Pietro Blaserna
La teoria del suono nei suoi rapporti colla musica

IX.a CONFERENZA. 1. Timbro dei suoni musicali. – 2. Forma delle vibrazioni, metodo ottico. – 3. Altro metodo ottico. – 4. Metodo del fonautografo. – 5. Legge dei suoni armonici. – 6. Timbro delle corde e degli istrumenti. – 7. Legge generale sugli accordi. – 8. Rumori che accompagnano i suoni. – 3. Timbro delle vocali.

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IX.a CONFERENZA.

1. Timbro dei suoni musicali. – 2. Forma delle vibrazioni, metodo ottico. – 3. Altro metodo ottico. – 4. Metodo del fonautografo. – 5. Legge dei suoni armonici. – 6. Timbro delle corde e degli istrumenti. – 7. Legge generale sugli accordi. – 8. Rumori che accompagnano i suoni. – 3. Timbro delle vocali.

 

1. La terza differenza caratteristica dei suoni risiede nel timbro. Supponiamo la stessa nota cantata da diverse voci umane, suonata sul pianoforte, sul violino, col flauto ecc.; non occorre un fine orecchio musicale per riconoscere, che questi suoni, anche se hanno la medesima intensità e la medesima altezza, pure, sono diversi fra di loro. Il nostro orecchio va anche più in , e distingue non solamente fra violino e flauto, ma anche fra violino e violino dei diversi costruttori, ecc. La differenza è marcatissima, e si fa sentire sul prezzo dell'istrumento in modo notevolissimo. Così, per esempio, mentre un violino ordinario costa poche diecine di lire, se ne pagano migliaja per un buono Stradivario o N. Amati. Lo stesso dicasi di tutti gli istrumenti musicali, quantunque nella più gran parte di essi le differenze di prezzo non siano così forti, perchè le fabbriche moderne sono in grado di fornirne a volontà; mentre i violini acquistano in bontà ed in valore colla vecchiaja.

La differenza di timbro è quindi molto importante e molto caratteristica. Nella voce umana, che costituisce il più aggradevole ed il più ricco degl'istrumenti musicali a un suono solo, la varietà è immensa. Non vi sono forse due individui, che abbiano esattamente il medesimo timbro di voce. Il timbro e le inflessioni sono per noi uno dei mezzi più sicuri, per riconoscere una persona.

Ora l'intensità dei suoni dipende dall'ampiezza, l'altezza dalla lunghezza delle oscillazioni. Si può dunque chiedersi, in che cosa due oscillazioni, le quali abbiano uguale ampiezza ed uguale lunghezza, possano ancora differire fra di loro, per produrre una differenza così marcata, quale è quella del timbro.

Nello studio delle diverse oscillazioni e delle cause, che producono il timbro, noi possiamo procedere per due vie diverse. Possiamo tracciare graficamente le curve delle oscillazioni, o renderle visibili in altro modo, ed esaminare in che cosa differiscano fra di loro. Oppure possiamo analizzare i suoni provenienti da diversi istrumenti e vedere, se accanto al suono principale che si sente, non vi siano altri suoni o rumori concomitanti, i quali alterino il timbro del suono semplice, e gl'imprimano così un carattere speciale. Io mi propongo di studiare con voi tanto l'uno, quanto l'altro metodo, e di illustrarli cogli esempi più importanti. Quanto alla forma delle vibrazioni, voglio dimostrarvi che oltre all'ampiezza ed alla lunghezza dell'oscillazione, si deve tener conto ancora della forma speciale della curva, che la rappresenta. Così per esempio le curve 1, 2, 3 della figura 27 hanno tutte e tre la medesima ampiezza ab e la medesima lunghezza AB, ma la forma è diversa in ciascuna di esse, e da questa forma speciale dipende precisamente ciò, che chiamasi il timbro. Voglio mostrarvi sperimentalmente come simili curve si possano rendere visibili.


