Tasso.
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Oh!
benvenuto
tu che in questo momento io raffiguro
pressochè primamente. A me giammai
in più bella maniera annunzïato
altri non fu. Sii benvenuto. Or tutto
io veramente il tuo valor conosco,
e senza indugio la man t'offro e il core,
nè tu, spero, mi sdegni.
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Incliti
doni
liberal profferisci;
e poi che il prezzo
ben ne estimo al dover, pria d'accettarli
mi consenti indugiar. Pur non so bene
se pari io posa ricambiar l'offerta.
Nè avventato parer nè sconoscente
volentieri torrei;
lascia ch'io sia
per entrambi prudente.
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biasmar prudenza? Nel mortal cammino
necessaria si sente a ciascun passo,
ma lieta è l'ora quando il cor ne dice
che non è d'uopo di sottil cautela.
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Ognuno in questo si consigli seco;
chè in lui cadrebbe del fallir la pena.
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E sia così. Mio debito ho compiuto.
Di Leonora, che ne vuole amici,
onorai la parola e a te mi offersi.
Starmi ritroso io non dovea;
ma certo
non vo' troppo pressarti. Un dì tu forse,
meglio avvisato, agognerai quel dono
che freddamente or da l'un canto poni
pressochè disdegnando.
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Ai
moderati
taccia di freddi assai fiate appone
chi di più caldo cor si usurpa il vanto
perchè lo assale passegger bollore.
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Ciò che tu biasmi io biasmo e schivo. Anch'io
sempre preferirò, mentre ch'io viva,
la durata al fervor.
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Saggia
parola!
Questa ti stampa saldamente in petto.
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Consigliarmi e ammonirmi è il tuo diritto,
perchè al tuo fianco esperïenza viene,
quale amica da lunghi anni provata.
Questo sol credi, che un tranquillo core
sempre veglia ad udir gli ammonimenti
d'ogni giorno e d'ogni ora, e in suo segreto
a ogni bene si prova in che erudirlo
tu presumi severo.
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È dolce
cosa,
ma non utile al pari, il trattenersi
con sè medesmo. Quel mortal che sempre
si fa specchio di sè, mai non acquista
di sè contezza;
perocchè, la sola
sua misura adoprando, or troppo a vile,
ora, ahi! più spesso, in troppo onor si tiene.
Sol guardando in altrui l'uom si conosce,
solo la vita il suo valor gl'insegna.
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Te ascolto e plaudo riverente.
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E pure,
malgrado esta parola, altro, ben altro
da quanto io voglio dire è il tuo pensiero.
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Impossibile egli è che più d'accosto
per tal via ci facciam. Pensatamente
disconoscere un uomo, e sia qual vuolsi,
opra non tengo nè gentil nè saggia.
La parola di lei fu appena d'uopo
a conoscerti tosto:
io so che il bene
brami e procuri. Di tue proprie sorti
a te non cale;
altrui tu pensi, altrui
porgi soccorso, e nel mar della vita,
che in tempesta ogni lieve aura commove,
saldo il cor serbi. Tal ti veggio: or quale
mi sarei, se a te incontro io non venissi?
se del chiuso tesor che tu custodi
non cercassi bramoso io pur mia parte?
So che, se t'apri, non dovrai pentirti;
so che amico t'avrò, se mi conosci.
Di cotale un amico è a me mestieri
già da lunga stagion. Dell'immatura
inesperta etá mia non mi vergogno;
tacita ancora alle mie tempie intorno
l'aurata nube del futuro, impende.
Tu al cor mi accogli, o nobile mortale,
e a me, fervente ed inesperto, insegna
l'uso temprato della vita.
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Quello
che solo il tempo consiglier ne dona,
tu lo vuoi nell'istante.
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In un istante
ciò che fatica in lenti anni raggiunge
amor largisce. Io non ti prego, io 'l chieggo;
e dritto n'ho. Per la virtù ti appello
ch'ama stringere i buoni in gentil nodo.
E dir deggio altro nome? Ella lo spera,
ella il vuol... Leonora ambo ne brama
annodar d'amistade. Al suo desio
deh ci tardi obbedire!
A offrir moviamo
cuore e mano alla diva, onde, congiunti,
compier per essa le più belle imprese.
Un'altra volta... ecco mia man! la stringi!
Non ritrarti, o gentil, non star più incerto
e mi assenti il più bel gaudio de' buoni:
riposar confidenti in un migliore.
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L'acque tu solchi a piene vele, e pare
che se' a vincere avvezzo e mai non trovi
o rinchiusa la porta o angusto il calle.
Ogni merto io ti assento, ogni ventura
di grado assai, ma chiaramente veggio
come ancor troppo largo è l'intervallo
che diparte noi due.
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D'età,
il concedo,
e d'esperto valor;
d'allegro zelo
me non vince mortal.
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L'opra
non segue
sempre al volere, e troppo brevi sogna
il cor le vie. Chi
tien la meta ha il serto,
e sovente il più degno il brama indarno.
V'ha nondimen di facili corone,
v'ha corone diverse;
e queste spesso
si colgono tra via senza fatica.
