Era una ruina! Una botte! Questi è un zolfanello!

L'Imperatore. Così dunque, diletti vassalli, partiti da lontane o da vicine contrade, siate i benvenuti. Una stella benefica vi ha guidati; gli astri ci promettono felicità e salute. Ma, ditemi, come mai noi stiamo qui a tener consiglio in questi giorni che, liberi d'ogni cura, noi dovremmo passare nei più dolci gaudii? Tuttavia, poiché avete creduto bene di farlo, sia così!

Il Cancelliere. La più sublime virtù circonda d'un sacrato nimbo la fronte dell'imperatore; v'è cosa ch'egli solo sa esercitare degnamente: la giustizia! È ciò che tutti gli uomini amano, desiderano, esigono, di cui non possono senza danno essere privi, ed a lui solo spetta accordarla al popolo. Ma, ahimè! A che serve l'intelligenza, la mente, la bontà del cuore, la prontezza della mano, se lo Stato è consumato da una febbre ardente, se il male genera il male? Chiunque dall'alto di queste vette abbassa lo sguardo sopra questo vasto reame, quasi sognasse penosamente, lo scopre in balia di mostri schifosi, vi vede regnare legalmente l'illegalità, e svolgersi una continua sequela di errori. Questi invola un armento, quegli una donna, altri il calice, la croce, i candelabri dell'altare, e sano e salvo ne mena vanto per anni ed anni. I querelanti s'affollano nella sala di udienza del tribunale, ove il giudice si pavoneggia impettito, mentre rumoreggia il torrente della rivolta che ingrossa ed irrompe con crescente furore. Chi fa a fidanza con complici, può davvero gloriarsi della sua infamia e de' suoi delitti; e dove l'innocente è solo a difendersi, si sente proclamare colpevole. È così che tutti cercano di dilaniarsi e di distruggere ogni sorta di diritto. Dopo ciò, come è possibile che si sviluppi quel senso che ci dovrebbe solo guidare verso il bene? L'uomo di buone intenzioni finisce quasi sempre per lasciarsi sopraffare dall'adulazione e trascinare alla corruzione; un giudice che non può punire, diventa l'alleato del colpevole. Il quadro è dipinto in nero, eppure mi duole di non aver potuto trovare tinte ancora più tetre (pausa).

I colpi di Stato sono inevitabili, poiché in quell'atmosfera di delitti e di sofferenze, la stessa Maestà finirebbe ad essere a sua volta vittima di tale jattura.

Il gran mastro dell'esercito. Quale tramestio in questi giorni tumultuosi! Si ammazza e si è ammazzati; non v'è chi ascolti il comando. Il borghese trincierato in casa, il cavaliere nel suo nido di roccia sembrano, congiurati contro di noi, tenere in serbo le forze per loro stessi. Il soldato mercenario, perduta la pazienza, reclama irosamente la sua paga, e se noi non gli dovessimo più nulla, se la svignerebbe immediatamente. Rifiutare ciò che tutti domandano è come frugacchiare in un nido di vespe. Il regno intanto di cui dovrebbero esser il sostegno, è deserto e devastato. È loro permesso di farvi gazzarra e di smaniarvisi furiosamente; mezzo il mondo è spacciato. Vi sono ancora dei re laggiù, ma nessuno vuole accorgersi che si tratta precisamente di loro.

Il Tesoriere. Andate dunque a fidarvi degli alleati! Gli ajuti che ci erano stati promessi, ci sono mancati, come l'acqua che abbandona il rigagnolo; e ahimè; sire, in quali mani è ne' tuoi Stati caduta la proprietà! Ovunque vi rechiate, voi trovate nuovi ospiti i quali intendono vivere indipendenti, e cui bisogna contentarsi di guardare e lasciar fare a loro talento. Abbiamo abdicato tanto, che non ci resta più un solo dei nostri diritti. Ormai non si può più contare nemmeno sui partiti di qualunque specie sieno; alleati o nemici, la loro simpatia o il loro odio ci tornano egualmente indifferenti. I Guelfi al pari dei Ghibellini per non essere molestati si nascondono. Chi mai oggi pensa a venire in ajuto al suo vicino? Ognuno ha abbastanza da fare per sé. Le miniere d'oro sono franate, si raspa la terra, si fanno risparmi, si raggranellano gruzzoli, e le nostre casse rimangono sempre vuote.

