Johann Wolfgang von Goethe
Torquato Tasso

ATTO QUINTO

SCENA V. Antonio e Tasso.

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SCENA V.

 

Antonio e Tasso.

 

Ant.

Oh se accanto ti fosse ora un nemico,

come a te intorno tuttodì ne sogni,

qual farebbe trionfo! Oh te infelice!

A gran pena io risenso. Allor che a noi

l'imprevisto s'affaccia, e l'occhio nostro

vede il prodigio, tacita rimane

l'alma alcun tempo, chè non sa un oggetto

a cui farne il confronto.

Tasso.

(dopo una lunga pausa)

Adempi or via

l'ufficio tuo: tu sei ben desso, io 'l veggio!

Della fede del principe sei degno!

Ora adempi il tuo officio, e poi che rotta

a me innanzi è la verga, infino a morte

con lente ambasce mi martira. Oh! vibra,

vibra or su la saetta, onde la punta

laceratrice nel mio petto io senta.

Al tiranno tu sei caro stromento;

o a carcerier ti presti o a manigoldo,

ben l'uno uffizio ti s'addice e l'altro!

(verso la scena)

Vanne, o tiranno! Pria del fin ti cadde

giù dal volto la larva. Or via trionfa!

Ben lo schiavo hai ricinto di catene,

ben lo serbasti a squisiti tormenti.

Or vanne! io t'odio, io tutto l'orror sento

che la forza ne fa, quando ci afferra

tracotata ed ingiusta.

(dopo una pausa)

Esule dunque

alfin mi veggio, esule qui e reietto

come un mendico? M'hanno cinto il serto

per traggermi all'altar vittima adorna!

Pur null'ultimo con blandi accenti

il carme mi carpian, mio solo avere

e il tenner saldo! In vostre mani adesso

è quell'unico ben che in ogni loco

mi farìa grazïoso, e sol mi resta

dall'inopia a salvarmi. Or ben comprendo

perchè ozïar dovrei. Congiura è questa,

e tramata l'hai tu. Perchè il mio carme

in vera perfezion giammai non vegna,

e il nome mio più largo vol non prenda,

perchè gl'invidi miei nel mio volume

mille scoprano mende e me travolga

finalmente l'oblio, perciò avvezzarmi

io deggio all'ozio e aver riguardo a' miei

inermi sensi. O tenera amistade!

o prezïose cure! Abbominanda

la congiura credei che a me d'intorno

tutto giorno s'ordiva occultamente,

ma ben più degna d'abbominio emerse.

E tu, o sirena! tu che m'allettasti

così blanda e celeste! Ora d'un tratto

io ti conosco! oh Dio! perchètardi?

Ma l'ingannar noi stessi è a noi si dolce!

e il malvagio onoriam che onor ne rende.

Mal si conoscon gli uomini tra loro;

sol tra lor si conoscono i ribaldi,

che di catene astretti ansano al remo;

ivi un dall'altro nulla spera o teme,

quindi un l'altro conosce; ivi infame

predica ognuno e al par di il compagno.

Noi gentilmente sconosciamo altrui,

perchè noi a sua volta altri sconosca.

Oh come a lungo il tuo divino aspetto

a' miei occhi celò la lusinghiera

che sue piccole astuzie ordisce e tesse!

Or la larva è caduta; or veggio Armida

d'ogni vezzo nudata!... Ah tu sei dessa!

Di te cantava mio presago carme!

E quell'astuta mediatrice! Oh come

abbietta or pare a me dinanzi! Or odo

i leggieri suoi passi, or veggo il cerchio

a cui d'intorno s'aggirò di cheto.

Fino ad un voi conosco! E ciò mi basta!

E se ogni cosa mi rapì sventura,

pur io l'ho in pregio: ella m'apprende il vero.

Ant.

T'odo attonito, o Tasso, ancor ch'io sappia

che leggermente assai dall'uno estremo

trasvola all'altro il tuo veloce spirto.

Risensa! Il furor vinci! Or tu bestemmi,

e vai scagliando di parole un nembo

che al tuo dolore perdonar si denno,

ma che tu perdonarti unqua non puoi.

Tasso.

Oh non parlarmi con dolcezza! Un solo

io non voglio da te motto prudente!

