IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
X.a CONFERENZA. 1. Differenza tra scienza ed arte. – 2. Musica italiana e tedesca. – 3. 4. Distacco delle due scuole. – 5. Influenza di Parigi. – 6. Conclusione. | «» |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
1. Differenza tra scienza ed arte. – 2. Musica italiana e tedesca. – 3. 4. Distacco delle due scuole. – 5. Influenza di Parigi. – 6. Conclusione.
1. Le leggi del timbro sono fondamentali per la teoria dell'istrumentazione, ed abbracciano anche l'intera armonia. Grazie ad esse, tutto ciò che abbiamo finora esposto, si riduce ad unico principio, cioè: che le note musicali devono sodisfare alle leggi dell'armonia, e che questa è tanto più perfetta, quanto più i varii suoni di un'accordo rinforzano il suono fondamentale. Così il concetto della tonica e dell'accordo fondamentale perde il suo carattere di sola utilità pratica; esso ne diviene una conseguenza necessaria.
La scienza è arrivata ad abbracciare sotto unico punto di vista quella grande ed ammirabile congerie di fatti, che s'addimanda la storia e lo sviluppo della musica. Essa è in grado di dedurre rigorosamente le regole dell'arte musicale e potrebbe facilmente crearle una seconda volta, se per caso andassero smarrite.
Ma non vorrei, che queste mie parole generassero in voi l'idea, che la scienza voglia o possa sostituirsi all'arte. Nell'arte vi è una cosa, che sfugge ad ogni calcolo, che la scienza può bensì fino ad un certo punto spiegare, quando ha preso forma palpabile, ma che non può nè predire, nè modificare: questa è l'ispirazione poetica. Come la più profonda conoscenza della grammatica, della sintassi e della metrica non basta, per fare anche una mediocre poesia: così lo studio più accurato delle leggi dell'armonia e dell'istrumentazione non sarà mai sufficiente, a creare un compositore. Composizione e critica sono due operazioni dello spirito umano diametralmente opposte; esse devono darsi la mano, procedere possibilmente di comune accordo e completarsi a vicenda; ma il critico non sarà mai un grande compositore, nè il compositore un vero critico.
Se ho cercato dunque di passare con voi in rapida rivista i fatti più importanti della storia musicale, ho avuto soltanto in mira di dimostrarvi, come le creazioni le più fantastiche dell'uomo siano legate a certe leggi semplici, che la scienza ci ha rivelate. Tali leggi certamente non erano conosciute da quei grandi uomini di genio, che ci hanno lasciato nello loro opere un imperituro ricordo. Questi erano unicamente guidati dal sentimento, dalla fantasia e dall'ispirazione nella via da essi percorsa. La scienza è venuta dopo, e non ha fatto altro che rischiararla. E così rimarrà sempre anche nell'avvenire. Non ci verrà quindi mai in mente il voler pronosticare, cosa sarà la musica in cinquanta o in cento anni e se, esteticamente parlando, essa si troverà sulla branca ascendente o discendente della parabola; tanto più che i principii estetici, ai quali l'arte si è successivamente uniformata, non hanno valore assoluto. Ma possiamo dire con certezza, che non potrà mai essere accettata alcuna cosa, la quale si mostrasse contraria ai larghi principj, che la scienza ha ora stabiliti.
E con ciò il compito mio sarebbe finito. Ma non voglio lasciare questo interessante argomento, e non voglio chiudere queste mie conferenze, senza toccare ancora alcune questioni, che si sono molto agitate negli ultimi tempi e che appartengono al patrimonio artistico dell'Europa moderna.
2. Si parla molto della grande, sostanziale differenza, che passa fra la musica italiana e la musica tedesca. Si chiama la prima semplice, intelligibile, melodiosa; la seconda complicata, studiata, oscura, trascendentale. E si vuol trovare in ciò uno dei tratti caratteristici fra le due nazioni. È vero, che nel secolo scorso e nell'attuale la musica italiana ha coltivato di preferenza la melodia ed il canto; è vero altresì, che nella musica tedesca lo studio dell'armonia, delle masse corali ed istrumentali è stato portato ad un grado di perfezione ammirabile. Ma non è vero, che questo sia stato sempre così, e sarebbe un grande errore il volervi trovare là dentro un carattere proprio delle due nazioni.
