Pietro Blaserna
La teoria del suono nei suoi rapporti colla musica

I.a CONFERENZA. 1. Movimenti periodici, vibrazioni. – 2. Vibrazioni sonore. – 3. Vibrazioni di una campana. – 4. Vibrazioni dei coristi, metodo grafico. – 3. Vibrazioni delle corde, – 6. delle lamine e membrane. – 7. Vibrazioni dell'aria nelle canne sonore. – 8. Metodo delle fiamme manometriche. – 9. Conclusione.

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I.a CONFERENZA.

1. Movimenti periodici, vibrazioni. – 2. Vibrazioni sonore. – 3. Vibrazioni di una campana. – 4. Vibrazioni dei coristi, metodo grafico. – 3. Vibrazioni delle corde, – 6. delle lamine e membrane. – 7. Vibrazioni dell'aria nelle canne sonore. – 8. Metodo delle fiamme manometriche. – 9. Conclusione.

1. Fra gli innumerevoli movimenti che esistono nella natura, la fisica si occupa con molta attenzione di alcuni, ai quali assegna una grande importanza. Sono quei movimenti, in cui un corpo, o parte di un corpo, arriva ad un punto estremo, vi si ferma un istante, ritorna sui propri passi, riprende di nuovo la via giù percorsa e continua così, facendo movimenti regolari di va e viene, con un periodo determinato.

Il pendolo ci offre l'esempio più semplice di tale movimento periodico. Le sue leggi sono state determinate da Galileo, il quale ha scoperto che il movimento è isocrono, vale a dire, che il periodo in cui il movimento di va e viene si eseguisce, è per il medesimo pendolo sempre lo stesso, siano le oscillazioni del pendolo ampie oppur no.

In altri termini, se diamo ad un pendolo in riposo un piccolo urto, o un urto forte, le oscillazioni faranno escursioni piccole o grandi; ma per il medesimo pendolo la durata delle oscillazioni sarà sempre la stessa. Il che si esprime così, che la durata delle oscillazioni è indipendente dalla loro ampiezza.

La legge dell'isocronismo del pendolo è una legge molto generale nella natura. Quantunque non sia matematicamente esatta, pure essa è più che sufficiente per la più gran parte de' casi che qui contempleremo. Ogni movimento periodico di va e viene, paragonabile a quello del pendolo, chiamasi oscillazione, e se è più piccolo e più rapido, anche vibrazione. E per maggiore chiarezza chiameremo vibrazione semplice quella che segue esattamente le leggi del pendolo; le quali, sia detto fra parentesi, sono le più semplici di tutte. All'incontro chiameremo vibrazioni composte quelle, che seguono leggi più complicate.

Un esempio chiarirà come le vibrazioni possano essere più complicate. Il movimento del pendolo può riassumersi così: arrivato all'estremità della sua corsa, esso si ferma per un istante, ritorna indietro con velocità sempre crescente, la quale diviene massima nella posizione verticale, e diminuisce poi nella seconda metà della corsa. Nel pendolo dunque i due punti estremi della oscillazione corrispondono alla velocità zero, il punto di mezzo alla velocità massima.

Un esempio di movimento periodico composto si ha, aggiungendo all'oscillazione del pendolo già esistente ancora qualche altro movimento oscillatorio. Supponiamo, per esempio, che l'asta del pendolo sia flessibile ed elastica ed oscilli per proprio conto, supponiamo di più che la parte bassa e pesante del pendolo sia una palla elastica, la quale, essendo stata urtata violentemente, vibri come una palla sul bigliardo, cioè mostrandosi successivamente schiacciata ed allungata: avremo allora nel pendolo tre movimenti vibratorii riuniti, i quali daranno un movimento composto evidentemente più complicato di prima.

