Napoleone Colajanni
Gli avvenimenti di Sicilia e le loro cause

XXII. IL PROCESSO MOSTRUOSO

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XXII.

 

IL PROCESSO MOSTRUOSO

 

Di questo processo si potrebbe dire per eccellenza quello che il Carrara affermava dei processi politici: «la giustizia non vi ebbe parte

Quella politica che già fin dai singoli processi per i tumulti del dicembre '93 e gennaio '94 s'era mostrata conturbatrice del giudizio; quella politica che aveva esercitato tutta la sua bassa influenza nel processo contro il Curatolo - del quale si parlò avanti - venne, nel processo De Felice e compagni, a spiegare intera la sua mostruosa gravezza; così che, questo, tutto riassume e comprende le brutture e le violazioni degli antecedenti processi svoltisi avanti ai Tribunali di guerra.

Per una fatalità, l'istruzione di esso fu iniziata e compiuta in un antico palazzo medievale - fosco di molte truci memorie - che porta ancora nella piccola torre merlata il vecchio orologio a campana che sonò tante ore di agonie tremende.

È il palazzo dei Manfredi Chiaramonte, ove per due secoli infami i Tribunali del S. Uffizio compirono la tenebrosa opera loro! e dove oggi - da magistrati che pur videro infrangersi contro a una civiltà nuova l'ultimo avanzo della temporalità della Chiesa - potè essere ordito, malvagiamente, un processo su delazioni segrete,... di quel segreto che fu anima dell'Inquisizione.

Consapevole com'ero di tutti gli elementi che potevano comporre quel processo, e dei mezzi adoperati a raccoglierli, e del criterio seguito nel coordinarli; delle intenzioni, insomma, che guidavano coloro che lo avevano imbastito e imposto, scrissi nella prima edizione di questo libro - tre mesi avanti che cominciasse il dibattimento - le seguenti parole:

«La grandiosità artificiale del processo contro De Felice, Bosco e C. è una vera montatura teatrale, che mira a giustificare le misure prese e l'allarme destato; ma se il processo verrà a termine, se si svolgerà innanzi ai giudici naturali e non verrà soppresso da una comoda e pietosa amnistia che gioverà a coloro che lo hanno imbastito e non agli accusati, si vedrà che esso sarebbe una colossale bolla di sapone, se non fosse una grande infamia nella quale si tenta coinvolgere quanti ebbero innocenti relazioni con De Felice, Bosco e compagni, quanti ebbero parte nella organizzazione dei Fasci colla ferma intenzione di mantenersi nei più stretti limiti della legge. Il processo, se sarà nei suoi dettagli, riabiliterà la fama dei giudici dei peggiori tempi della tirannide. E allora si vedrà quale opera nefanda di servilismo e di complicità hanno fatto certi giornali, che con singolare compiacenza hanno riferito, fingendo di averle dalle solite fonti ineccepibili e autorevoli - ch'erano poi quelle delle questure - le notizie sull'alto tradimento, sull'oro francese, sui depositi delle armi, sui cannoncini (che servono a sparare le così dette botte!), sul cifrario e sulle misteriose corrispondenze col medesimo spiegate, sulla constatata relazione tra i fatti di Massa e Carrara e quelli di Sicilia e di questi coi capi dei Fasci...»

Previsione triste, la quale pure venne superata dai fatti! così che veramente, questo processo, e per la sua durata; e per gli incidenti; e per il numero e la qualità dei testimoni di accusa e di difesa; e per le risultanze sorte dalla grande libertà di parola e di apprezzamenti a tutti accordata; e per l'enorme contraddizione tra quelle risultanze e la sentenza - non impreveduta, certo - ma che avrebbe dovuto essere imprevedibile, questo processo, dico, che trasse tutta la sua esistenza dalle accuse della polizia fondate su delazioni di confidenti segreti, non può essere chiamato altrimenti che mostruoso.

