IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
SCENA II.
Leon. |
Deh che fu, mio Torquato? A che t'han spinto il sospetto e il fervor? Come ciò avvenne? Tutti attoniti siamo. E tua mitezza, l'indol tua dolce, il tuo veloce sguardo, quel sicuro intelletto onde ciascuno librar tu sai sopra infallibil lance, quella equanimità che soffre cose cui ben presto un gran cor, di rado un vano soffrire impara, la balìa prudente del proprio labbro.... amico mio, più quasi te non conosco. |
E se ciò tutto or fosse ito in dileguo? Se mendico a un tratto quell'amico trovassi il qual sognavi pien di tesori? Tu nel segno hai côlto: più non sono quel desso, e pur sì buono io son qual fui. Pare e non è un enigma. La queta luna che ti allegra a notte e con suo lume la pupilla e il core lusinghiera ti attrae, vanisce al sole, pallida nuvoletta inavvertita. Me circonfulge lo splendor del giorno: voi ben mi conoscete, io no me stesso. |
|
Leon. |
Oscura è a me la tua parola, o amico; apri meco il tuo cor. Forse l'offesa di quel ritroso ti ferì sì al vivo che te medesmo e noi sconosci al tutto? In me ti fida. |
Non son io l'offeso, anzi punito son però che offesi. Delle molte parole agevolmente recide i groppi in un balen la spada, ma prigion mi son io. Tu ben non sai... No, benevola mia, non atterrirti... tu l'amico nel carcere ritrovi. |
|
Leon. |
|
Così soro e fanciul dunque mi tieni che di tal colpo io m'abbandoni tosto? Me troppo al vivo non accora il fatto, bensì mi accora l'avvenir che accenna. |
|
Leon. |
A torto più d'un sospetti, e men convinsi io stessa. |
Questa mi taccio. Sol qual era e qual resta, Antonio io guardo. L'inflessibil suo senno odiai mai sempre e quel continuo magistral contegno. Senza punto curar se chi lo ascolta già per sè ritrovò la buona via, cose apprenderti vuol che tu assai meglio intendi e senti; delle tue parole non una ascolta e ti sconosce sempre. Sconosciuto! e da chi? Da un arrogante che con spregio e pietà ti guarda e ride! Sì attempato non son nè sì prudente da non dargli risposta altra che un riso! Inevitabilmente o tosto o tardi noi dovevamo riuscirne a rotta; e vieppiù acerba la facea 'l ritardo. Sol conosco un signor, quel che mi nutre; questo io seguo di grado, e nessun altro maggior mi soffro. Libero vogl'io |
|
Leon. |
|
Con riguardi vuoi dire e destro e accorto, e questa è appunto del mio cor la spina; sì arrendevoli e blande ha le parole che la sua lode si converte in biasmo, |
|
Leon. |
Oh se inteso tu avessi, amico mio, come di te favella e dell'ingegno |
Amatore di sè fuggir non puote gli amari morsi della scarna invidia. Onoranza, dovizie ed alto stato ben ei perdona altrui fra sè pensando: Ed a me ancora largirà tai doni pertinacia o destin: ma ciò cui sola la natura ne dà, cui non raggiunge sforzo alcuno dell'uom, cui non conquista oro nè spada nè costanza o senno, nol perdona giammai. Ch'ei mel conceda? Ei che il favor delle Pimplèe si crede rapir superbo con ritroso senso? ei che, allorquando di parecchi vati i concetti accozzò, sè pure estima degno di lauro? Il signoril favore, cui pur tutto vorrebbe in sè raccôrre, mi perdona più assai che l'intelletto |
|
Leon. |
come il vegg'io? Tu nol conosci; ei d'altra indole è certo. |