Un altro esempio di un movimento composto ce lo porge il giuocatore di pallone, il quale caccia il pallone verticalmente in aria e poi ve lo ricaccia senza lasciarlo cadere a terra. Qui il movimento è diverso da quello del pendolo. Il pallone va in alto con velocità decrescente, press'a poco come nel pendolo, (ma la velocità diminuisce con legge diversa), arriva a fermarsi, poi ricade con velocità sempre crescente, e viene bruscamente fermato e ricacciato in alto dalla forza muscolare del giuocatore, mentre la sua velocità era assai grande e cresceva sempre secondo le leggi della caduta dei gravi. In questo caso dunque, diverso da quello del pendolo, i due punti estremi della corsa corrispondono, l'uno alla velocità zero, l'altro ad una velocità assai grande, ed anzi alla più grande possibile.

Esistono in natura moltissime vibrazioni e di forma svariata, e l'averle studiate con cura e l'averne compresa tutta l'importanza, costituisce uno de' passi più fecondi, che la fisica abbia fatto in questo secolo. Fra tutti questi movimenti vibratorii io voglio intrattenervi di un gruppo di essi, il quale merita una speciale attenzione per la grande facilità, che esso offre allo studio e per la grande importanza, che le sue applicazioni hanno avuto nella storia della cultura umana.

2. Io voglio anzi tutto dimostrarvi, che il suono è formato da vibrazioni delle particelle dei corpi. Per comprendere tali vibrazioni, non abbiamo bisogno di conoscere per ciò l'intima struttura dei corpi medesimi; ci basta sapere che il corpo può suddividersi in piccole particelle, e che queste particelle si possono allontanare le une dalle altre almeno entro certi limiti, senza che per ciò si operi la rottura o il disgregamento del corpo.

Questo è il risultato delle osservazioni di tutti i giorni, e per lo studio, che imprendo con voi, non abbiamo punto bisogno di andare più in e di formulare un'opinione più o meno ipotetica sulla intima struttura dei corpi medesimi.

Dobbiamo però aggiungere a questo concetto ancora un altro, cioè quello dell'elasticità dei corpi. Chiamasi elastico un corpo, in cui le particelle, smosse dalla posizione del loro equilibrio naturale, hanno la tendenza di ritornare nella loro prima posizione, tosto che cessi la causa esterna che le aveva allontanate.

Quando una particella si trova nel caso qui contemplato, essa fa ciò che fa il pendolo. Appena rimasta libera de' suoi movimenti, essa ritorna nella posizione che prima avea; al principio con piccola velocità, poi con velocità sempre crescente. Arrivata alla posizione del naturale suo equilibrio, per la propria inerzia essa continua per un certo tratto il movimento già acquistato e finalmente si ferma per ritornare sui propri passi. Essa oscilla quindi intorno alla posizione del suo equilibrio naturale, precisamente come il pendolo oscilla al di qua e al di della sua posizione verticale. Il calcolo dimostra in tale caso, che la vibrazione è semplice come quella del pendolo.

Ma nello studio delle vibrazioni, a cui può andar soggetto un corpo, o parte di un corpo, non basta contemplare il movimento di una singola particella. Il corpo è formato da moltissime particelle, ciascuna delle quali vibrando, importa sapere se esse s'influenzino a vicenda nei loro movimenti. In questo riguardo tutti i casi sono possibili, a seconda delle condizioni speciali, in cui le vibrazioni avvengono e della causa che le provoca. Avviene spesso, che le singole particelle vibrino ciascuna per conto suo, come se le altre non esistessero. Queste vibrazioni, che si fanno quindi con disordine in tutte le direzioni possibili, acquistano una grande importanza per i fenomeni del calore e per altri ancora; ma non hanno una azione diretta sul suono. Affinchè le vibrazioni siano sonore, bisogna che le particelle eseguiscano i loro movimenti con una certa regola d'insieme.

Le vibrazioni acquistano allora un carattere generale e regolare. Esse si possono paragonare alla manovra serrata di una compagnia di soldati, mentre le vibrazioni calorifiche rassomigliano a movimenti affatto irregolari di una folla disordinata.

3. Voglio innanzi tutto dimostrarvi con un certo numero di esempii, che il suono è sempre accompagnato da vibrazioni del corpo sonoro. Prendo una campana metallica, rovesciata, attaccata solidamente ad un piede A [fig. 1]. Un pendolino piuttosto leggero a tocca la campana per indicare i movimenti che essa può fare in un dato momento. Se sfrego questa campana con un'archetto, ottengo un suono molto marcato ed immediatamente il pendolino è lanciato via, ricade sulla campana, è lanciato via di nuovo e così di seguito. Il movimento del pendolo dura per un certo tempo; esso viene meno, man mano che si affievolisce il suono, ed indica che la campana nelle varie sue parti, mentre suona, si trova in istato di vibrazione.