Dai 7 d'aprile, ai 30 di maggio: due mesi di discussioni e di lotte tra gli accusati, la difesa, il Presidente, i testimoni, l'Avvocato Fiscale, provarono l'istruzione del processo tutta una farsa indegna, la quale però finì in tragedia per la condanna che mandò in galera dei giovani valorosi che lasciarono nella squallida miseria le loro famiglie.

Il processo mostruoso si svolse nell'ex convento di S. Francesco di Assisi - nel 1848 sede di quel parlamento Siciliano che doveva adattare ai tempi la costituzione del '12 - e nella stessa Sala dove fu dichiarata decaduta la dinastia dei Borboni!

L'evocazione di questi ricordi di glorie infelici - conquistate con tanto sangue in nome della libertà, - faceva sentire più forte la melanconia di quel grande inverosimile apparato di forza, che dalla via del Parlamento non era interrotto fino nell'aula del Tribunale. C'erano poi soldati, carabinieri, questurini, delegati, scaglionati da per tutto nelle vicinanze del Palazzo e si sentiva subito, anche da chi l'ignorava, che in esso si perpetrava qualcosa d'inusitato e di contrario alla libertà, di inviso al popolo e che premeva molto al governo che si compisse a malgrado di tutto e contro tutti.

Innumerevoli guardie di P. S. venivano appostate lungo la strada che, dalla Vicaria alla via del Parlamento, percorrevano le carrozze cellulari, scortate da drappelli di carabinieri.

Ammanettati ben bene, gli accusati, erano condotti nella grande gabbia che ha racchiuso briganti famosi e delinquenti d'ogni sorta.

Nell'aula non era già dato a chicchessia di penetrare. Gli agenti di polizia squadravano d'alto in basso, e negavano o accordavano l'ingresso secondo il loro talento, onde accadeva poi che una quantità di guardie travestite venivano comandate a far la comparsa di pubblico nell'aula grande, chè altrimenti sarebbe rimasta presso che deserta.

Entravano liberamente Signori e Signore dell'aristocrazia e dell'alta borghesia, che avevano biglietti per posti distinti. Venivano volentieri a godere dello spettacolo di quel processo!

Pure qualche volta accadde a una dama di commoversi; altre però fecero mostra di una durezza fenomenale.

Una contessa, che ama le bertucce, un giorno scendendo per l'ampie scale, ebbe tanta gentilezza d'animo da dire, ridendo, che quegli uomini dentro la gabbia le erano sembrati degli scimmioni.

E la cosa fu tanto orribile che un onorevole principe, il quale le stava a lato, disse a quella dama delle parole così severe che somigliavano a un rimprovero.

Non ugualmente, da quei posti riservati poterono assistere sempre i congiunti degli imputati, perchè le spie assicuravano giudici e poliziotti che essi scambiavano segni misteriosi e pericolosi coi giovani baldi rinchiusi nella gabbia: - e non erano altro che dei saluti furtivi ed affettuosi!

Forse, furono ritenute anche pericolose le lagrime che qualche volta, sgorgavano dai bruni occhi di Maria De Felice, proprio malgrado, quando il padre levavasi fiero e sorridente a protestare contro una calunnia, o a schiacciare cogli articolati stringenti un basso testimonio di accusa.

Gli imputati - da prima malvisti e odiati anche - destarono poi nel pubblico interesse e simpatia vivissima: fu un crescendo, mano mano che al dibattimento venivano sfatate le accuse vili che i loro nemici avevano fatto circolare sapientemente.

Perocchè il governo e le classi dirigenti, con uno sfacciato lavorio di denigrazione, erano riusciti a rendere odiosi i socialisti del processo mostruoso; nei giornali, alle Camere, nei crocchi, le calunnie più inverosimili si erano spacciate contro di loro. Gl'imputati non erano soltanto responsabili degli eccidî, degli incendî, delle devastazioni di Sicilia, ma erano anche i traditori della patria, che volevano disfare l'opera secolare a cui consacrarono braccia, mente e cuore tanti martiri e tanti eroi; erano i traditori della patria, che avevano trescato coll'eterno nemico d'Italia, il clericalismo e ch'erano stati comprati dall'oro straniero. E in essi, più che gli utopisti imprudenti, che sognavano la redenzione economica dei lavoratori, lo ripeto, non si vedevano che i traditori della patria.

