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X.
ORGANIZZAZIONE SOCIALE E RAPPORTI TRA LE VARIE CLASSI.
Questo malessere e questo rapido e profondo perturbamento economico - i quali da soli sarebbero stati capaci di determinare sommosse e rivolte ancora più gravi di quelle che si ebbero a deplorare in Sicilia - spiegavano la loro influenza in un ambiente anormale e anacronistico in cui i conflitti potevano sorgere per altre cause occasionali.
Sin dal 1885, nella Delinquenza della Sicilia e le sue cause, riassunsi i concordi pareri emessi da pensatori di ogni parte politica sulla organizzazione sociale di fatto esistente in Sicilia. Il feudalismo, abolito spontaneamente dai rappresentanti dell'aristocrazia nel 1812, in realtà rimase in pieno vigore nei rapporti politico-sociali tra le varie classi. Si può anche, senza temerità, asserire che quell'abdicazione di diritti, che forse fu il prodotto di un nobile sentimento, giovò soltanto a coloro che avevano creduto di fare un atto di abnegazione.
Invero colla organizzazione feudale di diritto, la proprietà feudale - dice il Baer - aveva tutto il carattere di un ente morale; il diritto di proprietà era impersonale e il proprietario pro tempore era un usufruttuario, un amministratore.
Di più: su quella proprietà feudale c'erano degli oneri a benefizio delle collettività. L'abolizione legale del feudalismo tolse gli oneri e lasciò ai proprietarî i soli vantaggi: la storia dei varî proscioglimenti dei diritti promiscui e le liti relative - alcune delle quali durano ancora - non potrebbero che raffermare tale modo di vedere.
Questo perdurare di un regime feudale, di fatto persistente sino al 1860, si spiegò colla mancanza del soffio della rivoluzione francese, che non arrivò in Sicilia aggiogata al dominio borbonico dalle armi inglesi, anche quando le armate della repubblica, dell'impero e di Murat erano pervenute sino allo stretto di Messina nel continente. Più esattamente dovrebbe dirsi che a spiegare il fenomeno bisogna rimontare ancora più in alto: la maggiore durata del dominio feudale nei rapporti sociali informati alle istituzioni feudali non fu esclusiva della Sicilia, ma più o meno si constatò anche nel continente meridionale, dove la reazione contro lo spirito della rivoluzione francese fu cosa davvero spontanea e popolare. I fasti delle orde del Cardinale Ruffo e la resistenza vigorosa delle Calabrie sono noti. Il vero è che il soffio della rivoluzione in Italia fu vivificatore dove il terreno era preparato; e lo era in tutto il settentrione e nel centro e non nel mezzogiorno e in Sicilia ch'erano rimasti sotto il giogo monarchico e feudale, mentre il resto della penisola aveva avuto la splendida efflorescenza repubblicana del medio-evo.
Dopo il 1860 la situazione non venne mutata gran fatto e se ne hanno testimonianze numerose di osservatori spassionati e autorevoli, tra le quali credo bastevole ricordare quella dell'on. Sonnino, e pel merito intrinseco del libro in cui venne registrata e per l'autorità che viene allo scrittore dal posto che occupa attualmente.
L'attuale ministro del Tesoro riferendosi ai rapporti tra contadini e proprietarî (che si possono intendere anche esistenti tra industriali ed operai, tra coltivatori, picconieri e carusi delle miniere, tra galantuomini - come chiamansi generalmente i membri dell'aristocrazia e della borghesia - e artigiani e lavoratori di ogni sorta) così scriveva nel 1876:
«Nelle relazioni tra il contadino e il proprietario molto è rimasto ancora dei costumi feudali; e non è da sorprendersene ove si pensi che il feudalismo in Sicilia fioriva ancora in tutta la sua pienezza al principio di questo secolo, e che la sua abolizione legale nel 1812, completata colle due leggi del 2 e 3 agosto 1818, non fu nè provocata, nè accompagnata, nè seguita da alcuna rivoluzione, da alcun movimento generale che mutasse d'un tratto le condizioni di fatto della società siciliana. Quella che era stata fino allora potenza legale, rimase come potenza o prepotenza di fatto, e il contadino, dichiarato cittadino dalla legge, rimase servo ed oppresso. Il latifondista restò sempre barone e non soltanto di nome: e nel sentimento generale la posizione del proprietario di fronte al contadino, restò quella di feudatario di fronte a vassallo. (I contadini ecc., p. 175).
