Napoleone Colajanni
Gli avvenimenti di Sicilia e le loro cause

XV. PROVOCAZIONE E PREPARAZIONE AI TUMULTI

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XV.

 

PROVOCAZIONE E PREPARAZIONE AI TUMULTI

 

La storia ed una lunga serie di avvenimenti avevano creato in Sicilia la situazione scabrosa, che mi sono sforzato di descrivere senza passione e senza partito preso, affidandomi sempre all'autorità altrui non sospetta, nei punti dove facilmente avrei potuto vedere e giudicare male per ragioni di parte. Il rapido peggioramento economico, il malcontento generale per cause complesse e il moto dei Fasci, - che da queste cause aveva ricevuto impulso e che alla sua volta lo dava alle masse - fecero arrivare le cose al momento critico, in cui gli uomini avrebbero dovuto mostrarsi pari alle circostanze.

Caltavuturo avrebbe dovuto agire come un vero segnale di allarme di un osservatorio sociale, più utilmente e tanto sicuramente quanto un osservatorio che avverta una città dell'imminente pericolo della inondazione. Il succedersi delle agitazioni e delle dimostrazioni, che dopo Caltavuturo, divenivano più frequenti, più unanimi e più imponenti, con un prodigioso crescendo, avrebbe dovuto scuotere gl'inerti, risvegliare i dormienti: era il tempo di agire e pel governo e per le classi dirigenti.

Due vie, due metodi, si presentavano all'uno e alle altre; ed al governo maggiormente correva l'obbligo di scegliere la via da battere, il metodo da seguire nella soluzione del poderoso problema, perchè sua era la responsabilità immediata e diretta di ciò che si andava maturando.

Il governo poteva mostrarsi energico, e ricorrere alla prevenzione nel senso strettamente poliziesco e che confina o si confonde sempre colla reazione; poteva, invece, mostrarsi forte nel fare rispettare le leggi, ma rispettando esso stesso tutte le pubbliche libertà; affidandosi in pari tempo all'alta prevenzione sociale; mostrando almeno! la decisa intenzione di affidarvisi. Questa specie di dilemma, sebbene nella forma non così strettamente antinomico, lo pose pure il generale Corsi, che al governo lasciava la scelta tra queste due soluzioni: «o decretare senza indugio lo scioglimento dei Fasci, come società pericolose per l'ordine pubblico; oppure, se ciò non pareva legale o conveniente, per motivi d'alta o bassa politica, infrenarli, segnar bene l'orbita al loro moto, i limiti entro cui potevano dibattersi, procurare, se possibile, di mettervi le mani dentro, farsene istrumento ed arme, cattivarsi la plebe, prendendo a sostenerne la causa. Un campo immenso tra quei due estremi.» (Sicilia p. 335).

La scelta tra i due metodi non poteva esser dubbia per quanti vogliono che dalla storia si traggano ammaestramenti; e dalla storia si sa, che un secolo di reazione e di violenza non ha risolto il problema irlandese; ma colla forza però, come lo ha mostrato l'on. Crispi, si può ottenere il ristabilimento dell'ordine materiale lasciando immutato il problema stesso, allontanandone la soluzione, e perciò stesso aggravandolo.

Or bene, pare impossibile, ma è pur vero che il ministero dell'on. Giolitti - col quale nacque o si accentuò il moto dei Fasci e si fece strada il sentimento di riscossa delle classi agricole - «o non seppe o non volle veder chiaro nel buio, insomma non vide o non curò; e il Parlamento, nonostante che la Sicilia vi fosse rappresentata alla stregua delle altre parti d'Italia, il Parlamento credette bene di occuparsi d'altro.» (Corsi)

L'inazione era pericolosa e dannosa; ma il governo dell'on. Giolitti seppe scegliere un metodo peggiore della inazione; e senza saper essere energicamente reazionario, senza mostrarsi socialmente provvido, seppe soltanto assicurare all'opera sua tutti i danni che venivano dalla reazione, ma con una fiacchezza che incoraggiava tutti ad osare e con tanto poco rispetto delle leggi e delle pubbliche libertà, con tanta fiducia in una polizia inetta, arrogante e guidata da criteri borbonici, che riuscì a provocare, ad eccitare, a stimolare le masse, a cementare così organismi fiacchi, che abbandonati a loro stessi, si sarebbero squagliati, disciolti, colla stessa rapidità colla quale erano venuti su.

Chiarisco questo giudizio. La storia dei sodalizî operai di tutti i paesi insegna che ad essi sono necessarie la solidarietà tra i soci e la perseveranza nel perseguire i fini propostisi, illuminate entrambe se non interamente derivate, da una certa coltura. Mancando l'una prevalgono le utilità individuali immediate, promosse spesso da coloro che sono interessati a farle penetrare come un cuneo nella compagine delle minacciose associazioni; mancando l'altra ai primi passi dati con entusiasmo segue lo scoraggiamento e la sfiducia per la mancanza di sensibili risultati immediati. Perciò alla iscrizione a migliaia dei soci e alle prime numerosissime riunioni succede il fenomeno non bello dei morosi, che si rifiutano a pagare le quote di contributo, lasciando grandi quadri sulla carta senza un reale corrispondente numero di soci attivi.

In Sicilia nelle masse mancavano lo spirito di solidarietà - scarso in tutta Italia per ragioni storiche, bene svolte in parecchie pubblicazioni dall'ex-deputato Cagnola - la perseveranza e la coltura, anche rudimentale che l'una e l'altra sostiene e svolge69.

