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XIV.
Ciò che doveva avvenire in Sicilia un giorno o l'altro era facile prevederlo a chi ne conosceva le condizioni, a chi viveva in mezzo al proletariato, a chi specialmente non giudicava dagli orpelli e dagli artifici delle grandi città, ma dalla vita che si vive nei piccoli centri, nelle campagne, nelle miniere. Chi poteva prevedere aveva il dovere di avvertire; e molti, come si è visto, tra gli studiosi di cose sociali, tra gli uomini politici e tra i magistrati, ottemperarono a tale dovere.
Sin dal 1863 il Cordova nel citato discorso a proposito della trascuranza criminosa del governo nelle quistioni demaniali, narrò questo episodio che vale a spiegare Caltavuturo: «Due onorevoli persone venute in Torino per sollecitare uno di questi affari, non avendo trovato quelle facilità con cui (bisogna rendere questa giustizia all'amministrazione napoletana) erano accolti in questo genere i reclami delle popolazioni, queste due onorevoli persone scoraggiate, presentatesi a me mi dissero: e adunque, signore, bisogna aspettare l'altra? «L'altra, diss'io, che cosa è?» Risposero: L'altra rivoluzione!»
E Cordova che non conosceva Fasci e sobillatori, nel 1863 soggiunse: «Signori, quando le popolazioni non si trovano soddisfatte di un ordine di cose, resta sempre un germe di movimenti, che possono produrre gravi pericoli!»
Uno storico eminente ed uomo politico a un tempo, il generale Marselli, risguardando l'insieme delle condizioni del continente meridionale e dell'isola, formulò il presagio in questi termini precisi: «se la sordida noncuranza di certi proprietari lascerà in pari tempo aumentarsi l'odio già condensato e feroce dei contadini, trattati come bestie, non è improbabile che un furioso uragano si scateni dalla bassa Italia sul resto della penisola e che l'insurrezione delle classi inferiori, schiave dell'avarizia e della prepotenza baronale, ritrovi un più astuto Masaniello od uno Spartaco più fortunato.»
Qui l'avvertimento per quanto tassativo è generico. Per la Sicilia in ispecie, e in vista dei possibili eventi che poscia si verificarono, si affermò ripetutamente - senza che chi doveva abbia smentito - che l'illustre generale Corsi, comandante il 12° corpo di armata, abbia mandato un preciso e allarmante rapporto al governo nello scorso anno sulle condizioni dell'isola denunziando gli imminenti pericoli65.
Certo è che l'on. Crispi, nella relazione al Re, la quale precede il decreto sullo stato di assedio, volge la grave accusa al suo predecessore on. Giolitti, di avere saputo dalle competenti autorità dei gravi avvenimenti che si preparavano in Sicilia e di non aver provveduto. Dell'accusa l'ex Presidente del Consiglio non si giustificò mai e lasciò passare tutta la lunga discussione parlamentare sulle cose di Sicilia in un mutismo inesplicabile.
Chi scrive, come siciliano, come pubblicista e come deputato, aveva più che altri il dovere di avvertire che dolorosi avvenimenti si preparavano nel suo paese natio; ed a tale dovere non venne meno66.
Nel 1892 nell'Isola (N. 144) avvertii genericamente la gravità delle condizioni dei municipii e le possibili dolorose conseguenze, come si può rilevare da questo brano: «I governanti e i politicanti italiani preoccupati sinora quasi esclusivamente delle Finanze dello Stato hanno troppo trascurato la misera condizione economica delle amministrazioni comunali e provinciali; dimentichi che il dissesto dei comuni e delle provincie e il carico tributario imposto dai corpi locali gravita maggiormente sui contribuenti, perchè più direttamente e palpabilmente sentito; perchè rappresenta la goccia che fa traboccare il liquido dal vaso!
«Che sia così, se altro non ci fosse, lo proverebbe il fatto, che le maggiori odiosità le raccolgono67 i municipî, che meno dovrebbero raccoglierne, poichè le spese e le tasse, che fan capo ad essi, alla fine, mirano alla soddisfazione dei bisogni locali più urgenti e sono sorgente di benefizî incalcolabili. Gl'incendi dei registri, delle case comunali pur troppo sono frequenti in Italia; e i casi dolorosissimi - per citare i più noti - di Calatabiano e di San Luri sono il prodotto del malcontento profondo e generale contro i municipî.»
