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IV.
LE CAUSE - IL MALCONTENTO IN ALTO.
Alla descrizione del movimento socialista siciliano nelle sue fasi e nelle sue condizioni attuali parmi opportuno far seguire un breve studio sulle cause, che lo hanno fatto assorgere ad una importanza, che non ha riscontro sul continente italiano; studio utile perchè somministra le migliori e più esatte indicazioni sulla condotta da seguire per regolarlo.
Il Prof. Lombroso, ch'è rimasto colpito dal rapido sviluppo del socialismo in Sicilia, per ispiegarlo attribuì un'azione8 preponderante al miscuglio delle razze e al clima. Senza intrattenermi di questo secondo fattore, la cui esagerata influenza ho dimostrato insussistente nella Sociologia Criminale (Vol. 2°), osservo sulla prima che a torto adesso lo si invoca.
I contatti tra razze diverse certamente producono fermenti insoliti e acceleramento della vita sociale: Carlo Cattaneo, precedendo9 il Gumplowicz e parecchi altri etnologi e sociologi contemporanei, giustamente lo affermò. Non è il caso di ricorrere a questa spiegazione oggi in Sicilia dove le razze sono fuse da oltre dieci secoli e dove la miscela non sarebbe nè maggiore, nè più recente che in Lombardia o nel Napolitano.
Alcune alte autorità, che non hanno coltura sufficiente per comprendere che una propaganda che non trovasse l'ubi consistam nelle opportune condizioni sociali, rimarrebbe sterile e forse neppure sarebbe tentata, attribuiscono tutto all'azione degli agitatori, dei demagoghi, come essi li chiamano per designarli al disprezzo pubblico; e agli agitatori assegnano moventi non confessabili. Dicono che questi ultimi sono mossi dall'ambizione di divenire consiglieri comunali e provinciali o anche deputati; osano affermare che si volle fare il giuoco di Crispi e rendere necessario il suo ritorno al potere; che si aspira alla separazione col protettorato inglese, sotto il quale Malta fiorisce; che la Francia soffia nel fuoco e vuole trarre partito di un movimento insurrezionale da lei favorito; che tutto il movimento non è che una manifestazione brigantesca e che la organizzazione non è socialistica, ma modellata e inspirata dalla mafia.
La maggior parte di queste affermazioni rappresentano calunnie tanto odiose, quanto ridicole. Per quella piccola parte di vero che c'è dirò che bisogna non conoscere il cuore umano per meravigliarsi che l'ambizione si annidi nel cuore di qualche giovane intraprendente: essa anzi è un grande stimolo a mutare ed a progredire; e senza ambizione si può dire che non vi sono nell'attuale organizzazione sociale se non gl'inetti e i disgustati dalla vita pubblica. Tutto sta nel modo come si esplica e si cerca di soddisfare; e in quanto a questo, io che conosco quasi tutti i giovani, che stavano alla testa dei Fasci dei lavoratori posso assicurare con serena coscienza, ch'essi sono davvero eccellenti nella grandissima maggioranza10.
E non a torto l'on. Comandini ha descritto, in una delle sue corrispondenze, la jeunesse dorée del socialismo siciliano, simpaticamente, come dedita allo studio e alla propaganda. Il caso non è nuovo e non deve affatto sorprendere11. Chi non ricorda il lavorio di demolizione di tutte le vecchie credenze che venne fatto in Francia nel secolo scorso da buona parte della jeunesse dorée? E chi non sa che al nihilismo i martiri e gli eroi più belli vennero dalla borghesia e dalla aristocrazia?
In quanto alla ingerenza e all'influenza della mafia e del brigantaggio, l'accusa è iniquamente bugiarda. Qualche ammonito, e davvero pochi, faceva parte dei Fasci; ed a me che una volta deplorai il fatto si rispose: «dunque non si dovranno mai riabilitare? E perchè si meravigliano di qualche ammonito ch'è nei Fasci se hanno mandato Tanlongo in Senato e tanti ladri del pubblico denaro stanno in Parlamento? E perchè desta tanto scandalo un disgraziato che violò la legge per miseria per ignoranza e viene da noi paternamente accolto, mentre si trova regolarissimo che il Barone Tizio sia sindaco, sebbene abbia passato qualche anno in carcere sotto gravissima accusa; e il Conte Filano tenga ai suoi ordini, come bravi, i peggiori mafiosi dell'isola? Cristo, del resto, impone il perdono!»