Nel medio evo è stato precisamente il contrario: i primi secoli della musica polifonica sono contrassegnati in Italia da una complicazione immensa. Voci artificiosissimamente collegate, canti diversi fusi insieme con regole complicatissime e poco chiare: questo è il carattere della musica polifonica italiana fino ai tempi di Palestrina. La riforma protestante ha creato in Germania le armonie semplici e i semplici canti, musica chiara, facile e trasparente. Non vi è paragone possibile, quanto a semplicità, tra i primi canti protestanti e la musica dello stesso Palestrina, il quale fu pure il grande riformatore e semplificatore della musica polifonica italiana.
Dopo quell'epoca, quanto allo stile, le due nazioni hanno camminato quasi sulla stessa via. L'Italia prese decisamente il sopravvento, grazie all'enorme attività musicale che vi regnava, ed al numero considerevole di veri uomini creatori. Da quel momento il progresso fu rapido e continuo. Il Viadana scrisse le prime melodie e vi aggiunse, come accompagnamento, il basso continuo; il Carissimi e lo Scarlatti possono considerarsi come gli inventori del recitativo espressivo. A quest'ultimo, vero genio musicale, devesi l'invenzione dell'aria, la quale colla sua prima e seconda parte ed il daccapo rappresenta forse nella musica ciò, che la colonna rappresenta nell'architettura. Nei suoi tentativi di opera egli introdusse il recitativo obbligato ed iniziò per queste il passaggio dal primo al secondo stile italiano, passaggio che i grandi suoi discepoli ed emuli Durante, Leo, Greco operarono interamente. Grazie ai loro sforzi, la musica abbandonò il suo carattere di grande severità e le sue regole rigide di armonia e di contrappunto. Nelle loro mani ed in quelle dell'ardito novatore Claudio Monteverde, essa prese invece un notevole sviluppo istrumentale, con canti più largamente e più liberamente spiegati, seguiti da accompagnamenti più semplici e da portamenti più liberi. All'andamento austero furono sostituiti sentimenti chiari, semplici, ingenui. Bellezza plastica, misura giusta, mantenuta con grazia e con fine discernimento in mezzo a canti bellissimi: ecco il carattere, che la musica assunse nel 17.° secolo, carattere che si riscontra specialmente nella musica di chiesa; meno nell'opera ove la forma rimase, non ostante tutti gli sforzi, ancora molto primitiva.
Questo movimento si continua anche nel 18.° secolo. Accanto alla musica di chiesa si sviluppa sempre più l'opera, ed alla storia di tale movimento restano uniti i nomi di Pergolese, Piccini, Sacchini, Jomelli, Cimarosa, Paesiello. Questa attività creatrice si comunica anche alla Germania, ove essa prende nuove forme ed uno sviluppo sorprendente. Uomini corno Händel, Haydn, Bach, Gluck, Mozart diedero alla musica una larghezza di idee meravigliosa. Ma, meno il Gluck, essi devono considerarsi come fecondi e geniali continuatori del movimento italiano, movimento che si fece con intendimenti poco diversi dai nostri. Per persuadersi, quanto poco fossero allora distanti le due scuole, basta confrontare il Matrimonio segreto di Cimarosa colle Nozze di Figaro di Mozart. Si direbbero due lavori usciti dalla medesima scuola e composti da due fratelli in arte, dei quali il primo era più facile, più brioso e più elegante, il secondo più largo, più ricco e più profondo.
Il distacco fra la musica tedesca e l'italiana avvenne sovratutto per opera di Gluck e di Beethoven da un lato, per opera di Rossini dall'altro. Mentre fino alla metà del secolo passato le due scuole erano poco diverse fra di loro, mentre dunque la musica italiana rassomigliava molto alla tedesca, la parte esecutiva prese in Italia una via diversa. Il secolo passato è il secolo del grande canto italiano. L'Italia sorprese il mondo col numero di cantanti esimii che offrì, e col metodo serio e sodo, con cui le sue scuole di canto erano organizzate.