Dato questo ambiente tra i lavoratori era prevedibile a breve scadenza la morte per anemia dei Fasci; e i prodromi in quelli delle città erano evidenti ed incalzanti. Invece mantenevansi sani e vigorosi quelli delle campagne, non solo per virtù dei promotori (e specialmente di Barbato e di Verro), ma perchè i loro primi sforzi quasi dappertutto erano stati coronati dal successo: agli scioperi e ad una specie di boicotaggio verso i proprietarî70 delle terre erano seguiti miglioramenti nei salarî e nei contratti agrari.

L'opera dell'on. Giolitti contribuì sopratutto a mantenere uniti i Fasci, perchè li sovraeccitò, e il sovraeccitamento, aiutato anche da un certo sentimento regionale, che rendeva antipatico chi ha tutti i difetti del forte Piemonte, senza possederne i pregi numerosi, fece le veci della solidarietà e della perseveranza; ma era evidente che se questo eccitamento anormale, la cui azione rassomigliava a quell'improvviso vigore e senso di benessere che viene da una iniezione di etere o di caffeina, fosse venuto a cessare, quelli sarebbero morti di marasmo e se fosse continuato e si fosse inasprito sarebbe stata possibile una violenta levata di scudi.

Conscio di questi due pericoli, a Messina prima, in una visita al Fascio - dove ebbi consenzienti Petrina e Noè - e poscia a Marsala in un pubblico discorso col plauso consenziente dei convenuti e di molti che sono stati poscia condannati iniquamente come promotori di disordini (tra i quali il Montalto) avvertii i pericoli, che minacciavano il moto dei Fasci, il quale paragonai ad un pendolo che, oscillando corresse71 pericolo di infrangersi, ad un estremo, in uno scoglio su cui stesse scritto: rivolta e all'altro, in un altro su cui stesse scritto: dissoluzione, e caldamente raccomandai a coloro che guidavano il moto di sapere scongiurare tali due opposti pericoli. E nel senso su esposto dissi che l'on. Giolitti erasi reso benemerito colla sua azione delle nascenti associazioni dei lavoratori; la qual cosa a un suo paladino - l'on. Nasi - parve un paradosso o una contraddizione mia, perchè già avevo accusato il Giolitti quale loro persecutore e provocatore.

Dopo Caltavuturo sarebbe stato sapienza vera di governo provvedere ai bisogni delle classi agricole siciliane; dopo il mese di giugno e più ancora dopo il mese di settembre, quando nell'aria si sentiva qualche cosa di minaccioso, la più elementare prudenza imponeva con urgenza l'adozione di opportuni provvedimenti. Che cosa fece l'on. Giolitti? Si abbandonò con vece alterna ad una mussulmana inazione e alla provocazione; e nell'una e nell'altra si sentiva sempre «che per natura, per abitudine e per necessità derivanti dal parlamentarismo, il governo propendeva per l'una più che per l'altra delle due potenze in lotta, per quella cioè che ha maggior peso in Parlamento ch'è quella dei galantuomini.» (Corsi.)

La stessa propensione, anzi più accentuata, ha sinora mostrato l'on. Crispi.

La provocazione, denunziata ripetutamente, ha bisogno di essere dimostrata: l'accusa è grave e la dimostrazione è facile.

Non rifarò la cronaca dettagliata della provocazione come si trova nella prima edizione di questo libro: riassumerò i suoi fasti di un anno e mi fermerò su pochi fatti che ebbero particolare importanza e suscitarono maggiore rumore eccitando gli animi degli uni, destando la paura, la diffidenza e l'ardente desiderio della rivincita in altri.

Diamo una data certa allo inizio della provocazione, sebbene si potrebbe risalire più in alto: cominciamo il triste periodo dalla strage di Caltavuturo.

A Caltavuturo, piccolo paese agricolo della provincia di Palermo, la miseria era ed è grande. Vi sono nel paese beni patrimoniali del Comune ed un demanio comunale, che gli amministratori danno in affitto.

Il popolo pensava e diceva che in questi affitti avvengono disoneste partigianerie; pensava e diceva che gli amministratori della cosa pubblica e i maggiorenti usurpavano impunemente le terre del popolo; onde non men grande della miseria era il malumore contro l'amministrazione comunale e i maggiorenti.

Ci furono inchieste e processi e se le accuse risultarono esagerate, non furono però dimostrate infondate. Ne convenne l'on. Giolitti rispondendo il 30 gennaio alla mia interpellanza.

Il popolo esasperato decise di rendersi da quella giustizia invano chiesta e da tempo attesa, e il 20 Gennaio va nelle terre demaniali, come a festa, per prenderne possesso e zapparle. E zappano la terra, senza sapere se potranno seminarla e molto meno se potranno raccogliere il prodotto dopo averla bagnata coi propri sudori, e tornano sereni e contenti al paese colla intenzione di andare a zappare altra tenuta del Comune all'estremo opposto; ma giunti nella piazza vicino al Municipio trovano la via sbarrata da soldati, carabinieri e guardie campestri: in tutto una ventina di uomini di fronte ad oltre mille contadini armati di zappe. Non intimazioni, non squilli di tromba, nulla che possa dar parvenza di legalità alla condotta della forza pubblica, la quale, chiamata a fare le vendette degli usurpatori, minacciati dal popolo che voleva rivendicare i propri diritti, - i diritti della collettività - fece una scarica micidiale lasciando sul terreno contadini morti e feriti, mentre non un solo tra gl'iniqui aggressori venne ferito o contuso; ed erano 20 gli aggressori contro 1000 aggrediti! Ciò stia a prova delle intenzioni dei poveri contadini...

L'on. Giolitti, Ministro dell'interno e Presidente del Consiglio, da me e da altri interpellato, riconobbe la gravità del fatto del 20 Gennaio; promise che i colpevoli sarebbero stati puniti, disse che un processo era stato iniziato, che giustizia sarebbe stata fatta!