Dal 1812 in poi, e sopratutto dal 1860, prese maggiore sviluppo la borghesia, che reclutò i suoi membri più potenti nella classe dei gabellotti; ma in Sicilia generalmente questa borghesia non rappresentò un elemento antagonistico dell'aristocrazia, e invece - priva delle alte idealità e delle benemerenze di quell'altra borghesia che illustrò le rivoluzioni medioevali nel settentrione e nel centro d'Italia, e la grande rivoluzione del 1789 - essa pose ogni studio nell'imparentarsi coll'aristocrazia, nel rendersi degna della sua stima e della sua considerazione: in fondo la borghesia terriera siciliana si rivelò una specie di sorella minore dell'aristocrazia, e l'una e l'altra gareggiarono nell'opprimere le classi inferiori.
Quali furono e quali sono intellettualmente e moralmente i rappresentanti dell'aristocrazia e della borghesia, che costituiscono in complesso le classi dirigenti della Sicilia? È presto detto e bisogna dirlo colle parole di chi non può essere sospettato di livore o di odio partigiano contro di esse: perciò ricorro all'autorità dell'on. Marchese Di Sangiuliano - che delle classi dirigenti siciliane può dirsi attualmente uno dei più autorevoli rampolli. - Egli si riferisce a quelle di oggidì42, che sono certamente migliori, sotto l'aspetto intellettuale, almeno, di quelle di una volta43.
Secondo l'on. deputato di Catania, adunque, le classi dirigenti «non si sa se vogliano la guerra risolutiva o la politica di raccoglimento colle economie e col disarmo, se aspirino ad ordini politici reputati a torto più liberi, o ad un più vigoroso intervento d'un alto potere, se invochino una politica doganale più protezionista o più liberista, se desiderino un'azione più inframmettente ed attiva dello Stato o una maggiore autonomia locale e scioltezza d'iniziativa individuale; si sa solo che dello stato odierno delle cose i più non sono contenti, che molti credono o dicono che i beneficî dell'unità italiana, dell'indipendenza e della libertà costino troppo gravi ed insopportabili sagrifizî, che nel cuore di molti il sentimento nazionale, è sensibilmente raffreddato, che la fiamma della patriottica abnegazione è affievolita e il culto dei più nobili ideali politici e civili cede il posto alla cura esclusiva del proprio interesse materiale... E, sopratutto di fronte all'agitazione dei Fasci, privi di fiducia nella libertà, nella politica conciliativa, nei provvedimenti sociali ed economici, non veggono altra ancora di salute che nel rigore della repressione, nel potere arbitrario del governo o de' suoi funzionari, nella limitazione, non solo temporanea, ma duratura, delle garanzie che tutelano la libertà personale dei cittadini, e quella non meno preziosa e benefica, della stampa periodica.... Queste classi infine diconsi dirigenti sovente come.... lucus a non lucendo!»
Queste parole in bocca di un altro potrebbero sembrare calunniose; ma non in quella di colui, che scriveva le Condizioni presenti della Sicilia. Al qual libro, dopo alcuni mesi della sua pubblicazione, non si deve fare che una modificazione, poichè dopo la riunione dei grandi proprietarî nella Sala Ragona di Palermo si sa bene che cosa vogliono le classi dirigenti: la difesa della grande proprietà e la reazione.
La severità dell'on. Di San Giuliano, che vive nella politica ed è un avversario, in pratica, dei socialisti, non viene uguagliata che da quella di un altro conservatore, che vive appartato dalle lotte della politica e dedito all'insegnamento e agli studî agronomici: alludo al Prof. Basile di Messina. Egli nel libro: I catasti d'Italia (Messina 1880) mostrò il più grande disprezzo per «i signori che sono ricchi perchè esigono affitti dal territorio di mezza provincia; che stimano una villania pensare a coltivare le terre: che non intendono impazzare a far conteggi con zotici castaldi; che neppure conoscono la forma e la estensione dei loro latifondi affidati ai capricci dei procuratori; che sciupano tutte le loro entrate negli alberghi di Parigi, di Londra, della Svizzera, ai giuochi di azzardo di Wiesbaden.»
