Pietro Blaserna
La teoria del suono nei suoi rapporti colla musica

VII.a ed VIII.a CONFERENZA. 1. Accordi dissonanti. – 2. e 3. Carattere della musica e delle scale musicali. – 4. Musica antica. – 5. Scale greche. – 6. Scala pitagorica, – 7. sua decadenza. – 8. Canto ambrosiano e gregoriano. – 9. Musica polifonica, armonia; la riforma protestante; Palestrina. – 10. Trasformazione delle scale musicali, la tonica e l'accordo fondamentale. – 11. Scala maggiore; intervalli musicali. – 12. Scala minore. – 13. Intonazione e passaggi. – 14. e 15. Diesis e bemolle. – 16. Scala temperata, sue inesattezze. – 17. Utilità di abbandonarla.

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VII.a ed VIII.a CONFERENZA.

1. Accordi dissonanti. – 2. e 3. Carattere della musica e delle scale musicali. – 4. Musica antica. – 5. Scale greche. – 6. Scala pitagorica, – 7. sua decadenza. – 8. Canto ambrosiano e gregoriano. – 9. Musica polifonica, armonia; la riforma protestante; Palestrina. – 10. Trasformazione delle scale musicali, la tonica e l'accordo fondamentale. – 11. Scala maggiore; intervalli musicali. – 12. Scala minore. – 13. Intonazione e passaggi. – 14. e 15. Diesis e bemolle. – 16. Scala temperata, sue inesattezze. – 17. Utilità di abbandonarla.

1. Abbiamo finora studiato soltanto il caso degli accordi consonanti. Ma la musica sarebbe molto povera, se volesse limitarsi ad essi ed ai pochi suoni, che li compongono. Si può dire di più. Una musica formata da soli accordi consonanti sarebbe estremamente monotona e senza alcun vigore. Essa sarebbe una specie di ninna nanna, destinata a togliere dolcemente ogni preoccupazione dalla mente, senza esprimer nulla.

Per aumentare le proprie risorse, e per acquistare maggior vigore ed energia nell'espressione dei suoi concetti, la musica ha dovuto ricorrere ai suoni ed agli accordi dissonanti.

Esteticamente parlando, si prova una sodisfazione molto maggiore, quando da un accordo dissonante si passa ad un accordo consonante, che qualora si fosse sempre rimasti negli accordi consonanti. È la forza dei contrasti, che produce in noi questa sensazione, come dopo la burrasca apprezziamo doppiamente la calma.

Questo è stato il concetto, che inconsciamente ha guidato la musica fino ai nostri tempi. La sua forza sta nelle dissonanze, purchè queste non durino troppo e si risolvano poi in accordi consonanti.

L'accordo perfetto, essendo il più consonante di tutti, dovrà chiudere necessariamente il pezzo musicale. Nell'ammettere le dissonanze e nel determinare i limiti, fino ai quali sia lecito andare, non vi ha nulla di assoluto. Tutto ciò dipende dal grado di coltura musicale e dall'abitudine. Dissonanze, che al giorno d'oggi sono perfettamente lecite, sarebbero parse una mostruosità ai tempi di Palestrina. Viceversa certi suoni adoperati dai Greci, in un'epoca di decadenza, come per esempio quarti di tono, sono decisamente rifiutati da noi altri. È quindi un errore, che commettono molti quando credono che la musica, e specialmente la moderna, abbia carattere e valore assoluto, e che rigettano quindi qualunque sistema musicale, il quale non sia conforme al nostro. Di assoluto non vi sono, che le leggi del suono e delle sue combinazioni. Ma l'applicazione di queste leggi contiene sempre molte cose vaghe, e vi rimane un campo estesissimo e indeterminato, che è stato e sarà percorso in modo molto differente dai diversi popoli delle varie epoche storiche

2. Se esaminiamo con attenzione la storia della musica, se raccogliamo tutte le notizie possibili anche sulla musica dei popoli barbari, troviamo questo fenomeno costante, cioè: che la musica procede per suoni nettamente separati gli uni dagli altri. Nell'immensa quantità di suoni musicalmente adoperabili non vi sono che pochi, che costituiscono i varii sistemi musicali. Una musica, nella quale si volesse passare da un suono all'altro attraverso tutti i suoni intermedii, diventerebbe presto intollerabile. È vero, che i nostri cantanti e i suonatori di violino e di violoncello fanno uso talvolta, e con successo, di quella forma. Ma lo strisciare da un suono ad un altro è tollerato soltanto, quando se ne usi con parsimonia, e rimane sempre il dubbio, se non sarebbe meglio il farne a meno.

La musica procede dunque per intervalli musicali, precisamente come l'uomo cammina con passi staccati, fermi e decisi. Pare che nel doppio suo movimento per intervalli e per passi ritmici, come pure nelle molte sfumature del piano e del forte, del crescendo e del decrescendo, dell'accelerando e del rallentando, del legato e dello staccato, sfumature che costituiscono l'accento musicale, risieda il segreto della grande impressione, che la musica desta nel cuore dell'uomo. Essa ha così mezzi svariatissimi per adattarsi completamente ai movimenti psichici, che costituiscono una data situazione d'animo. Perchè notisi, che la musica non esprime sentimenti determinati; essa invece si applica a quelle situazioni d'animo, dalle quali può nascere un sentimento speciale. Che questo sia così, si scorge facilmente dalla musica istrumentale: il sentimento determinato lo mettiamo noi col mezzo della parola unita al canto. Ma togliete le parole, o modificatele addirittura, e voi vedrete, che la stessa melodia e la stessa musica possono adattarsi a sentimenti molto diversi.

Fra tutte le arti belle la musica è certamente la meno materiale. In essa non si trattò, come nella scultura, di copiare la natura idealizzandola; come nella pittura, di unire allo studio della natura il concetto geometrico della prospettiva e il concetto ottico dei colori e de' suoi contrasti. Anche l'architettura ha nella natura stessa una base più larga. I fusti degli alberi ed i loro rami, le grotte, le caverne hanno offerto all'architetto i primi concetti dell'arte sua, dettatagli dai bisogni dell'uomo e dalle condizioni di resistenza dei materiali. Ma nella musica la natura non ci offre pressocchè nulla. È vero ch'essa abbonda di suoni, ma il concetto dell'intervallo musicale esiste poco nel canto degli uccelli e quello dei rapporti semplici non vi esiste quasi punto, e senza questi concetti non vi è musica possibile. L'uomo ha dovuto quindi crearsi da il suo istrumento, ed è questa la ragione, per cui la musica sia giunta assai più tardi delle altre arti sorelle al suo completo sviluppo. Più che alle altre arti, la musica rassomiglia all'architettura, ove esistono pure rapporti numerici. Difatti l'altezza e la larghezza di un'edifizio o di una sala, l'altezza e la larghezza delle finestre, la grossezza e l'altezza delle colonne, in una parola, tutte le dimensioni sono legate da rapporti numerici. Ma questi sono rapporti approssimativi, i quali sopportano un certo grado di tolleranza, mentre nella musica i rapporti devono essere esatti, e la natura si vendica coi battimenti, ogni qual volta si deroghi, anche di poco, da questa legge fondamentale.