2. Fra tutti i corpi sonori il corista le vibrazioni più semplici, vibrazioni che si possono paragonare alle oscillazioni d'un pendolo, e che nella prima conferenza abbiamo chiamato vibrazioni semplici. Esse hanno la forma della curva 1 [fig. 27]. Si tracciano sulla carta col mezzo del metodo grafico, descritto nella prima conferenza. Ma si possono rendere visibili anche nel modo seguente. Prendo un corista piuttosto grande F, sul quale è attaccato uno specchietto verso l'estremità di una delle sue branche, mentre sull'altra trovasi un contrappeso [fig. 28]. Faccio cadere un raggio di luce solare, che introduco nella stanza, sullo specchietto del corista, il quale lo rimanda per riflessione sopra uno specchio concavo, e da questo per nuova riflessione sopra un diaframma di carta traslucida. Ottengo così sul diaframma l'immagine del foro praticato alla finestra, sotto forma di un punto brillante. Voi vedete quel punto fermo, fino a tanto che il corista rimane fermo; ma se questo vibra, il suo specchietto prende parte alle vibrazioni, e mi produce sul diaframma invece del punto una linea luminosa verticale. Questa linea viene da ciò, che il nostro occhio non può seguire i rapidi movimenti del punto luminoso, il quale occupa in ogni istante un posto diverso; ma se muovo rapidamente colla mano lo specchio concavo, in modo che esso giri intorno ad un asse verticale, i diversi punti luminosi, che corrispondono a tempi differenti, vanno a colpire punti molto diversi del diaframma, e si forma così una bella curva mn, la quale ci rappresenta la forma delle vibrazioni. In essa l'ampiezza dipende evidentemente dall'energia maggiore o minore, colla quale faccio vibrare il corista; la lunghezza varia colla velocità, con cui sposto lo specchio concavo e dipende quindi dalla mia volontà. Ma se muovo lo specchio con una giusta velocità, troppo presto, troppo lentamente, ottengo una bellissima curva sinuosa, la quale ha perfettamente la forma delle vibrazioni semplici.

Questo bel metodo ottico, immaginato da Lissajous, di mostrare le vibrazioni dei coristi, è molto fecondo e permette una grande quantità di esperienze. Interessante è il caso, di studiare cosa accada, quando due vibrazioni si combinano in vari modi insieme. Ne risultano movimenti composti, talvolta complicatissimi. Voglio mostrarvi, tra tanti, un esempio, anche perchè esso serve ad illustrare benissimo la teoria dei battimenti [conferenza 5]. La fig. 29 mostra la disposizione, che conviene allora adottare. Dalla finestra o da una cassa chiusa L si fa entrare nella stanza un fascio di raggi solari o artificiali, che concentrati convenientemente col mezzo di una lente I, vanno a cadere sullo specchietto di un primo corista T', poi per riflessione su quello di un secondo corista T, finalmente sopra un diaframma di carta, ove si forma l'immagine del punto luminoso. I due coristi sono perfettamente uguali, e dànno il medosimo suono. Sfrego coll'archetto il corista T; esso vibra e trasforma sul diaframma il punto luminoso in una lunga linea verticale. Ora se sfrego anche il secondo corista T', la linea verticale, diviene più lunga o più corta, a seconda che i movimenti vibratorii dei due coristi si fanno simultaneamente o in contrattempo, e si rinforzano quindi o s'indeboliscono nei loro effetti.

 

 

Ciò posto, attacco colla cera una piccola moneta sul corista T, il quale è così rallentato nella sua vibrazione, e mi quindi battimenti molto marcati coll'altro T'. La linea verticale è adesso di dimensione variabile, ora lunga, ora corta, e ad ogni battimento corrisponde uno di questi mutamenti. La ragione è semplice. Ad ogni battimento corrisponde un rinforzo ed un'indebolimento di suono, e quindi un momento, in cui i movimenti dei due coristi si sommano, ed uno in cui si affievoliscono nei loro effetti. Questa linea verticale può facilmente trasformarsi in una linea ondeggiante; basta a ciò, muovere rapidamente il corista T. Si ottiene così la fig. 30, ove tali rinforzi ed indebolimenti sono nettamente indicati, come pure tutta la bella forma del fenomeno.

 

 

3. Voglio ora mostrarvi, che le vibrazioni d'una corda sono molto più complicate di quelle di un semplice corista. La fig. 31 indica la disposizione a ciò necessaria. Alla finestra F della camera è adattato uno specchio S, inclinabile in tutti i versi, il quale raccoglie un fascio di raggi solari e li manda nella stanza attraverso il foro S'. Questi servono ad illuminare una corda [o meglio, porzione della corda] C del sonometro A. L'immagine della corda viene ingrandita e projettata col mezzo della lente L sopra un diaframma lontano [non visibile nella figura].

