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SCENA IV.
(Verso il fine della scena gli altri).
Sei tu già sul lasciarne, o in Belriguardo soffermandoti pria, tardi d'alquanto |
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Mia prima meta è quella. Se là cortesi m'accorran gli amici, come ardisco sperar, l'ultima mano attento e pazïente io porrò forse al mio poema. Assai mortali in Roma che di tutte scïenze archimandriti nomar si ponno, convenuti io trovo; e ogni loco, ogni pietra in quella sacra donna del mondo non ci manda un grido? Quanti accennan benevoli da quella muti maestri in maestà severa! Se far perfetto ivi non posso il carme, in niun loco il farò. Lasso! io lo sento, non mi arride fortuna a nulla impresa; varïarlo potrò, ma non già dargli l'ultima lima. Chiaro il cor mi parla: quella grand'arte che ciascun nutrica, che rafforza e consola un sano spirto, fia che me perda al tutto e mi respinga. |
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Ben avverti e il pensai. Trasfigurato di pellegrino in veste o di pastore io traggo quivi, e la città traverso dove nella sonante onda dei mille l'un si cela di lieve. Al lido corro ov'è un battel di buona gente carco, rustici Sorrentin che dal mercato riedono a' lari; perocchè a Sorrento andar convengo ove mia suora alberga, la qual fu meco dolorosa gioia de' miei dolci parenti. Io nello schifo tacito varco, e tacito approdando me ne vo con liev'orma alla cittade e alle porte dimando: Ov'è l'albergo di Cornelia Sersale? A me' il mostrate. Ecco una filatrice amicamente del cammin farmi accorto e quella casa segnarmi a dito. Io là m'invio; fanciulli mi si affollano intorno a guardar fiso il mesto peregrin dall'irte chiome. |
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Alza gli occhi, se puoi, bada al periglio che sul capo ti pende; io t'ho riguardo, altrimenti direi: cosa è gentile il parlar che tu fai? cosa gentile il pensar solo a te, come se al vivo non ferissi gli amici? Or non t'è conto qual di te fa concetto il mio fratello? come sanno apprezzarti ambo le suore? Nol sentì 'l cor, non l'avvertì tua mente? Dunque tutto è mutato in poco d'ora? Se partir vuoi deh! non lasciarne, o Tasso, Oh come ad un amico, che per breve stagion ne si dilunghi, enne dolce offerire un picciol dono! nè fosse pur che un nuovo manto o un brando! ma nulla cosa omai dar ti si puote, quanto ora tieni! Il cinto del romeo e il bruno saio hai scelto e il bordon lungo, e con voluta povertà ti parti, quello involando a noi di che sol nosco tu potevi goder. |
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Del tutto adunque me da te non respingi? Oh dolci accenti! oh graziosa consolanza e cara! Deh per me tu intercedi e di tua grazia m'accogli all'ombra! Lasciami in Belguardo o a Consandoli manda o dove brami!... Assai castella ha il prence, assai giardini l'anno intier procurati, ove un dì solo, sol forse un'ora, voi ponete il piede; il più lontan che nel girar d'un sole mai non v'accoglie e che negletto è forse concedetemi a stanza! Oh ch'io là viva devoto a voi! Con quanto amor vogl'io quegli alberi curar! D'autunno a' cedri farò d'asse e di tegole coverchio e munimento d'intrecciate canne! Stenderan per l'aiola ampie le stirpi, fiori leggiadri, ogni scomparto e calle agli occhi riderà nitido e adorno. Anche il palagio a mie cure s'affidi; aprirò le finestre a giusto tempo, non l'umid'aere alle pitture noccia, e le pareti di bei stucchi adorne verrò pulendo con leggier ventaglio. Il suolo lustrerà pulito e liscio, |
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Nullo consiglio nel mio petto io trovo, nullo io trovo conforto a te... nè a noi. Volgo gli occhi qua e là se qualche nume ne venisse in aita; oh! una salubre erba o bevanda mi scoprisse, a porre tuoi sensi in calma e ridar pace a noi! Fida parola che dal labbro scorra, il più bel de' rimedii, or più non vale. Te convengo lasciar, ma abbandonarti |
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ella ti parla! Ella ha di te pietade! E sconoscer potesti il nobil core? e prenderti potette e contenerti al cospetto di lei viltà di spirto? No! no! tu sei ben dessa! e quel di prima io pure or son! Prosegui e ogni conforto da tue labbra a me venga! I tuoi consigli non mi sottrarre! Or di': che far degg'io perchè il fratello perdonar mi voglia e lo voglia tu ancora, e me, di nuovo lieti accogliate nel drappel de' vostri? Deh! me lo insegna. |
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noi chiediamo da te, che non di manco parran soverchie. Abbandonarti a noi con fidanza tu devi. A te nessuna cosa chiediamo che da te non sia, purchè tu in prima a te medesimo piaccia. Noi godiam di tue gioie, e ne conturbi quando le fuggi; noi crucciam con teco allora sol che, di giovarti vaghi, veggiam pur troppo d'adoprarci indarno, |
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Quella pur sei che m'apparisti in pria, pari a un angel del cielo! Ah tu perdona alle appannate del mortal pupille, che non t'affigurâr per brevi istanti. Ei ti scerne di nuovo! Apresi tutto ad adorarti eternamente il core, e inonda in lui di tenerezza un fiume!... Eccola, è dessa! Oh qual m'invade affetto! È scompiglio, è follia che a te mi tragge? O più nobil sentir che primamente coglie il più puro, il più sublime vero? Sì, gli è il solo sentir che può beata darmi la vita, e che mi fe' sì triste quando contra gli stetti e dal mio core partir lo volli. Io questa passïone domar credetti, combattei la mia intima essenza, lanïai me stesso me di cui tu se' parte... |
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Se piú a lungo |
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costringe forse il fervido licore che spuma e ondeggia e strepita e soverchia? D'ogni tuo detto mia letizia crebbe, gli occhi tuoi s'abbellir d'ogni tuo detto! Trasmutato nell'intimo mi sento, lieve mi sento da ciascuno affanno, libero come un nume; e di ciò tutto a te ringrazio! Inesprimibil forza t'esce da' labbri che di me s'indonna; tutto a te m'hai devoto. In avvenire spirto più non avrò che per me viva. Per entro il lume della mia letizia la pupilla s'abbuia; ondeggia il senso; più non rattienmi il piè. Tu a te mi traggi irresistibilmente, a te si spinge indomato il mio core; e poi che tutto tu mi facesti eternamente tuo, |
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Leon. |
(la quale già da qualche istante era apparsa sulla scena, rapidamente accorrendo). Che mai fu? Torquato! (ella segue la Principessa). |
(che già da qualche tempo si era avvicinato con Antonio). Egli è uscito di senno, il custodisci. |