Giammai ministro dinanzi ad un Parlamento pronunziò tante menzogne e con tanto cinismo. Se ne giudichi: Non fu sottoposto a processo, destituito chi ordinò il fuoco senza alcun bisogno; chi l'ordinò senza farlo precedere dagli squilli di tromba; non fu iniziato processo contro chi vilmente tirò un colpo di revolver al contadino Moscarella, che, già ferito! erasi rannicchiato dietro una porta; non si processarono gli usurpatori del demanio comunale. No! Si arrestarono e si processarono, invece, alcuni disgraziati lavoratori della terra, che ebbero la fortuna di sfuggire al massacro. E meno male che furono assolti.

A Caltavuturo non c'era Fascio, ma una semplice cooperativa di consumo invisa ai galantuomini perchè utile ai contadini: c'era mai stata l'ombra della propaganda socialista. Sorse il Fascio all'indomani della strage come reazione contro il governo e contro i suoi complici locali.

L'anno 1893 cominciò colla strage di Caltavuturo - auspicii tristissimi! - e la eco di tanta iniquità si ripercosse in tutte le valli della Sicilia, destando il risentimento e il desiderio della vendetta tra gli oppressi contadini. Il sangue versato forse feconderà la terra meglio che non l'abbia fecondato sinora il sudore dei suoi lavoratori!

Pareva che non potesse darsi maggiore provocazione di questa da parte del governo italiano contro le popolazioni dell'isola; e tuttavia Caltavuturo non fu che il principio di una serie di provocazioni, ora piccole, ora grandi; ora sanguinose, ora incruente; le quali continuarono con un crescendo spaventevole.

A Caltavuturo dopo breve tempo segue Serradifalco, dove la causa dei fatti dolorosi è diversa, ma riesce ugualmente a mettere in evidenza il disprezzo delle leggi nel governo e nelle classi dirigenti. I popolani - come sempre - ci vanno di mezzo.

In Marzo - giorno 6 - ha luogo la votazione di ballottaggio a Serradifalco, preceduta da brogli, da pressioni, da vergogne inaudite da parte dei funzionarii del governo, che volevano imporre, e riuscirono ad imporre, un candidato prediletto all'on. Giolitti, il Riolo. Il popolo protesta contro le sfacciate adulterazioni della volontà elettorale e chiede che venga rispettata la legge. Grande reato in verità! I rappresentanti della legge puniscono questi curiosi delinquenti ferendoli o uccidendoli. E gli uccisori rimangono in libertà, ad assicurare una elezione che disonora la Giunta che la convalidò, mentre i popolani vengono arrestati e processati in numero di ventitrè. Meno male che il Tribunale di Caltanissetta dopo tre mesi fece una parziale giustizia rimandandone assolti una ventina. Lo stesso Tribunale, con altre sentenze, che ricordo a suo onore, bollò per quello che erano alcuni delegati di Pubblica Sicurezza per abusi relativi alla stessa elezione commessi in altre sezioni del collegio. Serradifalco rimase ad ammonire in Sicilia gl'ingenui i quali credono ancora che nelle elezioni possa passare liberamente e onestamente la volontà del paese.

A Catenanuova la miseria è più spaventevole che altrove nella provincia di Catania: gli abitanti sono quasi tutti proletarî agricoli, che si dibattono tra le strette del latifondo privato (del principe di Satriano) e del latifondo pubblico (l'ex feudo Buzzone di proprietà del demanio). La fame sinistra si fa sentire ed i poveri contadini si riuniscono in Fascio colla fiducia di ottenere qualche cosa colle vie legali. Rispettosi della proprietà privata nulla chiedono al Principe di Satriano; qualchecosa, cui credono di avere diritto, domandano al governo e per mezzo dell'on. De Felice e mio, esprimono l'onesto desiderio di vedere censito a piccoli lotti l'ex feudo Buzzone. De Felice ed io ci rivolgiamo ripetutamente all'on. Rosano e al ministro di agricoltura e commercio, che promettono di studiare la proposta. Trasmettiamo la poco incoraggiante risposta, ma che non cancella le speranze, e nell'attesa i lavoratori credono lecito di commemorare G. Garibaldi. La forza se ne immischia e spara e ferisce, arresta e maltratta i popolani.

Ad Alcamo in agosto la popolazione protesta con una pacifica dimostrazione contro i dazî comunali. C'era un Fascio, ma diretto da persona intelligente - il farmacista Fazio. Il Fascio prevede che su di esso, malvisto com'era dalle autorità, si sarebbe riversata la responsabilità di quanto poteva avvenire; protesta anticipatamente con una pubblica dichiarazione, che alla dimostrazione non avrebbe partecipato. E non vi partecipa; ma non per questo l'esito è meno tragico, perchè interviene la forza, spara ed ammazza.

Ad Alcamo, come a Catenanuova, come a Serradifalco, come a Caltavuturo chi spara ferisce ed uccide non viene punito. Quale maggiore provocazione? Potevasi più efficacemente agire per togliere ogni fiducia nel governo e nei suoi rappresentanti?

A Casale Floresta (prov. di Messina) non c'è Fascio; ma le condizioni generali sono orribili; non c'è medico, non farmacista, non levatrice, non mezzi di viabilità. Pure da quattro anni si paga il focatico perchè si sopperisca a tanti bisogni e non si riesce che a costruire una strada interna nel quartiere dei galantuomini e a pagare L. 500 all'anno ad un medico di un vicino paese, che dovrebbe visitare il paese due volte la settimana, e che adempie al suo dovere assai più raramente. Il 22 ottobre, a causa di nuove tasse comunali, i contadini si ribellano chiedendo la revisione dei conti passati e lo sgravio di una nuova tassa. Disarmano alcuni dei carabinieri sopraggiunti e li costringono a rinchiudersi nella caserma perchè il loro furore non ha limiti dopo il ferimento - forse accidentale - di un popolano. Nominano sul campo un nuovo sindaco. L'indomani arrivano soldati e si fanno oltre trenta arresti, seguiti da relativo processo e da lunga detenzione dei poveri contadini.