 

 

Ora se faccio vibrare la corda, voi vedete che l'immagine s'ingrossa e diventa più sbiadita, per la stessa ragione, per cui l'occhio non può seguire la corda nei rapidi suoi movimenti. Per veder bene l'immagine della corda in un momento determinato, converrebbe illuminarla un'istante solo, mentre noi tutti fossimo nel buio. Questo potrebbe farsi, per esempio, per mezzo d'una scintilla elettrica, la quale ha una durata estremamente piccola. Ma l'illuminazione, che si ottiene, è debole ed il fenomeno non può essere osservato ad una certa distanza. Potrei anche chiudere lo sportello S', dal quale entra il fascio di raggi solari ad illuminare la corda, ed aprirlo poi soltanto per un tempo brevissimo. In tale modo otterrei per un'istante una illuminazione molto viva della corda vibrante, e potrei così rendervi visibile lo stato della corda in quel dato momento. Ma anche questo metodo avrebbe l'inconveniente, che il fenomeno durerebbe pochissimo, e sarebbe difficile osservarlo nelle sue minute particolarità.

Posso quindi perfezionare il metodo in modo, d'illuminare la corda a piccolissimi intervalli, ogni qual volta essa ritorna nella medesima posizione. Ottengo così una illuminazione ad intervalli, succedentisi rapidamente, illuminazione che pare costante e che mi fa apparire la corda in quella data posizione, come se fosse fissa. L'importante sta dunque nel trovare un modo, che permetta d'illuminare la corda tutte le volte, che questa si trovi nella medesima posizione.

A tale scopo prendo un disco di cartone D [fig. 31], il quale porta un certo numero di finestre strette, otto in tutto, disposte a distanze uguali sulla periferia di un cerchio. Faccio girare rapidamente questo disco col mezzo d'un eccellente apparecchio a roteggio B, mosso dal peso P e regolato dal volano a palette V, apparecchio, il quale mi permette di dare al disco un movimento uniforme e di far variare a volontà la velocità del disco medesimo. Quest'ultima cosa si ottiene facilmente, aumentando più o meno il peso, che fa girare il roteggio, e modificando la forma del volano, e dopo qualche tentativo si riesce facilmente a trovare la velocità necessaria. L'apparecchio funziona dunque nel modo seguente. Il disco essendo collocato avanti al foro, dal quale entrano i raggi solari, intercetta questi completamente; ma ogni qual volta si presenta avanti al foro una delle finestrine del disco, i raggi passano e vanno ad illuminare la corda. Se dunque la velocità del disco girante è scelta in modo, che nel tempo che occorre, affinchè si presenti avanti al foro la seconda, la terza ecc. finestra del disco, la corda faccia un movimento intero e ritorni alla posizione di prima, io ottengo che questa sia illuminata in intervalli di tempo uguali, e sempre nella medesima posizione. La corda deve parere ferma e presentare quella forma, che ha in quel dato momento e in quella data posizione. Le figure, che si ottengono, sono molto nette, complicate e si possono facilmente disegnare, perchè il fenomeno rimane quasi fisso per un tempo lungo quanto si vuole. Ma esse cambiano di forma a seconda del modo, con cui faccio vibrare la corda. Se la pizzico a un terzo, a un quarto della sua lunghezza; se la pizzico ad un settimo o ad un'ottavo; se la sfrego coll'archetto in un punto o in un altro, ottengo figure sensibilmente diverse. La fig. 32 mostra, a titolo d'esempio, la forma che si osserva, quando la corda è pizzicata a 1/7 della sua lunghezza. La

forma è complicata, e ciò che è interessante, l'immagine non è ugualmente netta e precisa in tutti i suoi punti. Nei punti a, b, c, d.... abbiamo una linea nera e sottile, nei punti intermedii a', b', c', d',.... l'immagine è ingrossata e sbiadita. Le varie porzioni della corda compiono in questi ultimi punti vibrazioni rapidissime, che il mio troppo lento disco girante non riesce a sciogliere. Queste porzioni si comportano, come nei casi ordinarii una corda illuminata con luce continua, la quale corda ci mostra allora non la sua forma, ma i limiti entro cui vibra.

4. Un'apparecchio utilissimo in molte ricerche acustiche, e specialmente per la questione che qui c'interessa, è il fonautografo di Scott [fig. 33, pag. seg.].

Una grande cassa armonica A, di forma paraboloidale, aperta dal lato maggiore, è chiusa dalla parte più stretta col mezzo d'una membrana animale sottilissima M, che si stira più o meno col mezzo di tre viti v, [di cui una visibile nella figura]. Un pezzo di midollo di sambuco a, tagliato ad angolo retto, è attaccato sulla membrana e porta all'estremità una punta leggiera e flessibile p.