Questi cantanti percorsero l'Europa di trionfo in trionfo, festeggiati dappertutto e idolatrati in misura quasi incredibile. Ma appunto la grande importanza, alla quale salì la scuola italiana di canto, doveva essere la causa della sua decadenza intrinseca. I cantanti incominciarono a considerarsi come la cosa la più importante e come il pernio, su di cui posava la grandezza della musica italiana. Per essi la composizione divenne il pretesto, il brillare il più possibile lo scopo principale. Ne avvenne che, la musica essendo troppo semplice per offrir loro il mezzo di brillare, essi sostituivano a melodie semplici melodie più complicate, intercalandovi gruppetti e trilli, cadenze e fioretti d'ogni genere, con manifesto sfregio fatto al compositore e al buon gusto musicale. I grandi maestri d'allora subirono questo stato di cose, perchè impotenti a rimediarvi. Venne Rossini, il quale pensò, che era meglio scrivere da sè melodie complicate con scale, cadenze e difficoltà d'ogni genere, perchè così almeno il buon gusto poteva essere in parte salvato. Egli fece come certi politici, i quali si mettono alla testa del movimento, colla speranza di poterlo meglio dominare.
La ricchezza e la varietà delle sue forme sono veramente ammirabili; ma è evidente, che il vero concetto musicale doveva soffrire sotto quei continui trilli e gorgheggi. Un solo genere, per cui questa forma leggiera e svariatissima pare adattarsi, è l'opera buffa, ed in questo riguardo Rossini ci ha lasciato nel Barbiere di Siviglia un modello imperituro di grazia e di freschezza. Per l'opera seria Rossini abbandonò quasi completamente, negli ultimi suoi lavori, questo genere di scrivere. L'ultima sua opera, il Guglielmo Tell, è interamente priva di fioriture ed arriva in certe parti, come per esempio nel terzetto e nella congiura del secondo atto, ad un'altezza impareggiabile.
Ma questo modo più castigato e corretto di Rossini si è fatto fuori d'Italia, con tendenze ed idee diverse da quelle che qui regnavano. Per l'Italia il distacco era fatto, e non poteva più essere facilmente distrutto. La musica prese sotto i suoi successori più importanti, come il Bellini ed il Donizetti, il carattere di un canto semplice, talvolta profondo e sentito, spesse volte leggiero, superficiale e dolciastro. L'impressione, che ha prodotto e che produce ancora l'autore della Norma coi suoi canti bellissimi e profondamente sentiti, l'interesse che c'ispira Donizetti per l'eleganza dello stile nei migliori suoi lavori, non devono però farci dimenticare, che il soverchio canto non si adattava più alle condizioni del teatro moderno. Salvo molte e belle eccezioni, il sentimentalismo prese il posto del vero sentimento; l'espressione drammatica fu in gran parte trascurata, e talvolta neppure cercata. Venne il Verdi, il quale comprese, che quel continuo canto avrebbe finito per corrompere gli animi. Al bel canto egli sostituì il movimento, il quale non era ancora sentimento drammatico, ma conteneva in sè forza e vigore, se anche talvolta in forma rozza. Questo modo di scrivere si trovò vagamente d'accordo colle aspirazioni nazionali. L'Italia rinasceva allora a nuova vita: essa aveva bisogno di movimento e di emozioni forti. Il patriottismo s'impossessò quindi della musica verdiana, la rese estremamente popolare e ne usò ed abusò largamente. Ma il buon gusto musicale e le scuole di canto ne soffrirono moltissimo. Negli ultimi tempi Verdi ha notevolmente modificato la sua maniera di scrivere, ed egli accenna apertamente ad avvicinarsi di più alla scuola germanica, od almeno a diminuire la grande distanza, che ora separa la nostra musica da quella. Dal Nabucco e dall'Ernani al Rigoletto ed al Ballo in maschera, e da questi all'Aida il progresso è stato continuo su questa via. Gli esempj, d'altronde conosciutissimi, sono dibattuti dappertutto con interesse e con passione.