Milocca e Racalmuto nella cronaca della provocazione occupano un posto assai importante per l'indole dei fatti che vi si svolsero, in parte alla mia presenza, e pel suggello che ebbero dalla magistratura: suggello che elimina il sospetto di partigiana ed interessata esagerazione. A Milocca, a Sutera, ad Acquaviva, a Campofranco, zona esclusivamente agricola della provincia di Caltanissetta, i contadini si erano riuniti in Fasci. Le autorità e i maggiorenti fecero di tutto per farli sciogliere: più volte ne violarono il domicilio, ne minacciarono i membri, ne arrestarono i capi coi pretesti più futili; li processarono e nei processi furon assolti o per inesistenza di reato o per mancanza di prove.

I contadini tennero duro, specialmente a Milocca dove colla loro unione costrinsero quasi tutti i proprietarî a concedere più equi contratti agrarî. I proprietarî toccati nell'interesse se la legarono al dito e si proposero di riprendere con mezzi scellerati ciò ch'erano stati costretti a concedere colle vie legali - coll'applicazione più schietta della famosa libertà del contratto.

Un brutto giorno dell'ottobre si va a denunziare al brigadiere dei carabinieri un curioso reato: un mucchio di concime, il cui valore non arrivava alle L. 20, di proprietà di un certo Cipolla, era stato sparso nelle sue stesse terre. Si premetta che il Cipolla era stato tra i pochi proprietarî di terre a Milocca - viveva altrove - che non era venuto a patti coi contadini del Fascio; chi poteva, dunque, commettere quel grave reato per vendicarsi del proprietario renitente?

Il Fascio! In forza di questa strana logica le autorità procedono all'arresto del Cannella, Presidente e di tutto il Consiglio direttivo del sodalizio e li sottomettono a processo per associazione a delinquere... E si parla misteriosamente di liste di proscrizione rinvenute presso i socî del Fascio, di pugnali, di formule terribili di giuramento, di preparate spartizioni di terre....

Le donne di quell'ameno villaggio, le quali non sono meno gagliarde degli uomini, indignate di quella che a loro sembrava infame prepotenza, insorgono in numero di 500, assaltano la caserma dei carabinieri, ne sfondano le porte e liberano i cinque arrestati della vigilia. Non un solo uomo si unì alle donne; e di fronte a questo esercito infuriato, ma inerme, i carabinieri non ebbero cuore di far fuoco e perciò non si deplorarono morti o feriti. Delle intenzioni delle donne, che non si seppero rassegnare a vedere arrestati ingiustamente i mariti e i figli se ne ha la prova in questa circostanza: ebbre di gioia per la liberazione dei prigionieri, s'impadronirono delle armi dei carabinieri, non per adoperarle, ma per condurle in trionfo; e in trionfo condussero sulle loro braccia, baciandolo in volto, un carabiniere che si era mostrato più umano e pietoso verso di loro.

Quando il De Rosa, degno strumento di qualsiasi governo ferocemente reazionario, seppe in Caltanissetta della terribile rivolta femminile, mandò sul luogo truppa, carabinieri, delegati e giudici. Si sparge in un baleno la notizia della imminente repressione: gli uomini a cavallo e armati di fucili prendono il largo decisi a vendere cara la loro libertà. Le autorità arrestano a casaccio sette uomini e trentadue donne, che traducono ammanettate - alcune gestanti, altre coi loro bimbi lattanti sulle braccia! - nelle carceri di Mussomeli.

Il Cannella, Presidente del Fascio, intelligente ed energico quanto mai, vide tutta la desolazione dello abbandono delle case e tutto il pericolo di tanti uomini armati e risoluti, che avevano preso la campagna e conscio com'era della loro innocenza li consigliò a ridursi nel villaggio. Non fu ascoltato, perchè gli altri contadini volevano la promessa di qualcuno il quale avesse potuto difenderli all'occorrenza, che non sarebbero stati arrestati rientrando pacificamente nelle rispettive abitazioni. Pensarono che quella persona potevo essere io onde il Cannella accompagnato da altri tre venne in Castrogiovanni ad invitarmi perchè andassi a Milocca. Accettai e insieme al sig. E. Fontanazza, al signor Castiglione e al sig. Garofalo, Presidenti dei Fasci di Castrogiovanni, di Grotte e di Siculiana, riuscii ad indurre i contadini, che a schiere si presentarono a me lungo la via da Grotte al villaggio, a rientrare nelle loro case e persuasi anche i liberati del giorno innanzi a costituirsi alle carceri. L'opera mia e dei miei amici e del Presidente del Fascio di Milocca fu da veri uomini di ordine, che mostravano fede nella magistratura; e ad onor del vero devo confessare, che in questa occasione essa meritò la fiducia.