Questo linguaggio semplice, onesto, elevato fu tenuto anche a Piana dei Greci a Rossi della Tribuna.
Mi piace aggiungere che a me consta, che alcuni ammoniti da che erano stati ricevuti nei Fasci avevano tenuto una condotta irreprensibile. E il fenomeno non è nuovo, per quanto possa sembrare strano a coloro che non conoscono il cuore umano. Ci fu in Sicilia nel 1893 un leggero aumento nella delinquenza; ma fu anche maggiore in gran parte del continente senza che vi fossero Fasci, ma per le cause sociali generali.
Se s'ingannano da pessimisti le autorità politiche e le classi dirigenti, o vogliono ingannare, non si appone neppure al vero il Bosco nella parte in cui si abbandona ad un ingenuo ottimismo e adduce come fattori concomitanti del progresso del socialismo in Sicilia lo sviluppo intellettuale e morale delle masse. Questo sviluppo è tale meschina cosa che davvero non avrebbe potuto dare i risultati che gli vengono attribuiti. L'analfabetismo e la delinquenza - negli omicidî Caltanissetta e Girgenti hanno il primato assoluto - nell'isola sono altissimi, e la lasciano a grandissima distanza dal Piemonte, dalla Lombardia, dal Veneto, dalla Toscana, dove il socialismo è assai meno rigoglioso in questo momento12.
Ispira simpatia il caso citato dal Rossi della Tribuna di quei socî del Fascio, poveri anch'essi, che si quotizzarono per ricomprare il mulo al compagno che l'aveva perduto, come si farebbe nella Zadruga degli Slavi meridionali. Ma il caso isolato non autorizza affatto il Bosco a scrivere: «Moralmente il nostro contadino è di molto migliorato. Egli a poco a poco va spogliandosi della laida veste dell'egoismo e sente vivo l'amore pel prossimo; egli che non comprendeva nemmeno l'amore per la famiglia, ama oggi il fratello di dolore e lo aiuta in tutto quello che può. E di azioni veramente altruistiche, che indicano un grande progresso morale, potremmo citarne a centinaia(!!)»
Questa è poesia bella e buona; la realtà è diversa e si avvicina molto a quel materialismo economico da cui un discepolo di Marx non avrebbe dovuto discostarsi.
La realtà è questa: in Sicilia c'è un grande malcontento pel malessere economico aggravato dalle condizioni politiche; malcontento che spinge alla protesta e alla reazione, coadiuvato dall'influenza ereditaria e dalle tradizioni locali. Il malcontento ha cause economiche generali e ne ha particolari che lo hanno reso più rapidamente sensibile: il malcontento è in alto e nelle classi dirigenti, che a forza di mormorare e di protestare hanno incitato il popolo ad imitarle; e col malcontento in alto sono venuti meno i freni morali e materiali, che avrebbero potuto rattenere e moderare il malcontento irrompente in basso.
Tra le classi dirigenti il malumore serpeggia e si accresce con prodigiosa rapidità per tutte le cause generali, che agiscono in tutta Italia e che trovano l'addentellato e nella politica interna e nella politica estera e in tutte le esplicazioni della vita pubblica. Di questo stato dell'animo delle classi dirigenti dettero un saggio i grandi proprietarî di Sicilia - senatori, deputati, duchi, principi, marchesi, baroni, cavalieri ed anche avvocati nullatenenti - che riuniti nella sala Ragona in Palermo, in numero di duecento, applaudirono freneticamente un rapporto del Comitato promotore, che nella parte generale - dovuta al senator Guarneri - dice in principio così: «I deplorabili moti, - promossi da quali agitatori e da quali intenti l'Italia oggi non ignora - che sono scoppiati, non sarebbero avvenuti, o almeno non avrebbero tanto attecchito se in tutta l'isola non regnasse il più profondo malcontento ed universale malessere, nato da lunghi anni di trista amministrazione.» (p. 3) Dopo questa constatazione che valore possono avere le sciocche invettive contro i sobillatori?