4. Scelgo ora un'altro esempio. Una specie di forchetta d'acciajo D che tengo in mano pel suo piede, può essere facilmente messa in vibrazione [fig. 2]. Una forchetta di questo genere chiamasi un corista. Ho attaccato ad una delle sue estremità una punta P. Se batto il corista sulla tavola, oppure se lo sfrego con un archetto all'estremità delle sue branche, ottengo un suono molto debole, che a stento si sente. Questo suono si rinforza notevolmente, se metto il piede del corista in contatto col tavolino, o meglio ancora con una cassa vuota. Il suono può allora esser sentito da tutti, ed io mi servo di questo mezzo soltanto per dimostrarvi, che il suono realmente esiste.


Ciò posto, è facile persuadersi che le due branche del corista, quando questo suona, si trovano in continuo movimento vibratorio. Il movimento è molto rapido e l'occhio non può seguirlo, ma gli orli delle branche e la punta attaccata non hanno più una forma netta e precisa, il che indica appunto il movimento del corista.

Si avverte molto bene tale movimento vibratorio, avvicinando il dito al corista medesimo. Se tocco le due branche, il movimento cessa e con esso il suono. Suono e movimento sono talmente collegati insieme, che è forte l'uno quando è forte l'altro, che diminuisce l'uno quando diminuisce l'altro, e che cessa l'uno quando cessa l'altro.

Ma le vibrazioni del corista si possono rendere visibili a tutti col seguente metodo grafico.

Prendo [fig. 2] una lastra di vetro L, annerita col nero fumo di una fiamma a petrolio, e che scorre facilmente nel telajo G; applico ad essa la punta del corista vibrante, e ritiro rapidamente la lastra in modo che la punta vi scorra successivamente.

 

Per rendere l'esperienza anche più sicura e più elegante, prendo un cilindro di ottone, sul quale è steso un foglio di carta annerita col nero fumo di una fiamma a petrolio. Il cilindro può essere girato col mezzo di una manovella a spirale A, mossa dalla mia mano, o anche da altro meccanismo. [fig. 3]. Avvicino al cilindro il corista in modo che la punta D sfiori leggermente la carta, e ve lo attacco solidamente col mezzo di una morsa. Se il corista sta fermo ed il cilindro gira, la punta mi traccia sulla carta una linea retta, o stante il movimento del cilindro a spirale, una spirale poco diversa da linee rette.

Se invece il cilindro sta fermo e il corista vibra, la sua punta mi traccia sulla carta una corta linea perpendicolare alla prima. Se, infine, il corista vibra e il cilindro gira, ottengo sulla carta una linea ondeggiante, molto regolare e molto caratteristica, che rappresenta assai bene il movimento vibratorio del corista. Quando il corista un suono forte, le vibrazioni tracciate sulla carta sono molto ampie; più tardi, quando il suono è già affievolito, le vibrazioni diminuiscono in ampiezza. Esse diventano finalmente quasi invisibili e si confondono sensibilmente colla linea retta, quando il suono è per cessare.

5. Anche le vibrazioni di una corda si possono dimostrare in modo molto facile. Ho qui una corda metallica tesa sopra una cassa di legno [fig. 4]. Due sostegni A e B, sui quali la corda riposa, dànno a questa la lunghezza esatta di un metro, e una scala postavi sotto permette di determinare a volontà la lunghezza di una porzione di essa. La corda è fissata e mantenuta tesa col mezzo di piuoli, precisamente come nel pianoforte. Questo istrumento, che era già conosciuto dagli antichi greci, si chiama un sonometro, ed ha una grande importanza tanto nella storia della musica, quanto per lo studio dei fenomeni che qui ci interessano. Se sfrego la corda col mezzo d'un archetto, essa mi un suono, l'altezza del quale dipende da molte circostanze, come per esempio dalla lunghezza, dalla grossezza, dalla densità della corda, e dalla tensione della medesima.