3. Nella musica di tutti i popoli troviamo due caratteri immancabili, il movimento ritmico ed il procedere per intervalli determinati. Il primo appartiene anche alla parola e ad altri atti dell'uomo, come il camminare, il nuoto, il ballo ecc.; il secondo appartiene esclusivamente alla musica. Tutti i popoli hanno fatto una scelta dei suoni da adoperarsi, hanno riunito insieme quelli destinali a stare insieme, e si sono così create una o più scale musicali. Noi intendiamo per scala musicale la riunione di tutti quei suoni, compresi fra il suono fondamentale e l'ottava, i quali si succedono e sono destinati a succedersi con una certa regolarità prestabilita. Lo studio della scala musicale ci in compendio uno dei criterii più importanti, per giudicare dello stato musicale di un popolo. L'esame delle scale musicali è dunque di grandissimo ajuto, ed è a questo titolo, che voglio darvi alcuni brevi cenni sui sistemi musicali più importanti, che la storia abbia fin qui registrati.

Parrà strano, che poche note messe insieme in una scala musicale possano acquistare una vera importanza per lo studio della musica. Certamente, ove si trattasse d'una riunione di suoni fatta a caso od a capriccio, la cosa non avrebbe importanza alcuna; ma la scala musicale è sempre il prodotto dell'attività musicale di molti secoli. Essa non si stabilisce prima della musica, ma si sviluppa assieme con questa. Una musica molto perfezionata deve avere una scala molto perfezionata: una musica invece imperfetta e primitiva avrà pure una scala di poco valore.

Anche in questo riguardo il paragone coll'architettura è calzante[4]. Nell'architettura greca le distanze fra colonna e colonna, fra muro e muro erano piccole; i tetti erano piani. Tutto si riduceva quindi a linee verticali ed orizzontali, ed è questa grande semplicità, che costituisce uno dei caratteri più belli di quell'architettura. Gli antichi Etruschi immaginarono l'arco, che permette dimensioni maggiori, senza nuocere alla stabilità; da qui si venne alla volta e, come forma più grandiosa di questa, alla cupola. L'architettura romana è fondata su questa nuova scoperta. Ma, applicato in grandi dimensioni, l'arco a pieno centro diventa poco stabile; si trova che l'arco a sesto acuto corrisponde in certi casi molto meglio allo scopo. Esso permette e richiede maggiore altezza agli edificii, è accompagnato da uno sviluppo ammirabile di dettaglio, che gli si adatta perfettamente bene, ed è così che si è sviluppato lo stile gotico con tutte le sue immense varietà. Come vedete, una semplice considerazione di stabilità e di resistenza ha fatto trovare a varii popoli soluzioni diverse, e da tre semplici forme primitive si sono sviluppati tre grandiosi stili architettonici, i quali differiscono tanto fra di loro, da far quasi credere, che essi non abbiano nulla in comune.

4. La musica primitiva è vecchia quanto la storia. Dall'altipiano asiatico, ove incontriamo antiche traccie storiche, essa seguì l'uomo nelle sue peregrinazioni verso la China, le Indie, l'Egitto. Uno dei libri più antichi, la Bibbia, parla sovente e fin dalle prime pagine di musica[5]. Davide e Salomone erano molto musicali. Essi composero i loro salmi molto ispirati e destinati evidentemente ad essere cantati. A quest'ultimo si deve la grandiosa organizzazione del canto nel tempio di Gerusalemme. Egli istituì una scuola di cantanti e una banda considerevolissima, che arrivò fino a quattromila trombettieri; gli istrumenti principali erano l'arpa, la cetra, le trombe ed il timpano.

Più importante, per la questione che qui ci interessa, è la storia dello sviluppo della musica greca. È ormai fuori d'ogni contestazione, che i Greci non ebbero mai, neanche nei tempi più fiorenti, un vero principio d'armonia. La sola cosa, ch'essi fecero in questo riguardo, fu di accompagnarsi in ottava, quando uomini e ragazzi eseguivano la stessa melodia.

Anche la loro istrumentazione non serviva ad altro che a rinforzare il canto, sia col suonare all'unisono o in ottava, sia coll'eseguire variazioni più o meno complicate fra un canto e l'altro, od anche fra brano e brano di canto. Per essi la musica era un'arte ausiliaria, destinata a rinforzare, idealizzandolo, l'effetto della parola.

Lo sviluppo della loro musica deve essere considerato sotto questo punto di vista soltanto, ed in tale riguardo bisogna convenire, che essa arrivò ad un grado considerevole di perfezione, nonostante la forma veramente primitiva, sotto la quale essa ci apparirebbe oggidì. Essa è stata una specie di alta declamazione, con ritmi più variabili e con una modulazione più frequente e più pronunziata della declinazione ordinaria. Questa musica era moltissimo gustata dai Greci, e quando si consideri, che il greco è stato il popolo più artista e più creatore, che sia mai esistito, bisogna cercare con cura le finezze, che la loro musica poteva contenere e che essa veramente contiene.

5. La scala musicale greca si è sviluppata per quinte successive. Portare una nota alla sua quinta significa, come abbiamo visto nella quinta conferenza, moltiplicare il numero delle sue vibrazioni per 3/2. Questo principio fu rigorosamente mantenuto dai Greci; dico rigorosamente, perchè la quarta, di cui essi si sono serviti fin dal principio, può facilmente riportarsi ad una quinta bassa.

Per rendere più chiaro lo svolgimento delle idee musicali, voglio ricorrere alla nostra nomenclatura moderna, supponendo che la nostra scala, che più tardi studieremo con dettaglio, sia già conosciuta. Chiamerò il suono fondamentale do e i suoni successivi della nostra scala re, mi, fa, sol, la, si, do, colla denominazione del diesis e del bemolle per i suoni intermedii, come s'usa nella nostra musica moderna. In questa scala il primo suono, il do, rappresenta il suono fondamentale, gli altri sono successivamente la seconda, la terza, la quarta, la quinta, la sesta, la settima e l'ottava, a norma della posizione, che occupano nella scala musicale.

Se prendiamo il do come punto di partenza, la sua quinta è il sol, e la sua quinta bassa è il fa. Portiamo quest'ultimo alla sua ottava, per ravvicinarlo più agli altri suoni, aggiungiamo ad essi ancora l'ottava del do ed abbiamo i seguenti quattro suoni:

do, fa, sol, do,

i di cui rapporti musicali sono:

1, 4/3, 3/2, 2.

