Johann Wolfgang von Goethe
Torquato Tasso

ATTO TERZO

SCENA IV. Tasso ed Antonio.

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SCENA IV.

 

Tasso ed Antonio.

 

Ant.

Vengo a parlarti, o Tasso, ove tranquillo

tu voglia e possa udirmi.

Tasso.

A me, tu il sai,

è l'oprar divietato; or mi si addice

attendere e ascoltar.

Ant.

Calmo io ti trovo,

qual desiava, e t'aprirò il mio core;

ma per cenno d'Alfonso io sciolgo in prima

il debil laccio che parea tenerti.

Tasso.

Già legommi l'arbitrio, esso mi solve;

io mi rassegno un giudizio invoco.

Ant.

Or ti parlo di me. Più acerba ed alta,

ch'io non pensai da passïon commosso,

par che aprissi ferita entro il tuo petto.

Ma non uscì, inavvertita pure,

dalle mie labbra una parola ontosa:

nulla hai tu a vendicar qual gentiluomo;

certo, qual uom, non negherai perdono.

Tasso.

Se più il motto o l'oltraggio al vivo offenda

librar non voglio; nel profondo petto

quello penètra, lievemente sfiora

questo la pelle. Al vibratore in capo

torna lo strale dell'oltraggio, e calma

ridà all'offeso il ben vibrato acciaro;

ma, compunto da un motto, a gran fatica

disacerbasi il cor.

Ant.

La volta or venne

ch'io stesso a te con calda istanza dica:

Non volerti ritrarcompi il mio voto

e quel del prence che da te mi manda.

Tasso.

So il mio debito e cedo. In quanto uom puote,

perdono io pur. Cantan d'un'asta i vati

che sue stesse ferite coll'amico

tocco guariva. La virtude è questa

della lingua dell'uom; non io vo' starmi

astïoso sul niego.

Ant.

Io ti ringrazio,

e forte bramo che del par fidente

mio desio di servirti a prova metta,

Di' s'io valgo a giovarti.... Il dimostrarlo

grato mi fora.

Tasso.

Ecco, tu m'offri a punto

ciò che soltanto desïar potea.

Tu il prigioniero a libertà tornasti,

e tu apprestagli il mezzo onde sen giovi.

Ant.

Che vuoi dirmi? ti spiega.

Tasso.

Il mio poema

sai che ho finito, ma imperfetto è ancora.

Oggi al prence l'offersi e mi sperava

porgergli insieme un prego. Amici molti

or mi vivono in Roma; alcun per lettre

diemmi intorno a' miei versi il suo parere;

io me ne valsi assai, ma pur v'han cose

che ancor denno librarsi, e son più luoghi

che mutar non vorrei, se non mi è pôrta

altra ragion che l'intelletto vinca.

Insolubil per lettre è questo groppo,

sol la presenza di leggier lo taglia.

Oggi il prence pregarne era mia mente,

ma fallì 'l tempo; or mi fallisce ardire,

e per te sua licenza aver mi spero.

Ant.

Sconsigliato mi par che tu ne parta

pur nel momento che il poema assolto

al tuo prence t'ingrazia e a Leonora.

Il giorno del favor giorno è di messe,

porsi all'opra convien ratto ch'ei spunti.

Forse perdita avrai, non lucro al certo

se di qui ti dilunghi. È la presenza

una possente dea: rimani, amico,

e a riscaldarti de' suoi raggi apprendi.

Tasso.

Nulla io deggio temer; nobile è Alfonso

e magnanimo sempre a me si porse:

solo al suo core saper grado io voglio

della grazia sperata e non carpirla

con modi astuti: da lui vo' cosa

che concessa gli gravi.

Ant.

Or non cercargli

dunque il commiato; ei te 'l darà malgrado,

e quasi temo non si metta al niego.

Tasso.

Cederà volentieri a prieghi accorti;

e tu puoi, sol che il voglia.

Ant.

E quai motivi

degg'io proporgli?

Tasso.

Deh gli suoni un prego

tutto il mio carme. Ad alta meta io mossi,

sebben fallîrmi a mezza via le forze;

alsi e sudai nell'opra. Il lieto corso

d'assai giorni felici e il volger queto

d'assai notti profonde erano a questa

canzon gioconda unicamente sacri.

Sperai modesto di venir sull'orma

di que' divini dell'antiqua etade,

e ardito intesi da sì lungo sonno

suscitar miei coevi ad opre altere,

e quindi forse con gentil crociata

cercar gloria e perigli in sacra guerra.

Se gli eroi dissonnar debbe il mio canto,

vile agli orecchi degli eroi non suoni.

Com'io deggio ad Alfonso il mio lavoro,

così di sua perfezïon vorrei

essergli grato.