Se sfrego la corda leggermente, il suono è debole; se la sfrego invece con una certa energia, il suono è forte, e generalmente parlando la forza, ossia l'intensità del suono, dipende dall'energia maggiore o minore con cui produco il suono medesimo.

Le vibrazioni di questa corda si possono dimostrare nel modo seguente. Già l'osservazione semplice mi dimostra, che la corda sfregata si trova in uno stato di rapida vibrazione. Alle due estremità che riposano sopra i due cavalletti, la corda pare ferma; però man mano che passo a osservare la parte mediana, trovo che la corda perde i suoi contorni netti. Essa pare notevolmente ingrossata, e tale ingrossamento arriva al suo valore massimo proprio a metà della corda. Questo proviene da ciò che ciascuna particella della corda compie rapide vibrazioni, movendosi in e in giù in senso perpendicolare alla lunghezza della corda. Vibrazioni di tal fatta si chiamano trasversali per distinguerle dalle longitudinali, in cui ogni particella vibra nella direzione della corda medesima.

Nella musica pratica non si fa uso delle vibrazioni longitudinali delle corde, per cui non voglio occuparmi d'altro che delle trasversali. Onde dimostrarne meglio l'esistenza, colloco sulla corda delle piccole striscioline di carta, piegate in mezzo a guisa di cavalierini. Quando la corda vibra, questi cavalierini sono lanciati in alto per la loro leggerezza, cadono giù dalla corda ed indicano così dove la corda si trovi in istato di vibrazione e dove in istato di riposo.

Il modo più semplice di vibrare è quello, in cui tutta la corda compie simultaneamente una unica vibrazione. Io ottengo facilmente questo effetto, lasciando la corda interamente libera e sfregandola coll'archetto vicino ad una delle due estremità. Osservate che i cavalierini sono tutti gettati giù, prima quelli più in mezzo ove il movimento è più forte, poi successivamente anche gli altri. Il che dimostra, che ad eccezione dei due punti fissi della corda non vi è alcun altro punto che non vibri, ossia in altri termini, che tutta la corda vibra in unica vibrazione. Il suono, che così si ottiene dalla corda, è il suono più basso che le corrisponda, ed è per ciò che lo vogliamo chiamare il suono fondamentale della medesima.

Ma questo non è il solo suono, che io possa ottenere dalla corda. Se la tocco nella sua metà leggermente col dito o meglio con una penna [fig. 4], ottengo un suono notevolmente più alto, suono che l'orecchio musicale distingue facilmente e che la musica pratica chiama l'ottava del suono fondamentale. La corda in questo caso vibra in due porzioni, in modo che il punto da me toccato rimane sempre fermo.

Questo punto fermo si chiama un nodo della corda vibrante, e tale nodo l'ho provocato artificialmente toccando la corda nel punto indicato. Difatti se colloco i cavalierini sulla corda, osservo in questo caso che il cavalierino vicino al mio dito non si muove, mentre tutti gli altri sono lanciati via. Il cavalierino rimasto fermo m'indica così la presenza del nodo.

Posso ottenere successivamente dalla corda suoni più e più elevati toccandola ad un terzo, oppure ad un quarto, ad un quinto ecc. della sua lunghezza. L'esperienza fatta col mezzo dei cavalierini mi dimostra, che in ogni caso di questo genere la corda si suddivide in un certo numero di parti sempre uguali, nel primo caso in tre, nel secondo in quattro, nel terzo in cinque ecc.; ed i cavalierini che rimangono sulla corda m'indicano i nodi equidistanti che si formano nella corda stessa.

Così, per esempio, quando tocco la corda ad un quinto della sua lunghezza, essa si divide in cinque parti uguali, e si formano quattro nodi alle distanze di 1/5, 2/5, 3/5, 4/5 della corda, mentre nei punti intermedii trovasi il massimo movimento vibratorio [fig. 4 bis]. Questi punti del massimo movimento chiamansi ventri.