Se in costui m'inganno, l'ingannarmi è soave; il più feroce de' miei nemici io 'l credo, e avrei gran doglia se crederlo più mite io mi dovessi. Folle è chi serba in tutte cose il dritto; ei sè stesso disfà. Gli uomini forse son vêr noi così giusti? Ah no! il mortale in sua povera essenza âve mestieri di duplice sentir, l'amore e l'odio. Non gli è d'uopo la notte al par del giorno? il sonno al par della vigilia? Io debbo ora e in futuro cotestui tenermi come del mio più cupo odio l'oggetto; nessuna cosa può il piacer rapirmi |
|
Leon. |
Se i sensi tuoi, caro antico, non tempri, io non so come |
Da buona pezza avverto, o bella amica, ch'io vi son di soverchio. |
|
Leon. |
Oh! tu nol sei, nè il saresti per tempo. Anzi t'è noto come Alfonso si piaccia e Leonora tragger l'ore con teco. Anche Lucrezia vien or da Urbino, ed il desìo la guida quasi al pari di te che de' fratelli. |
Qual fidanza, Leonora? È mai che il prence motto mi faccia degli affar di stato? Se caso avviene che alla mia presenza colle suore e con altri ei ne consigli, me giammai non domanda. Allor sol una |
|
Leon. |
Render grazie dovresti, e ti lamenti; |
Leon. |
Perciò appunto che posi util tu sei. Cure e noie da lungo in sen tu covi, qual fanciullo di vezzi. A me, per molto meditar ch'io vi faccia, è sempre avviso che su questo bel suolo, ove fortuna trapiantarti sembrò, tu non alligni. |
non blandire l'infermo, e la fiala porgi a sue labbra per quantunque amara, sol ch'ei possa guarir ben libra, o buona, prudente amica. Ella è finita! io il veggio: ben poss'io perdonargli, ei non lo puote. Necessario è costui; lasso! io nol sono: egli è prudente, ed io nol son pur troppo! Egli intende a' miei danni, e ricattarmi io non posso nè vo'. Gli amici miei han la cosa in non cale, essi d'altr'occhio veggonla affatto; fanno schermi appena, e dovrìeno pugnar. L'avviso tuo è ch'io dia loco, nè altrimenti io penso... Or dunque addio! Sofferirò pur questo! |
|
Leon. |
Netto e parvente da lontan ne splende l'obbietto che vicin gli occhi confuse. Forse allora vedrai di quanto amore eri segno dovunque, quale ha prezzo |
Ciò per prova vedrem! Pur da' verd'anni so che di lieve ne abbandona il mondo |
|
Leon. |
Se me tu ascolti, amico, unqua non fia che rinnovi la trista esperïenza. Per mio consiglio ti raccogli in prima alla bella Firenze, e là un'amica amicamente ti torrà in sua cura. Ti consola, io son quella. Al mio consorte quivi a giorni men vado, e non so cosa far più ad ambo gradita che il condurti ospite a' nostri lari. Io taccio, e il sai, a qual prence accostarti ivi potresti, quai la bella cittade uomini alberga |
e conforme al disio che chiusamente nutro in mio petto, ma improvvisa è troppo. Meditarla mi lascia; in poco d'ora io son risolto. |
|
Leon. |
a te bella ed a noi e a questa reggia, io mi diparto. Or medita; e se al vero |
qual è ver me di Leonora il core? Era meco sdegnata? E quai parole |
|
Leon. |
|
Agli occhi suoi |
|
Leon. |
|
Leon. |
|
Leon. |
|
Ecco tu parti; e me, poco qual sono, |
|
Leon. |
un amico lontano è averlo accanto. E te felice in mio pensier già veggo. Non sarà di cruccioso il tuo partire. Qui per cenno del prence Antonio or viene; or già ripente le parole acerbe onde t'offese. Accoglilo tranquillo, come tranquillo ei viene. |
In tutte guise |
|
Leon. |
prima ancora che io parta, aprirti gli occhi: come in tutta la patria uomo non vive che ti inodii o persegua, o trami insidie. Tu sei certo in errore, e come spesso per altrui gioia imaginando vai, ora uno strano imagini tessuto per affligger te stesso. A lacerarlo tutta io voglio adoprarmi, onde securo tu il lieto calle della vita ascenda. |