Questi quattro suoni, secondo un'antica tradizione, costituirono la decantata lira d'Orfeo. Musicalmente parlando essa è certamente molto povera, ma è interessante l'osservazione, ch'essa contiene gli intervalli musicali più importanti della declamazione. Difatti, quando si fa un'interrogazione, la voce s'alza d'una quarta. Per rinforzare una parola, s'alza ancora di un tono e si va alla quinta. Quando si chiude un racconto, si cade giù di una quinta ecc. Per cui si comprende, che la lira d'Orfeo, non ostante la sua povertà, siasi prestata ad una specie di declamazione musicale.

Il processo per quinte in e in giù può ancora continuarsi; la quinta del sol è re, e se l'abbassiamo di un'ottava, il suo rapporto musicale sarà 9/8. La quinta bassa del fa è sib, per cui il suo rapporto musicale innalzato ad un'ottava è 16/9.

Abbiamo così la seguente scala

do, re, fa, sol, sib, do,

i di cui intervalli sono

1, 9/8, 4/3, 3/2, 16/9, 2

la quale non è altro che una successione di quinte, trasportate poi alla medesima ottava, nel modo seguente:

sib, fa, do, sol, re.

Questa è l'antica scala chinese o scozzese, per la quale esistono moltissime canzoni popolari, sovratutto scozzesi e irlandesi, di un colorito tutto speciale.

6. Ma la scala può ancora continuarsi con quinte successive. Ommettiamo, come hanno fatto i Greci, la quinta bassa sib, ed aggiungiamo invece tre quinte successive in alto, avremo come quinta del re il la, e come quinta di questo il mi; finalmente come quinta del mi il si.

I rapporti di questi suoni, riferiti alla stessa ottava, sono 27/16, 81/64, 243/128, per cui la scala sarà la seguente

do, re, mi, fa, sol, la, si, do

coi rapporti

1, 9/8, 81/64, 4/3, 3/2, 27/16, 243/128, 2.

La prima e la seconda delle ultime tre quinte qui sopra citate, vale a dire il la e il mi, furono introdotte da Terpandro, l'ultima, il si, da Pitagora, per cui la scala greca porta anche il nome di scala pitagorica. Essa si è formata, come si è visto, per quinte successive, vale a dire, col concetto fondamentale dei rapporti semplici.

Ma bisogna pur riconoscere, che l'esecuzione di tale concetto non è stata del tutto felice. Difatti la legge di formazione è semplice, ma i singoli suoni hanno talvolta una parentela molto lontana col suono fondamentale. Il modo di formazione della scala si prestava molto bene ad accorciare le corde della lira, e questo pare sia stato uno dei motivi principali di tale formazione; ma fra due suoni consecutivi della scala l'intervallo riesce talvolta tutt'altro che semplice. Così vediamo pure, che alcuni suoni stanno col suono fondamentale in un rapporto estremamente complicato.

Sono sovratutto gli ultimi tre suoni introdotti nella scala, vale a dire, quelli che corrispondono alle nostre note la, mi e si, che non hanno più rapporti semplici, essendo espressi dalle frazioni 27/16, 81/64, 243/128.

Quanto a quest'ultimo, la cosa avrebbe meno importanza. Il si non può considerarsi altrimenti, che come suono di passaggio, il quale per la sua aperta dissonanza spinge al do o ad altro suono consonante; che esso sia più o meno dissonante, non nuoce e può anche in certi casi giovare. Ma che la terza e la sesta abbiano rapporti complicati, è un grave difetto, ed è stata questa forse la ragione principale, per cui nella musica greca non si è mai sviluppata l'armonia. La terza e la sesta pitagorica sono decisamente dissonanti, e con la sola quarta e quinta non vi ha sviluppo armonico possibile, tanto più che l'intervallo fra quarta e quinta è assai piccolo e quindi pure dissonante.

7. La scala pitagorica ha regnato quasi esclusivamente in Grecia. Soltanto negli ultimi secoli prima dell'èra cristiana, vale a dire nell'epoca della decadenza greca, politica e artistica, troviamo vari tentativi per modificarla. Così per esempio, si divise l'intervallo fra i suoni corrispondenti ai nostri do e re in due parti, intercalandovi un suono in mezzo. S'andò perfino al punto, di dividere uno di questi intervalli di nuovo in due, introducendo così il quarto di tono, che noi altri consideriamo come una stonatura. Altri ancora introdussero intervalli diversi, fondandosi generalmente piuttosto su speculazioni teoriche, anzicchè sul sentimento artistico.

Tutti questi tentativi non hanno lasciato traccia di , e non hanno quindi importanza. Ma la scala pitagorica è passata dalla Grecia in Italia, ed ha regnato sovranamente fino al sedicesimo secolo, epoca nella quale avvenne la sua trasformazione lenta e successiva nelle nostre due scale musicali.

Devo aggiungere a questo che già i Greci, per aumentare le risorse musicali della loro scala, avevano con questa formate parecchie scale diverse, le quali si distinguono dalla prima soltanto per il punto di partenza.

La legge di formazione era molto semplice. Difatti supponiamo la scala scritta nel modo seguente:

do, re, mi, fa, sol, la, si, do.

Noi possiamo prendere un suono qualunque come suono di partenza e scrivere, per esempio, così:

mi, fa, sol, la, si, do, re, mi

oppure:

la, si, do, re, mi, fa, sol, la ecc.

È evidente che potremo formare così in tutto sette scale, le quali non furono tutte nelle diverse epoche adoperate dai Greci, ma che sono pur tutte possibili. Un pezzo musicale, che si fonda sopra l'una o l'altra di esse, deve evidentemente avere carattere diverso, ed è in questo riguardo, in fatto di sfumature e di tinte, che la melodia greca deve considerarsi come molto più ricca della nostra, la quale è soggetta a regole assai più rigide.

8. In Italia le diverse scale greche subirono gravi disordini. Furono il vescovo Ambrogio di Milano, e più tardi il Papa Gregorio il Grande, i quali ebbero il merito di ristabilire, il primo quattro, il secondo le rimanenti scale greche. Così acquistò la musica di chiesa [il canto ambrosiano e gregoriano] un carattere più netto e più elevato. Era un recitativo a note ora lunghe e sostenute, ora brevi, a seconda della parola che l'accompagnava, musica ad una voce sola, che si è ancora in parte conservata, e che può dirsi diversa dalla musica greca soltanto per lo scopo che si proponeva.

