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SCENA I.
Tasso solo.
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Sei tu scosso da un sogno? E d'improvviso da te la bella illusïon fuggìo? o te nel giorno del gioir supremo alto sonno ingombrò, che tuttavolta con gravosi legami astringe e cruccia l'anima tua. Mai sì! Tu vegli e sogni. Dove son l'ore che di fior crinite ti danzavano intorno? E i giorni gai, quando il tuo spirto col desio sereno penetrava l'azzurro ampio de' cieli? E nondimen tu vivi ancor, te stesso tu senti ancora. Ah! ben te stesso senti, ma non sai se più vivi. È colpa mia, è colpa altrui lo starne io qui qual reo? Giusta è forse mia pena? O non è un merto tutto il mio fallo? Io lo guardai, dal buono voler fui preso, da una folle speme che chiunque par uomo uomo pur sia; vêr lui proruppi colle aperte braccia, ma adamante e non core in petto ei chiude. Deh! perchè non pensai con saggio avviso come accogliere l'uom che da gran tempo m'era in sospetto? Ma qualunque evento oggi incolto mi sia, forte io m'attengo a una dolce certezza: Io vidi lei! ella innanzi mi stette! ella parlommi! intesa io l'ho! Quel guardo e quella voce, quell'intento gentil di sue parole son mia cosa per sempre, e non le invola tempo nè fato nè spietata sorte! Che se troppo repente a volo alzossi il mio spirito allor, se quella fiamma ch'ora mi strugge io troppo tosto apersi, ripentir non ne posso, ancor che tronca la mia vita ne fosse. Io tutto a lei m'ebbi devoto e seguii lieto il cenno che mi trasse a ruina. E sia; chè degno di sua fè prezïosa io così apparvi, la qual tornami in pace anco in quest'ora che violenta il negro uscio mi schiude d'un lugubre avvenire! – Ora è deciso! Il caro sol della più bella grazia improvviso oscurò; rapimmi il prence suo benevolo sguardo e sovra angusta oscura via m'abbandonò smarrito. Ecco l'ambiguo volatìo deforme, tetro compagno dell'antica notte, fuori a sciame se n'esce e il capo mio stridendo aggira. Oh per qual parte andrommi |