Ant.

Un prence è qui, son altri

onde avrai lume, quale in Roma attendi;

qui pon l'ultima mano al tuo lavoro,

indi sul Tebro ad operar t'affretta.

Tasso.

Ebbi da Alfonso il primo sprone all'opra,

i supremi consigli avrò da lui;

e assai tengo in onor l'avviso tuo

e de' prudenti che la corte accoglie.

Voi d'ogni dubbio che i Romani amici

non avran ben risolto arbitri voglio.

Ma veder questi è d'uopo. A me Gonzaga

un consesso adunò, cui presentarmi

io deggio in prima. E il più tardar mi noia!

Nobili, Barga, Antonïan, Sperone

tu per certo conosci... Oh quali illustri

nomi son questi! Ei spirano a mia mente,

che medesma volentier sommette,

trepidanza ad un tempo e confidenza.

Ant.

Sol di te sei pensoso e non d'Alfonso.

Io tel ripeto, ei negherà il commiato

o ritroso il darà: tu già non puoi

richieder quello che assentir gli gravi.

E deggio io farmi intercessor di cosa

che non posso lodar?

Tasso.

La prima volta

che l'amistà profferta io metto a prova

un rifiuto mi porgi?

Ant.

A tempo e a loco

la verace amistà si mette al niego,

e amor sovente col suo dono nuoce

quando al desìo del chieditor riguarda

più che al suo bene. In questo istante, o parmi,

ciò che fervido brami util tu credi,

e in questo istante il tuo desir vuoi pieno.

Coll'impeto supplir crede l'errante

a quanto in forza e verità gli manca.

Egli è debito mio, per quanto io posso,

temprar la fretta che a perir ti tragge.

Tasso.

La tirannia dell'amicizia è questa,

che da tempo io conosco e la più dura

tra tutte estimo. Tu altrimenti pensi,

e sol per ciò di pensar meglio avvisi.

Tu del mio ben se' vago, il so e ne godo;

ma non voler che per tua via lo cerchi.

Ant.

E dunque vuoi che il danno tuo procuri

con fermo antiveder, con freddo core?

Tasso.

D'esta cura ti sciolgo! Io per tuo dire

qui non m'arretro. Mia prigion tu apristi,

ed ho libero il varco insino al prence.

Eleggi or dunque; o tu gli parli ed io.

Partire ei debbe, non vo' perder l'ora.

T'affretta; ove tu indugi, a fargli motto

vado io medesmo, e quel che può ne avvenga.

Ant.

Breve un tempo concedi al mio desire,

sol tanto indugia che ritorni Alfonso;

non ti chieggo che un .

Tasso.

un'ora sola,

se possibile torna! A me su questo

marmorëo pavimento ardono i piedi;

non puote innanzi riposar mio spirto

che la polve del libero cammino

me frettoloso avvolga. Odi il mio prego.

Atto in quest'ora, apertamente il vedi,

a parlar non son io col mio signore;

vedi, e come il celar? ned io alcuna

forza in quest'ora a raffrenarmi basta;

sol le catene mi sarian rattento!

Non è Alfonso un tiranno, egli mi assolse.

Come era dolce l'obbedirlo un tempo!

oggi nol posso! Libero mi date

questo sol giorno a ricovrar me stesso;

tornerò tosto dopo a' dover miei.

Ant.

Dubitanza mi spiri. Io mal discerno

quel che far deggio. Da una mente all'altra

l'error s'apprende.

Tasso.

Se dar fede io devo

alla tua benvoglienza, il mio desire,

che il puoi, tu adempi. Così avrò dal prence

non ritrosa licenza, il suo favore

serbando intero. E mi sarà soave

ciò conoscer da te. Ma se favilla

dell'antico dispetto in cor ti vive,

se d'esta corte tu mi vuoi sbandito,

se per sempre vuoi manchi i miei destini

e me lunge cacciar nudo d'aita,

allor tien' tua sentenza e stanne al niego.

Ant.

Posciachè, o Tasso, ch'io ti nuocia è fato,

quella via sceglierò che più a te piace:

chi di noi falli mostrerà l'evento.

Di partir tu sei fermo! Io tel predico:

date le spalle a questa reggia appena,

a lei rivolerà tosto il tuo cuore,

ma pertinace seguirai tua strada;

il dolore, il tumulto e la follia

già t'aspettan sul Tebro: ivi e in Ferrara

tu fallirai al desiato porto.

Vaticinii son questi e non consigli,

e fien tosto avverati. Io già fin d'ora

assai ti prego che di me ti fidi

quando sopra ti fien le presagite

alte sventure. Or, come tu desiri,

vado il prence a pregar.

 

 


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