9. Nel decimo e undicesimo secolo incominciò sovratutto in Fiandra un tentativo di musica polifonica, vale a dire, di musica a parecchie voci. Essa consisteva nel combinare insieme due melodie diverse, in modo da non produrre stonature. Questo genere di musica si propagò rapidamente anche in Italia. Ai tempi di Guido d'Arezzo, del celebre inventore della scrittura musicale, si componevano simili pezzi, in cui i processi per quinte erano molto frequenti, cosa tutt'altro che piacevole all'orecchio, e che noi consideriamo oggidì come un grave errore musicale. Sotto l'impulso di Iosquinio e di Orlando Lasso, l'ultimo e forse il più importante compositore di questa scuola, la musica polifonica si sviluppò in modo sorprendente. Si combinavano insieme tre, quattro, e più melodie diverse in modo complicatissimo, in cui l'arte di combinare aveva una parte assai più ragguardevole, che non l'ispirazione artistica. Veri tours de force senza valore musicale! Tale musica era coltivata sovratutto dai cantanti di chiesa, ai quali era così dato il modo di mostrare la propria abilità. Le voci s'intrecciavano in mille maniere, e la sola condizione posta al compositore era, di non produrre stonature spiacevoli.

La grande riforma di Lutero pose fine a quel genere fittizio e artificiale di musica. Il protestantismo allora nascente portò come condizione necessaria, che il canto nelle chiese dovesse eseguirsi dai fedeli e non da una casta di cantanti speciali. La musica dovette quindi semplificarsi notevolmente, per essere alla portata di tutti. Essa trovò in ciò il terreno preparato. I trovatori, i minestrelli, i Minnesänger avevano sviluppata la melodia primitiva e semplice, da cui nacque il madrigale, e la canzone popolare. È così, che alla musica polifonica fin allora in voga fu sostituita un'altra, in cui le diverse voci si servivano di sostegno l'una all'altra. Ne nacque l'armonia propriamente detta, coi suoi accordi semplici e sostenuti e col facile movimento delle varie voci.

Il contraccolpo del movimento germanico fecesi sentire anche in Italia, ove la riforma musicale fu iniziata da Palestrina in modo veramente geniale, in parte anche per seguire le deliberazioni prese dal Concilio di Trento. Palestrina abbandonò il metodo artificiale fin allora usato, e pose il punto d'appoggio sulla semplicità e sull'ispirazione profondamente artistica. Le sue composizioni [Crux fidelis, Improperia, Missa papae Marcelli, ecc.] sono e saranno sempre un modello del genere.

10. Ma una trasformazione così profonda non poteva compiersi da uno solo, in breve tempo. La scala pitagorica, che fino allora era generalmente usata, si opponeva ad un vero sviluppo dell'armonia, e ciò tanto più, in quanto che l'esecuzione era affidata a voci umane, per le quali ogni stonatura diventa doppiamente sensibile. La vera armonia non potè svilupparsi, che mediante la trasformazione successiva della scala musicale in un'altra, in cui i rapporti dei suoni col suono fondamentale, e dei suoni fra di loro, fossero possibilmente semplici. È così, che le varie scale greche si sono trasformate poco a poco nelle nostre due scale moderne, cioè nella scala maggiore e nella scala minore. La prima era più facile a trovarsi, ma la seconda colle sue due varietà, per il movimento ascendente e discendente, non la troviamo sviluppata completamente che nel secolo decimosettimo, quando la musica aveva già preso un'ammirabile sviluppo, e nelle principali città d'Italia esistevano grandiose scuole di musica e di canto.

Un altro concetto ancora caratterizza la nostra musica moderna: è il concetto del suono e dell'accordo fondamentale. Questo concetto non esisteva nella musica greca, quantunque alcuni passaggi di Aristotile accennino a qualche cosa di simile. Esso non esiste nel canto ambrosiano, ma incominciò a svilupparsi colla musica polifonica. Il canto intrecciato del medio evo richiedeva, anche come condizione pratica, che i diversi cantanti ritornassero spesso sopra una nota, quasi come punto fermo d'appoggio, per rimanere affiatati insieme. Quanto più l'armonia era complicata, tanto più necessario diveniva tale punto d'appoggio. È così, che si sviluppò il concetto del suono fondamentale, ossia della tonica, e più tardi il concetto dell'accordo fondamentale e dell'intonazione. Questo precetto è diventato sempre più rigido, man mano che la musica si è resa più complicata. Noi chiediamo oggidì, che un pezzo musicale incominci e termini coll'accordo fondamentale, il quale non può essere altro, che l'accordo perfetto maggiore o minore, e che nello svolgimento del concetto musicale e nello sviluppo delle grandi masse corali e d'orchestra ritorni sovente il suono fondamentale, come necessario punto d'appoggio alla nostra comprensione.

Anche questo concetto si è sviluppato soltanto lentamente. Nella musica di Palestrina e dei suoi successori esso non è ancora giunto a quella chiarezza, che oggidì chiediamo. Ed è forse questa la cagione principale, per cui quella musica, nonostante la sua semplicità e la grande sua bellezza, ci pare poco chiara e più strana che bella.

11. Premesse queste cose, è ora il tempo per noi di esaminare con dettaglio la formazione e le proprietà delle nostre scale musicali, così come si sono sviluppate necessariamente per i bisogni della musica polifonica e dell'armonia. Le scale, che noi adoperiamo oggidì, sono due: la scala maggiore e la scala minore, quest'ultima portando ancora una modificazione, la quale deve considerarsi come punto di passaggio tra l'una e l'altra.

 

 

Voglio innanzi tutto farvi sentire la nostra scala in modo possibilmente perfetto. Mi servo a ciò dell'istrumento [fig. 26], ideato da Seebeck e perfezionato da König. Un forte movimento d'orologeria, rinchiuso in una cassa P, permette di dare ad un disco metallico, fissato in O, un movimento regolare di rotazione. Il disco porta otto serie di fori, situati concentricamente nel medesimo cerchio a uguale distanza. Tubi di gomma elastica A, B, C sono disposti in modo, che si possa soffiare a volontà contro l'uno o l'altro cerchio di fori, per produrre così l'uno o l'altro suono. È una sirena, in cui il movimento rotatorio si fa indipendentemente dalla corrente d'aria che soffia. Gli otto cerchi, a incominciare dall'interno, hanno il seguente numero di fori:

24, 27, 30, 32, 36, 40, 45, 48.

Ora siccome il numero delle vibrazioni dei suoni, che si producono, è proporzionale al numero degli urti, e questi al numero dei fori, ne segue, che a uguale velocità i numeri qui sopra esprimono i valori relativi delle vibrazioni. Dividendoli per 24, si hanno i rapporti

1, 9/8, 5/4, 4/3, 3/2, 5/3, 15/8, 2.

Aspetto che il disco prenda una velocità uniforme; poi soffio successivamente verso i vari cerchi di fori, e voi sentite che si ottiene la scala maggiore. Voglio aggiungere che questa è perfetta, perchè essa sodisfa, anche in teoria, alla legge dei rapporti esatti.

La scala maggiore è quindi costituita dai seguenti rapporti:

1, 9/8, 5/4, 4/3, 3/2, 5/3, 15/8, 2.

che vogliamo chiamare

do, re, mi, fa, sol, la, si, do.