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Ciò che spontaneo il Nume all'un concede
e niega austero all'altro, è cotal dono
che nol coglie a talento ogni mortale.
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Se il nume a cui ringrazii è la Fortuna,
volentier t'odo;
perchè cieca elegge.
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Porta sue bende la Giustizia ancora,
e a ciascuno abbarbaglio ha chiusi gli occhi.
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Ben dee 'l felice glorïar Fortuna:
occhi mille ei le finga al merto intenti
e indagine severa e savia eletta;
ei la appelli Minerva, o di qual altro
nome è piú angusto;
il grazïoso dono
mercede ei chiami, e il casuale ornato
debito fregio.
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Favellar
più aperto
no davver non potevi;
or non t'è d'uopo
d'altra parola. Io l'imo cor ti vidi,
ti conobbi per sempre. Oh conosciuto
Leonora t'avesse!
In serbo tienti
dello sguardo gli strali e della lingua.
All'alloro immortal della mia fronte
gli avventi indarno. Con sublime core
ne deponi l'invidia. E che? Potresti
disputarmelo forse?
Egli mi è sacro,
è il supremo ben mio:
pur se m'additi
chi la meta toccasse, alta mia brama,
se m'additi l'eroe di che a mia mente
sol le storie parlâr, se un vate mostri
che tra Omero e Virgilio osi sedersi,
se mi mostri un mortal (dirò più assai)
cui più che a me questa mercè si addica,
che più di me del bello serto arrossi,
tu vedrai genuflettermi alla diva
che di tanto onorommi, e non alzarmi
fin che tolto alla mia non lo deponga
in fronte a lui.
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il lauro porti.
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ricusar non vogl’io, ma non ho mai
meritato il dispregio. Il nobil serto
che il mio signore mi stimò dovuto,
che alle mie chiome Leonora ordìo,
inforsare o schernire alcun non deve.
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Gli alteri detti e il subito bollore
mal si addicono a te, meco, e in tal loco.
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Ciò conviensi anco a me che tu qui ardisci.
Forse al vero vietata è questa soglia?
è al libero pensier carcer la reggia?
nè può un magnalmo che tacervi oppresso?
Eccellenza, m'è avviso, ha qui suo loco,
eccellenza dell'alma. O non puote ella
starsi de' grandi della terra accanto?
Ben lo puote e lo deve. Il varco al prence
sola ne schiude nobiltà di sangue,
avito dono; or
perchè no lo spirto,
cui non a tutti diè Natura eccelso,
come d'inclita stirpe a pochi solo
esser larga poteo?
Viltà soltanto
star dovrebbe a disagio in queste mura
e Invidia che a sua propria onta si svela;
così a queste marmoree pareti
non dee sordido ragno appender tela.
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Tu mostri a me come spregiarti ho dritto:
l'avventato fanciul per forza e insulti
l'amistade e la fè cerca dell'uomo!
Così rozzo, qual sei, buono ti chiami?
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Ciò che voi dite rozzo è a me più caro
assai di ciò ch'io dovrei dir viltade.
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Tu se' ancor sì garzon che saggia scuola
ben può avvïarti per miglior cammino.
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Onde orar falsi dei già troppo adulto,
adulto assai per affrontar l'orgoglio.
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Se di bei motti è gara e di concenti
tu sempre il prode, il vincitor ne sei.
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Audacia fora il millantar mio brando,
perchè vergine ancor;
ma in lui mi fido.
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Nell'altrui troppa cortesia tu fidi
che al corso audace di tua sorte indulse.
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Ben adulto or mi sento. Io non bramava
con te, no certo, cimentar mia spada;
ma tu vampa su vampa ognor più attizzi.
M'ardon l'intime fibre, e in cor mi bolle
l'affannoso desio della vendetta.
Se tal sei qual ti vanti, or stammi a fronte.
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Chi tu sei non avverti ed in qual loco.
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Santuario non è dove l'uom debba
patir l'insulto. Tu bestemmi;
il loco
tu sconsacri, non io, che confidenza
e onore e affetto, il piú bel don, t'offersi.
Tuo spirto a questo paradiso è sfregio,
questa sala profanano i tuoi detti,
non il vivo sentir dell'alma mia,
ch'arde, sdegnosa d'ogni lieve macchia.
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Che spiriti sublimi in petto angusto!
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I miei sensi a sfogar petto ho che basta.
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A parole si sfoga anche la plebe.
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Se sei nobil, com'io, mostralo a prova.
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Ben io lo son, ma questo loco onoro.
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Meco discendi dove il brando vaglia.
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Poi che sfidar non devi, io non ti seguo.
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Ben viene acconcio alla viltà il pretesto.
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Solo allor che è securo il vil minaccia.
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Posso a tal schermo rinunciar con gioia.
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Te offendi pur; nulla tu offendi il loco.
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Perdoni il loco, s'io patii quest'onta.
(snuda la spada)
Traggi il brando e mi segui, ov'io non debba,
come t'abborro, averti sempre a vile.
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