Tale l'ambiente morale creato non solo in Palermo, ma in tutta Italia. Era stato creato colle menzogne e colle calunnie più scellerate; ma queste venivano proclamate con tanta sicurezza e con tanta insistenza da coloro che si presumeva dovessero conoscere la verità - dall'infimo giornaletto di provincia sussidiato dal Prefetto, al grande giornale della capitale, la cui ufficiosità non era discutibile; dal delegato di pubblica sicurezza al primo ministro del regno - che la pubblica opinione venne traviata e le infamie, per un momento, acquistarono credito presso gli uomini indipendenti e di mente eletta, sinanco tra gli amici politici dei prigionieri136.

Ma è tempo di fare, per così dire, la cronaca e la descrizione del processo mostruoso e comincio dalla lista degli accusati, dei giudici, dei difensori, dei testimoni e degli accusatori.

Degli accusati non faccio la biografia; sono giovani tutti, meno il Bensi, e non ebbero campo di fare qualche cosa notevole pel proprio paese o per la libertà; quasi tutti furono giornalisti intelligenti oratori e propagandisti instancabili e fortunati dell'ideale socialista. Emerge Giuseppe De Felice e per la sua vita avventurosa, e perchè è Deputato al Parlamento, e perchè è onorato dall'odio personale di Francesco Crispi, e perchè in fine, a torto o a ragione, viene ritenuto il Capo dei Fasci e della cospirazione: da lui, perciò, prende nome il processo mostruoso.

Gli accusati nell'atto di accusa e nella requisitoria del Pubblico ministero sommariamente vengono qualificati come appresso - e la qualifica è bene conservare a documento della137 fenomenale leggerezza e della malignità di chi istruì il processo e di chi fece da pubblico accusatore.

 

Cipriani è notoriamente conosciuto quale un internazionalista anarchico ed un ardente rivoluzionario.

Guli Emmanuele è un anarchico siciliano così ritenuto nelle denuncie, così definito dai coimputati nei loro interrogatorii.

Petrina un rivoluzionario di tempra adamantina, così negli elogi che in diverse lettere gli fa Cipriani.

Montalto il più serio del partito tra quelli del Comitato, secondo egli stesso si qualifica in una lettera del 23 maggio 1893 diretta al farmacista Curatolo di Trapani.

Il Ciralli è un fanatico gregario, mentre il Cassisa è un arrabbiato contro l'attuale ordine di cose tanto da scrivere in una lettera del 19 marzo 1892 diretta a Montalto, essere una vergogna che il municipio di Trapani preparasse un'accoglienza al Duca degli Abruzzi che chiama farabutto savoiardo, che non ha altro pregio che appartenere a casa Savoia.

Il Pico è un entusiasta travolto nella corrente dal De Felice, perchè elevato a segreto ambasciatore: come prova una sua lettera ed egli lo ammette nel suo interrogatorio.

Il Verro è un rivoluzionario opportunista ed il Barbato un rivoluzionario convinto che non disdegnerebbe di cogliere la prima favorevole occasione.

Il Bensi Gaetano, bolognese è un opportunista che per la rivoluzione fa causa comune con chicchessia. Difatti egli in una lettera dell'8 dicembre 1893 diretta a De Felice scrive che: nel fascio già costituito entrano anarchici, collettivisti, socialisti.

E più sotto: Oggi a Ravenna vi sarà una riunione regionale, «speriamo che i bravi anarchici vi si trovino

Bosco sa mantenere tutte le apparenze per dirsi socialista evoluzionista, non si tradisce scrivendo, ma parlando ed agendo è un vero campione degno di De Felice ch'è un rivoluzionario deciso secondo egli stesso si analizza nei suoi interrogatorî, e non ne fa un mistero.