La fig. 5 rappresenta, in dimensioni alquanto esagerate, i vari modi di vibrare che una corda assume nei diversi casi, quando cioè essa vibra per intero, o è divisa in 2, in 3, in 4 ecc. parti. Nel primo caso non si forma alcun nodo, negli altri abbiamo 1, 2, 3 ecc. nodi. Bisogna osservare che questi vari casi corrispondono a suoni diversi e successivamente più alti della medesima corda.

6. Un altro esempio interessante di vibrazioni ce lo porgono le lamine e le membrane. Il caso è alquanto più complicato di quello delle corde, ma la spiegazione è pressocchè la medesima. Difatti una lamina può essere considerata come una riunione di corde rigide attaccate insieme. Come nelle corde abbiamo ottenuto dei punti nodali, dobbiamo quindi avere nelle lamine delle linee nodali, come riunione dei vari punti nodali.

È stato Chladni, quello che ha scoperto queste linee nodali ed ha indicato un mezzo molto semplice per dimostrarle; per cui esse si chiamano anche figure di Chladni. La fig. 6 mostra alcune lamine come generalmente si usano, attaccate nel mezzo ad un piede solido, che riposa sopra un banco comune. Versando sulle lamine un po' di arena e sfregandole con un'archetto, si ottengono dei suoni non belli perchè troppo striduli, ma sempre netti, e appena il suono è provocato, voi vedete l'arena saltellare e raccogliersi sopra certe linee rette o curve, le quali indicano i punti ove il movimento vibratorio non esiste: sono le linee nodali di Chladni.

Colla medesima lamina posso ottenere figure molto svariate, applicando in punti convenienti il dito, per provocar così un punto e quindi una linea nodale. La tavola della fig. 7 contiene una bellissima serie di figure, che si possono ottenere con una lamina quadrata di sufficiente grandezza, secondo Savart. Il numero delle figure stesse è assai grande, e quelle qui disegnate non rappresentano che una piccola parte di quelle che si possono ottenere, specialmente quando la lamina è grande.

Anche le membrane vibrano in modo analogo. Le loro forme sono generalmente anche più complicate di quelle delle lamine e si spiegano in un modo del tutto analogo a questo. La regola è questa, che ad un suono determinato corrisponde per la medesima membrana o lamina sempre una figura determinata, e che la figura è tanto più complicata quanto più elevato è il suono prodotto.

Ma un rapporto tra queste quantità, ossia una legge che faccia conoscere la relazione tra la figura ottenuta ed il suono corrispondente, non è stata finora trovata.

7. Abbiamo finora studiato soltanto il caso di vibrazioni di corpi solidi. Ma anche i corpi liquidi ed i gassosi possono, vibrando, produrre dei suoni. Il caso più conosciuto è quello delle canne sonore, di cui la musica pratica si serve molto e sotto forme svariatissime. Esse si dividono in due grandi categorie: in canne a bocca e canne a pivetta. In ambedue il suono si forma, sia col rompere l'aria che si soffia dentro, sia col farla entrare a sbuffi. Nelle prime e più importanti, cioè nelle canne a bocca, si ottiene quell'effetto col mezzo di una disposizione speciale, che è appunto la bocca della canna.

La fig. 8 rappresenta la forma più comune di una canna a bocca. Soffiando nel tubo aperto a, sia col mezzo della bocca, sia collocando la canna sopra un mantice, si ottiene un suono. La canna è vuota nell'interno, è coperta o scoperta in alto, a seconda dei casi, ed ha in m ed l la sua bocca. La fig. 9 mostra meglio, in sezione, la disposizione di tale bocca, la quale consta di un labbro inferiore m e di un labbro superiore l, che termina a taglio. L'aria entra nel tubo a, passa nella cassa b e attraverso una stretta fessura va a frangersi contro il labbro superiore l. Essa entra in parte nella canna, vi provoca delle vibrazioni e vi produce un suono molto netto ed aggradevole.