Eravamo al Novembre, giorno dei Morti, che si rispetta dai contadini e dagli zolfatari coll'astensione dal lavoro e ripartimmo nel meriggio da Milocca per Grotte per riprendere il treno, che doveva restituirci alle nostre case. I contadini di Milocca in massa, con l'avv. Vella presidente del Fascio di Racalmuto, ci accompagnano sino a mezza strada; dove per fare più presto ed arrivare in tempo a non mancare il treno si mutò itinerario ed invece che a Grotte c'indirizzammo a Racalmuto. Qualcuno per iscorciatoie scabrose, ci precorse ed avvisò la cittadinanza del nostro imminente arrivo; una imponente dimostrazione fu improvvisata che ci venne incontro preceduta del rosso gonfalone e dalla fanfara del Fascio, e, percorso tranquillamente il paese per lungo e per largo, ci accompagnò alla stazione. Non un grido sovversivo fu emesso, non il menomo disordine fu deplorato, come poscia unanimemente deposero innanzi al Tribunale di Girgenti gl'impiegati ferroviarî e parecchi altri cittadini radicali socialisti; eppure nel momento in cui arriva il treno e ci scambiavamo affettuose strette di mano, senza intimazione, senza avvisi, senza il benchè menomo pretesto, un carabiniere ed un maresciallo si scagliano all'improvviso sul portabandiera e gli strappano il gonfalone. Il popolo sbalordito e indeciso per un istante, reagisce, riprende lo stendardo ch'è fatto in mille pezzi, mentre i carabinieri impugnano le rivoltelle e sono trattenuti dal tirare da molte braccia di nerboruti lavoratori.

Il maresciallo mira su di me replicatamente e mi costringe a gettarmi nella mischia per legittima difesa e per contribuire a disarmare quei due forsennati. Riusciamo nell'intento e si restituiscono le rivoltelle al carabiniere e al maresciallo entro la stanza del capo stazione dopo avere ottenuto promessa formale che non le avrebbero più adoperate; raccomando calorosamente ai lavoratori di sciogliersi e di evitare ogni possibile pretesto a nuovi abusi della forza, e ripartiamo.

Perchè si comprenda quanta sia stata la capricciosa brutalità dei due carabinieri che mostrarono un coraggio grandissimo, malamente speso, devo aggiungere che il gonfalone rosso non solo era stato portato liberamente per le strade in quella occasione e in cento altre in tutta la provincia, ma che poche ore dopo un'altra dimostrazione ci venne incontro a Canicattì, preceduta dal gonfalone rosso del Fascio alla presenza dei carabinieri e del delegato di pubblica sicurezza, senza che le autorità avessero fatto la benchè menoma osservazione.

Ciò che avvenne in Racalmuto la notte successiva - proprio durante la notte! - per opera del delegato - che si era vilmente ecclissato durante il tafferuglio - e dei carabinieri, ricorda i fasti peggiori della polizia austriaca e borbonica. Ma non è mio intendimento narrarli quali elementi comprovanti la provocazione; questa in tutta la sua brutalità risulta dal seguente dato: per un mucchio di concime non rubato, ma sparso nelle terre del padrone si arrestano cinque cittadini sotto l'accusa di associazione a delinquere; questo arresto determina la sollevazione delle donne di Milocca seguita dall'arresto di altri 39 individui, tra i quali 32 donne, coi loro bambini; e quest'altro fatto alla sua volta genera il tafferuglio di Racalmuto che dette luogo ad un'altra quarantina di arresti. Si vuol sapere ciò che c'era di vero nel reato primitivo, che costò la prigione da quattro ad otto mesi ad ottanta cittadini del regno? Il tribunale di Caltanissetta - che va lodato per parecchie oneste sentenze emesse anche durante lo stato di assedio, tra le quali quella cui mi riferisco qui - mandò assolti i malfattori perchè il Pubblico ministero all'udienza e in seguito alle risultanze del processo orale ritirò l'accusa per inesistenza   di reato. E lo stesso brigadiere dei carabinieri confessò che lo spargimento del concime fu denunziato dai proprietarî, senza che fosse avvenuto, nello intendimento di nuocere ai capi del Fascio e di sbarazzarsene facendoli arrestare! Non si ha ragione, dunque, di esclamare che questa prodezza degli agenti del Prefetto De Rosa costituisce la più enorme e imprudente provocazione?

Io che a Milocca mi ero informato della verità con una rapida inchiesta, interrogando il delegato del sindaco di Sutera - cui è aggregato Milocca - il brigadiere dei carabinieri e il luogotenente che comandava il distaccamento di fanteria, indignato scrissi e telegrafai in quella occasione alla Tribuna, che l'on. Giolitti in Sicilia faceva più male della banda maurina.

A Gibellina pigliando pretesto da una pacifica dimostrazione, il delegato entrò violentemente nella società agricola, e ne scacciò i soci, arrestandone alcuni; furono strappate violentemente le bandiere e furono sparati diversi colpi in aria dai carabinieri. L'intromissione di alcuni influenti cittadini del luogo e dell'avv. Scaminaci di Santa Margherita evitò scene di sangue, che, date le provocazioni e le violenze della forza pubblica, sembravano imminenti; il delegato ebbe salva la vita per uno stratagemma dello Scaminaci, il quale - sempre in punizione dell'opera pacificatrice - dopo qualche giorno, allo arrivo della forza, venne arrestato, ammanettato, tradotto nelle carceri di Trapani, processato e condannato. Si noti: oltre lo Scaminaci, ben quarantotto persone furono arrestate e processate dietro una calunniosa denunzia del funzionante da Sindaco; ma vennero tutte assolte dal Tribunale e la condotta del denunziatore venne severamente stigmatizzata dal Regio Procuratore. A Gibellina non c'era Fascio dei Lavoratori: ma si costituì subito come reazione contro la condotta dell'autorità di pubblica sicurezza e vi s'inscrissero tutti gli uomini validi. Ivi erano vivissime le gare amministrative. I fatti di novembre lasciarono una profonda agitazione ch'ebbe più tardi un sanguinoso epilogo.