 

Sono imputati di cospirazione per commettere fatti diretti a far sorgere in armi gli abitanti del Regno contro i poteri dello Stato, di eccitamento alla guerra civile ed alla devastazione in qualsiasi punto del Regno con la consecuzione in parte dell'intento: fatti avvenuti nei mesi di novembre e dicembre 1893 e gennaio 1894 in Sicilia, articoli 136, 120, 252.

 

Tra gli accusati c'è un assente. A. Cipriani, che come usa presso i Tribunali di guerra non venne condannato in contumacia.

Il Tribunale era così composto.

Presidente: colonnello del genio cav. Giussani - Giudici: tenente colonnello del 57 cav. Bianchi - tenente colonnello del 3. bersaglieri cav. Borgna - capitano d'artiglieria De Boyen - capitano di fanteria cav. Minneci - capitano di fanteria Cortella - capitano d'artiglieria Pontiglione.

Da prima funzionò da pubblico ministero l'avvocato fiscale Soddu-Millo, poi - ammalatosi - venne sostituito definitivamente dal sostituto Viesti.

Sull'opera del Tribunale non ritornerò; esporrò qui la impressione che ne ebbe il pubblico in generale.

Il Presidente, colonnello Giussani, concesse grande libertà di parola non solo ai testimoni a difesa, ma anche agli accusati tanto da sembrare interessato a vederne risultare luminosamente l'innocenza.

Quale fosse il pensiero degli accusati sulla loro posizione di fronte al tribunale militare lo lascerò dire al Dr. Barbato che nella sua splendida orazione in cui non fece la sua auto-difesa ma espose le fatali ragioni storiche del socialismo, così disse:

«Quanto a noi, abbiamo semplicemente due doveri in questo processo, secondo me. Riaffermare la nostra fede, e lo abbiamo fatto. Fornire i documenti della nostra moralità extra legale, e lo abbiamo fatto. I miei compagni hanno creduto di avere anche un terzo dovere, quello di difendersi giuridicamente. Io affermo che questo diritto noi non l'abbiamo; non perchè si dubiti della lealtà vostra, non per le ragioni giuridiche che si sono messe avanti ne' parlamenti, ma perchè voi non siete i nostri giudici naturali

«E giudici naturali non esistono, per noi: il codice non ci riguarda. Io sono lieto di trovarmi dinnanzi a voi, perchè ci avete dato agio di mostrarvi chi siamo, mentre i così detti giudici naturali questo agio non ce l'avrebbero dato

«Sicchè quando vi dico che nel mio animo c'è riconoscenza per voi, riconoscenza sincera, dovete credermi. Voi con molta probabilità, anzi con certezza, manderete a casa, non certo me, ma quelli tra i miei compagni che sono i meno odiati, mentre sono sicuro che i giudici naturali avrebbero sacrificato tutti insieme a me, in omaggio a quella libertà che ha dato feudi, ville, palazzi ai vecchi lupi, manette e piombo ai figli della plebe cenciosa che ha liberato l'Italia dallo straniero e che libererà l'Italia dalla schiavitù del capitale. Ma io dubito che voi appunto non vogliate dare il vostro contributo alla civiltà in cui viviamo. Quando si vive in un dato periodo di civiltà, ogni uomo leale che la ritiene buona sente il dovere di darle, il suo contributo: quella di oggi è ancora quella che innalzava i roghi e i patiboli

«Non si tratta di codici. voi, io c'intendiamo di codici. Si tratta della convinzione che nei vostri animi può esserci rispetto a questi elementi distruttivi del presente138

E il Dr. Barbato non s'ingannò: i meno odiati, Ciralli e Cassisa, vennero assolti; gli altri tutti condannati, non perchè dimostrati autori dei reati a loro imputati, ma perchè rappresentanti di un idea, che il Tribunale aveva la consegna di combattere. Parve a tutti, che esso, abbia condannato, per disciplina.

