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XI.
I PARTITI IN LOTTA E LE AMMINISTRAZIONI DEI CORPI LOCALI
Le classi dirigenti in Sicilia non sono ancora feudali soltanto pel disprezzo che ostentano verso gl'inferiori, e per le ingiustizie che fanno loro subire; ma esse si conservano tuttavia medioevali pure nelle loro divisioni in partiti, pel modo come intendono e praticano le lotte, e come amministrano comuni e provincie che cadono sotto le loro unghie.
Anche su questo doloroso argomento nulla si può dire di nuovo; ma ciò che è stato detto e scritto molti anni or sono è stretto dovere riprodurre, perchè meglio che ogni altro dato giova a spiegare la genesi degli ultimi fatti luttuosi.
Il Bonfadini nel 1876 constatò «la sopravvivenza, in molti paesi, di quelle lotte e di quegli odî di famiglia che funestarono la società del medio-evo; chè non è giusto, come taluni fanno per preconcetti politici o contro la evidenza storica, l'asserire che le guerre civili furono un malanno peculiare dei nostri comuni medio-evali...»
Ed è altrettanto esplicito il Generale Corsi che osserva «essere tradizionale, ab antico, vivissimo in questo corpo sociale così composto, o per dir meglio, così mal composto, il parteggiare... E può darsi benissimo, che i partiti siano della stessa fede politica gli uni e gli altri o indifferenti del pari. Nel fondo però di quelle gare vi son talvolta antichi rancori di famiglia e allora tanto più facilmente le elezioni amministrative e politiche diventano un caso di Sciacca.» Così a pag. 280, mentre a pag. 332, dopo avere descritto l'intervento dei Fasci in queste gare, giustamente afferma che in molti paesi si fece un vero imbroglio tra Municipio, partiti e Fasci.
Chi non sa adesso che questi odî e queste lotte tra le famiglie più potenti di un comune hanno sopratutto contribuito alla organizzazione di Fasci che non avevano neppur l'ombra dell'idealità socialista, ma che dovevano servire agli interessi e alle passioni di un capo parte, e che aizzarono i contadini ed eccitarono ai tumulti?
In qual modo, poi, e con che mezzi questi partiti a base di odî e di lotte tra famiglie, esercitano il potere e l'influenza è anche noto.
L'on. Franchetti scrisse: «nella capitale dell'Isola e nei suoi contorni domina maggiore prepotenza privata, per effetto del maggiore concorso colà di membri delle clientele dominanti (Le condizioni politiche e amministrative della Sicilia nel 1876); clientele, soggiunse il Turiello, usate a riconoscere più spesso dov'è più folta la popolazione, nel prepotere privato, un diritto che non è poi impedito da alcuna autorità sociale più forte della loro volontà. (Governo e governati. Vol. 1. p. 79.)»
«Ne' piccoli e medî comuni, ci sono gruppi di preti, professionisti, operai, dati a questo e a quel signore. E i partiti non sono formati che da questi nuclei aderenti a un paio di signorotti sempre nemici per antichi odî, o per spirito di supremazia, o per libidine di potere e di prepotere su tutti, e specialmente sul bilancio comunale.
«Le oligarchie organizzate, sono, è vero, meno violenti e feroci di quelle da cui direttamente promanano (le feudali) ma sin dove possono giungere, ne hanno l'audacia e le pretese.
«E per sostenersi ricorrono a tutti i mezzi.
«Della legge e della legalità hanno un concetto esclusivamente unilaterale; le riconoscono e vi ricorrono solo in quanto sanzionano il loro potere; per tutto il resto, o non esistono, o si possono violare impunemente.»
I maggiorenti, divisi ed organizzati in partiti che non hanno ragione politica, ma bensì di astî e rancori personali, sono pienamente d'accordo; - presso a poco come Carlo V. e Francesco I. che volevano entrambi la stessa cosa: il ducato di Milano - onde alternandosi al potere, si imitano, si ripetono e nei procedimenti, e nei criteri amministrativi e nelle vendette sui vinti avversarî, e nell'imporre sempre le spese ad essi ed ai lavoratori in generale.
