Johann Wolfgang von Goethe
Torquato Tasso

ATTO QUINTO

SCENA IV. Principessa e Torquato.

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SCENA IV.

 

Principessa e Torquato.

 

(Verso il fine della scena gli altri).

 

Princ.

Sei tu già sul lasciarne, o in Belriguardo

soffermandoti pria, tardi d'alquanto

la tua partenza? E fia per poco, io spero.

A Roma vai?

Tasso.

Mia prima meta è quella.

Se cortesi m'accorran gli amici,

come ardisco sperar, l'ultima mano

attento e pazïente io porrò forse

al mio poema. Assai mortali in Roma

che di tutte scïenze archimandriti

nomar si ponno, convenuti io trovo;

e ogni loco, ogni pietra in quella sacra

donna del mondo non ci manda un grido?

Quanti accennan benevoli da quella

muti maestri in maestà severa!

Se far perfetto ivi non posso il carme,

in niun loco il farò. Lasso! io lo sento,

non mi arride fortuna a nulla impresa;

varïarlo potrò, ma non già dargli

l'ultima lima. Chiaro il cor mi parla:

quella grand'arte che ciascun nutrica,

che rafforza e consola un sano spirto,

fia che me perda al tutto e mi respinga.

Via da Roma m'affretto e desïoso

corro al Sebeto.

Princ.

Ed ardiresti? Vige

tuttavia quella severa legge

che te col padre in un esilio avvolse.

Tasso.

Ben avverti e il pensai. Trasfigurato

di pellegrino in veste o di pastore

io traggo quivi, e la città traverso

dove nella sonante onda dei mille

l'un si cela di lieve. Al lido corro

ov'è un battel di buona gente carco,

rustici Sorrentin che dal mercato

riedono a' lari; perocchè a Sorrento

andar convengo ove mia suora alberga,

la qual fu meco dolorosa gioia

de' miei dolci parenti. Io nello schifo

tacito varco, e tacito approdando

me ne vo con liev'orma alla cittade

e alle porte dimando: Ov'è l'albergo

di Cornelia Sersale? A me' il mostrate.

Ecco una filatrice amicamente

del cammin farmi accorto e quella casa

segnarmi a dito. Io m'invio; fanciulli

mi si affollano intorno a guardar fiso

il mesto peregrin dall'irte chiome.

Cotale io giungo al limitare; aperta

trovo la porta, nella casa innoltro...

Princ.

Alza gli occhi, se puoi, bada al periglio

che sul capo ti pende; io t'ho riguardo,

altrimenti direi: cosa è gentile

il parlar che tu fai? cosa gentile

il pensar solo a te, come se al vivo

non ferissi gli amici? Or non t'è conto

qual di te fa concetto il mio fratello?

come sanno apprezzarti ambo le suore?

Nol sentì 'l cor, non l'avvertì tua mente?

Dunque tutto è mutato in poco d'ora?

Se partir vuoi deh! non lasciarne, o Tasso,

doglie e timori.

(il Tasso volge la testa)

Oh come ad un amico,

che per breve stagion ne si dilunghi,

enne dolce offerire un picciol dono!

fosse pur che un nuovo manto o un brando!

ma nulla cosa omai dar ti si puote,

perocchè tu fastidïoso getti

quanto ora tieni! Il cinto del romeo

e il bruno saio hai scelto e il bordon lungo,

e con voluta povertà ti parti,

quello involando a noi di che sol nosco

tu potevi goder.

Tasso.

Del tutto adunque

me da te non respingi? Oh dolci accenti!

oh graziosa consolanza e cara!

Deh per me tu intercedi e di tua grazia

m'accogli all'ombra! Lasciami in Belguardo

o a Consandoli manda o dove brami!...

Assai castella ha il prence, assai giardini

l'anno intier procurati, ove un solo,

sol forse un'ora, voi ponete il piede;

il più lontan che nel girar d'un sole

mai non v'accoglie e che negletto è forse

concedetemi a stanza! Oh ch'io viva

devoto a voi! Con quanto amor vogl'io

quegli alberi curar! D'autunno a' cedri

farò d'asse e di tegole coverchio

e munimento d'intrecciate canne!

Stenderan per l'aiola ampie le stirpi,

fiori leggiadri, ogni scomparto e calle

agli occhi riderà nitido e adorno.