I proprietarî si lamentano acremente per la gravezza delle imposte erariali, provinciali e comunali, e in parte si lamentano a torto i grandi proprietarî, che se molto pagano non possono e non devono negare che dal 1860 in poi hanno visto aumentare vistosamente i loro redditi. Il prof. Salvioli afferma che nel circondario di Mistretta i fitti raddoppiarono: in provincia di Catania aumentarono di circa un terzo ed in qualche zona del doppio, fino al 1881. Così in quella di Siracusa e di Caltanissetta. In provincia di Trapani l'aumento variò dal 30 al 100%. (Gabellotti e contadini in Sicilia ecc. nella Riforma Sociale del Nitti 10-25 marzo 1894). Le ricerche di altri agronomi e le mie confermano questo aumento straordinario nei fitti: e in questo come in tanti altri casi continua la rassomiglianza tra la Sicilia e l'Irlanda13. Inoltre il prodotto delle imposte di ogni genere in maggior parte venne speso a vantaggio degli stessi proprietarî. Molte strade comunali e provinciali, che hanno rovinato i corpi locali sono state costruite a loro esclusivo beneficio: e su di alcune si narrano intrighi e imposizioni scandalose per farle votare ed eseguire. Le imposte e le spese così riuscirono spesso ad aumentare la ricchezza dei proprietarî.
In Sicilia, eziandio, a produrre una speciale perturbazione economica ha contribuito un fattore, che avrebbe dovuto essere benefico e che sotto certi punti di vista tale realmente è riuscito. Alludo al censimento dei beni demaniali e dell'asse ecclesiastico.
Qui da dieci secoli le corporazioni religiose, le confraternite ecc. avevano ricevuto doni dai fedeli ed accumulato ricchezze enormi. Nel 1860 si può ritenere che esse possedevano oltre 190,000 ettari della migliore terra malamente coltivata sì, ma il cui prodotto veniva consumato localmente. Il generale Garibaldi vide il pericolo che derivava dalla esistenza di tale vasta manomorta ed il vantaggio che si poteva ricavarne distribuendola in piccoli lotti ai lavoratori; ma il suo ottimo pensiero fu svisato completamente poco dopo.
Il governo italiano, che successe alla Dittatura, ad un elevato fine economico-sociale ne sostituì uno puramente fiscale: e col censimento, che seguì alla soppressione delle corporazioni religiose, si costituì una risorsa finanziaria compiendo una vera spogliazione a danno dei Comuni, cui accordò in teoria un quarto della rendita dei beni delle suddette corporazioni - assottigliata da imposte e prelevazioni di ogni sorta - ma in fatto la negò con ogni sorta di tergiversazioni e di litigi14.
«La Sicilia è entrata nella grande famiglia italiana con un debito pubblico di appena ottantacinque milioni in capitale, e con un lieve bilancio di sole lire 21.792,585. E a dippiù dessa vi ha arrecato il suo tesoro, accumulato da lunghi secoli, dei beni ecclesiastici e demaniali. Però dessa vi è entrata al tempo stesso povera di opere pubbliche, cioè di mezzi di viabilità di ogni genere, di lavori portuali, e di bonifiche di qualunque natura.
La censuazione dei beni ecclesiastici, e la vendita di quelli demaniali ha avuto luogo, non a scopo sociale, non a sollievo delle classi agricole, ma a fine di lucro, e di finanza, e quest'Isola ha dovuto ricomprare le sue terre chiesastiche e demaniali, e allibertare le sue altre proprietà immobiliari, erogandovi la colossale somma di quasi 700 milioni, che sono stati sottratti alla bonifica delle altre sue terre.