I difensori furono:

Truglio, tenente del 38° fanteria, per De Felice - Caldarera, tenente del 22° artiglieria, per Ciralli - Calcagno, tenente del 22° artiglieria, per Cassisa - Lelli, tenente del 57° fanteria, per Bosco - Palizzolo, tenente del 22° artiglieria, per Petrina - Orioles, capitano del 57° fanteria, per Verro - Piccoli, capitano del 22° artiglieria, per Barbato - Trulla, tenente del 38° fanteria, per Benzi - Ponti, tenente del 57°, per Montalto - Palizzolo, tenente del 22° artiglieria, per Pico - Trulla, tenente del 38°, per Gulì.

Non c'è parola di elogio che basti per coloro che ebbero il compito della difesa, ingrato, perchè si sapeva inutile ogni sforzo. In questo e negli altri processi i militari della difesa mostrarono intelligenza, coraggio, indipendenza, eloquenza; essi sollevarono numerosi incidenti e somministrarono elementi preziosi per il ricorso in Cassazione; scattarono spesso contro le calunnie e le menzogne dei testimoni dell'accusa, che non di raro s'imbrogliarono, si contraddissero, si ritrattarono. Essi infine meritarono il saluto seguente, che in nome di tutti i suoi compagni rivolse loro Giuseppe De Felice: «mando139 un caldo saluto di affetto e riconoscenza ai nostri egregi, cari, simpatici difensori. Essi che accettarono titubanti le nostre difese perchè ci credettero per un momento colpevoli, li avete sentiti, hanno col maggiore entusiasmo sostenuta la nostra difesa perchè ci sanno innocenti. Essi dubitarono della nostra fede, noi non dubitammo mai della loro lealtà, vennero sconosciuti al carcere, uscirono fratelli nostri. E noi li ringraziamo come fratelli; l'opera loro non può essere che quella di fratelli. E ci confortò l'idea che, arrivati a noi in mezzo al dubbio, sono usciti pieni di entusiasmo e di affetto per questi giovani che hanno lasciato le dolcezze della vita per farsi chiudere in carcere, animati da un desiderio infinito d'amore. Grazie, grazie dal profondo del cuore, qualunque sia l'esito del dibattimento!.. noi siamo qui per domandare pietà per noi o per le nostre famiglie, ma per manifestare al paese che giovani leali lottano lealmente, senza transigere mai colla lealtà del cuore. Vi ringraziamo!...»

Gli ufficiali preposti alla difesa dei predestinati alla condanna, nel senso più elevato della parola fecero il loro dovere!

Supero la ripugnanza, che destano certe persone e presento ai lettori il Comm. Lucchese, il deus ex machina del processo mostruoso, l'artefice e lo strumento principale delle vendette del governo e della borghesia e che gli odî dell'una e le paure dell'altra condensò nei suoi rapporti e nelle sue deposizioni.

Il passato del comm. Lucchese non è bello. All'epoca del processo Notarbartolo quel passato venne rievocato dalla Tribuna Giudiziaria, autorevole rivista di Napoli - la quale... non venne incriminata. Poscia fu esposto succintamente dall'On. Altobelli nella sua testimonianza innanzi al Tribunale di Guerra, in questo processo - udienza del 16 maggio - a domanda del tenente Truglio: e infine da me, in Parlamento, costrettovi dalle denegazioni dell'onor. Crispi....

Ora quale parte abbia potuto rappresentare il Lucchese nel processo De Felice si può argomentarlo da questi due rapporti a sua firma:

 

R. Questura di Palermo

 

5 gennaio 94

 

Il Comitato Centrale agiva d'accordo col Comitato internazionale socialista-anarchico residente all'estero.

I presidenti dei Fasci sono scelti fra gli ammoniti ed i facinorosi.