Le provocazioni e i fatti analoghi furono a centinaia ed ebbero sempre risultati identici. Dal gennaio 1893 al gennajo 1894 le dimostrazioni pacifiche, gli scioperi legali si seguono e si ripetono in ogni angolo dell'isola e si alternano e provocano violenze e abusi della polizia; e non di rado queste violenze e questi abusi precedono e provocano le dimostrazioni, che in molti punti si ripetono e si alternano con quelle provocate dall'esorbitare dei dazî comunali. L'esercizio dei diritti consentiti dallo Statuto parve tramutato in un tranello teso alla buona fede dei cittadini che finiva sempre colla violazione di tutte le leggi da parte delle autorità. Gli arbitrî e le violenze sono di ogni genere e vengono perpetrati nei momenti acuti e in quelli di calma col proposito deliberato di scompaginare e dissolvere quelle forze popolari che per la prima volta si erano seriamente organizzate in Sicilia, col fine di conseguire il proprio miglioramento economico.

E la polizia strappa le bandiere, abbatte porte e finestre per violare il domicilio dei Fasci e dei singoli soci, li arresta, li processa, li ammonisce, li manda a domicilio coatto. Questa stessa polizia - forte delle sue pessime tradizioni, della impunità ed anche degli incoraggiamenti dei poteri superiori - sin dal primo accenno al moto sociale dei Fasci mostrò aperta la intenzione di avversarlo in tutti i modi. Esplicazione generale di questa intenzione furono innumerevoli ed arbitrarie perquisizioni domiciliari, inviti altrettanto arbitrarî a cittadini egregi di portarsi in questura o negli uffici della pubblica sicurezza per sentire consigli non richiesti e intemerate villane; contravvenzioni continuate, legali forse, perchè la reazionaria legge di pubblica sicurezza somministra il pretesto per renderle sempre angariche ed odiose; ritiri capricciosi di licenze di minuta vendita; partigiane denegazioni del permesso di portare armi, anche a chi per proprio ufficio non può farne a meno; richieste insistenti e tentativi per avere gli elenchi dei soci dei Fasci, per intraprendere il minuto lavorio di disgregamento mercè le lusinghe, le promesse, le minacce, tra le quali quella efficacissima e terribile dell'ammonizione72.

I risultati di questi procedimenti sono dappertutto uguali e di doppio ordine: da un lato la gagliarda fibra isolana, reagisce, come sempre, e rende simpatici i Fasci anche a coloro che primitivamente li avversavano, li fa moltiplicare e consolidare; dall'altro le notizie di tante prodezze poliziesche si sparge dappertutto e distrugge l'ultimo avanzo di fiducia che si aveva nelle autorità, infondendo in tutti la convinzione che era vano sperare giustizia da coloro ch'erano preposti a renderla73.

E quando la magistratura rendeva i suoi verdetti questi non servivano che a rinforzare l'abborrimento contro il governo, le cui male arti erano state bollate dalle autorità competenti. Furono infatti numerose le assoluzioni in particolare presso i tribunali penali di Caltanissetta, di Girgenti, di Trapani, di Palermo ecc., nei tanti processi capricciosamente promossi dalla polizia (Milocca, Acquaviva, Gibellina, Siculiana, Piana dei Greci ecc. ecc.), tanto che il Generale Corsi malinconicamente osserva:

«Col Codice penale alla mano (?), le autorità politiche facevano arrestare gl'istigatori allo sciopero o i colpevoli delle violenze che avvenivano; ma in base allo stesso Codice ed a criterî, come dicono, o ragioni di giustizia od altre, che non istarò ad esaminare, i Tribunali ne mandavano la maggior parte colla piena assoluzione o colla dichiarazione del non farsi luogo a procedere. E questi se ne tornavano al loro paese a ridere in faccia a chi si era preso l'incomodo di arrestarli.» (Sicilia, p. 334).

Chiunque conosce un po' da vicino la nostra magistratura sa che se una colpa grave le si può rimproverare è la soverchia deferenza, se non voglia chiamarsi abbietto servilismo, verso le autorità politiche; se essa assolveva, adunque, è segno certo che il diritto era palesamente dal lato dei cittadini e che non era possibile salvare i rappresentanti del governo dal biasimo, che su loro ricadeva da quelle sentenze assolutorie.

L'opera nefasta del governo centrale e dei suoi rappresentanti locali venne compiuta ed aggravata dalle classi dirigenti. «I possidenti - dice il generale Corsi - stettero duri al loro interesse e lo vollero intatto nella loro pienezza, come lo intendono loro, cioè col maggiore possibile profitto per essi, conservando ciò che è, respingendo le novazioni... I possidenti e gli affittatori avevano visto avvicinarsi la procella, ne avevano presentito gli effetti. In quelle situazioni in cui si trovavano per consuetudine antica di fronte ai lavoratori, più che sorpresi o stupiti, n'erano stati impauriti o irritati...» Un accordo avrebbe potuto e dovuto tentarsi; «ma le difficoltà da una parte e dall'altra74 avevano troppo profonde radici: lo stacco era troppo grande e durava da tempi immemorabili; e da un lato vi era odio, dall'altro paura. I signori dunque credettero del loro interesse e della loro dignità di non dipartirsi75 dallo antico costume, divenuto connaturale in loro: stettero fermi o si ritrassero o fecero appena un piccolo passo avanti secondo i luoghi, secondo gli umori, e, direttamente o per mezzo dei loro accoliti, accesero la stampa, assediarono i Prefetti, gridando minacciato gravissimamente l'ordine pubblico, peggiorate enormemente le condizioni della pubblica sicurezza, dando per flagrante tutto il male possibile, e chiedendo, come l'affamato il pane, carabinieri e soldati. A conto fatto, non sarebbe bastato tutto l'esercito italiano - nel periodo della forza minima - per rassicurarli tutti. Molti municipî erano a capo di questa che dobbiamo dire reazione, quelli, s'intende, nei quali prevalevano i proprietarî.» (Sicilia, p. 328, 331, 332).