In essa, come si vede, la terza maggiore 5/4, la quarta 4/3, la quinta 3/2, la sesta 5/3, sono accordi consonanti, che abbiamo dedotto anche col mezzo della teoria. Sono i rapporti più semplici che si possano immaginare. Si vede di più, che questi rapporti sostituiscono vantaggiosamente alcuni dei più complicati della scala pitagorica; specialmente la terza e la sesta, che erano dissonanti e qui sono invece consonanti. La seconda 9/8, è la stessa della scala pitagorica, la settima 15/8, è notevolmente semplificata. Si può dunque dire, che questa scala non è nient'altro, che la modificazione della pitagorica, fatta col concetto di mantenere press'a poco i medesimi suoni, in modo però, che essi sodisfino alla legge dei rapporti semplici. È chiaro ed evidente, che questa scala deve quindi prestarsi all'armonia, mentre la pitagorica le era decisamente contraria.

Ma non basta, che i rapporti siano semplici riguardo al suono fondamentale; bisogna che essi siano semplici anche fra di loro. Non posso qui esaminare la questione con tutti i dettagli necessarii; voglio tuttavia farvi conoscere le proprietà più notevoli della nostra scala maggiore. Noi chiamiamo intervallo musicale il rapporto fra un suono della scala e il suono antecedente, rapporto che si trova dividendo l'uno per l'altro. In questo riguardo il paragone colla scala pitagorica è molto istruttivo. La scala pitagorica è espressa dai rapporti seguenti:

1, 9/8, 81/64, 4/3, 3/2, 27/16, 243/128, 2.

Gli intervalli sono quindi i seguenti:

9/8, 9/8, 256/243, 9/8, 9/8, 9/8, 256/243.

In questa dunque gl'intervalli sono di due categorie: gli uni di 9/8, piuttosto grandi, che vogliamo chiamare un tono intero, gli altri più piccoli e molto complicati 256/243, che chiameremo un semitono.

La scala pitagorica è composta di cinque toni interi, tutti uguali fra di loro, e di due semitoni complicati, l'uno posto fra la terza e la quarta, l'altro fra la settima e l'ottava.

Nella nostra scala maggiore abbiamo invece i seguenti rapporti:

1, 9/8, 5/4, 4/3, 3/2, 5/3, 15/8, 2.

I suoi intervalli sono

9/8, 10/9, 16/15, 9/8, 10/9, 9/8, 16/15.

In essa gl'intervalli sono quindi di tre categorie, i più grandi 9/8, che avvengono tre volte, sono gli stessi pitagorici; gli altri un poco più piccoli, 10/9, si riscontrano due volte. Noi chiameremo gli uni e gli altri un tono intero, ma per distinguerli fra di loro, chiameremo il 9/8 un tono intero maggiore, il 10/9, un tono intero minore. Il terzo intervallo, notevolmente più piccolo dei due primi, 16/15, si riscontra due volte e al medesimo posto dell'intervallo pitagorico 256/243. Lo chiameremo un semitono maggiore, per distinguerlo da un altro semitono più piccolo, 25/24, di cui vi parlerò in seguito e che chiameremo semitono minore.

Se non facciamo una distinzione fra il tono intero maggiore e il minore, vediamo che la scala maggiore presenta, come la pitagorica, cinque toni interi e due semitoni, distribuiti nel medesimo ordine. La differenza fra le due scale stà in ciò, che noi distinguiamo fra il tono intero maggiore e il tono intero minore, e che il nostro semitono è molto più semplice del pitagorico. Abbiamo quindi tre intervalli diversi invece di due, e quindi una maggiore complicazione, la quale però è largamente compensata dai rapporti e dagl'intervalli più semplici. Voglio aggiungere a questo, che la maggiore complicazione qui notata costituisce anche per stessa una maggiore varietà, e quindi una maggiore ricchezza per la nostra musica.

Certe finezze musicali, come per esempio il carattere alquanto diverso, che sussiste fra le diverse intonazioni, trovano la loro spiegazione più naturale in questa maggiore varietà d'intervalli musicali. Ed invero, dacchè p. e. l'intervallo tra il do ed il re non è uguale a quello tra il re ed il mi, il suonare do-re non è identico col suonare re-mi. Lo stesso ragionamento, applicato ad un intero pezzo musicale, porta alla conseguenza, che la scelta del primo suono fondamentale e dell'intonazione modifica alquanto l'ordine degli intervalli, e quindi anche il carattere musicale del pezzo.

12. La seconda nostra scala è la scala minore, in cui alla terza maggiore è sostituita la terza minore, e la sesta e la settima sono modificate. Essa è composta dei seguenti rapporti:

1, 9/8, 6/5, 4/3, 3/2, 3/2, 8/5, 9/5, 2.

I suoi intervalli sono i seguenti:

9/8, 16/15, 10/9, 9/8, 16/15, 9/8, 10/9.

In essa ritroviamo i medesimi intervalli della scala maggiore: tre volte l'intervallo 9/8, due volte il 10/9, due volte il 16/15. La scala minore differisce dunque dalla scala maggiore soltanto in ciò, che i medesimi intervalli si trovano diversamente distribuiti.

La scala minore viene adoperata ancora nella forma seguente:

1, 9/8, 6/5, 4/3, 3/2, 5/3, 15/8, 2.

i di cui intervalli sono;

9/8, 16/15, 10/9, 9/8, 10/9, 9/8, 16/15.

Questa scala è composta per la sua prima metà della scala minore, per la seconda metà della scala maggiore. Gli intervalli sono di nuovo i medesimi, soltanto diversamente distribuiti. Questa seconda forma è adoperata di preferenza per la scala ascendente, vale a dire, per il movimento dal basso in alto, mentre la prima forma è adoperata per la scala discendente, dall'alto in basso.

La scala minore ha quindi come suono caratteristico la terza minore, mentre la scala maggiore ha la terza maggiore. Queste due scale possono dunque considerarsi come lo sviluppo ulteriore e l'emanazione degli accordi perfetti maggiore e minore, ai quali sono intimamente collegate. Un pezzo musicale, che s'aggiri nella scala maggiore, ha per base l'accordo maggiore; l'accordo minore è riservato a quei pezzi, i quali si muovono entro la scala minore.

La differenza caratteristica fra le due scale sta nella terza. Ora l'intervallo fra la terza rnaggiore5/4, e la terza minore, 6/5, si trova dividendo l'una per l'altra. Esso è di 25/24, intervallo più piccolo del semitono maggiore 16/15; lo chiamiamo perciò il semitono minore. Possiamo quindi concludere, che tutta la grande differenza, che passa fra la scala maggiore e la minore, si riduce ad un semitono minore applicato alla terza.