Un suono prodotto innanzi al paraboloide A, vi si rinforza, la membrana M vibra, il pezzo a prende parte alle vibrazioni a guisa di una leva, e la punta p vibra fortemente in senso perpendicolare alla sua propria direzione. Le vibrazioni sono poi rese visibili col metodo grafico. La punta p tocca la superficie del cilindro girante C e la vite V serve a regolare questo contatto. Il cilindro è ricoperto d'un foglio di carta molto liscia ed affumicata colla fiamma del petrolio, e gli s'imprime un movimento di rotazione col mezzo della manivella M, o il che è molto meglio, col mezzo di un movimento d'orologieria O, a rotazione costante, messo in azione dal peso P. L'asse poi del cilindro C è a vite, affinchè i vari giri non vengano a sovrapporsi.


Il fonautografo è un'istrumento utilissimo, che può servire a molte e svariate ricerche. Le vibrazioni d'un suono sono da esso tracciate con grande regolarità. Se si prendono due canne d'organo poco diverse tra di loro, e si producono dei battimenti, questi sono tracciati molto regolarmente sul cilindro girante. Si ottengono così bellissime curve, simili a quelle ottenute col metodo ottico [fig. 30].

Ma questo istrumento non serve solamente a mostrare le vibrazioni, esso può anche servire utilmente a far conoscere la forma speciale della curva corrispondente. In questo riguardo l'istrumento non è forse del tutto fedele; può darsi ch'esso non registri forse tutti i suoni parziali, che entrano nella formazione del suono composto; può anche darsi, ch'esso vi aggiunga qualche cosa di proprio[7]. Ma non ostante questi piccoli difetti, esso mostra benissimo, che a suoni di vario timbro corrispondono curve diverse e molto caratteristiche. Il modo di operare rimane sempre lo stesso. Basta produrre il suono, che si vuol esaminare, con sufficiente energia avanti alla bocca dell'istrumento, il quale traccia da se la curva che si cerca.

La fig. 34 rappresenta alcuni dei casi più interessanti in questo riguardo. Ogni linea orizzontale contiene due curve alquanto diverse, che però appartengono al medesimo suono, e che si ottengono a seconda della maggiore o minore chiarezza e energia, con cui il suono è prodotto. Generalmente i suoni musicali netti danno curve più complicate e più caratteristiche, che non i suoni sbiaditi. Le prime cinque righe contengono le vibrazioni ottenute per la voce robusta d'un baritono che cantava il sol, pronunziando con maggiore o minore chiarezza le vocali A, E, I, O, U. La sesta e la settima riga contengono le curve ottenute col clarino e colla tromba; l'ultima finalmente contiene, a titolo di complemento, la curva ottenuta da Quincke con altro metodo per una corda vibrante, la prima metà, quando la corda era sfregata a 1/3, la seconda, quando era sfregata a 1/20 della sua lunghezza.

5. Tutte queste curve, tanto svariate, sono certamente interessanti, e fanno sorgere in noi un’altra questione: in che rapporto, cioè, stiano queste vibrazioni complicate colle vibrazioni più semplici, trovate per il corista. Si può facilmente dimostrare, che vibrazioni complicate possono considerarsi come la somma di 2, 3 o più vibrazioni semplici. Il problema posto così è troppo generale e voglio restringerlo al caso più semplice, che qui c'interessa.

Prendiamo un'esempio. Supponiamo, che siano date tre vibrazioni scelte in modo, che le loro lunghezze stiano inversamente come 1 : 2 : 3 [fig. 35]. Se ammettiamo, che queste tre vibrazioni debbano eseguirsi simultaneamente dal medesimo corpo, è assai facile di determinare la curva del movimento risultante.

A tale scopo basta tirare le linee verticali ab, a'b', a"b"..., prendere su queste i valori di ciascuna curva e sommarli insieme. Si disegna così la curva 4, in cui ogni linea verticale è uguale alla somma algebrica delle corrispondenti linee verticali delle prime tre curve. Quella, che risulta in tal modo, è la curva cercata.

Nell'istesso modo le curve della fig. 27 hanno un significato nettamente determinato. La curva 1 è semplice; la seconda risulta da due, che hanno le lunghezze come 2 : 1; la terza è formata dai rapporti 8 : 1.

Voi vedete da questi esempj, che una curva complicata può considerarsi come la somma di alcune curve semplici, e che la curva composta è diversa, secondo la forma e il numero delle curve semplici, che la compongono. Essa è, in tesi generale, tanto più complicata, quanto maggiore è il numero e complicata la forma delle curve componenti.

