Johann Wolfgang von Goethe
Torquato Tasso

ATTO QUINTO

SCENA I. Alfonso e Antonio.

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               ATTO QUINTO

SCENA I.

 

Alfonso e Antonio.

 

Ant.

Rividi il Tasso per tuo cenno e a punto

da lui rivegno. Gli parlai, lo strinsi,

ma proposto ei non muta, ed ansio prega

che per breve stagion tu gli consenta

il commiato vêr Roma.

Alf.

Io ti confesso

che dolente ne sono e tolgo innanzi

dirti il mio duol che lo inasprir tacendo.

Vuol Torquato lasciarne; or ben, nol vieto.

Ei move a Roma; e sia, ma nol sottragga

l'accorto Cosmo o Scipïon Gonzaga.

Grande è Italia perciò che ognun gareggia

col suo vicino ad ospitar gli egregi

e giovarsi di lor. Prence che intorno

non si accoglie gl'ingegni, un duce parmi

privo di schiere; e barbaro è qualunque

l'armonie non intende de' poeti,

quando ben segga sul maggior de' troni.

Io trovai questo e scelsi, io vo superbo

dell'averlo a mio servo; e poi che molto

m'adoprava a suo pro, senza dolore

perderlo non potrei.

Ant.

Tornami a noia

che tuttavia dell'odïerna lite

a' tuoi occhi son reo. La mia fallanza

io volentier confesserò: s'aspetta

alla tua grazia il perdonar; ma al tutto

sconsolato sarei, se tu opinassi

ch'io non fessi ogni prova onde placarlo.

Oh! mi favella con benigno sguardo,

sì che di nuovo ricompormi io possa

e in me stesso fidar.

Alf.

Di questo, Antonio,

vivi tranquillo; io non ti chiamo in colpa.

So la tempra di lui, so i benefici

E i frequenti perdoni onde gli indulsi,

e come spesso dal cercar m'astenni

quanto darmi ei dovea. Di molte cose

è concessa al mortal la signoria;

ma sol necessitale e lungo tempo

doman l'indole sua.

Ant.

Se per un solo

molto adoprano gli altri, egli è ben dritto

che a lui pur caglia dell'altrui vantaggio.

Chi suo spirto educògentilmente,

chi ogni scienza abbraccia, ogni contezza

cui può cogliere un uomo, obbligo forse

maggior non tiene di domar stesso?

Di ciò pensa Torquato?

Alf.

E però sempre

enne tolto il riposo. Ognor che noi

ci speriamo goder, nemico o amico,

o delle nostre spade ei fa periglio,

o a prova pon la pazïenza nostra.

Ant.

Compie ei forse il dover primo dell'uomo

d'elegger cauto le bevande e i cibi?

Perchè in stretto confin sì come ai bruti

non prescrisse natura all'uom la scelta.

Non corre forse qual fanciullo a quanto

mai gli stuzzichi il gusto? E quando il nappo

tempra con linfa? Spezie, acri liquori,

zuccherose vivande in fretta e in folla

ei si tracanna, indi il suo fosco senso

vien lamentando e l'infiammato sangue

e la fervida tempra, e la natura

maledice e il destino. Acerbo e folle

col medico garrir l'udii sovente.

Moveami a riso, se di riso è degno

ciò che un uomo addolora e gli altri turba.

Questa doglia io mi sento, ei così parla

pien di tedio e d'affanno. A che la vostra

arte vantarmi? Or mi tornate sano.

Ed il medico a lui: Dunque schivate

questo e quest'altro: – Oh nol poss'io!Bevete

questo farmaco adunque. – Oh no! d'amaro

ei mi sa troppo e mi rivolta il petto. –

Acqua almeno mescete. – Acqua? non mai;

assai più d'un idrofobo la abborro. –

Allor mezzo non v'ha che vi dismali

Ma perchè ciò? – S'accresceranno al morbo

altri malori, e quando ben non possa

trarvi al sepolcro, vi farà più amara

d'ora in ora la vita. – Or questo è strano!

Medico siete, il mio malor vi è conto,

saper dovreste un farmaco e sì dolce

a miei labbri il temprar che prima ancora

d'esser disciolto delle doglie mie

io non abbia a doler. Tu pur sorridi!

Ma le son sue parole e tu medesmo

da lui le udisti.

Alf.

Io l'udii spesso, e spesso

pur lo scusai.

Ant.

Certo è che sciolta vita,

come ne causa gravi sogni e fieri,

sognar ne fa dassezzo a sereno:

e che son suoi sospetti altro che sogni?

Ovunque muova fra nemici ei viene,

porta invidia a sua mente ognun che il vegga,

ognun lo esecra che lo invidii, e lui

fiero persegue. Te medesmo ei spesso

assordò di lamenti: or toppe infrante,

ora lettre intraprese, or ferro, or tôsco

e qual più strana fantasia lo prenda.

Ponderati hai que' lagni in giusta lance,

e che trovasti mai? un'ombra pure.

Non è scudo di prence a cui s'affidi,

petto amico non è che lo consoli.

E vuoi dare a un cotal pace e contento?

E da un cotale ti prometti gioie?

Alf.

Vero Antonio diresti, ove da lui

mio presente vantaggio io mi sperassi;

e, già mi giova che assoluto e tosto

util da esso non aspetto. A un modo

non ci serve ogni cosa, e chi di molte

giovarsi intende ciascheduna adopri

come vuol sua natura, e gli fien tutte

abil stromento. Ne insegnò quest'arte

la medicea famiglia, e fin del Tebro

i sacrati signor. Con che indulgenza,

con che regal longanime mitezza

qualche splendido ingegno sofferiro

che passarsi parea de' lor favori

e n'avea d'uopo!

Ant.

Chi nol sa, mio prence?

Sol la fatica della vita insegna

a tener cari della vita i beni.

Troppo in alto ei salì così garzone

perchè possa goder tempratamente.

Se faticando conquistar dovesse

quanto gli si offre adesso a piene mani,

virilmente oprerebbe il suo vigore

e d'ogni nuovo passo andría contento.

Povero gentiluomo allor per fermo

giunto ha lo scopo del miglior desìo,

quando un nobile prence a cortigiano

sceglierlo degna e con soave destra

lo sottragge all'inopia. Ove gli doni

grazia ancora e fidanza, e al fianco suo

innanzi agli altri lo sollevi o in guerra

o nell'opre di stato o ne' colloqui,

potrebbe allor, cred'io, l'uomo modesto

con tacita adorar riconoscenza

la sua fortuna. A così cari doni

la più bella de' giovani ventura

Torquato accoppia: già di lui la patria

ha contezza e speranze. A me deh! credi:

la sua noia fantastica deriva

dall'eccellenza della sua fortuna.

Ei vien: blando il congeda e gli tempo

che in Napoli od in Roma o dove ei vuole

quello vada a cercar che qui gli falla

e che sol qui trovar di nuovo ei puote.

Alf.

Tornar brama in Ferrara anzi al partire?

Ant.

Restarsi ei brama in Belriguardo, e intende

che un amico gl'invii da la cittade

quanto è più d'uopo a suo vïaggio.

Alf.

Ed io

ne son contento. Coll'amica riede

la sorella ben tosto a' patrii lari,

e su presto corsiero io le prevengo.

Poste al vate le cose in tutto punto,

ratto ne segui. Al castellan comanda

quanto è mestier perchè Torquato possa

soggiornar nel castel finchè gli piaccia

e gli amici gli mandino gli arnesi

ed io lettre gl'invii di che fornirlo

per Roma intendo. Ei viene. Addio.

 

 


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