Se però, matematicamente parlando, tale differenza è piccola, essa è molto grande in riguardo estetico. Vale per le due scale tutto ciò, che abbiamo trovato per i due accordi perfetti [vedi conferenza VI]. La scala maggiore e tutti i pezzi, che vi si fondano sopra, hanno carattere franco, allegro, brioso; i pezzi, che hanno per base la scala minore, sono cupi, malinconici e specialmente indecisi. La ragione di ciò trovasi nei vari suoni di combinazione, che si producono nei due accordi perfetti; essa si ritrova quindi anche nelle scale. Concluderemo dicendo, che variazioni, anche piccole e tali da credersi di poca importanza, modificano notevolmente il carattere di un pezzo musicale. In questo riguardo le scale costituiscono l'ossatura di un'organismo, il quale mostra carattere, tendenze, sviluppi molto diversi, per poco che si provochino delle differenze caratteristiche nella sua costruzione.

13. Un'ultimo passo restava a fare alla musica, e questo passo non crediamo, che sia già fatto per intero. Dobbiamo ora considerare la scala da un altro punto di vista e vedremo così, ch'essa è infinitamente più ricca in risorse, di quanto potrebbesi a prima giunta immaginare.

Questo passo consiste nella trasposizione, e sotto forma più artistica, nel passaggio da un'intonazione ad un'altra. Supponiamo un'istrumento a suoni fissi come il pianoforte; supponiamo che la scala incominci dal do, e che un pezzo musicale qualunque, per esempio una melodia, sia fondata su questa scala. Il suono fondamentale ossia la tonica è allora il do. Ora può darsi che un cantante, che debba eseguire questa melodia, la trovi troppo bassa o troppo alta per la sua voce, e che invece, egli preferisca di spostarla in modo che la tonica sia per esempio il sol.

Questo deve essere lecito, perchè in tesi generale abbiamo visto, che ogni suono, qualunque sia il numero delle sue vibrazioni, può servire come punto di partenza, purchè tutti i suoni successivi si mantengano col primo in rapporti determinati; il che significa, riguardo alla scala, che gli intervalli rimangono sempre gli stessi, quando si trasporta la tonica dal do al sol.

Ora se noi esaminiamo la scala maggiore, vediamo che essendo suono fondamentale il do, abbiamo tra il mi e il fa, vale a dire fra la terza e la quarta, l'intervallo di un semitono; lo stesso troviamo tra il si e il do, cioè fra la settima e l'ottava. Se trasponiamo dunque il pezzo dal do al sol, per non alterare la distribuzione dei semitoni, dobbiamo riferirlo ad una scala, che incominci dal sol, ed abbia fra la terza e la quarta, e fra la settima e l'ottava l'intervallo di un semitono. Ma se scriviamo tale scala semplicemente nel modo seguente, come facevano i Greci:

sol, la, si, do, re, mi, fa, sol

osserviamo che fra la terza e la quarta, cioè fra il si e il do, vi è l'intervallo del semitono richiesto; non così fra la settima e l'ottava, cioè tra il fa e il sol; troviamo invece il semitono fra la sesta e la settima, vale a dire, tra il mi e il fa. La scala dunque non si è conservata coi rapporti di prima. Si può però portarla facilmente agli intervalli voluti, innalzando il fa di un semitono, perchè allora l'intervallo fra la sesta e la settima diventa di un tono e quello fra la settima e l'ottava invece d'un semitono.

14. Innalzare una nota d'un semitono significa portare questa nota al diesis, come abbassarla d'altrettanto significa portarla al bemolle. In teoria portare una nota al diesis, significa multiplicare la nota per il rapporto 25/24, il quale è l'intervallo del semitono minore. Portarla invece al bemolle, significa multiplicarla per il rapporto inverso 24/25.

Ogni trasposizione da una tonica ad un'altra porta con la necessità, di aumentare al diesis qualcuno dei suoni esistenti, oppure di diminuire qualche altro al bemolle. Quello che vi ho dimostrato per un esempio, vale per tutti i casi. Noi possiamo trasportare la tonica dal do al re, al mi, al fa ecc., vale a dire a tutti i suoni della scala. Con questa operazione acquistiamo una quantità di suoni nuovi, e l'esperienza dimostra, che dobbiamo poter innalzare tutti i suoni della scala al diesis. Per ritornare all'esempio del pianoforte, noi vediamo qui sorgere la necessità, di aggiungere ai sette tasti bianchi di un'ottava, sette tasti neri e non cinque come in pratica si usa; perchè innalzare al diesis significa multiplicare per l'intervallo 25/24, e questo intervallo non esiste nella semplice scala musicale.

Per spiegare meglio questo concetto, prendiamo un'esempio. Tra il mi e il fa esiste un'intervallo di un semitono maggiore, 16/15. Se innalziamo dunque il mi al diesis, troveremo, multiplicandolo per l'intervallo più piccolo di 25/24, un suono vicino al fa, ma più basso di questo. Il mi diesis non coincide dunque col fa, come i suonatori di pianoforte sono portati a credere.

Ma la musica non ha bisogno di arrestarsi a queste prime trasposizioni. Una volta che abbiamo ammesso il principio, che la tonica possa trasportarsi, per esempio, dal do al re, noi possiamo pure trasportarla dal do al do diesis. Varranno quindi per i supposti sette tasti neri del pianoforte le medesime considerazioni, fatte precedentemente per i tasti bianchi. Trasportando dunque la tonica successivamente per i diversi diesis, noi dovremo, per mantenere i medesimi intervalli, innalzare di nuovo qualcuno dei diesis d'un semitono, ossia multiplicarlo di nuovo per 25/24. Si hanno così i doppi diesis, i quali essendo formati di due semitoni minori, non equivalgono esattamente ad un tono intero, maggiore o minore che sia. Difatti, per citare un solo esempio, il doppio diesis del do si ottiene multiplicando questo due volte per l'intervallo, ossia per 25/24, ossia per 625/576. Questa cifra rappresenta quindi l'intervallo fra il do e il do doppio diesis, mentre l'intervallo fra il do e il re è espresso dal rapporto notevolmente maggiore 9/8. Questi due suoni non sono quindi identici fra di loro.

Arriviamo alla conclusione, che per tener conto di tutte le possibili trasposizioni in questo senso, bisogna avere i sette suoni primitivi, i sette suoni per i diesis e i sette suoni per i doppi diesis.

15. Un altro genere di trasposizione porta con se la necessità di abbassare l'uno o l'altro dei suoni della scala di un semitono, multiplicandolo per 25/24, il che si chiama portarlo al bemolle. Le medesime considerazioni, che abbiamo fatto per i diesis, valgono anche per i bemolli.