Le amministrazioni comunali e provinciali d'Italia e particolarmente della Sicilia somministrano le prove più evidenti della sopraffazione di una classe a danno di un'altra45, dei favoritismi, delle camorre, delle opere irrisoriamente dette pubbliche, ma che servono a benefizio di pochi, delle imposte fatte pagare di preferenza ai contribuenti appartenenti al partito vinto, delle imposte che gravano maggiormente sui consumi necessarî e sulle classi meno agiate e il cui prodotto serve per il teatro, per i ginnasî, per le passeggiate, per i giardini pubblici, per tutto ciò che diverte o giova ai ricchi o ai meno disagiati.
Di queste spese e di queste imposte mi sono lungamente occupato in un libro pubblicato nel 188246 alla vigilia delle elezioni politiche generali; e pur troppo le critiche aspre enunziate allora a carico delle amministrazioni municipali si dovrebbero oggi inasprire di più; e pur troppo le riforme invocate allora sono tuttavia un desiderio!
Allora deplorai che Palermo e Messina discutessero invano per provvedersi dell'elemento più indispensabile alla vita, l'acqua; deplorai che si spendessero milioni e milioni per un Teatro Massimo, che difficilmente, - se si riuscirà a compirlo - si potrà riempire di spettatori; deplorai, che si spendesse poco e male per la istruzione popolare; deplorai che si spendesse poco e male per tutti gli istituti pii, che servono pei poveri e per gli inabili al lavoro; deplorai che si rubasse nello spendere e che si qualificassero come opere pubbliche quelle che sono di semplice interesse privato; deplorai infine che il dazio di consumo, il focatico e la tassa sugli animali costituissero la principale risorsa economica dei Comuni; e deplorai che la tutela esercitata dal governo riuscisse impotente ad impedire il male ed efficace, invece, per aggravarlo, pur di servire al capriccio, al comodo dei beniamini, dei protetti, dei grandi elettori, dei deputati.
Dopo pochi anni si levò la voce dell'Alongi che la vita locale conosce anche perchè è stato più volte Regio Commissario47 straordinario presso diversi municipî:
«Si profondono favori, - egli dice - impieghi, esenzioni di tasse e protezioni d'ogni portata agli aderenti e si fa l'opposto con gli avversarî, contro ai quali: persecuzione continua, evidente, spesso sfacciata e feroce, fino al delitto, fino all'omicidio. E si pretende che i funzionarî del governo seguano questo indirizzo.
«Tranne poche e lodevoli eccezioni, nei comuni dominano la incompetenza e la prepotenza più goffe e sfrenate che per contraccolpo vi producono la paura, la sofferenza, i rancori sordi delle masse.
«L'ufficio di Sindaco, nei piccoli comuni, è sfuggito dai buoni perchè arduo e pericoloso; è ricercato avidamente dai tristi cui offre risorse illecite ma sfuggenti al Codice Penale, e voluttà di comando e di prepotenze che fanno rivivere Don Rodrigo senza il blasone.
«A che si riducano, con questo sistema i servizi amministrativi è facile immaginarlo...»
Nei municipî la prepotenza di classe dai vampiri borghesi o aristocratici è stata esercitata in modo classico, ripetendo incoscientemente - perchè i più non conoscono la storia di Inghilterra, nè hanno letto Carlo Marx - i procedimenti prevalsi alcuni secoli or sono al di là della Manica diretti a usurpare la cosa pubblica, che in Sicilia particolarmente era la cosa del proletariato agricolo. Qui infatti, i galantuomini con costanza sorprendente, da gabellotti, da limitrofi, da amministratori hanno usurpato i demanî comunali, la proprietà collettiva degli abitanti poveri del Comune.
