Johann Wolfgang von Goethe
Torquato Tasso

ATTO PRIMO

SCENA II. Alfonso e dette.

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SCENA II.

 

Alfonso e dette.

 

Alf.

Vo sull'orme del Tasso, e in alcun loco

trovar nol so... al vostro fianco pure...

Ne sapreste novella?

Princ.

Ieri di rado,

oggi nol vidi.

Alf.

È vecchio error del vate

solitudine amar più che compagni.

Grave non m'è che delle turbe ei fugga

il discorde tumulto e star prescelga

tacito, sciolto a favellar col Genio;

ma lodar non poss'io che si sottragga

al drappel degli amici.

Leon.

In lieta lode

presto, o che spero, muterai tuo biasmo.

Oggi il vidi da lunge: avea tra mano

un volume ed un foglio, e in suo cammino

scrivea di forza. Ieri un fugace motto

dalle labbra gli uscì che omai compiuta

l'opra svelommi. Con solerte cura

pochi tratti ne immeglia, onde a tua grazia,

che il francheggia di tanto, offrir da sezzo

un degno omaggio.

Alf.

Il benvenuto ei fia,

e a lungo andrà d'ogni dovere assolto.

Come più sue fatiche io prendo a core,

e per molti rispetti il suo gran carme

mi rallegra a ragion, così più al vivo

ardemi alfin l'impazïenza in petto.

Tôr la mano dall'opra egli non osa,

sempre lima e tramuta, incede lento,

poi sosta a lungo e le speranze illude.

Struggesi il core, se la gioia tardi

che vicina sognò.

Princ.

Di laude è degno,

poichè, solerte e umil, piede anzi piede,

move a la meta. Sol mercè le muse

s'accolgono a un'idea cotanti versi;

ned altro ei brama che condurre a filo

il suo poema; accumular novelle

a novelle non vuol, che fanno all'ore

un amabile inganno e sono alfine

vuota parola che sonando illude.

Non turbarlo, o fratel; perchè di bella

opra non tiene le misure il tempo.

Onde ammirino i tardi anni il lavoro,

spesso è mestier che la presente etade

dell'artista s'oblii.

Alf.

Concordi, o cara

sorella, opriamo, e già d'assai ne valse:

mio fervor tu rattempra, a tua lentezza

io sarò sprone. Sì, vedremlo alfine

tenere, ardito salitor, sua cima,

come a lungo bramammo. Allor la patria,

il mondo allora stupirà di tanta

opra compiuta. Di sua gloria un raggio

godrommi io pure, e tornerà il poeta

infra i viventi. Un nobile

non può l'indole sua temprar perfetta

in piccol cerchio: il natio loco e il mondo

influiscan sovr'esso; induri l'alma

alla gloria ed al biasmo: ei così acquista

di e d'altrui la conoscenza vera.

A lui di dolci illusïoni il core

solitudine pasce: ingrati veri

dirgli vuole il nemico, osa l'amico.

Così lottando opra il garzon sue forze,

suo valor riconosce ed uom si sente.

Leon.

De' tuoi molti favori al giovin vate

sarà questo il suggello. Anco in silenzio

sboccia il fior dell'ingegno: il cor si tempra

sol ne' tumulti della vita. Oh possa,

come l'arte affinò, nella tua scola

educar l'alma! Dal consorzio umano

più non s'involi il sospetto muti

in tema ed odio.

Alf.

Degli umani teme

sol chi non li conosce, e chi li fugge

a sconoscerli impara. Erra Torquato

in cotanto deliro, e a poco a poco

quel suo libero spirto ombra e s'allaccia;

spesso ei così pel mio favor s'affanna

più che a lui non s'addice; inverso molti,

ch'io so di certo non gli son nemici,

nudre fieri sospetti. Ov'egli incontri

che una lettra smarrisca, o che un suo servo

vada ad altro signore, o che di mano

gli cada un foglio, il tradimento ei vede

che gioioso in feral rete lo attragge.

Princ.

Mortal non è che se medesmo fugga;

rimembriamlo, o fratello. Ove un amico,

che compagno di via nosco ne venga

del piede infermi, volentier torremmo

d'allentar nostri passi ed a sostegno

la destra offrirgli.

Alf.

Ma il miglior saria,

quando e' possa guarire, a providente

medico fido rassegnarlo, e poscia

col risanato ripigliar giocondi

il cammin nuovo della dolce vita.

di ruvido medico la taccia

avrò, spero, o dilette. Il tutto io tento

a ravvivargli di fidanza il core:

al cospetto di molti a lui do spesso

cenni indubbii d'affetto; ove d'offesa

a me si lagni, io diligente esploro,

come or or che sconfitta a le sue stanze

credè la porta: che se nulla scopro,

placido mostro a lui qual della cosa

giudizio io rechi: e poi che vuolsi ad ogni

arte por man, la pazïenza io sempre

uso con esso (ed ei lo merta); e in questo

so d'avervi compagne. Or che v'addussi

alla pace dei campi, anzi che annotti

riedo in Ferrara. Qui vedrete un breve

istante Antonio, che da Roma or giunto

mi ritorna in città. Seco assai cose

parlar deggio e trattar, prender partiti,

molte lettre vergar: quindi è mestieri

ch'io ne rieda in Ferrara.

Princ.

E a noi concedi

di venirne compagne?

Alf.

Or qui restate,

o a Consandoli insiem volgete i passi;

l'aura godete de' sereni giorni.

Princ.

Perchè nosco non stai? Qui come altrove

puoi gli affari sbrigar.

Leon.

Tu a noi rapisci

tosto Antonio che potrìa gran cose

narrar di Roma?

Alf.

Qui restar non posso,

dilette mie, ma tornerò con esso

il più tosto che sappia: allor l'udrete

narrar di Roma, e il premieremo insieme

della nuova che spese in mio servigio

molta fatica. E non avremo appena

l'opra compiuta, qui verrà la corte,

sì che ancor la letizia esulti e rida

per li nostri giardini, e, come è dritto,

io pur talora per gentile incontro

qualche bella alle fresche ombre ritrovi.

Leon.

Noi fingerem di non veder.

Alf.

Sapete

com'io serbi i rispetti.

Princ.

Ecco a noi viene

(guardando dietro la scena)

dalla lunga Torquato a lenti passi:

ei si arresta talor, come tra due

pensier sospeso, indi veloce incede,

indi indugia di nuovo.

Alf.

Oh! non turbate,

or ch'ei va poetando, i suoi fantasmi:

tacito, solo, a suo cammino ei vada.

Leon.

Ei ne vide e s'accosta.

 

 


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