4. Prima che il distacco avvenisse per parte dell'Italia, esso fu operato dal lato della Germania. Gluck introdusse e sviluppò mirabilmente il concetto della musica drammatica, la quale si pone per iscopo di adattare meglio la musica alle parole, e di creare musicalmente un lavoro d'arte, capace di produrre negli uditori le stesse sensazioni, che produce il testo che l'accompagna. In questo riguardo la musica è una miniera inesauribile di effetti veramente artistici. Essa supera in molti punti la poesia, tanto nell'espressione del terribile, quanto in quella dei sentimenti veramente gentili. Per persuadersene, basta rammentare di cose moderne la scena d'amore tra Faust e Margherita, descritta musicalmente da Gounod, per concludere che la grande poesia di Göthe in quel punto non solo non vi ha sofferto, ma che l'effetto si è piuttosto modificato e idealizzato, anzicchè diminuito. Basta ricordare ancora il duetto tra Raoul e Valentina negli Ugonotti, in cui tutte le sensazioni, dal patriottismo all'amore, dall'amore al terrore, sono descritte con vivacità e con sentimento impareggiabile, che non ostante alcune esagerazioni colpiscono profondamente; infine, la terribile scena del Freischütz di Weber, ove il terrore è portato al più alto grado dell'espressione musicale. La musica, che in molti riguardi rimane inferiore alla poesia, le si dimostra invece superiore in altri, ove l'effetto drammatico ed il sentimento sono profondamente accentuati.
Un distacco ancora maggiore venne per il fatto di Beethoven, il grande e vero creatore della musica istrumentale moderna. Da quell'epoca in poi la scuola tedesca si separò sempre più e più dalla comune via, battuta insieme colla scuola italiana. Mendelssohn, Schumann, ed infine Wagner non sono altro che una graduazione continua su tale via. La musica acquistò sempre più carattere istrumentale, e il canto libero venne trascurato. Per esprimerci con una frase divenuta celebre, che è forse esagerata, ma che dipinge acremente lo stato attuale delle cose, diremo che nella musica italiana l'orchestra era diventata una grande chitarra, destinata ad accompagnare il canto; ma diremo pure, che nella musica tedesca i cantanti erano divenuti istrumenti d'orchestra ambulanti. Bisogna però convenire, che mentre nel nostro secolo la musica italiana accennava ad un sensibile decadimento, in Germania essa si mantenne elevata. Lo studio dell'armonia e dei grandi movimenti d'orchestra, il sentimento profondo e l'espressione drammatica, non ostante alcune esagerazioni troppo realistiche o ricercatezze di poco valore, furono portati ad un alto grado di perfezione, per l'impulso geniale di Riccardo Wagner. A lui devesi, se ai libretti quasi sempre scipiti e che servivano di magra scusa ai componimenti musicali, venne sostituita una poesia più maschia e più indipendente. L'unione più stretta della poesia e della musica, in cui tutte e due le arti camminano di pari passo, senza che l'una soffochi l'altra, costituisce forse il carattere più saliente e più bello della sua musica, la quale si mantiene quasi sempre elevata, ricchissima e vi trasporta in una sfera ideale.
Dico questo, non ostante tutto il clamore, che al di qua ed al di là delle Alpi si è elevato contro la musica dell'avvenire. Le si rimprovera, di essere troppo studiata e ricercata, e di rivolgersi non al sentimento, ma al calcolo ed alla combinazione. Ma basta sentirla con attenzione e senza partito preso, per persuadersi delle grandi e molte bellezze, che essa rinchiude. La sinfonia del Lohengrin, il canto di questo al cigno, molte cose del Tannhäuser, ed altre ancora provano bene il contrario. Questa musica ha avuto il grande ed in uno triste privilegio, di suscitare delle passioni quasi incredibili in suo favore e contro. Ma quando queste passioni si saranno calmate, credo che non si potrà negarle il carattere di un grande poema musicale, i di cui limiti si estendono molto al di là della cerchia nazionale, per cui fu scritta.