E le usurpazioni sfacciate e impunite - ciò che stabilisce la responsabilità e la complicità del governo nel reato - hanno, ad esempio, una illustrazione in tribunale col ricorso dei comunisti di Alcari li Fusi, fraudolentemente spogliati dei proprî beni, ed ebbero un epilogo tragico a Caltavuturo dove furono assassinati dei poveri contadini perchè - ingenui! - vollero esercitare un diritto, zappando - niente altro che zappando! - la terra che a loro appartiene.
Oh! Italiani, che vi siete santamente indignati per l'assoluzione di Angoulême, quando v'indignerete per il massacro di Caltavuturo, che costituisce l'episodio più scellerato della vita politica italiana, ch'è rimasto impunito e pel quale non un solo accusato venne trasportato sullo sgabello della Corte di Assise? In Francia almeno ci fu un processo, ci furono degli accusati, ci fu un Pubblico Ministero severo e imparziale che fece di tutto per farli condannare, ci furono dei gendarmi che deposero il vero: ma in Italia?
Però le usurpazioni dei demanî comunali, e la vendita e i censimenti fraudolenti delle terre patrimoniali nè possono essere consumati dappertutto, - perchè in Sicilia non tutti i Comuni posseggono demani comunali e beni patrimoniali - nè possono ripetersi ogni giorno perchè la materia che fornisce occasione al reato, a danno del popolo, si esaurisce. Ci sono, però, altri modi di nuocere al popolo, quotidianamente, perennemente, e che riescono perciò causa più frequente di odî e di risentimenti: questi modi vengono rappresentati dalle imposte e dalle spese.
Si deve premettere, per essere imparziali, che oggi come oggi i municipi di Sicilia sono agli sgoccioli in quanto a spese facoltative, ridotte in molti luoghi a qualche migliaio di lire per la musica o per la Chiesa, e che le imposte servono per le spese obbligatorie. Molte delle spese della prima categoria, però, vennero fatte in altri tempi per mezzo di debiti, che ora pesano sui municipî, e fatte talora per mettersi, almeno nella parte esteriore e che rappresenta la vernice, a livello delle città più colte del continente. Lo spagnolismo impera nei comuni come sugli individui e li ha spinti ad un più elevato tenore di vita sproporzionato alle risorse.
E perchè riguardano il prepotere - veramente feudale in quanto alla natura delle spese - ricorderò questi casi:
Nella provincia di Caltanissetta si costruì a spese della provincia una strada a totale benefizio di un barone che dominava nel Consiglio provinciale.
In Agira, a spese del Comune, si costruì altra strada del costo di oltre 200,000 lire che giovava principalmente ad un ricco signore - nel resto onesto cittadino - che spadroneggiava nel Municipio48.
Così altrove. In quanto alla onestà nello spendere e nel costruire me ne rimetto al severo giudizio della relazione Bonfadini sulle strade provinciali di Caltanissetta e di Girgenti. Del resto ci vorrebbe un volume per notare e descrivere tutte queste spese pazze e disoneste, che gli amministratori locali possono tentare di giustificare soltanto coll'esclamare: abbiamo imitato lo Stato.
Ciò che il Sonnino e il Franchetti e il Bonfadini - cito di proposito persone non sospettate di radicalismo o di socialismo - osservarono sulle amministrazioni comunali, dovettero constatarlo anche nelle amministrazioni delle opere pie49.
Nel giudizio sulle imposte, come mezzo di iniquo sfruttamento di classe, lascio la parola all'on. Sonnino, di me assai più autorevole:
«Quanto al modo in cui la classe dei galantuomini si vale delle amministrazioni comunali a suo profitto, ed a danno della classe dei contadini, basterebbe esaminare Comune per Comune i ruoli delle imposte per averne qualche idea. Così noi troveremo generalmente imposta in modo gravissimo la tassa sulle bestie da tiro e da soma, ossia principalmente sui muli e sui cavalli, che sono la proprietà maggiore dei contadini; e invece raramente e in proporzioni minime la tassa vera sul bestiame, ossia sulle vacche e sui bovi, perchè questi sono posseduti dai proprietarî. Il contadino paga in moltissimi luoghi fino a 8 lire per mulo, o 5 lire per un asino, e il proprietario e il gabellotto non pagano nulla, o relativamente pochissimo, per centinaia di vacche o di bovi.»