La fig. 10 vi un'esempio della canna a pivetta. L'aria che entra da r, per passar nel tubo più largo R, deve attraversare un apparecchio speciale, la pivetta, di cui la fig. 10 bis mostra più particolarmente la disposizione. La cassa acb è chiusa col mozzo della laminetta metallica ed elastica d. Quando questa è sollevata, l'aria penetra attraverso la fessura a; poi la laminetta ricade per la propria elasticità e chiude il passaggio. Le vibrazioni della laminetta provocano quindi delle chiusure e aperture rapide; l'aria vi penetra a intervalli, a sbuffi regolari ed è così che ottengo un suono. Sia che mi serva della prima o della seconda canna, quando soffio fortemente il suono è forte; esso diviene debole quando soffio debolmente, ed è in quest'ultimo caso il suono più basso che la canna possa dare, per cui lo si chiama il suono fondamentale della canna. Tale suono dipende dalle dimensioni e sovra tutto dalla lunghezza della canna ed anche dalla natura del gas, che vi si fa entrare; per cui a dimensioni determinate e a un determinato modo di soffiare corrisponde un suono fondamentale determinato. Quando il soffio si rinforza, può accadere che la canna dia un suono diverso dal suono fondamentale. Questo accade sopratutto, se la canna è molto stretta in confronto colla sua lunghezza; il che s'impedisce facilmente dando alla canna una larghezza proporzionata alla lunghezza, seguendo certe regole che la pratica ha suggerito. Si può dunque costruire, a volontà, una canna che dia di preferenza il suono fondamentale; oppure un'altra che dia di preferenza suoni più acuti. E tanto l'uno che l'altro caso è utilizzato nella musica pratica.

Difatti si hanno istrumenti, a bocca o a pivetta, in cui ogni canna è destinata a dare soltanto il suo suono fondamentale: così, per esempio, l'organo in tutte le sue svariate e complicatissime forme, che può assumere. Molti istrumenti a fiato, come le trombe, i tromboni ecc. ed anche il flauto, sono canne destinate a dare ciascuna una serie di suoni. Si ottiene ciò col dare all'istrumento una grande lunghezza in confronto colle altre dimensioni, e girando e voltando la canna per darle una forma più comoda, quando sarebbe troppo lunga. Come la corda vibrante, una canna sonora allora una serie di suoni successivamente più alti. Basta a ciò rinforzare la corrente d'aria. Ma si ottiene un migliore e più rapido effetto coll'aprire, col mezzo di pistoni appositi nelle trombe, col mezzo delle dita e delle chiavi nel flauto, qualche comunicazione coll'aria esterna in punti adattati. L'effetto è paragonabile a quello, quando nella corda si tocca un punto col dito; si stabilisce un nodo, e la colonna d'aria vibrante si suddivide in un certo numero di parti secondo regole semplici, ma che variano colla natura della canna.

Il flauto, le canne d'organo in gran parte, sono canne a bocca; ma nel primo la bocca è costituita da un foro nell'istrumento medesimo e dalle labbra del suonatore. Istrumenti a pivetta sono il clarino, l'oboè, e tutte le trombe; queste ultime hanno un piccolo imbuto, su cui s'applicano le labbra, le quali vibrando fanno funzione di pivetta.

Nelle canne, di forme tanto diverse, si distinguono pure le aperte e le chiuse. A parte certe differenze molto caratteristiche, il suono prodotto con le une e con le altre è, caeteris paribus, diverso in altezza. Due canne, l'una chiusa e l'altra aperta, di forma e grandezza uguale, dànno due suoni fondamentali, che stanno fra di loro come suono fondamentale e ottava. Chiudendo quindi una canna aperta si passa all'ottava bassa; aprendo una canna chiusa, si passa all'ottava alta.

Per dimostrare le vibrazioni dell'aria nella canna si possono usare mezzi diversi. Un mezzo consiste nell'introdurre nella canna aperta alla parte superiore una membrana leggiera e molto tesa di carta m, sulla quale si sparge dell'arena [fig. 11]. Il suono si altera alquanto per l'introduzione di questo corpo estraneo; ciò nonostante esso continua ad esistere, e attraverso la parete di vetro di cui la canna è dotata, si osserva come l'arena è lanciata in alto con un certo rumore, perchè le vibrazioni dell'aria si comunicano alla membrana di carta e da questa all'arena. A metà della lunghezza della canna il movimento dell'arena cessa, il che dimostra, che in quel punto esiste un vero nodo e che quindi il saltellamento dell'arena non è provocato dall'aria che soffia, ma bensì dall'aria che vibra.