Fu istituito un comitato d'azione per preparare meglio la rivoluzione.

Sul principio il Comitato si tenne separato dagli anarchici: e si unì poi a loro nel novembre del 93.

Fu progettata la rivoluzione in Palermo, che fu poi sventata dall'opportuno arrivo della forza. Si verificò invece il movimento preveduto nei Comuni dell'Isola.

Lo scopo del sodalizio era di eccitare nel popolo l'odio contro le istituzioni e le classi abbienti.

Si fa rilevare l'acquisto d'armi e munizioni fatto dai contadini a Palermo su vasta scala, e molte riparazioni alle vecchie armi.

La flagranza del delitto di cospirazione è continua e provata dalle continue riunioni del Comitato, e specialmente da quella del 3 gennaio u. s.

I fatti successi poi nei comuni costituiscono il reato di associazione a delinquere. #/

 

 

R. Questura di Palermo

 

Verbale 9 gennaio 1894

 

Lo scopo del partito socialista si desume:

1. Dal punto storico dello sviluppo dei fasci:

2. Dallo spoglio dei giornali cittadini e specialmente dai fogli del partito, come: la Giustizia Sociale e il Siciliano;

3. Dai documenti sequestrati, costituendo essi un corredo di prove chiare, complete ed inoppugnabili.

Perchè l'organizzazione potesse concertarsi e rinsaldarsi, oltre allo Statuto unico per i fasci, occorrevano:

1. Un centro direttivo nella Capitale dell'isola, celebre per le patriottiche iniziative:

2. Mezzi economici sufficienti alla propaganda colla stampa, coi viaggi, con attiva corrispondenza, sussidi e feste;

3. Un numero di persone capaci di correre qua e , affrontare i rigori della legge e di sostituire nei grandi centri l'azione che nei piccoli centri è affidata e devoluta ai pregiudicati ed ai facinorosi.

I Fasci erano composti per 2/3 di povera gente e per 1/3 di delinquenti.

Se il manifesto del 3 non è dichiarazione di guerra, ha però l'aspetto di un ultimatum da potenza a potenza.

Gli appelli alla calma erano platonici ed apparenti.

Il socialismo che per altri è una fede ed una scuola; per essi (i membri del Comitato) è uno strumento ed un mestiere.

Questore Lucchese - Palermo

 

Il Lucchese completò l'opera sua nella udienza del 20 Aprile, quando innanzi al Tribunale, disse che in Palermo si vedevano gironzare molte facce nuove venute per fare le squadre e la rivoluzione tra gli ultimi di dicembre e i primi di gennaio; che si erano fatti straordinarî acquisti di armi.

Messo alle strette s'imbroglia e si contraddice; si rifiuta per non violare i segreti di Ufficio, a scoprire la fonte delle sue notizie; ma oltre ai comuni confidenti di polizia, insinua che ebbe tutto comunicato da un membro del Comitato Centrale, completando la campagna da lui condotta contro uno dei tre membri del Comitato non arrestati immediatamente e che lasciava comprendere di non volere arrestare.

La testimonianza orale di questo Comm. Lucchese fu tale, che la difesa domandò la sua incriminazione per applicazione dell'art. 214 del Codice penale. Quando il Tribunale si ritirò per decidere, furono molte le discussioni e i commenti; l'incriminato andò al banco della Stampa per giustificarsi; fu tale, però, l'accoglienza che se ne allontanò subito. Nessuno s'illuse sulla decisione che avrebbe presa il Tribunale; ma nessuno poteva aspettarsi una ordinanza come quella che lesse il Presidente, poichè essa consacrava una enormità giuridica e morale colle seguenti parole finali: «Il Tribunale dichiara veridica la deposizione del teste, la quale non può essere infirmata dalla cartolina scritta dal Pico e respinge l'istanza della difesa». Tali parole furono accolte nell'aula da un mormorio prolungato, che in quel momento, a chi vi assisteva, potè sembrare un fremito di ribrezzo del popolo.