Ora dal momento, che curve semplici combinate insieme dànno curve complicate, si può domandarsi, se ogni curva complicata possa decomporsi in curve semplici? Posto così, il problema è molto generale e non può essere risoluto, che col mezzo del calcolo. Non mi sarebbe quindi possibile di entrare qui in tale materia. Ma l'importanza grandissima dell'argomento mi obbliga a dirvi almeno il risultato, a cui s'arriva. Il calcolo dimostra, che tale problema può essere sempre risoluto. Per quanto complicata sia la forma di una curva periodica, essa può sempre essere decomposta in un numero maggiore o minore di curve semplici, purchè queste siano scelte in modo, che i numeri relativi delle loro vibrazioni stiano nei rapporti semplici dei numeri progressivi 1, 2, 3, 4, 5, ecc.

Questo significa che una curva complicata, rappresentante per esempio le vibrazioni d'una corda, può essere sempre decomposta in una vibrazione semplice del medesimo numero, più in una di un numero doppio, più in una di un numero triplo, quadruplo, quintuplo ecc. di vibrazioni.

Ora siccome vibrazioni, i di cui numeri stanno come 1 : 2 : 3 : 4 : 5 ecc. formano i suoni di quella, che, abbiamo chiamato serie armonica, il risultato del calcolo può esprimersi acusticamente nel modo seguente: Ogni suono, le di cui vibrazioni hanno forma complicata, come quelle della corda, deve potersi decomporre in una serie di suoni semplici, appartenenti tutti alla serie armonica. Con questo teorema alla mano noi dobbiamo ritrovare in suoni composti tutti i singoli suoni semplici che li compongono, ed abbiamo così iniziato un secondo metodo sperimentale per studiare il timbro dei suoni.

6. L'esperienza dimostra, che i suoni delle corde non sono mai semplici, bensì accompagnati da suoni della serie armonica. Prendo per esempio un sonometro, e faccio suonare la corda in modo, che mi dia il suono fondamentale. Voi sapete, che i suoni armonici si ottengono dividendo la corda in due, in tre, in quattro ecc. parti [vedi conferenza prima], e che il suono fondamentale essendo uguale a 1, i suoni armonici sono rappresentati dai numeri progressivi 2, 3, 4, ecc.

Anche la sirena di Seebeck [fig. 26] serve benissimo a produrre i suoni armonici. Metto sull'asse di rotazione un disco, che contiene le seguenti serie concentriche di fori:

8, 16, 24, 32, 40, 48, 56, 64

che stanno nei rapporti

1 : 2 : 3 : 4 : 5 : 6 : 7 : 8,

ed ottengo così i suoni armonici del suono fondamentale in rapporti veramente esatti. Questi suoni non devono confondersi con quelli della scala musicale. Essi sono, specialmente i primi, molto più distanti l'uno dall'altro. Difatti dal suono fondamentale 1 si passa all'ottava 2, poi alla quinta dell'ottava 3, e alla seconda ottava 4; mentre nella scala musicale i suoni successivi sono notevolmente più ravvicinati.

Ciò posto, non è difficile dimostrare, che nella corda vibrante il suono fondamentale è accompagnato da suoni armonici. Per poco che si stia attenti, e senza dover ricorrere ad esperienze speciali, si sente col solo orecchio la presenza del terzo armonico. Quest'ultimo diviene sovratutto sensibile, quando il suono della corda è già affievolito, perchè il suono fondamentale s'indebolisce più rapidamente del terzo armonico, e lo fa quindi risaltare. Anche il quinto armonico si sente facilmente. Più difficili a sentirsi sono il secondo ed il quarto armonico, perchè essi rappresentano la prima e la seconda ottava del suono fondamentale, e si confondono facilmente con questo.

Lo stesso fatto s'incontra nelle corde del pianoforte. Facendo risuonare un suono piuttosto basso, per esempio un do, si sente facilmente l'ottava del sol successivo, che è il suo terzo armonico, e il mi dell'altra ottava, che è il quinto armonico. Anche gli altri armonici si sentono, ma più difficilmente. Il settimo armonico manca, perchè i pianoforti sono per lo più costruiti in modo, che il martelletto batta sulla corda press'a poco nel punto, che corrisponde al nodo del settimo armonico, vale a dire, batta a un settimo della lunghezza della corda, per cui la formazione di un nodo rimane in quel punto impedita.