L'ebra gioia mi lascia, onde me stesso

io non ricovri e poi di senno m'esca.

Il profondo dell'alma ho lanïato,

e più non vivo che a sentir tal pena.

Me con sue furie disperanza invade,

e nel duolo infernal che m'annienta

lieve suon di lamento è la bestemmia.

Partir quinci io mi voglio, e se sei probo,

a me lo mostra e 'n libertà mi torna.

Ant.

Te in tai strette io non lascio; e se tu perdi

di te stesso il dominio, a me per fermo

non dee fallir la pazïenza.

Tasso.

Or dunque

a te degg'io darmi prigione? Al cenno

ecco io mi rendo e il mio destin si compia;

più non resisto, or son contento. E lascia

che doglioso io ripeta: oh come bella

era la sorte onde privai me stesso!

Essi sen vanno... Oh Dio!... La polve io veggio

che dai cocchi si leva... I cavalieri

son lor precorsi... Ei traggon quivi... è quella

la loro meta, e di venni io pure.

Essi spariro e son con meco irati.

Che un altro bacio in sulla man gli imprima!

Ch'io ne prenda congedo anche una volta!

Tanto sol ch'io lor dica: oh perdonate!

Sol ch'ei rispondan: vanne, abbi il perdono!

Ma sì cara parola io no non odo

in eterno l'udrò... Sì, vo' partirmi;

ma non vietate che un addio ne prenda,

nulla più che un addio... La lor presenza

concedetemi ancora un solo istante!

Forse io risano. Ah no! Reietto io sono

io son bandito, e mi bandiva io stesso.

Più non udrò l'armonïosa voce,

più non vedrò l'ammalïante sguardo...

Ant.

Pon mente, poni all'ammonir d'un uomo

che non senza pietà ti sta dinanzi.

misero non sei come t'estimi.

Fa' cor: tu troppo a te medesmo indulgi.

Tasso.

E infelice davver come apparisco

dunque son io? Debile tanto io sono

quanto mi mostro a te? Per sempre adunque

ogni cosa svanì? Pari a tremoto,

dell'altera magion fatto ha il dolore

un orribile mucchio di ruine?

Spento è dunque l'ingegno, in mille guise

a distrarmi possente e a sostenermi?

Morta è tutta virtù che nel mio petto

ferveva in prima, ed io divenni un nulla?

Ahi che tutto è perduto! Un nulla io sono!

Io fui tolto a me stesso, a me colei!

Ant.

Or che ti sembra esser caduto al fondo,

paragònati altrui! Quel che tu vali

or riconosci!

Tasso.

Tu m'assenni a tempo!...

Non ha dunque la storia, alcuno esempio

ond'io faccia mio pro? Nessuno egregio,

da più acerbe sventure esercitato

non presentasi a me, sì ch'io m'acqueti

pareggiandomi a lui? Ah! no, perduto,

tutto è perduto... Un sol conforto avanza:

a noi largìa le lagrime natura,

il grido del dolor, quando alfin l'uomo

più nol sopporta... E a me largì più ancora...

la parola lasciommi armonïosa

pure in mezzo agli affanni, ond'io lamenti

il crudele tenor di mia fortuna:

e se il mortale nelle angosce ammuta,

di cantar com'io soffro un dio mi dona!

(Antonio gli si avvicina e lo prende per mano)

Degno mortal! Tu immoto resti e muto!

Un'onda io sembro alla balìa del turbo!

Nondimen poni mente e di tua forza

non andarne superbo. Essa natura

che base diede a queste rupi immota,

pur diè perenni i mutamenti all'onda.

I venti invia quella possente, e l'onda

tremola tosto, increspasi, si gonfia

e spumando sormonta. In questi flutti

bellamente si specchiava il sole,

piover gli astri parean su questo petto,

dolcemente commosso, i miti rai.

Or la luce svanì, fuggì la calma!...

La conoscenza di me stesso io perdo

nel fervor del periglio e a confessarlo

non mi viene vergogna. Infranto è il temo,

scroscia il navil da tutte parti. Innanzi

mi s'apre il mare ad ingoiarmi! Ad ambe

braccia io m'apprendo intorno a te! Cotale

a quello scoglio ove rompea suo schifo

aggrappasi dasezzo il navigante.

 

FINE

 


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