Anche il palagio a mie cure s'affidi;

aprirò le finestre a giusto tempo,

non l'umid'aere alle pitture noccia,

e le pareti di bei stucchi adorne

verrò pulendo con leggier ventaglio.

Il suolo lustrerà pulito e liscio,

non uscirà di loco embrice o sasso,

da fessura spunterà fil d'erba.

Princ.

Nullo consiglio nel mio petto io trovo,

nullo io trovo conforto a te... a noi.

Volgo gli occhi qua e se qualche nume

ne venisse in aita; oh! una salubre

erba o bevanda mi scoprisse, a porre

tuoi sensi in calma e ridar pace a noi!

Fida parola che dal labbro scorra,

il più bel de' rimedii, or più non vale.

Te convengo lasciar, ma abbandonarti

mio cor non puote.

Tasso.

Oh numi! Ella medesma,

ella ti parla! Ella ha di te pietade!

E sconoscer potesti il nobil core?

e prenderti potette e contenerti

al cospetto di lei viltà di spirto?

No! no! tu sei ben dessa! e quel di prima

io pure or son! Prosegui e ogni conforto

da tue labbra a me venga! I tuoi consigli

non mi sottrarre! Or di': che far degg'io

perchè il fratello perdonar mi voglia

e lo voglia tu ancora, e me, di nuovo

lieti accogliate nel drappel de' vostri?

Deh! me lo insegna.

Princ.

Lievi cose in vero

noi chiediamo da te, che non di manco

parran soverchie. Abbandonarti a noi

con fidanza tu devi. A te nessuna

cosa chiediamo che da te non sia,

purchè tu in prima a te medesimo piaccia.

Noi godiam di tue gioie, e ne conturbi

quando le fuggi; noi crucciam con teco

allora sol che, di giovarti vaghi,

veggiam pur troppo d'adoprarci indarno,

perchè l'amica man tu non afferri

che, stesa con desìo, non ti raggiunge.

Tasso.

Quella pur sei che m'apparisti in pria,

pari a un angel del cielo! Ah tu perdona

alle appannate del mortal pupille,

che non t'affigurâr per brevi istanti.

Ei ti scerne di nuovo! Apresi tutto

ad adorarti eternamente il core,

e inonda in lui di tenerezza un fiume!...

Eccola, è dessa! Oh qual m'invade affetto!

È scompiglio, è follia che a te mi tragge?

O più nobil sentir che primamente

coglie il più puro, il più sublime vero?

Sì, gli è il solo sentir che può beata

darmi la vita, e che mi fe'triste

quando contra gli stetti e dal mio core

partir lo volli. Io questa passïone

domar credetti, combattei la mia

intima essenza, lanïai me stesso

me di cui tu se' parte...

Princ.

Se piú a lungo

ti deggio, o Tasso, udir, tempra un ardore

che mi torna a spavento.

Tasso.

Orlo di vase

costringe forse il fervido licore

che spuma e ondeggia e strepita e soverchia?

D'ogni tuo detto mia letizia crebbe,

gli occhi tuoi s'abbellir d'ogni tuo detto!

Trasmutato nell'intimo mi sento,

lieve mi sento da ciascuno affanno,

libero come un nume; e di ciò tutto

a te ringrazio! Inesprimibil forza

t'esce da' labbri che di me s'indonna;

tutto a te m'hai devoto. In avvenire

spirto più non avrò che per me viva.

Per entro il lume della mia letizia

la pupilla s'abbuia; ondeggia il senso;

più non rattienmi il piè. Tu a te mi traggi

irresistibilmente, a te si spinge

indomato il mio core; e poi che tutto

tu mi facesti eternamente tuo,

tutta raccogli a te l'anima mia.

(le cade tra le braccia e se la stringe al petto)

Princ.

(rigettandolo e ritraendosi)

Scòstati.

Leon.

(la quale già da qualche istante era apparsa sulla scena, rapidamente accorrendo).

Che mai fu? Torquato!

(ella segue la Principessa).

Tasso.

(in procinto di seguirle).            Oh Dio!

Alf.

(che già da qualche tempo si era avvicinato con Antonio).

Egli è uscito di senno, il custodisci.

 

 


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