5. Finalmente dobbiamo tener conto di un terzo fattore importante nella storia della musica. È l'influenza esercitata da Parigi sull'andamento delle idee musicali. Se si eccettui l'opera comica, da non confondersi colla nostra opera buffa, opera comica, nella quale eccelsero Grétry, Boieldieu, Hérold, Auber ed altri, si può dire che i Francesi non sono stati veri creatori in musica. Ciò nonostante l'influenza di Parigi è stata grande ed incontestabile nella storia dell'arte. Posta, per così dire, ad ugual distanza dalle due nazioni musicali, grazie alla splendidezza della vita parigina ed anche alla sua smania di divertimenti, Parigi divenne uno dei centri importanti, ove si dibatterono molti e gravi problemi musicali. È là, che sorse la lotta tra i seguaci della musica severa di Gluck e la musica melodiosa di Piccini. È là, che l'italiano Cherubini trovò colle sue tendenze di musica germanica un posto onoratissimo. È là, che Meyerbeer abbandonò il primo suo stile e creò il Roberto il Diavolo, gli Ugonotti ed il Profeta, che per la grandiosità del concetto renderanno imperitura la sua fama. È là infine, che i migliori nostri maestri sono andati in cerca di un giudizio competente ed hanno modificato il loro stile. Il Guglielmo Tell di Rossini, la Favorita e il Don Sebastiano di Donizetti, infine parecchi lavori del Verdi sono sorti in questo modo. L'influenza di Parigi può definirsi così: d'insistere, affinchè fosse creato un tipo di musica, il quale contenesse in sè i pregi delle due scuole italiana e tedesca, senza le loro esagerazioni. Questa scuola è dunque eminentemente eclettica, ed ha trovato la soluzione dei suoi problemi nell'appoggiarsi fortemente alla musica drammatica. Essa mantenne così la melodia ed il canto italiano, ma limitato a quei casi in cui è compatibile coll'espressione drammatica. Essa ha adottato i grandi movimenti corali e d'orchestra della Germania, dando ad essi un'importanza conveniente. Essa infine ha cercato l'intimo rapporto fra le parole e la musica col desiderio, più espresso che mantenuto, di non subordinare nè il primo al secondo, nè il secondo al primo.
Il carattere di questa scuola si ritrova pure nei compositori francesi, che hanno scritto opere drammatiche. Halévy, Gounod, Auber stesso nella sua Muta di Portici, hanno camminato su questa via. Checchè si pensi in genere delle cose eclettiche, l'ecletticismo della scuola di Parigi ha avuto una vera importanza: esso deve considerarsi come un tentativo molto serio e in parte riuscito, di riunire due scuole, le di cui tendenze erano molto diverse, sotto un punto di vista comune. E da questo tentativo scaturirono nobili concetti e grandiose opere d'arte, le quali eserciteranno anche sull'avvenire una vera e grande influenza.
6. Quanto all'avvenire medesimo, non spetta alla critica musicale, nè a quella scientifica, il volerne prevedere l'andamento. Ci guarderemo quindi dall'emettere un parere in questo riguardo. Ciò che a noi importava di dimostrare, era: che la musica si è sviluppata con delle regole, le quali dipendevano da leggi della natura sconosciute ed ora note; ch'essa non potrà mai allontanarsi da tali leggi, e che entro queste vi è un campo assai vasto ed aperto a tutti i conati della fantasia umana. C'importava inoltre di dimostrare che molti giudizi, che corrono in Italia e fuori, sul valore di tale o tale altra scuola, di tale o tale altro maestro, sono per lo più ristretti, perchè purtroppo la vera coltura musicale è trascurata in Italia.