Per intendere tale impressione, ed anticipando la narrazione si deve aggiungere che di questa cartolina di Pico sarebbe vero autore morale lo stesso Lucchese: se non la dettò, la lesse, la conobbe, l'approvò!

I testimoni. La loro sfilata è immensa; tra quelli di accusa ho notato, senza avere avuto la pazienza di rilevare la condizione di tutti: sette prefetti, un ex prefetto, un consigliere delegato di Prefettura, tre questori, sei ispettori di pubblica sicurezza; e poi Delegati, ufficiali dell'esercito di ogni arma e di ogni grado, sindaci e proprietari, avversarî notissimi dei Fasci; e poi questurini e carabinieri; e poi pochissimi lavoratori, che o depongono su circostanze inconcludenti o smentiscono ciò che risultava avevano affermato nel processo scritto...

Quanta fosse la indipendenza di questi funzionarî-testimoni si può detergerlo dal caso occorso al Comm. Bondi, ex-prefetto di Catania e Messina: egli fu messo a disposizione del ministero per punirlo, si dice, di avere deposto in parte favorevolmente agli accusati.

Tra i testimoni a difesa stanno deputati di ogni colore - da Pierino Lucca a Prampolini, da Imbriani a Tasca Lanza, da Cavallotti a Paternostro, da Florena ad Altobelli, - consiglieri provinciali e comunali, proprietarî, avvocati, medici, ingegneri, farmacisti, commercianti - insomma il fior fiore delle intelligenze e del carattere di ogni angolo della Sicilia e di altre regioni d'Italia.

Da un questore Lucchese e da quella razza di testimoni d'accusa non furono raccolte che testimonianze e prove nelle quali c'era tutto meno che la verità e la serietà; dell'una e dell'altra non traspare neppur l'ombra della preoccupazione. E la magistratura tutte le gratuite e calunniose asserzioni, tutti gli elementi innocenti accettò come prove irrefragabili della colpevolezza degli imputati; le accettò senza alcun beneficio d'inventario.

Gli elementi più serî, a prima vista, sono le lettere di Cipriani a De Felice e a Petrina; molte rimontano al 1890, al 1888; ma di tutte l'uno e l'altro fecero un minuzioso esame, che distrusse le induzioni dell'accusa, come si vedrà, non rimanendo di assodato che questo solo: Cipriani desiderava la rivoluzione.

Si parlò di un terribile appello dello stesso Cipriani ai Siciliani; ma era tanto criminoso e pericoloso che la Giustizia Sociale lo aveva a suo tempo pubblicato senza essere sequestrata e processata.

Si fece una colpa a De Felice di un discorso pronunziato... in ottobre, a Casteltermini; ma vi fu denunzia e processo a suo tempo e la Camera di Consiglio del Tribunale penale di Girgenti non trovò luogo a procedere. Il pubblico ministero appellossi... dopo proclamato lo stato di assedio e iniziato il processo mostruoso.

A dimostrare l'accordo per la rivoluzione tra De Felice e i clericali si invoca una lettera di presentazione dell'Avvocato D'Agata di Catania all'avvocato Menzione di Napoli; ma non si procede contro chi l'ha scritta, non si procede contro colui cui è diretta e se ne fa una colpa al deputato socialista, che... non la presentò.

De Rosa, ex prefetto di Caltanissetta, trova l'indizio grave della colpabilità di De Felice nella visita da lui fatta ai prigionieri di Valguarnera nelle carceri di Caltanisetta e non si trattava che di un'inchiesta legittimissima, fatta alla presenza del Direttore delle Carceri, e la cui relazione fu pubblicata dal Siciliano, per conto del quale venne fatta.

Lo stesso De Rosa, parlò di un patto di morte sottoscritto - da contadini, che non sanno leggere e scrivere! - tra i membri dei Fasci della provincia, che reggeva, e tacque prudentemente dello schiaffo assestatogli dalla magistratura nel processo di Milocca in cui figurava lo stesso tremendo patto.