Anche in altri istrumenti s'incontrano suoni armonici. Ma siccome riesce talvolta difficile il sentirli, perchè sono o troppo impastati col suono fondamentale, come è il caso nella voce umana, oppure troppo deboli, si può ricorrere con grande successo all'uso dei risuonatori di Helmholtz [vedi fig. 20].

Abbiamo visto [ conferenza] che questi non sono altro che casse armoniche di forma sferica o cilindroconica, che si adattano all'orecchio e che rinforzano, a seconda del loro volume, ciascuna un suono solo. Basta avere una serie di questi risuonatori per i diversi suoni che possono avvenire, per aver così un mezzo molto efficace, a persuadersi della presenza di un suono anche debolissimo in mezzo a' molti altri. Le ricerche fatte su questo argomento hanno dimostrato, che i suoni provenienti da diversi istrumenti musicali hanno suoni armonici diversi, o almeno in misura diversa.

Un suono, non accompagnato da suoni armonici, può essere talvolta dolce, ma esso è sempre smilzo, povero, e quindi poco musicale. Questo è il caso dei coristi. Anche le canne d'organo chiuse non hanno pressocchè suoni armonici. Ne risulta per esse un suono cupo, paragonabile alla vocale u, e poco aggradevole. I suoni armonici diventano quindi una condizione quasi necessaria per i suoni musicali propriamente detti. Quando il suono fondamentale è accompagnato dagli armonici più bassi 2, 3, ecc., esso acquista un carattere largo, aperto, pastoso. Se sono invece i suoni armonici acuti che prevalgono, il suono acquista un carattere stridulo od anche clamoroso, come per esempio nelle trombe ecc.

I suoni più ricchi in armonici sono quelli della voce umana e delle corde, ed è per tale ragione, che istrumenti di questo genere sono e saranno sempre i più musicali.

7. Il timbro dei suoni è quindi costituito dalla presenza, in maggiore o minore numero e grado, dei suoni armonici che accompagnano il suono fondamentale. Un suono musicale è sempre un suono composto, le sue vibrazioni sono più o meno complicate, ed esso solo costituisce già per una vera armonia, specialmente se gli manca il settimo armonico, il quale non fa parte del nostro sistema musicale. Ne segue che, se combiniamo insieme 2, 3 o più suoni musicali per farne un'accordo, non basta che i suoni fondamentali stiano in rapporti semplici fra di loro, ma bisogna che anche i suoni armonici si adattino a questa legge. Anche i suoni di combinazione, che si possono formare fra tutti questi suoni, devono rientrare nel medesimo sistema d'armonia. Noi arriviamo così a formulare una legge non solamente più vasta e più generale per l'armonia, ma come vedremo or ora, anche più semplice.

Difatti supponiamo che sia dato il suono fondamentale 1; i suoni armonici saranno rappresentati da 2, 3, 4, 5, ecc., per cui il complesso dei suoni è espresso da

1, 2, 3, 4, 5, ecc.

Supponiamo che sia data anche l'ottava, la quale è rappresentata da 2, e coi suoni armonici dai numeri raddoppiati

2, 4, 6, 8, . ecc.

Si vede, che in fondo l'ottava non possiede nessun suono nuovo. Essa non fa altro che ripetere alcuni dei suoni armonici del suono fondamentale; per cui combinando insieme suono fondamentale ed ottava, non si ottiene altro effetto, che di rinforzare alcuni suoni armonici già esistenti nel suono fondamentale. Ne segue, che suono fondamentale ed ottava non possono veramente considerarsi come due suoni separati; l'accordo di essi costituisce un suono solo col timbro alquanto modificato. E questo è quanto accade realmente per gli istrumenti ricchi in suoni armonici, come per esempio, nel violino.

Aggiungiamo ora a questo accordo anche la quinta, la quale è rappresentata da 3/2. I suoni armonici saranno, compresa la quinta stessa,

3/2, 3, 9/2, 6 ecc.

Di questi suoni alcuni come il 3, 6 ecc. sono compresi nel suono fondamentale, ma il 3/2, 9/2 ecc. sono suoni nuovi. L'accordo colla quinta è meno perfetto di quello coll'ottava. Ma noi possiamo renderlo più perfetto aggiungendovi, come rinforzo, l'ottava bassa del suono fondamentale, la quale è espressa da 1/2, e assieme ai suoi armonici da

1/2, 1, 3/2, 2, 5/2, 3 ecc.