Il Maresciallo. Io pure, ahi lasso! sono colpito dal flagello! Noi ci proponiamo ogni giorno delle economie, ed ogni giorno spendiamo dippiù. Intanto la mia inquietudine va sempre crescendo. Manco male che finora il cuoco non ha sofferto. I cinghiali, i cervi, le lepri, i capriuoli, i tacchini, i polli, le oche e le anitre, la nostra parte dei balzelli e le rendite sicure, si riscuotono ancora discretamente; ma il vino ci fa difetto. Una volta nelle nostre cantine s'ammonticchiavano le botti riempite delle migliori qualità, ma la sete insaziabile dei nostri signori ne ha succhiato fino l'ultima goccia. Anche il consiglio municipale ha dovuto aprire le sue sale; gl'invitati diedero l'abbrivo al nappo, all'orciuolo di stagno... ed eccoli sotto la tavola..E sono io che paga, che debbo soddisfare tutti. Coll'ebreo non si può trattare; egli mette in campo ogni sorta di usuraje pretese, le quali ci fanno divorare anticipatamente le risorse delle annate future; i majali non ingrassano più; tutto è impegnato, persino la materassa del nostro letto, ed il pane che ci si ammannisce è un pane mangiato in erba.

L'Imperatore (a Mefistofele, dopo un momento di riflessione). E tu, buffone, non conosci miserie da spifferarmi a tua volta?

Mefistofele. Io? no, di certo. Come potrei vederne in mezzo all'aureola di gloria che circonda te e i tuoi? Potrebbe venir meno la fiducia dove la Maestà impera assolutamente, ove il potere è sempre all'erta per disperdere i nemici, ove la buona volontà rinvigorita dal senno e da una molteplice attività è sempre pronta? Chi mai dove splendono simili astri, si periterebbe a cospirare in favore del male e dell'oscurantismo?

Mormorii. È un furfante che sa assai bene il suo mestiere; — s'insinua col mentire; — indovino già ciò che vi sta sotto; — salterà fuori un progetto.

Mefistofele. V'è alcuno a questo mondo a cui non manchi o questa o quella cosa? Qui ciò che manca è il denaro. A dire il vero il pavimento non ne è seminato, ma la sapienza sa scovarlo dal seno delle montagne, dalle più grandi profondità, dai fondamenti delle muraglie ove è riposto dell'oro vergine e monetato. Chi lo trarrà fuori alla luce del sole? Sarà la forza della natura e dello spirito in un uomo eletto.

Il Cancelliere. Natura, spirito! — Parole da non usarsi con cristiani, perché sono ciò che v'ha di più pericoloso al mondo; per simili discorsi si abbruciano gli atei. La natura è peccato, e demonio lo spirito; da essi nasce il dubbio, loro deforme ermafrodito! Finiamola adunque con queste eresie! — Dagli antichi Stati imperiali due sole caste sono uscite che hanno degnamente difeso il trono: i santi e i cavalieri. Essi resistono ad ogni procella, e per ricompensa si dividono tra loro la Chiesa e lo Stato. Una resistenza è prodotta dai volgari sentimenti di taluni che hanno smarrito l'intelletto, e cioè gli eretici e gli stregoni. Sono essi che corrompono le città e le campagne. A te piacciono questi cuori corrotti che hanno affinità coi pazzi! Ed ecco la gente che vorresti introdurre in questa nobile assemblea colle tue celie svergognate!