In qualche punto questi accordi desiderati e invocati sono tentati e specialmente per opera dei comandanti dei distaccamenti di truppa; e se si vuol sapere con quanta sincerità ed onestà erano condotte le trattative si può apprenderlo dallo stesso generale Corsi, a cui un Comandante fa una lunga narrazione di tali accordi tentati e condotti a buon punto in un paese e conchiude così: «La situazione lasciava quindi sperare la tranquillità la più assoluta ed il ristabilimento della calma negli animi di tutti, quando ieri sera... alle 11 giunge al Vice ispettore un espresso da... coll'ingiunzione di procedere all'arresto di cinque fra i capi del Fascio, compreso il Presidente.» (p. 340).

Non continuo nella riproduzione delle relazioni di quel Comandante ch'è un osservatore diligente, commento il fatto, perchè esso è di una eloquenza irresistibile; avverto solo che i fatti consimili sono innumerevoli; le trattative quasi sempre non hanno che uno scopo: scongiurare una dimostrazione in attesa di rinforzi e arrivati questi si procede all'arresto di coloro ai quali si strinse la mano con effusione e si promisero concessioni eque, ragionevoli.

Questo non è tutto. È grande la colpa delle classi dirigenti per la loro fanatica resistenza alle riforme e alle concessioni, per l'ostinata persistenza nell'antica usura, pel disprezzo verso i lavoratori e verso le idee nuove, per lo stolto proponimento di farsi arma in certi luoghi degli uni e delle altre - che presero a favoreggiare inopinatamente e more Rabagas - onde sfogarsi contro i nemici ch'erano al potere; e per tutto questo non esito a dire che la responsabilità loro non è minore di quella del governo.

Esse, in generale - che non mancarono le nobili e lodevoli eccezioni - furono fortunate dell'indirizzo preso dal governo; ed angariarono, denunziarono, derisero i Fasci e i loro socî. In qualche punto si organizzò un vero boicotaggio alla rovescia; non si dette lavoro o lo si retribuì di meno, ai soci de' Fasci. Fecero di peggio: misero in circolazione, specialmente nella provincia di Girgenti, delle petizioni al Sensales ed al Presidente della Camera, - redatte in termini calunniosi, infami contro i sodalizî e le classi popolari, - colle quali s'invocavano leggi eccezionali, repressione energica e pronta per ispegnere quello che essi chiamavano il moto sovversivo!

Si può immaginare piuttosto che descrivere la irritazione e il risentimento che si destò negli animi dei lavoratori per l'attitudine del governo e delle classi dirigenti. I lavoratori intuirono che essi erano le vittime designate di una imminente repressione, stata annunziata e minacciata tutti i giorni e in tutti i luoghi e che doveva essere iniziata col generale scioglimento dei Fasci, onde l'odio di classe ch'era vivo ingigantì; e ad ingigantirlo contribuivano le notizie trasmesse oralmente o per mezzo dei giornali da paese a paese, talora false, tal'altra esagerate, inesatte sempre; ed ingigantì sopratutto pel fatto non mai abbastanza deplorato che giammai si vide un prepotente ed un violatore della legge punito; sicchè negli animi dei popolani si ribadì incrollabilmente la credenza, che non si poteva e non si doveva sperare giustizia dal governo.

E in questo stato di animi, che costituiva una vera anarchia politica e morale, si pervenne al mese di dicembre, quando tutto ciò che si era seminato dette i suoi frutti; quando la passione prese il sopravvento; quando la paura del peggio, la speranza di miglioramenti, la sicurezza di ottenerli mostrando i denti fecero confondere tutti i criteri, fecero adoperare i mezzi leciti e quelli illegali. Ma tutto questo avveniva con tanta incoscienza, con tanto insensibile passaggio dal giusto all'ingiusto, con tanto fatale concatenamento di episodî, di provocazioni e e di reazioni, che poca colpa vera si può dare alla parte popolare anche dove trascese, a Partinico, a Monreale, a Castelvetrano, a Mazzara del Vallo, a Valguarnera, ecc. ecc.

E mi fermo alle scene di Valguarnera, perchè furono caratteristiche. Ivi non c'era Fascio; chi si era adoperato a farlo sorgere aveva dovuto rinunziarvi per mancanza assoluta di elementi adatti, per il lealismo monarchico ed anche conservatore di cui facevano mostra a gara i partiti amministrativi in aspro antagonismo tra loro.

Il malessere economico, però, per la crisi zolfifera ed agraria vi era profondo e generale; il fermento nel popolo e la indignazione contro le autorità raggiunsero le proporzioni più alte per la inettitudine, per la imprudenza e per la prepotenza mostrata dal locale delegato di Pubblica sicurezza il giorno 4 dicembre nella miniera di Grottacalda, in occasione della festa di Santa Barbara organizzata dalla amministrazione - composta da persone temperatissime - e alla quale avevano preso parte parecchie migliaia di pacifici lavoratori di Piazza Armerina, di Castrogiovanni e di Valguarnera.

In questo stato di animi e con tali autorità il giorno 25 un zolfataro, un certo Di Dio - sopranominato Cottonaro - assai malvisto, comincia ad arringare il popolo esponendo propositi sovversivi, come li qualificarono gli avversari. Il delegato, che non aveva ai suoi ordini se non due carabinieri volle arrestare l'improvvisato tribuno in mezzo ad una folla di alcune migliaia di persone. Non solo: quando la folla ne chiede la liberazione, un carabiniere spara un colpo di rivoltella. Allora si scatena il furore dei dimostranti...