Riferendo la quinta a questo suono basso, noi vediamo che tutti i suoni sono già compresi in questi; difatti il 3/2, il 9/2 ecc. sono il terzo ed il nono armonico del suono fondamentale 1/2. L'armonia diventa più completa in questo modo. Questa è la ragione, per cui l'accordo del suono fondamentale colla quinta e ottava suona alquanto vuoto e povero, e migliora notevolmente, quando gli si aggiunge l'ottava bassa del suono fondamentale.

Ad una conclusione consimile si arriva, aggiungendo all'accordo qui citato ancora la terza maggiore, la quale coi suoi armonici è espressa da 5/4, 5/2, 2, 15/4 ecc.

Questi suoni non esistono nel suono fondamentale, ma se vi aggiungiamo ancora la seconda ottava bassa espressa da 1/4, essi diventano tutti, se anche lontani, armonici di questo suono.

La conclusione è, che all'accordo perfetto di suono fondamentale, terza maggiore, quinta e ottava bisogna aggiungere ancora le due ottave basse, per renderlo veramente aggradevole. Tale conclusione è conforme a ciò, che l'esperienza aveva insegnato da moltissimo tempo. Difatti nella musica pratica questo accordo si scrive sempre, come è indicato qui sotto al numero 1, e non mai come è indicato al numero 2, o al numero 3.


Potrebbe parere strano, che nell'accordo perfetto il suono fondamentale colle sue ottave debba comparire quattro volte, mentre la terza e la quinta vi sono una volta sola, e si potrebbe vedere in ciò un disquilibrio fra i diversi suoni.

Certamente, colle leggi svolte nelle precedenti conferenze, quando si parli soltanto di rapporti semplici, tale preponderanza del suono fondamentale sarebbe inesplicabile. La ragione diviene evidente colle considerazioni fatte ora; essa sta in ciò, che nell'accordo perfetto tutti i suoni esistenti devono considerarsi come semplice rinforzo del suono fondamentale. L'accordo perfetto in fondo viene a essere un suono solo, molto musicale e con timbro assai ricco e notevolmente variato.

Si arriva così alla conclusione, che gli accordi sono tanto più aggradevoli all'orecchio, quanto meno essi aggiungono suoni nuovi al suono fondamentale; l'accordo più aggradevole di tutti, l'accordo perfetto, non ve ne aggiunge nessuno. Questa conclusione diventa tanto più evidente, quanto più i suoni, di cui disponiamo, sono ricchi di suoni armonici. Essa si spiega facilmente anche colla conformazione del nostro orecchio, il quale trova tanto più aggradevole un'accordo, quanto minore è lo sforzo fatto per comprenderlo.

8. Il timbro dei suoni non è però costituito soltanto dai suoni armonici, che in diversa misura accompagnano il suono fondamentale, ma anche da rumori più o meno distinti, che provengono dal modo speciale, con cui il suono è stato prodotto. Una corda, sfregata coll'archetto, lascia sempre udire il rumore di qualche cosa che gratta; nella bocca d'una canna d'organo si sente il soffio dell'aria; nel pianoforte s'ode distintamente il martelletto, che batte sulla corda, e così di seguito. Generalmente parlando, noi ci abituiamo fin dalla prima infanzia a udire questi rumori, perchè sono essi sovratutto, che c'insegnano a distinguere un'istrumento da un'altro, mentre i suoni armonici restano inavvertiti, quantunque essi siano molto più forti dei rumori anzidetti.

Difatti se i suoni armonici, che accompagnano il suono del violino, sono sempre i medesimi, come accade realmente salvo piccolissime differenze, non vi è per noi nella vita pratica alcuna ragione, di spingerci più in coll'analisi e di esaminare, se e in qual misura essi vi siano. Egli è per questo, che i suoni armonici rimasero inosservati per tanto tempo, e che ancora oggidì molti musici pratici non li conoscono, oppure li considerano come fenomeni subiettivi.

Il nostr'orecchio non va coll'analisi più in di quanto deve; esso ubbidisce anche in ciò a quella, che pare essere una legge fondamentale della natura, cioè, di ottenere i suoi intenti col minore sforzo o col minore lavoro possibile. Si può facilmente dimostrare, che l'orecchio non analizza suoni, alla concomitanza dei quali esso è da lungo tempo abituato. Prendo qui una serie di coristi, i quali mi dànno i suoni armonici. Li metto in azione e dopo poco tempo i loro suoni s'impastano talmente fra di loro, che pajono unico suono. Prendo ora un'altro corista, il quale mi per se un buon accordo col suono fondamentale, per esempio il 5/2, ma che non è un suono armonico del suono fondamentale 1. Appena lo metto in azione, la presenza di questo suono nuovo turba l'equilibrio dei suoni armonici; l'orecchio è ora indotto ad analizzare ciò che sente, e si odono distintamente tutti questi suoni. Per la stessa ragione riesce molto difficile il sentire i suoni armonici della voce umana, quantunque essi siano numerosi e fortemente pronunziati. Bisogna per ciò ricorrere a mezzi più minuti d'analisi, e in questo riguardo i risuonatori di Helmholtz sono della più grande utilità. Ma voglio nell'istesso tempo mostrarvi un'istrumento, fondato sull'uso dei risuonatori e costruito dal meccanico König in modo, da rendere visibili i fatti anche ad un'uditorio numeroso.