Mefistofele. Io qui fiuto il dottore. Ciò che non toccate è per voi lontano cento leghe; ciò che non possedete, è come se non esistesse per voi; ciò che sfugge alla vostra mente lo chiamate falso; ciò che voi non pesate, non ha peso; e la moneta se non è battuta da voi non ha valore.

L'Imperatore. Con tutto questo non si ripara ai nostri bisogni. A che miri tu colle tue omelie quaresimali? Ne ho abbastanza dei se e dei ma. Ci manca il denaro, trovacelo!

Mefistofele. Troverò ciò che chiedi, ed anche più. Per me è facile di certo; ma ciò che è facile si ottiene con difficoltà. Quanto brami dorme riposto; tutto il talento sta nel saperlo dissotterrare. Come bisogna adoperarsi? Riflettete che al tempo del flagello, quando turbe d'uomini invadevano come un torrente il paese, e s'imponevano alla popolazione, tutti presi dallo spavento nascondevano, chi qua, chi , i loro oggetti preziosi. È quanto accadde ai bei tempi della potente Roma, e che continuò sino ai nostri giorni. Tutti questi tesori giacciono sepolti sotto al suolo, e il suolo è proprietà del sovrano; a lui spetta adunque il bottino.

Il Tesoriere. Per un pazzo non si esprime tanto male. Affé, che è questo il diritto dell'antico imperatore.

Il Cancelliere. Satana vi circuisce con lacci d'oro. È un affare sospetto!

Il Maresciallo. Purché la corte acquistasse la sospirata ricchezza, sarei disposto a chiudere un occhio su di molte cose.

Il gran mastro dell'esercito. Il matto non è sciocco, promettendo a ciascuno ciò che ciascuno desidera; il soldato non domanda donde viene.

Mefistofele. E se credete che io voglia ingannarvi, ecco un uomo a cui rivolgervi. Consultate l'astrologo; ei sa leggere nei pianeti la sorte riservata ad ogni ora. Or bene, parla; svelaci ciò che il cielo annunzia.

Mormorii. Sono due furfanti. — Se la intendono fin d'ora. — Un pazzo e un chiaroveggente accanto al trono. — Canzone vecchia e ripetuta. — Il pazzo suggerisce — il saggio espone.

L'Astrologo (ripetendo ciò che Mefistofele gli susurra all'orecchio). Il sole stesso non è che oro puro e Mercurio è il suo messaggiere stipendiato. Madonna Venere vi ha tutti abbindolati colle sue eterne moine. La pudica Diana ha i suoi capricci. Marte non colpisce alcuno, ma vi minaccia tutti, e Giove sarà sempre il più splendido. Saturno è grande, ma sì lontano, che appare piccolo all'occhio; ha molto peso, ma poco valore, sicché, come metallo, ne facciamo poco conto. Ma quando la luna si congiunge al sole, l'argento all'oro, oh! allora sì il mondo diventa bello! Tutto il resto si ottiene facilmente. Palazzi, giardini, candidi seni, rosee guancie, tutti questi tesori ci procura l'uomo sapiente, che ha tal potere come nessuno di noi.

L'Imperatore. Le parole di costui m'hanno un senso ambiguo che non riesce a persuadermi.

Mormorii. A noi che importa di ciò? — Ciarlatanismo, alchimia, vecchie buffonate — non riusciranno mai, l'ho inteso a direspesso. — E quand'anche riuscissero! — Burletta!

Mefistofele. Tutti compagni! Si stupiscono, non vogliono credere alla grande scoperta! L'uno vaneggia cianciando di mandragore, l'altro vantando un cane nero. Scommettiamo che appena si sentiranno a prendere il piede, o a incespicare, si metteranno chi a lanciarmi sarcasmi, chi a vituperarmi come stregone! — Voi tutti sentite il segreto fermento della natura eternamente attiva, e come dalle sue profonde latebre sgorghi la vita in cerca della luce. Che se l'inquietudine v'agita le membra e non vi lascia star fermi al posto, oh allora scavate, vangate risolutamente; colà avvi il tesoro nascosto.

