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SCENA IV.
Leon. |
a noi tu rechi: da sanguigno campo tornato sembri, in cui la forza impera e la spada decide, e non da Roma, ove un'alta prudenza erge le mani benedicendo ed âve a' piedi un mondo |
Ant. |
Il rimprovèrio, leggiadra amica, tollerare io deggio, ma non emmi difficile l'escusa. È gran periglio quando troppo a lungo dee l'uom mostrarsi temperante e saggio! Sta in agguato al suo fianco un tristo genio, che violento d'ora in ora brama |
Leon. |
T'adoprasti sì a lungo infra stranieri, governandoti sempre a lor talento: |
Ant. |
Questo appunto è il periglio, o cara amica: l'uom fra stranieri sovra sè si reca, gli occhi e gli orecchi in ogni parte pone e prefiggesi a scopo entrarne in grazia onde averne suo pro; ma tra gli amici, nell'affetto fidando, ei s'abbandona, si permette un capriccio, indoma sente |
Leon. |
Con gioia in questi |
Ant. |
grave non m'è – ch'oggi perdei me stesso fuor d'ogni modo. Ma rispondi schietta: uom di valor che da fatiche acerbe se ne ritorna con sudata fronte, e tardi alle bramate ombre la sera prender lena si pensa ad opre nuove, se trovi il loco largamente ingombro da ozïoso mortal, provar non debbe un sentimento di fralezza umana? |
Leon. |
S'egli è umano davver, parte dell'ombra cederà volentieri ad un mortale, che di colloqui e d'armonie sublimi lieve l'opra gli fa, dolce il riposo; |
Ant. |
Farci di vaga allegoria trastullo non vogliam, Leonora. In questo mondo assai son cose ch'uomo assente altrui e di che altrui ben volentier fa parte; ma un tesor v'è che accordasi di voglia solo a chi n'è ben degno, e v'è un secondo di che nessuno vorrà mai far parte né al più degno mortal... Se vuoi che il mio |
Leon. |
Forse quel serto al garzon nostro in fronte spiacque all'uomo severo? E pur tu stesso non potevi trovar mercè più poca alla fatica de' suoi carmi belli. Perocchè un merto che non è terreno, che vaneggia nell'aura e sol di suoni, di lievi imagi il nostro spirto alletta, anche si premia sol con bella imago, con insegna gentile; e come il vate tocca appena la terra, il più sublime premio ch'ei colga gli ombra appena il capo. Questo gli dà l'infruttuoso affetto di ciascun che lo onora, onde per poco sdebitarsi con lui. L'aureo splendore, che al martire circonda il calvo capo, tu per ver non invidii; e certamente |
Ant. |
M'apprendi or forse coll'amabil labbro a dispregiar la vanità del mondo? |
Leon. |
A pregiare ogni ben giusta il valore mestier non t'è della mia scola. Eppure parmi aver d'uopo a quando a quando il saggio, non men degli altri, che quel ben che tiene talun gli mostri nel verace lume. A un'ombra vana di favor, di grazia tu, mortal prode, non aspiri. È l'opra onde il prence e gli amici obbligo t'hanno viva, efficace, ed imperò ne ottieni viva, efficace la mercè. Tuo lauro è del prence la fè, che traboccante su te riposa che leggier la porti, |
Ant. |
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Leon. |
Secondo che s'intende è vano, o caro. Tu per ver non ne manchi, e andarne senza fôra più lieve a te che al buon Torquato. Deh! sincero mi di': donna che voglia di tue cose aver cura ed occuparsi con teco intenda, ne verrebbe a capo? Ordine e sicurtà splende in tua casa; tu pensoso di te, come d'altrui, scemo non hai ch'altri ricompier possa. Ben dell'indole nostra all'esercizio l'altro dà presa. Mille lievi arnesi gli mancar sempre a che ammannir la donna con diletto si adopra. Un piú bel lino, una serica veste un po' trapunta porta di grado. Del vedersi ornato molto si piace. Anzi gli abbietti panni, segno di servitù, sdegna a suo dosso; eletto e non volgar brama ogni arnese, bello, gentile. Pur non ha destrezza a far procaccio d'este cose e serbo: d'oro e di cure a tutte l'ore ei manca, qua un oggetto dimentica, là un altro; reduce da' vïaggi egli pur sempre di sue cose ha perduto alcuna parte, ed è talora che suo fante il rubi. Avem così per tutto l'anno, o Antonio, a che attender per lui. |