Ed il quarto dei beni ecclesiastici, attribuito dalla legge del 7 luglio 1866 ai comuni dell'Isola, è stato davvero derisorio, giacchè (incredibile a dirsi, ma pure vero) il valore di questi beni a riguardo dei detti comuni, è stato calcolato in base alle vilissime dichiarazioni del clero di Sicilia, per il soddisfo della tassa di manomorta del 4%. E da questo nominale valore sono stati dedotti il 30% attribuito allo Stato giusta la legge del 15 agosto 1867, e dippiù il 4%, di tassa di manomorta, ed un altro 5% per ispese di amministrazione. Però tutte queste deduzioni sono stato ragionate sul valore effettivo dei cennati beni; e sottratte in oltre le pensioni dovute ai membri degli Enti soppressi. Sicchè nulla, o quasi nulla, han percepito sin oggi dopo più che un quarto di secolo, i Comuni del cennato quarto di beni. Anzi il Demanio ha richiesta la restituzione delle poche somme, per tale causa, pagate a qualche Comune.
Or dietro tanti sacrifici che quest'Isola ha, per virtù di patriottismo, accettati, dessa avea bene il diritto di vedersi equiparata alle altre regioni d'Italia nelle condizioni di viabilità, o di miglioramento di ogni genere.»
Mi associo di tutto cuore alla osservazione del Comitato promotore, che vorrei vedere tenuta nel dovuto conto da coloro che credono nella generosità del governo italiano verso la Sicilia. Però devo notare che la valutazione dei beni dell'asse ecclesiastico fatta dalla relazione dei grandi proprietarî - secondo i dati fornitimi gentilmente dal Comm. Simeone, direttore generale del Demanio - è troppo esagerata.]
Coll'incameramento e col censimento eseguito con criterî fiscali, dal punto di vista sociale il progresso fu poco, perchè alle corporazioni nelle proprietà della terra si sostituì a poco a poco il grande proprietario, checchè ne abbia pensato il Prof. Corleo, ch'era un poco interessato a difendere il modo come s'era praticato il censimento; il competente Prof. Basile, anzi, arriva a dire, «che si sono vendute tutte le terre appartenenti una volta alle manimorte e sono state acquistate da proprietarî oziosi, da far comparire manivive i monasteri di una volta.» (La quistione dei contadini in Italia. Messina 1894).
Dal punto di vista economico l'isola subì tutte le conseguenze dell'assenteismo; poichè il prodotto della terra e del lavoro - in gran parte sotto forma di canone - emigrò tutti gli anni al di là dello stretto per essere consumato a Roma e nell'alta Italia, dove per ragioni geografiche, politiche e militari lo Stato spende una somma maggiore di quella che vi esige.
L'assenteismo - quest'altro male caratteristico dell'Irlanda - generato dal governo in Sicilia, si complica per dato e fatto di alcuni privati, che vi hanno grandi possessioni - Duca d'Aumale, duca di Ferrandina, duca di Monteleone, Principe di Trabia, Principe di S. Elia, Principe di Belmonte, ecc. - e che vivono, i più, nel continente italiano, in Francia o in Ispagna. I danni enormi economico-sociali dell'assenteismo vennero riconosciuti da tempo dal Sonnino, dal Baer (nel suo eccellente studio sul Latifondo in Sicilia nella Nuova Antologia del 15 aprile 1883) e di recente dal Cavalieri, da Monsignor Carini, dal De Rosa, ex-prefetto di Caltanissetta, dal senatore Faraldo, ex prefetto in Sicilia (Alcuni riflessi sui casi succeduti in Sicilia) ecc. ecc.
Questa causa di depressione economica, che agiva lentamente, da recente fu resa più energica colle facilitazioni allettatrici, che accordò lo Stato per lo affrancamento dei censi sui beni dell'asse ecclesiastico; i cui possessori assunsero impegni superiori alle loro forze, s'indebitarono - e contribuirono ad accrescere le immobilizzazioni bancarie - e mandarono al centro, non il reddito annuo ma l'importo delle terre censite e sottrassero alla vita economica del paese un ingente capitale.
In questo modo si crede, ed a me pare che la credenza sia giustificata, che l'isola abbia dato all'Italia più di quanto ha ricevuto; ed ha sicuramente ricevuto meno di quanto le si doveva sotto forma di strade, che sarebbe stata la più utile delle restituzioni sotto tutti gli aspetti. Lo Stato, altresì, a cagione della sua organizzazione centralizzatrice sino all'assurdo, agisce sulla periferia come una pompa aspirante, che restituisce solo in minima parte ciò che ne assorbe.
