Johann Wolfgang von Goethe
Torquato Tasso

ATTO TERZO

SCENA V. Tasso solo.

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SCENA V.

 

Tasso solo.

 

 

Vanne una volta,

e che a me quanto brami hai persuaso

vanne sicuro. A simulare apprendo,

perchè maestro tu ne sei sovrano,

e docile son io. Così la vita

ad assumer l'aspetto ne costringe,

anzi pur la natura di coloro

che arditi e alteri dispregiar potremmo.

Or della trama cortigiana i fili

ben distinti vegg'io! Quinci cacciarmi

Antonio brama e non ne far sembiante.

D'indulgenza ei si ammanta e di prudenza

perch'io paia vieppiù dappoco e soro;

a tutor mi si porge, onde avvilirmi

quasi fanciul, perchè forzarmi a schiavo

si provò inutilmente. Ei con quest'arti

al prence annebbia ed alla suora il guardo.

Me vorran trattenere, ei tra dice,

benchè un bel merto mi largì natura;

se di qualche fralezza ella, pur troppo!

l'eccelso dono accompagnò maligna,

d'un indomito orgoglio, d'una fibra

sensitiva in eccesso e d'una cupa

ostinatezza. Sia così, le sorti

abbian tale temprato una fiata

quest'un mortale; e tal prender si debba,

comportarlo, soffrirlo e goder forse

in lieto , qual non previso lucro,

ciascuna gioia che da lui ti venga;

viva del resto a suo talento e muoia.

Dov'è d'Alfonso la costanza, onde egli

gl'inimici disfida e fedelmente

guarda gli amici? Il riconosco io forse

in quei modi che tenne oggi con meco?

Ah i danni miei ben riconosco or tutti!

Fato è che ognuno, benchè serbi ad altri

immutabile il cor, vêr me si muti

per un alito d'aura, in un istante.

Non funestò le sorti mie d'un tratto

sol la venuta di costui? Non svelse

l'edifizio costui di mie speranze

fin dai profondi? Oggi medesmo io devo

farne la prova: già mi lascian tutti

quanti pur ora mi veniano incontro;

già mi scansa ciascuno e mi respinge

che pur or s'affollava ad abbracciarmi.

Ma perchè tal vicenda? La bilancia

de' miei meriti adunque e dell'affetto,

che sì pieno altre volte io mi godea,

balzar fa in alto questo sol mortale?

Sì, mi fuggono tutti, e tu pur anco,

tu da me ti ritraggi, o donna amata!

In quest'ore infelici ella non diemmi

pure un cenno di grazie. Ed io da essa

tanto mertava?.. Oh lasso cuore, a cui

era natura l'adorar costei!..

Al suono di sua voce oh quale all'alma

sentimento ineffabile s'apprese!

Nell'aspetto di lei mi si fe' buia

la radïosa chiarità del giorno;

irresistibilmente mi traea

il suo sguardo, il suo labbro: i miei ginocchi

mi sorressero a stento, e delle tutte

mie spirtali potenze ebbi mestieri

onde tenermi dal caderle a' piedi;

miracol fu se quell'ebrezza io vinsi.

Saldo reggi, cor mio! Tu, chiara mente,

qui non lasciarti avviluppar di nubi.

Anche costei! Dirlo poss'io? E appena

il credo; oh! ben lo credo e a me medesmo

vorrei tacerlo. Anche costei! La scolpa,

ma non celarti il vero: anche costei!

Questa parola, ond'io dubbiar dovea

finchè spiro di fede in me vivesse,

qual decreto de' fati alfin si sculpe

sul bronzëo vivagno del volume,

che de' dolori miei tutto è vergato.

Or davver son possenti i miei nemici,

or d'ogni forza io son per sempre inerme:

come poss'io pugnar se infra le avverse

schiere è costei? Come aspettar soffrendo

se non mi accenna da lontan sua mano,

se non arride al supplice il suo sguardo?

Ciò tu ardisti pensare e tu l'hai detto,

e mentre non potevi ancor temerlo,

ecco s'avvera! Or pria che disperanza

con bronzei artigli i sensi tuoi disbrani,

solo i destini dispietati accusa;

solo un motto ripeti: Anche costei!

              


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