Johann Wolfgang von Goethe
Torquato Tasso

ATTO TERZO

SCENA III. Tasso solo.

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SCENA III.

 

Tasso solo.

 

 

E suadermi io deggio

che niun m'odia o persegue, e che le astute

trame segrete altro non son che un sogno

della mia mente? Confessarmi in fallo

io deggio dunque ed offensor di tale

che da me nol mertava? E ciò nell'ora

che alla luce del sol splendono chiari

mio pieno dritto e l'odio suo, che il prence

mi malleva sua grazia a cuore aperto,

che versa in me de' suoi presenti il vase

riconoscere io deggio in quell'istante

che a lui, debole assai, li miei nemici

bendano gli occhi e legano le mani.

Accorger dell'inganno egli non puote,

io mostrarli non posso ingannatori,

e sol perch'egli a securtà s'inganni,

perchè color lo ingannino di lieve,

star tranquillo io mi deggio, anzi dar loco.

Chi mi tal consiglio? E chi sì accorto

me con fedele ben voglienza induce?

Essa la Sanvitale, essa la mia

tenera amica! Oh ti conosco adesso!

Perchè mai diedi fede alle sue labbra?

Quelle sembianze di gentile affetto,

quelle parole di dolcezza piene

non veniano dal core! Ella è un'astuta,

qual fu pur sempre, e con leggieri e destri

passi vêr l'aura del favor si volge.

Come spesso anche in lei volli ingannarmi!

Pure di questo inganno, ov'io ben guardi,

sola artefice a me fu vanitade!

Codesta Sanvitale io ben conosco,

e nondimeno lusingai me stesso.

Ella è falsa cogli altri, in cor dicea,

ma sincera con teco. Or troppo tardi

apro le illuse mie pupille al vero!

Quand'io m'era in favore, ella al felice

tenera si volgeva; oggi ch'io cado,

ella il tergo mi come Fortuna.

Essa è stromento del nemico mio!

Con liev'orma mi accosta e lusinghiera

l'astuta serpe mi sussurra incanti

armonïosi. Oh come amabil parve!

più amabile che mai! Suonava amore

ogni suo detto. Ma celarmi a lungo

non potêr sue blandizie il falso intento,

perocchè l'alma dal parlar discorde

tralucea per la fronte. Io tosto accorgo

quando altri tenta con maligna mente

il cammin di mio core. In vêr Firenze,

non sì tosto che possa, andar degg'io?

Ma perchè vêr Firenze? Io ben lo vedo.

La nuova stirpe medicea vi ;

già non ha cogli Estensi aperta guerra,

ma la tacita invidia anco i più eccelsi

spirti scompagna colla fredda mano.

Se quei nobili prenci, e l'ho per fermo,

mi daran di favore incliti segni,

me il cortigiano pingerà ad Alfonso

quale ingrato ed infido, e fia creduto.

Partir vo', ma non come è il desir vostro;

partir, ma assai più che non pensate.

Che fo più qui? Chi mi rattien? Ciascuna

parola intesi che a costei dal labbro

allettando raccolsi! Una appo l'altra

ne ritrassi a fatica, e or ben comprendo

qual è vêr me di Leonora il core!...

Sì questo ancora è ver; non disperarti!

«Di buona voglia mi darà congedo

quando in util mi torni.» Oh a lei pur anche

che mie venture e me travolse al fondo

pungesse alcuna passïone il petto!

Di questa mano che severa e fredda

me da discompagna amara meno

morte sarebbe!... Io parto... Or poni mente

che d'amistà una larva o di bontade

più non t'illuda. Ogni altrui frode è or vana,

se a te stesso non sei fabbro d'inganni.

 

 


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