Un'altro modo semplice di dimostrare le vibrazioni dell'aria è il seguente. Prendo una canna piuttosto lunga per rapporto alla sua larghezza, canna in cui una parete è formata di una tavola di legno molto sottile. Soffiandovi dentro con una certa violenza, ottengo un suono molto più acuto del suono fondamentale della canna. L'aria che vibra comunica le sue vibrazioni alla parete sottile. Per cui tenendo la canna orizzontale e spargendo arena sulla parete sottile, questa saltella e va ad accumularsi in alcune linee, che sono vere linee nodali ed indicano con esattezza il modo, con cui l'aria vibra nell'interno della canna.

Un altro metodo, di qualche importanza, è stato indicato da Kundt. Prendo un tubo di vetro sufficientemente grosso, della lunghezza di due metri circa. Verso nell'interno del tubo una polvere leggiera, come seme di licopodio o segatura di sughero, e la distribuisco con una certa regolarità. Chiudo il tubo alle due estremità con tappi di sughero, con una mano lo tengo fermo in mezzo, e coll'altra lo sfrego servendomi di un panno leggiermente bagnato. Si forma un suono acuto e netto; le vibrazioni del tubo si trasmettono all'aria rinchiusa, e la polvere leggiera si distribuisce regolarmente nel modo indicato dalla fig. 12, ove una porzione del tubo è rappresentata. I cerchi sono nodi e in mezzo tra l'uno e l'altro la polvere mostra vere strie trasversali.

 

 

La forma della figura e specialmente la distribuzione dei nodi dipende da varie circostanze, dalle dimensioni del tubo, dal suono che per conseguenza vi si provoca, e dal gas che si trova rinchiuso nel tubo. In questo riguardo il metodo di Kundt è suscettibile di grande esattezza e di molte applicazioni, e permette di dedurre la velocità, con cui il suono si propaga nei diversi corpi.

8. Negli ultimi tempi il meccanico König ha immaginato un nuovo metodo molto elegante, quello delle fiamme manometriche, per dimostrare le vibrazioni dell'aria nelle canne sonore.

La figura 13 un'idea abbastanza esatta dell'apparecchio da lui immaginato. Una o più canne uguali o diverse, [nel disegno qui annesso sono uguali, A e B] sono poste sopra una piccola cassa b, che funziona da cassa d'aria. Il tubo di gomma elastica a la mette in comunicazione con un mantice, le valvole v servono a far agire a volontà l'una o l'altra delle canne, od anche ambedue.

 

Sulla canna stessa è praticato un foro, chiuso di nuovo con una capsula e, sotto la quale trovasi una membrana sottile elastica. Questa serve a separare l'interno della canna dall'interno della capsula, la quale è messa in comunicazione da un lato col tubo a gas c col mezzo del tubicino d, dall'altro lato col tubicino f, che termina in un forellino. Il gas entra dunque nella capsula, la riempie, e passa attraverso il tubicino ed il forellino. Per cui accendendolo al forellino, si ottiene una piccola fiamma. Se la canna non nessun suono, il gas passa attraverso la capsula tranquillamente, e luogo a una fiamma tranquilla e normale. Se, invece, la canna produce il suo suono, l'aria vibrante comunica il suo movimento alla membrana, da questa al gas, e quindi alla fiammella. Voi vedete di fatti, quando produco colla canna questo suono, che la fiammella si allunga, diviene irrequieta e più azzurra, e indica in tutto il suo portamento qualche cosa di anormale. Questo proviene da ciò, che la fiammella prende parte alle vibrazioni dell'aria nella canna. Essa si abbassa e s'innalza rapidamente, e siccome questo movimento per la sua rapidità non può essere seguito dall'occhio, noi vediamo soltanto una forma complessiva della fiamma, forma che risulta dalla sovrapposizione delle fiammelle parziali ora corte, ora lunghe.

Per poter veder comodamente le vibrazioni della fiamma, si ricorre ad un mezzo molto usato in fisica. Voi vedete dietro la fiamma una cassa quadrata ricoperta con quattro specchi S, cassa che col mezzo di un manubrio e di un sistema di ruote dentate si fa girare rapidamente intorno ad un asse verticale. Quando la fiamma arde in modo costante, si forma nello specchio girante una striscia continua luminosa, perchè a ciascuna posizione che lo specchio prende nella sua rotazione, corrisponde un'immagine della fiamma sempre uguale. Se invece la fiamma vibra, vale a dire, se essa è ora corta ed ora lunga, a certe posizioni dello specchio corrispondono immagini corte e ad altre lunghe, e si vedono quindi nello specchio girante le immagini succedersi, ora corte ed ora lunghe [fig. 14, a].

Le fiammelle corte si confondono sensibilmente nella massa luminosa, perchè la parte più bassa della fiamma non prende gran parte alle vibrazioni. Ma le fiamme lunghe si vedono nettamente separate le une dalle altre, per cui il fenomeno presenta la forma di fiammelle staccate e tutte uguali, come è indicato nella fig. 14. Questo metodo un'immagine netta di ciò, che avviene nell'interno della canna, e l'esperienza riesce sempre visibile, anche ad un uditorio molto numeroso, purchè si abbia cura di oscurare la stanza onde togliere dallo specchio tutti gli altri riflessi.

Posso anche adoperare una canna più piccola, la quale mi un suono più acuto del primo, che è precisamente l'ottava dell'altro. Voi osserverete facilmente, che mentre faccio agire l'apparecchio nell'istesso modo di prima, le fiammelle vibranti sono notevolmente più ravvicinate. In tesi generale, quanto più acuto è il suono, tanto più, a uguale rotazione dello specchio, sono ravvicinate le fiammelle, vale a dire, tanto più rapide sono le vibrazioni dell'aria nella canna. Questa è una legge molto importante, che richiederà in seguito maggiore studio da parte nostra, ma che è utile aver già costatata con questa elegante esperienza. E possiamo anche andare più in , e determinare il rapporto fra il numero delle vibrazioni delle nostre due canne. Le faccio agire tutte e due, indipendentemente l'una dall'altra, e ottengo due serie di fiammelle l'una sovrapposta all'altra. fig. 14, a e b. E per poco che le fissiate attentamente, vedrete che due immagini di sotto corrispondono ad una immagine di sopra, e ciò qualunque sia la velocità, con cui giri lo specchio. Arriviamo quindi alla conclusione, che l'ottava è sempre composta di un numero di vibrazioni doppio di quello del suono fondamentale.

9. Potrei continuare ancora in simili dimostrazioni, che in verità gli esempi non mancano. Ve ne ho citati soltanto alcuni fra i più importanti e credo che essi bastino a dimostrarvi il còmpito che mi sono proposto per questa prima conferenza. Sempre dove vi è un suono, si ritrovano delle vibrazioni. Per cui possiamo concludere che suono e vibrazioni sono fenomeni concomitanti. Le vibrazioni possono venire da un corpo solido, da un corpo liquido o da un corpo gassoso. Ma non vi è nessun caso conosciuto di un suono senza vibrazioni di corpi materiali. Con ciò non intendo dire, che tutte le vibrazioni debbano produrre un suono. Affinchè ciò accada, bisogna che esse corrispondano a certe condizioni speciali che studieremo in seguito. Ma fin d'ora possiamo dire, che dove vi è un suono, vi sono delle vibrazioni.

Ora le vibrazioni sono qualche cosa di obbiettivo: esse esistono all'infuori dell'uomo nel corpo sonoro.

Il suono invece è prodotto nel nostro orecchio ed è quindi una cosa subbiettiva. Per un sordo esistono le vibrazioni, ma non esiste il suono: egli potrebbe studiare le prime, ignorando del tutto, che esse producono sul nostro organismo normale una sensazione speciale. Per cui possiamo concludere, che le vibrazioni sono la causa ed il suono è l'effetto prodotto nel nostro orecchio, ossia in altri termini, che il suono è il risultato di certe vibrazioni dei corpi.


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