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SCENA III.
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Qual mi desta pietà sì nobil alma! qual tristo fato al suo sentir sublime! Ahi! ch'ella perde... e d'acquistar tu avvisi? Dunque è d'uopo ch'ei parta? o tu lo fingi onde sola goder la mente, il core ch'altra teco godea con più pienezza? Opra è questa leale? E non sei forse ricca abbastanza? A te consorte e figlio e dovizia e gentil sangue e beltade; pur non se' paga, se costui ti manca. L'ami tu forse? Ma perchè la vita t'è incresciosa senz'esso? A te medesma ben puoi svelarti. – Era celeste gioia specchio comporsi di sì nobil spirto. Non diventa ogni ben più caro e bello quando sui vanni di suo canto alzate valichiamo le nubi? Allor tu sei degna d'invidia; chè non sol possiedi ciò che molti desian, ma a tutti è conto che tu il possiedi. La natal tua terra te risuona ed ammira, e questo è il colmo delle umane fortune. Il degno canto fia solo Laura d'ogni dolce labbro? Di tramutare ignota bella in diva sol Petrarca avea dritto? Ov'è il mortale ch'osi all'amico mio venirne a paro? A lui dà un lauro la presente etade che fia sacro ai futuri. Oh come é bello entro a splendidi rai di questa vita averlo a fianco! movere con lievi passi, compagna, all'avvenire incontro! Sovra te perde allor suoi dritti il tempo. L'età li perde e la procace fama, che sospinge qua e là l'onda del plauso: fugaci cose quel suo canto eterna; anche poi che t'avrà chiusa il sepolcro, sarai bella e felice. Aver lui teco ben devi, e nulla tu a costei non togli: perchè sua benvoglienza al nobil vate l'altre sue tutte passïon somiglia; come il tacito lume della luna che fioco al peregrin l'orme dichiara, elle non ardon mai, nè a sè d'intorno raggiano il gaudio della vita e il riso. Pur che il sappia felice anche lontano, così lieta sarà come nel tempo quando dì non sorgea che nol vedesse. Nè da lei mi vogl'io prender col vate un eterno congedo, anzi, tornando, lo radduco alla reggia. Io son decisa... |