Mormorii. Ho del piombo nelle piante, e le braccia aggranchiate. — È la gotta. — II dito grosso del piede è rattrappito. — Ho rotte le spalle. — Tutti indizii che noi calpestiamo il suolo più ricco di tesori.

L'Imperatore. Presto all'opera!... Tu non puoi più svignartela. Prova la verità de' tuoi detti col farci vedere sull'istante queste preziose miniere. Quanto a me depongo scettro e spada e m'accingo al lavoro che voglio eseguire colle stesse mie imperiali mani. Se tu hai mentito io ti mando all'inferno.

Mefistofele. Quanto a questo, saprei da me solo trovarne la strada. Io non mi stancherò mai dall'indicarvi quali e quanti tesori giacciono ovunque, attendendo di essere dissepolti. Il contadino che scava il suo solco coll'aratro solleva insieme alla zolla di terra un vaso d'oro. Egli non sperava cavare che un po' di salnitro, e meravigliato, raggiante di gioja, trova nelle sue mani bisognose dei rotoli d'oro. Quanti strati bisogna forare! In quali abissi, in quali profonde voragini deve penetrare sino a toccare i mondi sotterranei, colui che fiuta istintivamente i tesori!... In vasti antri asserragliati da ogni parte, egli vede schierato in bell'ordine tutto un attiraglio di vasellame, di coppe antiche ornate di rubini; e se vuole servirsene trova il tutto ricoperto di una vecchia melma. Tuttavia, fidatevi di un provetto conoscitore. Da lungo tempo il legno delle dove è infracidito, e il tartaro ha rinnovato le pareti della botte. Non sono le sole essenze di vini così sublimi, non soltanto l'oro e le gemme che si avvolgono nell'orrore dell'oscurità. Il sapiente fruga senza posa; strappare il segreto delle cose alla viva luce del giorno è una corbelleria; i misteri hanno per elemento le tenebre.

L'Imperatore. Quanto alle tenebre, io te le abbandono. A che serve l'oscurità? Tutto ciò che ha pregio deve mostrarsi in piena luce. Come si potrebbe discernere un birbante in mezzo ad un bujo profondo? Tutte le mucche in questo modo son nere, ed ogni gatto è bigio. Via! Vediamo questi vasi nascosti e pieni di masse d'oro! Spingi l'aratro, e che veggano il sole!

Mefistofele. Prendi la zappa e la marra, e scava tu stesso; il lavorar la terra ti farà grande. Ne uscirà un branco di vitelli d'oro; rapito di gioja, affrettati allora ad adornare te e la tua diletta, poiché un diadema sfolgorante di gemme mette in rilievo tanto la bellezza che la maestà.

L'Imperatore. AI lavoro, adunque! A che indugiamo ancora?

L'Astrologo (ripetendo come prima ciò che Mefistofele gli suggerisce.) Sire, modera un desiderio così ardente! Lascia che prima abbia fine la festa, e i suoi tripudi. La distrazione non giova mai a raggiungere l'intento. Raccogliamoci, siamo calmi. Chi vuole il bene, sia anzi tutto buono; chi ama la gioja, freni gl'impeti del sangue; chi brama aver del buon vino, pigi grappoli maturi; e chi vuol vedere dei miracoli, rinvigorisca la sua fede.

L'Imperatore. Ebbene! Passiamo questi giorni nell'allegrezza aspettando il mercoledì delle Ceneri che verrà molto a proposito! Frattanto, checché ne sia, festeggiamo il carnevale con foga e tripudio ancora maggiori.             (Squilli di tromba. — Escono.)

Mefistofele. I pazzi non arriveranno mai a capire a qual punto la fortuna si associ al merito; se venisse loro fatto di avere la pietra dei saggi, non vi sarebbero saggi per la pietra.

 



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