Ant.
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Vengo a parlarti, o Tasso, ove tranquillo
tu voglia e possa udirmi.
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A me, tu
il sai,
è l'oprar divietato;
or mi si addice
attendere e ascoltar.
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Calmo
io ti trovo,
qual desiava, e t'aprirò il mio core;
ma per cenno d'Alfonso io sciolgo in prima
il debil laccio che parea tenerti.
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Già legommi l'arbitrio, esso mi solve;
io mi rassegno nè un giudizio invoco.
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Or ti parlo di me. Più acerba ed alta,
ch'io non pensai da passïon commosso,
par che aprissi ferita entro il tuo petto.
Ma non uscì, nè inavvertita pure,
dalle mie labbra una parola ontosa:
nulla hai tu a vendicar qual gentiluomo;
certo, qual uom, non negherai perdono.
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Se più il motto o l'oltraggio al vivo offenda
librar non voglio;
nel profondo petto
quello penètra, lievemente sfiora
questo la pelle. Al vibratore in capo
torna lo strale dell'oltraggio, e calma
ridà all'offeso il ben vibrato acciaro;
ma, compunto da un motto, a gran fatica
disacerbasi il cor.
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La volta
or venne
ch'io stesso a te con calda istanza dica:
Non volerti ritrar – compi il mio voto
e quel del prence che da te mi manda.
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So il mio debito e cedo. In quanto uom puote,
perdono io pur. Cantan d'un'asta i vati
che sue stesse ferite coll'amico
tocco guariva. La virtude è questa
della lingua dell'uom;
non io vo' starmi
astïoso sul niego.
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Io ti
ringrazio,
e forte bramo che del par fidente
mio desio di servirti a prova metta,
Di' s'io valgo a giovarti.... Il dimostrarlo
grato mi fora.
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ciò che soltanto desïar potea.
Tu il prigioniero a libertà tornasti,
e tu apprestagli il mezzo onde sen giovi.
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Che vuoi dirmi? ti spiega.
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Il mio
poema
sai che ho finito, ma imperfetto è ancora.
Oggi al prence l'offersi e mi sperava
porgergli insieme un prego. Amici molti
or mi vivono in Roma;
alcun per lettre
diemmi intorno a' miei versi il suo parere;
io me ne valsi assai, ma pur v'han cose
che ancor denno librarsi, e son più luoghi
che mutar non vorrei, se non mi è pôrta
altra ragion che l'intelletto vinca.
Insolubil per lettre è questo groppo,
sol la presenza di leggier lo taglia.
Oggi il prence pregarne era mia mente,
ma fallì 'l tempo; or mi fallisce ardire,
e per te sua licenza aver mi spero.
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Sconsigliato mi par che tu ne parta
pur nel momento che il poema assolto
al tuo prence t'ingrazia e a Leonora.
Il giorno del favor giorno è di messe,
porsi all'opra convien ratto ch'ei spunti.
Forse perdita avrai, non lucro al certo
se di qui ti dilunghi. È la presenza
una possente dea: rimani, amico,
e a riscaldarti de' suoi raggi apprendi.
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Nulla io deggio temer;
nobile è Alfonso
e magnanimo sempre a me si porse:
solo al suo core saper grado io voglio
della grazia sperata e non carpirla
con modi astuti: nè da lui vo' cosa
che concessa gli gravi.
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Or non
cercargli
dunque il commiato;
ei te 'l darà malgrado,
e quasi temo non si metta al niego.
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Cederà volentieri a prieghi accorti;
e tu puoi, sol che il voglia.
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E quai
motivi
degg'io proporgli?
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tutto il mio carme. Ad alta meta io mossi,
sebben fallîrmi a mezza via le forze;
alsi e sudai nell'opra. Il lieto corso
d'assai giorni felici e il volger queto
d'assai notti profonde erano a questa
canzon gioconda unicamente sacri.
Sperai modesto di venir sull'orma
di que' divini dell'antiqua etade,
e ardito intesi da sì lungo sonno
suscitar miei coevi ad opre altere,
e quindi forse con gentil crociata
cercar gloria e perigli in sacra guerra.
Se gli eroi dissonnar debbe il mio canto,
vile agli orecchi degli eroi non suoni.
Com'io deggio ad Alfonso il mio lavoro,
così di sua perfezïon vorrei
essergli grato.
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onde avrai lume, quale in Roma attendi;
qui pon l'ultima mano al tuo lavoro,
indi sul Tebro ad operar t'affretta.