Fui più preciso, quasi matematico, il giorno 30 Gennaio 1893 nello svolgimento della interpellanza sull'eccidio di Caltavuturo. Allora un doloroso presagio di ciò che fatalmente si maturava mi fece esclamare: «Io non so se la Sicilia potrà ripresentare il fenomeno di una guerra servile; so però che l'odio dei contadini contro i cosidetti galantuomini è vivissimo; dovunque esiste il latifondo quest'odio è profondo. In Sicilia il pericolo delle ribellioni agrarie è permanente e, se non provvederemo, dovremo assistere a qualche risveglio veramente doloroso!» (Atti parlamentari. Tornata del 30 Gennajo 1893 p. 992).
Non basta. In giugno dello stesso anno mi pervennero notizie allarmantissime e quando tutti coloro, che dovevano conoscere la situazione tacevano, io - spintovi anche da due cari amici socialisti - scrissi una lettera al direttore della Tribuna, ch'era un vero grido di allarme e che venne reso più significante dai commenti dell'on. A. Luzzatto. In quella lettera, tra le altre, scrissi queste parole che gli ultimi fatti hanno sinistramente illustrato:
«In Sicilia i segni precursori di qualche esplosione di carattere sociale non sono rari. Vi sono scioperi di contadini e di zolfatari; vi sono sommosse, vi sono lamenti generali e proteste contro uno stato di cose, che si giudica intollerabile; vi sono reati caratteristici e simili a quelli agrarî d'Irlanda; vi è, infine, un sordo rumore, che si leva, da per tutto rinforzato dalla voce irata o lamentevole dei fanciulli e delle donne, che fa mestamente pensare quanti hanno orecchie per sentirlo e cuore per comprenderlo. E in verità alle cause, per così dire naturali e molteplici del disagio - che tanto più si avverte in quanto che segue ad un periodo a rapido svolgimento di prosperità - si aggiunge la soma insopportabile dei balzelli governativi, provinciali e comunali.»
È bene notare, che i due socialisti, che mi consigliarono a dire una parola di calma ai lavoratori e a dare un avvertimento al governo, messosi sulla via della più dissennata provocazione, furono l'avvocato Gaetano Rao di Canicattì - arrestato appena venne proclamato lo stato di assedio come promotore di disordini, rilasciato dopo alcuni mesi di prigionia, poscia ricercato di nuovo ed ora latitante - e Garibaldi Bosco. E non è inutile aggiungere che l'onor. De Felice quando conobbe il contenuto di quella lettera, voleva firmarla, associandosi a me.
Ebbene: dopo tanti avvertimenti precisi sulle cause di probabili dolorosi avvenimenti, e sulla possibilità di vederli svolgere a breve scadenza, che cosa fece il governo? Nulla.
Quali opportuni e savi provvedimenti preventivi escogitò?
Questo solo: l'invio della flotta dinanzi a Palermo, che mai aveva dato segni di volere tumultuare. L'on. Giolitti poi non fu superato, che dall'on. Crispi, il quale come provvedimento curativo non seppe proporre ed attuare che lo Stato di assedio.
La significazione e la gravità degli avvertimenti non furono tenute in conto a tempo debito, onde accadde quello che è a tutti noto e di cui dovrò continuare ad occuparmi.
Questi stessi avvenimenti di Sicilia costituiscono pel resto d'Italia un ammonimento grande, e su di essi così scrive un onesto ed avveduto senatore del regno:
«Il grido venuto sul continente da qualche luogo della Sicilia, se grido del popolo che insorge contro le ingiustizie, io l'amo, come scrive il Burcke, perchè segnale d'incendio, che ci salva dalle fiamme, ed io voglio per l'immensa maggioranza, ravvisarlo tale; ed in questo caso sarà da dire della Sicilia, che dopo di essere stato un primo fattore della unità della Patria ne abbia col grido di allarme forse scongiurato lo sfasciamento68.»
Andrà dispersa al vento anche questa savia parola ammonitrice?....
«Ma i Prefetti, e più specialmente quelli di Palermo, Girgenti, Catania, continuavano a chiamare l'attenzione del Governo su quel minaccioso e sempre crescente sconvolgimento delle plebi campagnuole; e lo stesso è da credere che facesse dal canto suo il Comandante generale militare dell'Isola.»