Noi consideriamo come indispensabile alla nostra coltura letteraria il conoscere non solamente gli autori moderni, ma anche gli autori antichi e di tutte le nazioni. Ma in riguardo musicale noi, pressocchè tutti, non conosciamo che gli autori di questo secolo e fino a pochi anni fa, non conoscevamo che soltanto gli italiani. È una povertà d'idee e di cognizioni, che non può e non deve durare; perchè essa produrrebbe infallibilmente la decadenza musicale della nazione.
Questo fatto ci pare tanto grave, che dobbiamo insistere con tutte le nostre forze sulla necessità di porvi un pronto riparo. Non sappiamo comprendere, come i municipi, molti dei quali spendono considerevoli somme per i teatri, non debbano spendere queste somme per favorire ed aumentare la coltura musicale del paese, anzicchè per divertire le masse con spettacoli spesse volte insulsi e senza alcun significato. Noi crediamo quindi nostro dovere, di richiamare su questa grave lacuna dell'educazione popolare l'attenzione pubblica, avvertendo che il teatro, e specialmente il teatro sussidiato, deve essere un luogo d'educazione, e non di semplice divertimento. Non è il nostro compito d'indicare, come tale nobile scopo possa essere raggiunto, e sovratutto non sarebbe questo il luogo di studiare una simile questione. Ma non abbiamo neppure bisogno di dire, che tale problema non è nè difficile, nè complicato, e che, posta una volta la questione, si troveranno certamente gli uomini capaci di risolverla in modo soddisfacente.
FINE.
[1] Il tanto e troppo decantato do diesis di Tamberlik.
[2] Alcune voci, meravigliosamente dotate, hanno avuto limiti più estesi; le voci della Cruvelli, della Catalani, della Patti, della Nilsson rimarranno per ciò celebri. La voce più alta pare essere stata quella della Bastardella, che Mozart udì a Parma nel 1770, la quale aveva 3½ ottave e arrivava fino a quasi 2000 vibrazioni. Anche la voce dei castrati, e specialmente quella del celebre Farinelli, aveva limiti estesissimi.
[3] Già Eulero aveva rimarcato l'importanza dei numeri 2, 3, e 5, ed aveva su di essi stabilita una regola per lo sviluppo del nostro sistema musicale.
[5] Al capo 4 verso 21, parlando della generazione di Caino dice: «E il nome del suo fratello fu Jubal. Esso fu padre di tutti coloro che maneggiano la cetra e l'organo.» Queste parole non provano mica, che l'organo sia già esistito allora, ma sono certamente caratteristiche.
[6] Negli ultimi tempi il signor Cornu ha fatto delle esperienze ingegnosissime, nelle quali egli misurava direttamente le vibrazioni, prodotte da buoni cantanti e buoni suonatori di violino, mentre questi eseguivano una melodia pura colla massima attenzione possibile. Egli costatò così, che questi non si servivano della scala esatta e neppure della scala temperata, ma invece di una scala poco diversa dalla pitagorica. Per cui egli concluse, che la scala pitagorica deve ancora sempre considerarsi come la scala della melodia, mentre la nostra scala moderna deve riguardarsi come la scala dell'armonia.
Veramente questa distinzione, ove esista realmente, non ha una grande importanza pratica, perchè melodia pura senza armonia non esiste più al giorno d'oggi e non sarebbe neppur gustata. E basta, che un canto sia accompagnato dalla più semplice armonia, per obbligare il cantante ad adoperare la scala dell'armonia, onde impedire le stonature. Tuttavia il fatto è in se stesso molto interessante e merita di essere esaminato con cura. Esso dimostrerebbe una certa tendenza in noi, di seguire nella melodia la scala pitagorica, e darebbe una base molto naturale alla melodiosa musica greca.
[7] L'effetto è più sicuro e le curve, che si ottengono, sono più belle e più nitide, quando si rovescia la leva di midollo di sambuco, la si attacca soltanto in un punto nella parte centrale della membrana e si munisce la leva rettangolata di una cerniera, affinchè possa muoversi liberamente. Le curve che ne ottenni ultimamente, sono molto più belle e più caratteristiche di quelle rappresentate nella fig. 31.
«» |