Siccome quest'ultimo giudizio particolarmente potrebbe applicarsi alla classe aristocratica, il quadro può completarsi collo schizzo assai sintetico che il Sonnino fece della borghesia «non numerosa, e in Sicilia, come da per tutto, avida di guadagno e imitatrice della classe aristocratica soltanto nelle sue stolte vanità e nella sua smania di prepotenza!»
Come trattino le classi inferiori queste classi dirigenti si può immaginarlo: «L'operaio e il contadino - dice l'Alongi - sono secondo il gabellotto e poteva dire secondo il borghese e l'aristocratico, una specie di animale inferiore spesso trattato peggio del suo cavallo da coscia. Egli non può capire, per esempio, perché i funzionarî di oggi debbano occuparsi delle violenze gravi, che un galantuomo fa ad un servo.... Tanto meno poi riesce a comprendere che anche un miserabile ha diritto a giustizia, a godere del porto d'armi, e ad altri privilegi, un tempo riservati solo ai galantuomini. Quel che più li urta è poi la insistenza con cui giudici e funzionarî vogliono sapere da loro certe cose intorno ai reati di fresco successi, quasicchè un galantuomo debba essere citato a dir quel che sa come qualunque altro; - e ve n'è poi di semi-ingenui, che strabiliano nel vedere che un governo debba andar cercando prove e far formalità e spese per mandare un miserabile in galera - Ma che! fatelo sparire senza tanti complimenti!»
Tali i sentimenti che un egregio funzionario di Pubblica Sicurezza, siciliano, che ha occupato ed occupa posti di fiducia, ha attribuito alle classi dirigenti verso le classi inferiori! E pur troppo egli non ha esagerato le tinte; il quadro anzi verrà completato aggiungendo che le dirigenti sono anche dotate di alterigia, di albagia, eredità spagnuola, che spesso le fa cadere nel ridicolo, perchè scompagnata da una qualsiasi delle condizioni che possono incutere rispetto. E lo spagnolismo grottesco, in generale arriva al punto che un galantuomo crederebbe di degradarsi andando a bere un bicchiere di vino in una osteria - perchè è frequentata dalle classi inferiori - o anche solo stringendo la mano ad un lavoratore!
Quanta cura le classi dirigenti della Sicilia si siano presa delle misere condizioni dei lavoratori, in questi momenti in cui dappertutto altrove o per filantropia per calcolo si fanno inchieste e si votano leggi a loro favore, ci vuol poco a comprenderlo una volta che si conoscono le belle doti del loro intelletto e del loro cuore....
Il Taine dipingeva la non curanza degli aristocratici francesi per i contadini nel secolo scorso con questi pochi tratti: «Non facendo niente per la terra, come sarebbero capaci di fare qualche cosa per gli uomini? D'altronde sanno essi cos'è la fame? Quale fra di loro ha esperienza delle cose campestri? E come potrebbero rappresentarsi la miseria del povero? Per poter far questo essi sono troppo lontani da lui, troppo estranei alla sua vita. Il ritratto che essi si fanno di lui è immaginario; mai è stato più falsamente rappresentato il contadino.» (L'Ancien régime p. 65).
Altrettanto e peggio si deve affermare del modo di giudicare delle classi dirigenti siciliane rispetto ai bisogni dei lavoratori e a' rimedi contro le ingiustizie alle quali soggiacciono.
La Inchiesta agraria ne fa fede: essa somministra il documento autentico del loro egoismo e della loro cecità44. Tra i Comuni e i privati interrogati, pochissimi si preoccuparono della triste condizione dei lavoratori e la maggior parte invocarono invece provvedimenti favorevoli ai proprietarî, inutili e superflui al proletariato agricolo. E la prova di egoismo hanno ripetuto ora nella riunione ricordata dei grandi proprietarî della Sala Ragona nella quale non seppero occuparsi che dei propri esclusivi interessi: all'indomani dei tumulti e degli incendi del Dicembre 1893 e del Gennaio 1894!