Ragionando quindi nell'istesso modo si arriva alla conclusione, che occorrono sette nuovi suoni per i bemolli, ed altri sette per i doppi bemolli. Devo aggiungere a questo che, in tesi generale, questi nuovi suoni non coincidono coi suoni già menzionati dei diesis. Nella musica esecutiva, e specialmente nel pianoforte, si ammette generalmente, che il diesis di un suono equivalga al bemolle del suono successivo, che per esempio il do diesis equivalga al re bemolle. Ora questo non è esatto. Difatti il do essendo uguale ad 1, il do diesis è espresso da 25/24. Ora il re è 9/8, quindi il re bemolle sarà 9/8 multiplicato per 24/25, il che da 27/25, valore diverso e maggiore del primo. Il do diesis è dunque alquanto più basso del re bemolle, e considerazioni simili si possono fare per tutti gli altri suoni a intervalli interi. Quanto ai semitoni della scala la conclusione rimane la stessa. Prendiamo p. e. l'intervallo mi-fa, il quale equivale ad un semitono maggiore, ed quindi uguale a 16/15. Siccome i diesis ed i bemolli corrispondono invece ad intervalli di 25/24 e di 24/25, ne segue, che il mi diesis non coincide col fa bemolle, col fa, e che dobbiamo quindi distinguere quattro suoni diversi: mi, fa bemolle, mi diesis e fa. E in verità la composizione musicale distingue benissimo questi diversi suoni, e a chi scrive un pezzo, non è lecito confondere l'uno con l'altro.

Ne segue che il pianoforte, per tener conto esatto di tutte queste esigenze, dovrebbe avere per ciascuna ottava una prima tastiera con sette tasti per i suoni primitivi della scala, e poi quattro altre tastiere, ciascuna di sette tasti, per i diesis, i doppi diesis, i bemolli, ed i doppi bemolli; vale a dire, trentacinque tasti in tutto per ogni ottava. È vero, che alcuni di questi molti suoni coincidono sensibilmente fra di loro, e che quindi anche un numero alquanto minore di tasti sodisfarebbe alle esigenze scientifiche. Ma non è men vero, che la musica, specialmente l'istrumentale, avrebbe dovuto arrestarsi innanzi a tanta complicazione.

16. Man mano dunque che la musica si sviluppava riguardo a tutte le possibili trasposizioni, noi vediamo sorgere molti tentativi, per diminuire il numero soverchio di suoni, e per rendere più facile l'esecuzione pratica. Questi tentativi sono tutti fondati sul principio: di abbandonare i rapporti strettamente matematici, di contentarsi invece di suoni approssimativamente giusti, purchè l'errore non fosse troppo sensibile all'orecchio, e di considerare come uguali suoni poco diversi fra di loro. Frutto di questi tentativi molteplici, che vediamo sorgere specialmente verso la fine del secolo 17.° e al principio del secolo 18.° è la scala temperata, che ebbe il suo pieno sviluppo nella metà del secolo scorso, specialmente per opera di Sebastiano Bach, il quale le dedicò quarant'otto dei suoi preludi e delle sue fughe più ispirate. Essa parte dal principio, di non distinguere tra il tono intero maggiore ed il tono intero minore, di confondere il semitono maggiore col semitono minore, e di considerare come uguali il diesis di una nota col bemolle della nota successiva. In tal modo tutti i suoni dell'ottava si riducono a dodici soltanto, che si considerano come equidistanti fra di loro, ed è su questo principio, che si costruiscono i nostri pianoforti, gli organi ecc., ove con sette tasti bianchi e cinque tasti neri si provvede a tutti i suoni compresi in un'ottava.

La scala temperata è stata generalmente accettata; essa è talmente entrata negli usi giornalieri, che i nostri suonatori moderni por lo più non sanno, ch'essa è una scala inesatta, nata per transazione, onde ovviare alle difficoltà pratiche dell'esecuzione musicale. Ad essa si devono i grandi progressi fatti dalla musica istrumentale, e ad essa forse si deve l'importanza ognor crescente del pianoforte nella vita sociale.

Ma noi crediamo, che essa non rappresenti l'ultima parola in questo riguardo. Sarebbe certamente molto desiderabile, che si ritornasse alla scala esatta, con quelle facilitazioni, che forse la pratica ancora richiede. Perchè è innegabile, che la scala temperata ha scancellato molte finezze, ed ha dato alla musica, fondata sopra leggi semplici ed esatte, un carattere di approssimazione piuttosto grossolana. Ma avanti di continuare in questo argomento, voglio mettervi sott'occhio, com'esempio, i valori delle diverse scale, anche per far risaltare meglio la misura delle loro differenze.

Supponiamo che il suono fondamentale faccia 240 vibrazioni al minuto secondo e chiamiamolo un do, allora la nostra scala maggiore è rappresentata dalle seguenti cifre:

do

re

mi

fa

sol

la

si

do

240,

270,

300,

320,

360,

400,

450,

480

la scala minore:

240,

270,

288,

320,

360,

384,

432,

480,

la scala pitagorica, paragonabile alla nostra scala maggiore:

240,

270,

3033/4

320,

360,

405,

4555/8

480,

infine la scala temperata maggiore ha

240,

2692/5,

3022/5,

3202/5,

3593/5,

4033/5,

453,

480.

Se confrontiamo la scala temperata colla scala matematica, vediamo che all'infuori del suono fondamentale e dell'ottava, nessun altro suono coincide esattamente. Nella scala temperata tutti i suoni sono alquanto modificati, ora in più, ora in meno.

Prendiamo per esempio la terza. Questa nel nostro esempio per la scala esatta 300 vibrazioni, per la scala temperata 3022/5. Dunque vi è una differenza in tale caso di 22/5, vibrazioni. Si dirà che tale differenza è piccola; però ove si consideri, ch'essa è uguale a 2/3 circa di quella fornitaci dalla scala pitagorica, ove la terza è rappresentata da 3033/4, bisogna ben convenire, ch'essa è tut'altro che trascurabile. Abbiamo visto, che la musica greca non ha sviluppato l'armonia, specialmente perchè la terza e la sesta erano dissonanti. Bisogna concludere, che la nostra armonia fondata sulla scala temperata è ancora molto difettosa.

Un altro argomento deve essere avvertito. La differenza nel nostro esempio fra la terza maggiore e la terza minore è di dodici vibrazioni, la prima essendo di 300, la seconda di 288 vibrazioni. Ora, se dodici vibrazioni bastano in questo suono sensibilissimo, per mutare il carattere dell'accordo fondamentale, della scala e di tutto il pezzo fondato sopra di essi, bisogna convenire, che 22/5 vibrazioni non possono più essere indifferenti, e devono quindi produrre una stonatura sensibile. Finalmente sappiamo, che ogniqualvolta un'accordo non è perfettamente accordato, esso luogo a battimenti. Nel pianoforte questi non sono molto sensibili, ma negli istrumenti a suoni pieni, forti e continuati come nell'organo, essi riescono spiacevolissimi, specialmente quando sono frequenti. Nel nostro esempio i battimenti non sarebbero che 22/5 al secondo, il che riuscirebbe già spiacevole; eppure abbiamo qui preso suoni bassi di 200 e 300 vibrazioni. Per i suoni alti i battimenti sono molto più frequenti. Applicando l'esempio ad una ottava più in alto, si raddoppia il numero delle vibrazioni e con ciò anche il numero dei battimenti, i quali devono produrre un'effetto spiacevolissimo.