Il Cavalieri, che fu compagno di viaggio di Sonnino e di Franchetti nel 1875, si è occupato adesso della quistione siciliana; epperò ha dovuto confermare quanto avevano scritto i primi molti anni or sono e aggiungere fatti nuovi e opportune considerazioni, che meritano di essere riportati.
«Le tasse sugli animali da tiro, da sella e da soma e quelle pel bestiame danno luogo a sfruttamenti del contadino: e in generale si aggrava la prima, la quale colpisce gli animali, che gli rendono un servizio e si attenua la seconda, che colpisce il bestiame come capitale50.
«È più che verosimile, che sindaci e consiglieri nel compilare i ruoli delle varie tasse favoriscono i loro amici e gravano la mano sugli avversarî e sui poveri.»
«Osservazioni simili si devono fare per la tassa fuocatico....»
«Ma a far più completa la dimostrazione dello stato delle cose, ecco un altro documento meno conosciuto, ma altrettanto grave. Il Fascio di Campobello di Licata ricorse di recente al Consiglio provinciale di Girgenti perchè quel Consiglio comunale, per creare un corpo di 21 guardie campestri, istituì una tassa sui proprietarî sulla base di lire 8 per ogni salma di terra, ma colla clausola che sarebbero tassati solo i proprietari, che possedono sino a sei salme.
«S'intende che nessuno dei consiglieri comunali è in questa categoria....
«Il ricorso avrà certo buon esito, ma la cosa è tanto enorme che si stenta a comprendere come ci sia stato il bisogno di produrlo: però non da chi, già nel 1876, in Santa Margherita - nella stessa provincia di Girgenti - ebbe a constatare che da anni si riscuoteva colla tolleranza degli ufficiali del governo una seconda imposta a benefizio del Comune: l'imposta governativa si riscuoteva col contatore meccanico e quella comunale si riscuoteva col sistema borbonico e cioè con altrettante bollette che un apposito ufficio rilasciava a chi voleva macinare, senza delle quali il mugnaio non avrebbe potuto prestarsi sotto pena di una contravvenzione!» (I fasci dei lavoratori, p. 29 a 32).
In quanto al Dazio di consumo quasi tutti i Comuni chiusi, almeno i principali (compresi quelli amministrati dai democratici) hanno sorpassato i limiti legali del sovrimporre. E perchè su questo vitale argomento le sentimentalità non prendano il sopravvento, - o meglio non si abbia il sospetto che lo prendano, - giova riprodurre alcune cifre comparative per i bilanci del 1889, sulla proporzione della sovrimposta fondiaria e del dazio di consumo comunale in poche regioni d'Italia, che hanno presso a poco la stessa popolazione della Sicilia.
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Io non commenterò queste cifre eloquenti e mi limiterò a riprodurre un'altra51 breve comparazione fatta dal professore Maffeo Pantaleoni, e lascerò che i commenti li faccia una pregiata rivista che combatte il socialismo con tutte le sue forze.
Le cifre comparative sono queste:
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Ed ecco i commenti:
«Va notato che i dati della ricchezza per abitante per regione si riferiscono ad un quinquennio (1884-1889) di eccezionale prosperità, sopratutto in Sicilia. - La crisi sopravvenuta dopo, ha certamente arrestato e retrocesso lo sviluppo della sua ricchezza proporzionalmente più che sulle regioni del nord, per effetto della politica economica più specialmente lesiva del Mezzogiorno. - Ma pure restando per larghezza di concessione ai dati del Pantaleoni, il dazio consumo in Sicilia è quasi il doppio che in Piemonte, mentre la ricchezza ne è la metà, ed esercita nell'isola una pressione tributaria almeno quattro volte maggiore. Invece la sovrimposta sta ad un limite poco inferiore a quello che potrebbe ancora raggiungere in vista della ricchezza rispettiva; mentre le altre imposte (valore locativo, tassa famiglia, bestiame, vetture e domestici) sono già in cifra assoluta per abitante più gravose pel contribuente siciliano. Questi dati permettono due considerazioni: 1° che il sistema delle imposte comunali in Sicilia esercita una pressione maggiore che nel continente; 2° che la ripartizione del carico tributario locale è fatta tutta a danno dei contribuenti che pagano imposte indirette, cioè, dei lavoratori! (L'insurrezione Siciliana, nel Giornale degli Economisti, Febbrajo 1894).