Ant. |
E a voi più caro di giorno in giorno questa cura il rende. Giovine avventuroso, a chi i difetti si recano a virtude, ed è concesso imitar, già maturo, il fanciulletto, che di sue care debolezze ardisce andar fastoso! Perdonarmi, o bella amica, devi se pur qui mi cruccio. Tutto il ver tu non di', ma quanto ardisca taci e che accorto egli è più ch'altri crede. Di due fiamme ei si vanta! annoda e scioglie |
Leon. |
Or bene: un aperto argomento è questo appunto che la sola amistade a lui ne scalda. Pur se amassimo amate, or non sarebbe debito premio a quel gentile spirto |
Ant. |
Mal più sempre adusatelo coi vezzi, egoista qual è, ditelo amante, tutti amici offendete a voi fedeli, fate al superbo volontarii omaggi, il bello cerchio di social fidanza frangete al tutto! |
Leon. |
Come tu sospetti, parzïali non siamo, e in più d'un caso ammoniam nostro amico; a noi sta a core di temprarlo così che sè medesmo più goda e torni più piacente altrui. Quello che in lui di rimprovèrio è degno |
Ant. |
Pur di molto in esso lodate voi che biasimar si vuole. Volge lunga stagion ch'io lo conosco; e conoscerlo è lieve, chè ogni velo l'altier disdegna. In sè talor s'immerge quasi capìa in suo petto il mondo intero, quasi in suo mondo a sè medesmo ei basti, e gli fuggon dal guardo i circostanti obbietti tutti. Esso li oblia, li spregia, li rigetta sdegnando e in sè riposa... Spesso in nuovo fervor, quasi scintilla che inavvertita fa scoppiar la mina, rompe improvviso, o sia letizia o affanno, o capriccio o furore: allora ei vuole stringer tutto e tener, vuol che l'evento alle sue tutte fantasie risponda; deve porgere a lui l'ora fugace ciò che a gran stento il tardo anno matura, troncar deve l'istante a voglia sua ciò che l'etade e la fatica appena dissolver ponno. A sè medesmo ei chiede impossibili imprese, ond'abbia il dritto di richiederle altrui. Di tutte cose vuol suo spirto comprendere gli estremi, al che appena tra mille un uom riesce; e non egli è da ciò. Torna in sè alfine, ma non mai migliorato. |
Leon. |
ma non ad altri. |
Ant. |
E nondimeno offende spesso gli altri pur troppo. Or puoi negarmi che della passïon ne' tristi istanti, la qual subita il prende, ei contra Alfonso e la suora e qualsiasi osa alle accuse rompere e all'onte? È un solo istante, il veggo, |
Leon. |
M'è avviso che una sua breve assenza utile ad esso torni ed altrui. |
Ant. |
certo immaturo; ch'io non vo' vestirmi le sembianze del fallo. Il falso grido intorno andrebbe ch'io di qua il cacciassi. Quanto a me, viva in pace a questa corte, e s'ei vuol meco conciliarsi e udire |
Leon. |
Or dunque speri |
Ant. |
nell'uom la speme, e il disperarsi è sempre de' partiti il peggior; perchè qual mente tutte prevede le possibil cose? Egli è degno del prence, e dee restarsi; che se nostr'opra ad informarlo è vana, |
Leon. |
Te non credea spassionato a tal segno e imparzïale; |
Ant. |
Questo diasi almen privilegio alla vecchiezza, che se talor dal dritto calle piega, lo racquista all'istante. Eri tu prima che me e l'amico tuo volevi in pace, or son io che ten' prego. Ogni arte tenta ch'ei ricovri sè stesso e tutte cose tornino piane. Tosto a lui men vado com'io senta da te che sia tranquillo, che la mia vista nol raccenda a sdegno. Tu ciò che fare intendi, il fa' in quest'ora, |