Anche i suoni di combinazione rimangono profondamente alterati, e invece di rinforzare suoni già esistenti e di rientrare nell'armonia generale dell'accordo, essi appariscono discordanti, non abbastanza forti per produrre vere dissonanze, ma pur sempre capaci di turbare la serena tranquillità e la trasparenza d'un accordo.

Ne segue, che la musica fondata sulla scala temperata deve considerarsi come musica imperfetta, e molto al di sotto della nostra sensibilità e delle nostre aspirazioni musicali. Se la sopportiamo e se la crediamo anche bella, ciò proviene soltanto da che il nostro orecchio, fin dalla prima infanzia, viene sistematicamente falsato[6].

17. Il Professore Helmholtz si è fatta appositamente costruire una fisarmonica, la quale gli permette di suonare a volontà colla scala esatta o colla scala temperata, per persuadersi, se realmente esista fra di loro una differenza apprezzabile. Per poco che vi si abitui l'orecchio, la differenza diviene notevolissima. Colla scala esatta gli accordi consonanti diventano assai più dolci, più chiari e più trasparenti, gli accordi dissonanti più forti e più crudi; mentre la scala temperata mesce tutte queste cose in una tinta uniforme senza carattere spiccato. I suoni di combinazione hanno nella prima maggiore importanza, e in generale la musica acquista un carattere più deciso, più franco, più robusto e più dolce. Il fatto dimostra quindi, che i risultati della teoria non sono semplici speculazioni o pedantesche esagerazioni, ma che hanno invece un valore vero e reale, tale da dover essere accettato anche dalla pratica.

Esprimiamo dunque il desiderio, che venga per la musica un'èra nuova e feconda, in cui abbandonando la scala temperata si ritorni invece alla scala esatta, o si trovi almeno per le grandi difficoltà dell'esecuzione musicale una soluzione più sodisfacente di quella fornitaci dalla scala temperata, la quale è bensì semplice, ma troppo grossolana.

Ora tutti gli istrumenti ad arco, che sono l'anima dell'orchestra, il canto che resterà sempre il suono musicale più gradito e più pastoso, hanno i suoni perfettamente liberi e possono quindi muoversi a beneplacito dell'artista. Il ritorno alla scala esatta non presenta per essi nessuna seria difficoltà. Lo stesso dicasi per gli istrumenti a fiato, istrumenti ancora molto imperfetti nonostante tutti i progressi già ottenuti, ma per i quali il suonatore può, rinforzando col labbro, alzare e abbassare alquanto il suono. Un suonatore di flauto o di tromba potrebbe quindi suonare colla scala perfetta, come suona ora colla scala temperata, e le stesse considerazioni valgono per la massima parte degli istrumenti a fiato. Non ci pare quindi impossibile, tampoco veramente difficile, che le grandi orchestre ed i cori possano eseguire un pezzo musicale colla scala esatta.

Maggiori difficoltà s'incontrano per gli istrumenti a suoni fissi, cioè per il pianoforte e l'organo. Il pianoforte è veramente un istrumento così imperfetto, che nonostante la grande voga, di cui gode, non possiamo accordargli un posto importante nella musica esecutiva propriamente detta. Difatti le orchestre non hanno pianoforte, il quale resta così confinato fra le domestiche mura e nelle sale di concerto. Il difetto principale del pianoforte sta in ciò, che i suoni si disperdono rapidamente, per quanto sia grande l'abilità del suonatore. Battimenti e suoni di combinazione si sentono quindi difficilmente. Ne segue che anche le stonature diventano meno sensibili; ed è questa la ragione, che ci tollerare i suoni d'un istrumento, che da un giorno all'altro non tiene l'accordatura. Il pianoforte è il vero istrumento della scala temperata; esso si è sviluppato, vive, e probabilmente cadrà con essa. I suoi difetti hanno avuto un'influenza notevole anche sulla musica scritta per esso. Il canto è stato sempre più e più trascurato; gli furono sostituite invece infinite e complicate figure musicali, di scale, cadenze, trilli, ecc., capaci di solleticare più l'amor proprio dell'abile esecutore, che non il sentimento musicale di chi sente. Alle poche e semplici linee, che costituiscono i grandi lavori musicali, furono sostituiti infiniti arabeschi di un rococò di nuovo genere.

Per un istrumento, il quale non tiene l'accordatura, riforme di questo genere ci paiono superflue. Ma questo non è il caso dell'organo, il quale ha bensì perduto in gran gran parte il suo credito, insieme alla chiesa a cui serve principalmente, ma musicalmente parlando è pur sempre un'istrumento di grande valore. In esso i battimenti ed i suoni di combinazione sono fortemente pronunziati, e dovrebbero quindi indurci a tentare l'importante riforma delle scale musicali. Ora è evidente, che a voler dotare l'organo di tutti i suoni necessarii, si andrebbe incontro ad una complicanza gravissima. Ma pare, secondo una proposta di Helmoltz, che partendo da considerazioni alquanto diverse, con 24 suoni per ottava si possa provvedere a tutto in modo molto sodisfacente. È il doppio dei tasti che abbiamo adesso; ma quando si consideri la grandissima abilità, mostrata dai nostri suonatori di pianoforte con dodici tasti per ottava, è lecito il credere, che anche 24 tasti bene disposti non offrirebbero all'esecuzione difficoltà insormontabili; e quand'anche si dovesse rinunziare alle complicazioni ed agli arabeschi musicali, la musica seria e vera non potrebbe che avvantaggiarsene.

Termino quindi questa mia conferenza coll'esprimere il desiderio, che s'abbandoni finalmente la scala temperata. Essa ha fatto il suo tempo e non ha più una vera ragione di essere. L'uomo è capace di una musica molto più fine di quella, che eseguiamo oggidì. Dico ciò indipendentemente dalle diverse scuole, che dividono attualmente l'Europa musicale, perchè le mie considerazioni valgono per tutte. Ma quelli che credono, che il compito musicale dell'Italia consista nel coltivare e nello sviluppare la melodia, dovrebbero essere i primi a tentare ed a favorire tale riforma. Il canto vi acquisterebbe moltissimo, ed una musica melodica, accompagnata da accordi semplici e piani, molto di più ancora una musica formata da parecchie voci, si rialzerebbe enormemente col mezzo di tale riforma. Già la nostra musica antica, la musica corale di Palestrina o di Basili, acquista tutt'altro colorito e diviene assai più intelligibile, quando sia eseguita colla scala esatta.

Questa sarebbe una grande riforma, che non s'improvvisa in poco tempo. Ma una volta fatta, essa costituirebbe per se un grande progresso. Se certi istrumenti musicali richiedono in parte delle modificazioni più o meno profonde, per adattarsi a queste nuove esigenze, il quartetto e la musica corale potrebbero invece insegnarsi ed eseguirsi fin d'ora colla scala esatta.


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