Su questo proposito, infine, c'è la testimonianza più decisiva, e più autorevole, più recente: quella del Generale Corsi, che giudica «veramente gravissime le imposte nella massima parte dei Comuni, specialmente sui generi di prima necessità52, sulle farine sopratutto, e ripartite in modo così ingiusto, così empio, che pesavano molto più sul povero che sul ricco. E molti comuni sprecavano denaro in ispese di nessuna o problematica utilità pubblica, a vantaggio dei signori, a beneficio dei bene affetti e fautori della fazione predominante... (p. 369).»
La gravità di questi dati e delle accuse che essi autorizzano a muovere contro le classi dirigenti, le quali spadroneggiano nei municipî, preoccupò i grandi proprietarî della sala Ragona; i quali cercarono di difendersi, osservando che «il fenomeno doloroso dell'altissima quota di dazio di consumo comunale che si paga in Sicilia è determinato dal fatto che la classe rurale siciliana risiede nelle città e borgate soggiacenti al dazio di consumo, mentre nelle altre regioni d'Italia vive disseminata nelle campagne.»
La giustificazione in parte è accettabile; e si può dire eziandio, che la legge stessa sui tributi locali favorisce la proprietà fondiaria cogli ostacoli, che mette alla facoltà di sovraimporre; ma rimane sempre, - a spiegare il largo e giusto risentimento dei proletarî, - il fatto stesso della esistente sperequazione tra imposte dirette e indirette, a danno loro, (e che essi ignari di leggi e di demografia non riescono a giustificare), non che la circostanza che colle stesse leggi e cogli stessi ostacoli a sovrimporre sulla imposta fondiaria in Piemonte, in Lombardia e nel Veneto i proprietarî riescono a pagare tre e quattro volte di più che in Sicilia. È innegabilmente maggiore l'equità tributaria nell'Alta Italia, che in Sicilia e in molte altre contrade del mezzogiorno, e specialmente nella Campania.
Questa iniquità nella distribuzione e nella qualità dei tributi ebbe a deplorarsi vivamente sotto l'Ancien régime in Francia, dove produsse gli stessi effetti che in Sicilia. In un vecchio opuscolo intitolato: Abrégé de l'histoire des taxes en France pubblicato nel 1694 sotto il regno di Luigi XIV si parla e dei favori accordati agli amici nella applicazione della taglia, e delle ingiustizie che si commettevano a danno dell'ingegno e del lavoro ed a benefizio della proprietà e del capitale. Nella Decima regale del grande Vauban vengono illustrati gli stessi favori e le stesse ingiustizie che tanto contribuirono più tardi a fare sollevare un popolo, che era stato ritenuto taillable et corveable à la merci dei signori!
I disgraziati difensori del governo e i disonesti giudici dei moti siciliani del 1893 e 1894 hanno osservato: «o perchè le minoranze e i lavoratori non si agitavano, non esercitavano i loro diritti, non reagivano nelle vie legali contro le prepotenze e le iniquità delle amministrazioni locali?»
Non lo potevano: la frode, la corruzione, la violenza nella compilazione delle liste, nelle votazioni, in tutto, assicuravano il trionfo di chi sapeva asservirsi al governo o al deputato, i quali ogni loro opera spendevano a proteggere i vincitori, che spesso erano la minoranza reale. Il voto e la legalità da trent'anni si chiariscono impotenti a ottenere qualcosa, a correggere.