Bondi, ex prefetto di Catania, desume le intenzioni rivoluzionarie di De Felice da un suo discorso al Teatro Nazionale di Catania, che le autorità politiche non interruppero, le giudiziarie non incriminarono e la stampa borghese locale non trovò biasimevole.

Lo stesso Bondi attribuì ad un discorso di De Felice i tumulti di Catenanuova e i resoconti parlamentari in quel giorno provarono che il De Felice era a Roma.

Novari, tenente dei carabinieri, dice violentissimo un discorso dallo stesso De Felice nella stessa Catenanuova dove si portò molti mesi dopo ch'era stato pronunziato, e contraddice e smentisce il maresciallo dei carabinieri, che lo aveva ascoltato e non vi aveva trovato da ridire; e il superiore dichiara inesatto e incompleto il rapporto del suo subordinato per giustificare la propria asserzione. Si fa colpa al De Felice di avere partecipato al Congresso socialista di Zurigo ed egli documenta che si trovava in Italia.

Si dichiarano rivoluzionarî nel significato volgare De Felice, Bosco, Petrina sulla base di elementi di questo genere: perchè in una lettera di un Barbagallo il primo vien detto tenace sostenitore dei più sacri diritti popolari; perchè in un'altra lettera da Lugo lo si dice caldo oratore del partito rejetto, caldo sostenitore dei diritti finora conculcati, illustre condannato della borghesia; perchè Bosco scrive a Petrina senza il giornale (L'Isola, da me diretta) il movimento operajo è ammazzato... E da tali elementi si argomenta che la propaganda socialista ha false apparenze!

Non basta, non basta! Ecco un dialogo istruttivo all'udienza del 28 Aprile:

Difensore Piccoli: Da che cosa arguisce il teste, che il Fascio di Piana dei Greci fosse così terribilmente provocatore?

Zumma, Delegato di P. S.: Dalla compattezza dei soci, i quali si fecero crescere tutti i baffi in seguito ad ordine del Barbato, il quale disse che sarebbero stati espulsi dal Fascio quelli che non avrebbero portato i baffi...

Il resoconto nota, che quando venne denunziato questo terribile indizio dei baffi il pubblico scoppiò in ilarità. Si rideva; ma con siffatti elementi si tolsero la libertà e i diritti civili a tanta generosa ed intelligente gioventù.

Ed ora viene il meglio. Un Marzullo, ispettore di P. S. in Palermo afferma che gl'imputati accordavano largizioni, sussidî, assegni a coloro, che lavoravano per la causa comune. Un Delegato, il Gallegra, riferisce che si è fatta una propaganda contro la monarchia e che i collettivisti avevano predicato la divisione della proprietà140. Un terzo ispettore, il Castellini, riconosce che il vero scopo del Comitato dei Fasci non fu mai il miglioramento morale e materiale dei lavoratori, ma il solo proprio tornaconto; che promettevano ai gonzi la divisione dei beni e che intanto fanaticando le masse ignoranti e spillando denari se la godevano da signori... De Felice, Bosco, Barbato e Verro, nulla tenenti, spendevano e spandevano come grandi signori in pranzi e bagordi senza sapersi ove trovavano il denaro....

Tutto ciò si legge testualmente nei rapporti di questi bravi funzionari, che devono applicare le leggi antianarchiche; e tutto ciò porta la stigmata della viltà, perchè venne scritto il 26 e 27 gennaio, quando lo stato di assedio era in vigore, quando gl'imputati erano in carcere; e venne scritto per uso e consumo della magistratura inquirente, che voleva del buono in mano per mandare in galera i socialisti. Ci fu un eroe, però, che non aspettò lo stato di assedio per denunziare i pericolosi sobillatori e le più pericolose cospirazioni: è il delegato di Bisacquino. