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III.a CONFERENZA. 1. Caratteri del suono e differenza tra suono e rumore. – 2. Intensità del suono e varie cause da cui dipende. – 3. Principio della concomitanza dei suoni. – 4. Casse armoniche e risuonatori. |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
1. Caratteri del suono e differenza tra suono e rumore. – 2. Intensità del suono e varie cause da cui dipende. – 3. Principio della concomitanza dei suoni. – 4. Casse armoniche e risuonatori.
1. Tutti i varii suoni della natura, qualunque sia la loro origine e qualunque sia il modo con cui si propagano, si distinguono fra di loro per tre qualità diverse:
1.] per l'energia maggiore o minore con cui sono prodotti, ossia per la loro intensità;
2.] per la loro altezza;
3.] per quella differenza caratteristica, per cui anche un'orecchio poco esercitato distingue facilmente il suono del violino dal suono del flauto, quello del pianoforte da quello della voce umana ecc., anche se questi suoni hanno tutti la medesima intensità e la medesima altezza. Questa differenza caratteristica chiamasi il timbro.
Noi dobbiamo ora esaminare, da che dipendano queste tre qualità diverse del suono. Ma prima che entri in questa importante materia, sento il bisogno di dirvi cosa s'intenda veramente per suono, quando si parla delle sue qualità.
Generalmente si distingue in fisica fra suono e rumore. Suono è il risultato di vibrazioni molto regolari che seguono una legge, forse complicata, ma pur sempre una legge. Quando le vibrazioni assumono la forma più semplice possibile, che è quella offertaci dalle oscillazioni del pendolo, il suono che ne risulta si chiama semplice; se la legge è più complicata, il suono chiamasi composto.
Il rumore all'incontro è un miscuglio di suoni accozzati insieme senza nessuna regola, o con una regola talmente complicata, che l'orecchio non la comprende e non la sente. Ne segue che, se nella massima parte dei casi si distingue facilmente tra l'uno e l'altro, pure il limite tra suono e rumore non è sempre nettamente tracciato. Ciò che per taluno può già esser un suono, per un altro è ancora un rumore, e viceversa. Il suono confuso, che ci vien dal movimento delle onde del mare, è generalmente considerato come rumore; ma un orecchio attento ed esercitato vi scorge suoni determinati, e vi trova un significato musicale. Così i poeti parlano spesso, e non senza ragione, dell'armonia delle onde. Un'orchestra, quando i singoli suonatori accordano gli strumenti e si preparano a suonare, produce un rumore, che può forse considerarsi come la linea di separazione tra il suono e il rumore. Difatti vi si trova, se anche disordinata, molta musica dentro e l'impressione generale non è punto spiacevole.
Un orecchio più fine o più esercitato può ritrovare in mezzo a' rumori confusi un suono determinato. Molte volte, chi non è abituato non si accorge della presenza di un suono più marcato in mezzo a tanti altri. Ma per poco che si stia attenti, si arriva facilmente a riconoscerlo.
Per dimostrarvi questo fatto, prendo qui una serie di 8 tavolette, che hanno tutte la medesima lunghezza e larghezza e che variano soltanto nello spessore. Se faccio cadere sul mio banco una di queste tavolette, nel rumore pell'urto voi non distinguerete probabilmente alcun suono. Eppure un suono molto marcato c'è. Per renderlo evidente a tutti, faccio cadere successivamente le otto tavolette. Esse sono accordate in modo da produrre la scala musicale, e voi sentite la scala molto distintamente. Ne segue che nel rumore confuso, prodotto dalla caduta di ciascuna tavoletta, vi è un suono, che prima non avvertivate, nonostante che esso sia sufficientemente netto e distinto.
Nello studio che ora imprendiamo, intenderò sempre suoni e non rumori, perchè per un rumore non avrebbe alcun significato il voler determinare le sue qualità. L'altezza, l'intensità ed il timbro non presentano niente di ben definito.
2. Ciò posto, voglio ricercare con voi, quali siano le cause da cui dipende, o dalle quali viene modificata l'intensità dei suoni.
L'intensità dipende primieramente dalla maggiore o minore energia, con cui il suono è stato prodotto. Ora da tutte le esperienze fatte nella prima mia conferenza risulta, che la maggiore energia produce un movimento vibratorio più marcato nelle particelle del corpo sonoro, in questo senso che ogni particella vibrante percorre spazii più lunghi. La legge dell'isocronismo delle vibrazioni dimostra, che la durata è indipendente dallo spazio percorso, almeno in quella approssimazione, che generalmente è riputata sufficiente. Noi chiamiamo ampiezza delle vibrazioni lo spazio massimo percorso da ciascuna particella, per cui diremo che l'energia maggiore o minore, con cui un suono è prodotto, influisce unicamente sulla ampiezza delle vibrazioni e non sulla loro durata. In altri termini, l'intensità del suono è rappresentata dall'ampiezza delle vibrazioni.
L'intensità di un suono dipende inoltre dalla natura e dalla densità del corpo destinato a trasmetterlo. Difatti un corpo sonoro si fa sentire con intensità diversa a seconda che il suono sia trasmesso dall'aria, da un altro gas, dall'acqua o da altro liquido, o infine da un corpo solido qualunque. Quanto alla densità mi basta rammentarvi l'esperienza fatta nella seconda mia conferenza [2], di un campanello posto in un pallone di vetro. Quando l'aria era completamente estratta, il suono non si sentiva punto; e il suono andava man mano rinforzandosi, quando faceva entrare successivamente l'aria nel pallone.
L'intensità del suono dipende ancora dalla distanza, alla quale si trovi il corpo sonoro. È questa una legge generale della natura, confermata da numerose esperienze e dalla teoria, che tutti quei fenomeni, qualunque essi siano, i quali hanno la proprietà di trasmettersi ugualmente in tutte le direzioni, debbano seguire la ragione inversa del quadrato della distanza.
Il suono appartiene precisamente a questa categoria di fenomeni. Difatti esso, a condizioni pari, si trasmette ugualmente in tutte le direzioni. Ne segue che la sua intensità deve variare in ragione inversa del quadrato della distanza. Questo significa che un suono, il quale a una certa distanza abbia una data intensità, si presenta alla distanza doppia con una intensità quattro volte minore, ossia che la sua intensità si trova ridotta ad un quarto. Per una distanza tripla l'intensità diviene 1/9, e per una distanza venti volte maggiore l'intensità diviene 1/400 dell'intensità primitiva.
3. L'intensità dipende ancora dalla presenza di altri corpi, capaci di vibrare assieme al corpo principale. Abbiamo già visto precedentemente, che in un locale chiuso il suono è più forte che in un locale aperto. Questo proviene dalle riflessioni molteplici, che accadono nell'interno del locale; per cui le vibrazioni esistenti là dentro non si possono disperdere ed arrivano quindi in maggior numero all'orecchio dell'osservatore. Questo non è che un caso speciale, in cui trattasi piuttosto di conservare le vibrazioni esistenti, anzicchè di crearne delle nuove.
Ma l'esperienza insegna, che ogni qual volta un corpo vibra, altri corpi posti in vicinanza possono pure entrare in vibrazioni, a questa sola condizione, che tali corpi siano capaci, per sè stessi, di produrre il medesimo suono. Questo fatto interessante merita, che io mi vi fermi sopra un'istante: si può dimostrarlo in modi diversi.
Prendo qui il sonometro, sul quale sono tese due corde uguali. Voi sentite che esse sono accordate in modo da dare ciascuna il medesimo suono. Per constatare se in un dato caso esse vibrino, metto come nella prima conferenza [5] sulle due corde i cavalierini di carta. Sfrego coll'archetto una delle due corde in modo, che essa mi dia il suono fondamentale. Voi vedete tutti i cavalierini posti su questa corda essere lanciati in aria. Ma osservate nell'istesso tempo, che anche l'altra corda, che io non avevo punto toccata, presenta il medesimo fenomeno, quantunque più debolmente: i suoi cavalierini dopo qualche riluttanza sono pure lanciati via.
Rimetto sulle due corde i cavalierini, e toccando una delle corde nella sua metà e sfregandola coll'archetto, vi determino in mezzo un nodo, e produco un suono più elevato. La seconda corda si mette da sè a vibrare nell'istesso modo; tutti i cavalierini sono lanciati via, meno uno: quello cioè, il quale corrisponde al nodo di mezzo. Questo significa, che la seconda corda vibra nell'intesso modo della prima.
Posso continuare così, facendo vibrare la prima corda in un modo qualunque: i cavalierini della seconda corda dimostrano, che questa si mette subito a vibrare nell'istesso modo. Le vibrazioni della prima corda si trasmettono al cavalletto di legno che la regge, e da questo alla seconda corda. Esse si trasmettono pure dalla prima alla seconda corda per mezzo dell'aria, e il movimento vibratorio è il medesimo in ambedue le corde.
Ma il movimento vibratorio della seconda corda non ha più luogo, se questa per sè stessa non è capace di dare, vibrando, il medesimo suono della prima. Per dimostrarvelo, stendo una delle due corde un poco di più, in modo che fra le due corde vi sia una differenza di suono sensibile, per esempio di un mezzo tono. Posso ora sfregare la prima corda quanto voglio e come voglio, voi non vedete più nella seconda alcun movimento. Non è quindi l'azione puramente meccanica dell'urto o delle scosse date all'istrumento, che produceva prima il bel fenomeno che abbiamo osservato.
Un'altra esperienza, atta a dimostrar la medesima legge, è la seguente. Prendo un corista, montato, come si suol fare, sopra una cassa di legno. Sfregato coll'archetto, esso dà un suono molto netto o puro. Prendo ora una canna d'organo la quale per sè stessa dia il medesimo suono. Appena la faccio suonare in vicinanza del corista senza che essa del resto lo tocchi, voi sentite il corista riprodurre immediatamente il medesimo suono. Ma il fenomeno non si verifica più, quando invece della prima canna io mi servo di una canna diversa, la quale mi dia un suono diverso da quello del corista.
Due coristi uguali mostrano questo fenomeno in modo molto marcato. Collocandoli anche a grande distanza fra di loro, l'uno risuona subito, appena suona l'altro. Questo non accade più, se i coristi non dànno il medesimo suono. Per persuadersene, basta prendere due coristi diversi od anche alterare leggiermente il suono di uno dei due coristi precedenti, coll'attaccargli sulle sue branche col mezzo della cera una piccola moneta. Esso non risuona più.
Un terzo modo di dimostrare la medesima legge è il seguente [fig. 17]. Prendo un vaso cilindrico di vetro A e faccio vibrare un corista B al di sopra di esso. Il suono del corista non è punto rinforzato.
Ma se verso
leggiermente dell'acqua nel vaso, diminuisco poco a poco il volume dell'aria
che vi è rinchiusa. Versando più e più arrivo ad un punto, in cui il suono si
rinforza notevolmente; continuando ancora a versare, il fenomeno cessa. Posso
così con poche prove determinare la quantità d'acqua che devo mettere nel vaso,
onde ottenere il rinforzo massimo possibile. Trovato questo punto cerchiamo la
causa del rinforzo del suono.
Prendo il vaso e soffio leggiermente verso il suo orlo superiore. Voi sentite un suono debole prodotto, come nelle canne d'organo, dalle vibrazioni dell'aria, e questo suono è perfettamente quello del corista. Se all'incontro getto via l'acqua oppure vi aggiungo della nuova, soffiando nell'istesso modo ottengo dei suoni, che non hanno più nulla che fare col suono del corista.
Alle stesse conclusioni si arriva col mezzo del timbro di Savart, [fig. 18]. Un grosso timbro A, sfregato coll'archetto, produce un suono potente. Un cilindro di legno B, vuoto, e a fondo mobile gli può essere avvicinato. Muovendo il fondo mobile e modificando così le dimensioni interne del cilindro rivolto verso il timbro, si trova facilmente il punto, in cui il rinforzo è massimo. L'effetto, che si ottiene è notevole, quando avvicino il cilindro. Quando il suono del timbro è già forte, il rinforzo prodotto dal cilindro è sensibilissimo. Più notevole ancora ne è l'effetto, quando lascio diminuire il suono del timbro in modo che lo si senta a stento: avvicinando il cilindro esso diviene marcatissimo.
4. Queste
esperienze dimostrano dunque che il rinforzo di un suono avviene soltanto
quando in vicinanza del corpo sonoro si trovino altri corpi, capaci di dare per
sè il medesimo suono. Questa importante legge della risuonanza fin avuto molte
applicazioni.
Le casse armoniche sono fondate su questa legge. Di fatti voi potete osservare qui una collezione di coristi, i quali per sè dànno suoni molto deboli. Essi però sono montati sopra casse di legno, come nella fig. 19, ove il corista AC è attaccato alla cassa sottostante col mezzo del piede B.
Le casse hanno dimensioni diverse a seconda delle dimensioni del loro corista. Queste casse rinchiudono una quantità d'aria determinata per ciascun suono. Esse rinforzano notevolmente il suono del corista, purchè le loro dimensioni siano scelte bene.
Una forma
interessante di casse armoniche, che ha acquistato negli ultimi anni una grande
importanza, è quella dei cosidetti risuonatori di Helmholtz. Sono sfere
metalliche vuote, di diversa grandezza, od anche cilindri muniti di due
aperture. L'una, la maggiore, a serve soltanto a mantenere la
comunicazione fra l'aria esterna e quella della sfera; l'altra b, la
minore, ha la forma di un orifizio a collo allungato, ed è destinata ad essere
introdotta nell'orecchio [fig. 20 e 20 bis].
Per l'uso, conviene avere una serie di questi risuonatori di varia grandezza. Ciascuno di essi, a seconda del volume d'aria che rinchiude, rinforza un suono solo; i più grandi servono per i suoni bassi, i più piccoli per i suoni alti.
I risuonatori sferici sono veramente i migliori e danno il fenomeno più netto. Tuttavia si adoperano talvolta quelli di forma cilindrica ed anche di forma conica, perchè si tengono meglio in mano, e riescono quindi più comodi a maneggiarsi.
È facile dimostrare che questi risuonatori rinforzano i suoni, e ciascuno un suono solo. Prendo una serie di coristi, i quali danno suoni corrispondenti a quelli dei risuonatori. Faccio suonare uno dei coristi, gli avvicino il risuonatore corrispondente, e voi sentite come il suono è rinforzato. Molto meglio ancora osservo questo effetto, se introduco nell'orecchio la punta del risuonatore, e chiudo l'altro orecchio colla mano.
E notate che qualunque altro risuonatore non mi produce questo effetto, se non quando è combinato col corista corrispondente. Supponiamo che vi siano molti suoni mescolati insieme, il nostro orecchio difficilmente li può allora separare. Ma se voglio sapere, se fra tutti quei suoni ve ne sia uno determinato, basta che prenda il risuonatore corrispondente, e che lo adatti al mio orecchio. Se quel suono c'è, esso sarà rinforzato, e così potrò discernerlo facilmente in mezzo a tutti gli altri.
Un esempio di questo genere è facile a trovarsi. Faccio suonare tutti i coristi che qui vedete. Essi mi danno un'armonia molto aggradevole, nella quale però un'orecchio poco esercitato non saprebbe forse indicare i singoli suoni che la compongono. Col mezzo dei risuonatori la cosa è facilissima.
Altro esempio. La voce umana è molto ricca di suoni, e anche quando si parla semplicemente, si modula colla voce, molto più di quanto generalmente non si creda. Prendo un risuonatore e lo tengo all'orecchio, mentre parlo colla voce naturale. Di quando in quando sento distintamente nel risuonatore il suono, che gli corrisponde. Il che significa che fra i molti suoni, da me emessi parlando, v'è anche quello speciale a cui il risuonatore si riferisce. Si potrebbero così, con un poco di pazienza, analizzare successivamente tutti i suoni emessi da una persona che parla.
In una conferenza successiva vi mostrerò quale partito si possa tirare, seguendo l'esempio di Helmholtz, dall'uso di questi risuonatori. Vi farò allora vedere [conferenza 9] come una delle più importanti e delle più delicate leggi siasi potuta scoprire e svolgere in questo modo.
Il caso dei risuonatori e di certe casse armoniche non deve confondersi con quello delle casse armoniche annesse ad alcuni istrumenti musicali. Il sonometro che voi qui vedete, il violino e gli altri strumenti ad arco, il pianoforte, ecc., hanno casse armoniche destinate a rinforzare non solamente un suono solo, ma invece tutti i suoni, e in modo possibilmente uniforme. Sarebbe un pessimo istrumento musicale quello, nel quale i diversi suoni non avessero la medesima intensità, quando il modo di produrli fosse lo stesso. La teoria di queste casse armoniche è molto più complicata e non è facile a svolgersi. Mi limiterò soltanto a dire che per ottenere un tale effetto bisogna che la cassa sia relativamente molto grande, e che abbia una forma speciale, che la pratica ha suggerito. In tal caso la cassa armonica corrisponde ad un suono molto basso, e va soggetta, come le corde vibranti, a questa legge, di corrispondere non solamente al suono più basso, ma anche a molti suoni successivamente più acuti. Purchè il suono più basso sia veramente basso, si può arrivare a rinforzare un numero così grande di suoni da poter considerare tale numero quasi come infinito.
Questo accade specialmente per lamine, per membrane e per grandi tavole vibranti, e la pratica insegna che veramente, in fatto di suoni da rinforzarsi, si può ottenere tutto ciò che si vuole in questo riguardo.