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Ebbi da Alfonso il primo sprone all'opra,
i supremi consigli avrò da lui;
e assai tengo in onor l'avviso tuo
e de' prudenti che la corte accoglie.
Voi d'ogni dubbio che i Romani amici
non avran ben risolto arbitri voglio.
Ma veder questi è d'uopo. A me Gonzaga
un consesso adunò, cui presentarmi
io deggio in prima. E il più tardar mi noia!
Nobili, Barga, Antonïan, Sperone
tu per certo conosci... Oh quali illustri
nomi son questi!
Ei spirano a mia mente,
che sè medesma volentier sommette,
trepidanza ad un tempo e confidenza.
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Sol di te sei pensoso e non d'Alfonso.
Io tel ripeto, ei negherà il commiato
o ritroso il darà:
tu già non puoi
richieder quello che assentir gli gravi.
E deggio io farmi intercessor di cosa
che non posso lodar?
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La prima
volta
che l'amistà profferta io metto a prova
un rifiuto mi porgi?
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A tempo
e a loco
la verace amistà si mette al niego,
e amor sovente col suo dono nuoce
quando al desìo del chieditor riguarda
più che al suo bene. In questo istante, o parmi,
ciò che fervido brami util tu credi,
e in questo istante il tuo desir vuoi pieno.
Coll'impeto supplir crede l'errante
a quanto in forza e verità gli manca.
Egli è debito mio, per quanto io posso,
temprar la fretta che a perir ti tragge.
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La tirannia dell'amicizia è questa,
che da tempo io conosco e la più dura
tra tutte estimo. Tu altrimenti pensi,
e sol per ciò di pensar meglio avvisi.
Tu del mio ben se' vago, il so e ne godo;
ma non voler che per tua via lo cerchi.
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E dunque vuoi che il danno tuo procuri
con fermo antiveder, con freddo core?
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D'esta cura ti sciolgo!
Io per tuo dire
qui non m'arretro. Mia prigion tu apristi,
ed ho libero il varco insino al prence.
Eleggi or dunque;
o tu gli parli ed io.
Partire ei debbe, non vo' perder l'ora.
T'affretta; ove
tu indugi, a fargli motto
vado io medesmo, e quel che può ne avvenga.
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Breve un tempo concedi al mio desire,
sol tanto indugia che ritorni Alfonso;
non ti chieggo che un dì.
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Nè un'ora
sola,
se possibile torna!
A me su questo
marmorëo pavimento ardono i piedi;
non puote innanzi riposar mio spirto
che la polve del libero cammino
me frettoloso avvolga. Odi il mio prego.
Atto in quest'ora, apertamente il vedi,
a parlar non son io col mio signore;
vedi, e come il celar? ned io nè alcuna
forza in quest'ora a raffrenarmi basta;
sol le catene mi sarian rattento!
Non è Alfonso un tiranno, egli mi assolse.
Come era dolce l'obbedirlo un tempo!
oggi nol posso! Libero mi date
questo sol giorno a ricovrar me stesso;
tornerò tosto dopo a' dover miei.
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Dubitanza mi spiri. Io mal discerno
quel che far deggio. Da una mente all'altra
l'error s'apprende.
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Se dar
fede io devo
alla tua benvoglienza, il mio desire,
che il puoi, tu adempi. Così avrò dal prence
non ritrosa licenza, il suo favore
serbando intero. E mi sarà soave
ciò conoscer da te. Ma se favilla
dell'antico dispetto in cor ti vive,
se d'esta corte tu mi vuoi sbandito,
se per sempre vuoi manchi i miei destini
e me lunge cacciar nudo d'aita,
allor tien' tua sentenza e stanne al niego.
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Posciachè, o Tasso, ch'io ti nuocia è fato,
quella via sceglierò che più a te piace:
chi di noi falli mostrerà l'evento.
Di partir tu sei fermo! Io tel predico:
date le spalle a questa reggia appena,
a lei rivolerà tosto il tuo cuore,
ma pertinace seguirai tua strada;
il dolore, il tumulto e la follia
già t'aspettan sul Tebro:
ivi e in Ferrara
tu fallirai al desiato porto.
Vaticinii son questi e non consigli,
e fien tosto avverati. Io già fin d'ora
assai ti prego che di me ti fidi
quando sopra ti fien le presagite
alte sventure. Or, come tu desiri,
vado il prence a pregar.
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