Oltre questi fatti d'indole economica, vi è un'altra causa di malcontento, che si è resa intensa da recente per i proprietarî in generale ed è rappresentata dal peggioramento nelle condizioni della pubblica sicurezza. Sintanto che in Sicilia si ammazzava più che altrove, essi non si preoccupavano molto del fenomeno morale: questa forma di delinquenza di ordinario non li colpiva. Quando aumentarono i reati contro la proprietà e sopratutto l'abigeato, o furto di animali bovini e da trasporto, i sequestri di persona, i ricatti ecc. allora essi furono toccati direttamente, furono presi da paura, si rinchiusero nelle loro case, videro andare in malora i loro interessi, furono privati dei godimenti della vita campestre e venne meno la funzione dello Stato da loro più apprezzata: quella che compie lo stato-gendarme. Si può comprendere come e quanto protestassero!
È bene si dica che i furti in Sicilia se sono alquanto maggiori alla media del regno e dell'alta Italia, sono però molto al disotto che in Sardegna, nel Lazio, in Basilicata e negli Abruzzi15. Ma in Sicilia le forme speciali del reato contro la proprietà sopraccennate, - cioè: abigeato, sequestro di persona, ricatto, ecc. - se aumentano destano un grande allarme. E le gesta della banda Maurina, la taglia pagata dalla Baronessa vedova Sisto, i sequestri Coniglio, Terresena e del disgraziato cav. Billotti, che fu ucciso e bruciato in una grotta, destarono e mantengono lo spavento in tutti; spavento accresciuto talora dalle notizie false che spargono i contadini e gl'impiegati, che hanno interesse a tenere lontani dalle campagne i padroni. E il malandrinaggio e le altre cennate forme di reato contro la proprietà in Sicilia sono facili e frequenti per la esistenza del latifondo (che costringe alla cattiva distribuzione della popolazione, riunita in grossi centri, lontanissimi gli uni dagli altri, e circondati da campagne deserte e brulle) e per la mancanza di strade, per l'analfabetismo, e per le prepotenze feudali, che in qualche punto perdurarono più che altrove e generarono largo risentimento. I malandrini assurgono gradatamente alla trista altezza di briganti, e sanno tenere impunemente la campagna colla buona tattica: rispettano i piccoli, sanno procacciarsi il rispetto o la solidarietà dei contadini, dei bovari, dei pastori, degli zolfatari,o con terribili esempî incutono loro timore, quando in loro non trovano le ragioni - che mancano di rado - di odio contro i padroni.
Queste cause che generano e mantengono la particolare delinquenza della Sicilia in modo permanente, negli ultimi tempi sono state rese più intense dalla crisi agricola e dalla crisi zolfifera. Della prima si è scritto abbastanza ed è conosciuta: il rinvilimento del prezzo dei cereali e dei vini e degli altri prodotti dell'isola - rinvilimento cagionato dalla rottura delle buone relazioni commerciali colla Francia e dalla depressione del mercato interno, impoverito dall'alta quota delle imposte pagate e da altre cause - ha arrecato gravi perdite ai proprietarî e per ripercussione ai lavoratori. La crisi ha talvolta forme e cause strettamente locali: così a Monreale, a Partinico e in altri punti della provincia di Palermo, dove sono avvenute dimostrazioni e torbidi, sebbene la proprietà sia ben divisa, in questi ultimi anni la miseria è grande, tanto più intollerabile in quanto che è del tutto insolita, poichè eccezionalmente generata dal ribasso fortissimo nel prezzo degli agrumi che rappresentano il prodotto esclusivo di quella ferace contrada16.
Della crisi zolfifera dirò brevemente più oltre; qui mi basta conchiudere osservando che le due crisi, l'agricola e la mineraria, hanno direttamente aumentato il malcontento della classe dirigente per le ragioni economiche; e l'hanno indirettamente accresciuto in quanto che contribuirono in forte misura a peggiorare le condizioni della pubblica sicurezza17.
Il parallelo riesce utilissimo per le indicazioni che i casi d'Irlanda somministrano per la soluzione del problema siciliano.