Il delegato ed il sindaco scappano e si nascondono; i carabinieri si chiudono nella caserma e i tumultanti rimangono padroni del campo: interrompono le comunicazioni telegrafiche, liberano i detenuti, devastano e incendiano la casa del sindaco, la pretura, gli uffizî pubblici, saccheggiano diverse case e negozî. I danni prodotti sorpassano il milione di lire - ma credo che la cifra sia stata molto esagerata. Nei tumulti di Valguarnera si ebbero a deplorare parecchie rapine che - sia detto ad onore del popolo - non si ripeterono in nessun altro luogo. Spesso anzi ci fu fanatismo nel mostrarsi onesti; e nella stessa Valguarnera, quasi a compenso, si ricorda che i tumultanti posero in cimento la propria vita per salvare alcuni fanciulli in una casa cui avevano appiccato l'incendio. Le rapine si spiegano col fatto che passato il primo momento non restarono a spadroneggiare se non una trentina di malviventi, che non miravano ad altro se non a rubare. Non ci furono morti; e ci fu un solo ferito per un colpo tirato da un carabiniere. All'indomani, all'arrivo della forza e del Prefetto si fecero circa 300 arresti, tra cui molte donne; la massima parte dei liberati dal carcere andarono a costituirsi. Non si riuscì, però, a riprendere il Cottonaro, promotore primo dei disordini; solo dopo parecchi mesi esso si presentò spontaneamente e si afferma da un altro canto, che molti che furono maggiormente responsabili delle rapine e degli incendî si assicurarono la impunità facendola da delatori e mettendosi ai servigî delle autorità politiche e amministrative, denunziando cittadini onestissimi, facendoli arrestare o costringendoli a fuggire. E i latitanti, infatti, furono a centinaia.

Valguarnera rappresenta il prodotto di una serie di cause molteplici, di una lenta preparazione, e della scintilla data dalla provocazione poliziesca76.

 

 

 





69  Avvertii sempre e raccomandai con tutte le mie forze e in tutte le occasioni la istruzione agli operai. Questi miei sforzi ha riconosciuto il generale Corsi (Sicilia p. 298) e gliene sono grato come del migliore elogio che poteva farmi.



70  Nell'originale "prorietarî". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



71  Nell'originale "corrresse". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



72  Conosco aneddoti piccanti su questa richiesta dello elenco dei soci dei Fasci. Eccone uno: il sotto prefetto di X... voleva ad ogni costo quello di un paese del suo circondario. Il presidente del Fascio lo negò al delegato di P. S. e questi per non fare cattiva figura presso il superiore ne creò uno di sana pianta comprendendovi molti avversari del Fascio! In quanto ad esattezza d'informazioni su persone sospette il colmo del ridicolo e dell'infamia nello stesso tempo si ha avuto dopo l'attentato del Lega contro l'on. Crispi. Il ministero ha chiesto alle autorità locali la biografia e la fotografia degli anarchici e dei socialisti pericolosi; e nello elenco di questi individui pericolosi la maggioranza è rappresentata da persone non solo onestissime, ma che non sono anarchiche, socialiste, repubblicane, ma semplicemente invise per ragioni personali ai sindaci, ai delegati di pubblica sicurezza ed ai prefetti. Gli elenchi della provincia di Caltanisetta, compilati dal famigerato Prefetto De Rosa sono un capolavoro d'infamia.



73  A proposito della resistenza energica opposta sempre alle prepotenze governative mi sembrano opportune queste parole pronunziate da Cordova nel 1863: «I Siciliani sono avvezzi da lungo tempo a considerare il Governo come tenuto a rispettare la legge, ed anche quando essi per avventura non la rispettano, pretendono che il governo la rispetti. È un'abitudine acquistata dalle loro antiche istituzioni e consacrata dal patto del 1812, in cui un articolo esplicito diceva: Ogni cittadino ha il diritto di far resistenza all'autorità pubblica, se questa non opera in conseguenza della legge.» Questo ricordo vale se non altro a dimostrare come certe costituzioni consacrassero in Italia sul cominciare del secolo principi assai più liberali di quelli contenuti nello Statuto del magnanimo Carlo Alberto



74  Nell'originale "dell'altra". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



75  Nell'originale "dipartisi". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



76  I luoghi nei quali durante il 1893 avvennero provocazioni, dimostrazioni e abusi di ogni sorta sono numerosi. Dai giornali sono riuscito a comporre questo elenco ch'è incompleto:

Palermo, Serradifalco, Campobello di Licata, Prizzi, S. Giuseppe Jato, Piana di Greci, Floridia, Borgetto, Scicli, Ravanusa, Mazzara del Vallo, Catenanuova, Partinico, Bisacquino, Corleone, Sancipirrello, Chiusa Sclafani, Sommatino, Villafranca, Termini Imerese, Canicattì, Terranova di Sicilia, Santa Croce Camerina, Naro, Grotte, San Cataldo, Campofiorito, Mezzomonreale, Campofranco, Pioppo, Palazzo Adriano, Lentini, Milocca, Belmonte-Mezzagno, Parco, Acquaviva Platani, Sutera, Lercara, Siracusa, Casteltermini, Villafrati, Siculiana, Casale Floresta, Montelepre, Cattolica Eraclea, Villarosa, Aragona, Caltabellotta, Paceco, Contessa Entellina, Montemaggiore Belsito, Alcamo, Valledolmo, S. Ninfa, Castronovo, Bambina, Ciminna, Mezzojuso, Cerda, Cefalù, Rosolini, Castelvetrano, Racalmuto, Santa Caterina Villarmosa, Balestrate, Trappeto, Caltanissetta, Spaccaforno, Modica, Francofonte, Piazza Armerina, Gibellina, Lucca Sicula, Butera, Bivona, Burgio, Roccadifalco, Pietragliata, Rocca, Petralia Soprana, Comitini, Terrasini, Misilmeri, Ragusa, Partanna, Salemi, Salaparuta, Trapani, Camporeale, ecc., ecc.



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