9. L'apparecchio [fig.36] è formato da otto risuonatori adattati per la serie armonica del suono fondamentale do. Nella parte di dietro, in ciascuno di essi, un tubo di gomma elastica mette in comunicazione l'orifizio con una capsula, chiusa da una membrana elastica. Avanti a questa entra il gas ed arde a guisa di fiammella molto mobile. Agli otto risuonatori corrispondono quindi otto fiammelle. Quando l'aria vibra in uno di essi, le vibrazioni si comunicano alla fiammella, e le vibrazioni di questa si osservano, come nella prima conferenza, col mezzo di uno specchio girante, che si muove mediante una manivella. Per sapere quindi se il suono di un dato istrumento o della voce umana contiene suoni armonici, e quali possano essere questi, basta produrre in vicinanza dell'apparecchio un suono, corrispondente per altezza al risuonatore più grande, vale a dire un do, il quale rappresenta il suono fondamentale. Allora, se vi sono suoni armonici, essi metteranno in azione i risuonatori e quindi le fiammelle corrispondenti, ed uno sguardo nello specchio girante basta, per farli immediatamente riconoscere.

Con questo ingegnoso istrumento si può dimostrare, che tutti gli istrumenti musicali hanno suoni armonici, e si vede immediatamente, quali siano questi suoni armonici. Lo stesso dicasi della voce umana, la quale è molto ricca di simili suoni. Basta difatti far cantare un do in vicinanza dell'istrumento, per vedere entrare molte fiammelle in vibrazione. Ma seguendo in ciò l'esempio di Helmholtz, voglio dimostrarvi che le diverse vocali, pronunziate mentre si canta una nota, dànno suoni armonici diversi. Per dimostrarlo, faccio cantare la nota fondamentale e in pari tempo pronunziare successivamente le diverse vocali. Si osservano così facilmente i suoni armonici, che accompagnano in diversa misura il suono fondamentale nel caso delle diverse vocali.

Si ottengono nel nostro caso i seguenti risultati:

La vocale u è costituita del suono fondamentale molto forte e del terzo armonico abbastanza pronunziato.

L'o contiene il suono fondamentale, il secondo armonico fortissimo, il terzo e il quarto leggiero.

La vocale a contiene, oltre al suono fondamentale, il secondo armonico debole, il terzo forte, il quarto debole.

L'e ha il suono fondamentale debole, il secondo armonico piuttosto forte, il terzo debolissimo; all'incontro il quarto è fortissimo, il quinto debole.

L'i ha gli armonici elevati, specialmente il quinto molto pronunziato.

Queste differenze, che si osservano facilmente, provengono dalla forma che assumono la bocca, la lingua e le labbra nel pronunciare le diverse vocali. Esse non sono sempre esattamente le stesse, perchè dipendono dal timbro della voce di chi le pronuncia, dal carattere speciale della lingua, in cui si pronunciano ed inoltre dall'altezza del suono prescelto come fondamentale. Quest'ultima cosa si comprende, quando si consideri, che la bocca funziona essa stessa da risuonatore di forma e di grandezza variabile. I risultati sono quindi complessi, e mi limito soltanto ad accennarli.

Ma se è vero, che il timbro delle vocali è costituito nel modo, che ho qui sommariamente indicato, bisogna potere riprodurre per sintesi le varie vocali, combinando suono fondamentale e gli armonici nella misura voluta. Questo lavoro è stato realmente eseguito da Helmholtz, il quale si servì a tale scopo di canne d'organo chiuse, che dànno, ciascuna per , suoni sensibilmente semplici. Egli le distribuì secondo la serie armonica, e combinandole insieme nel modo sopra indicato, giunse a far parlare alla canna fondamentale le diverse vocali in modo nettamente pronunziato. La dimostrazione è quindi completa e costituisce certamente uno dei grandi trionfi della scienza.


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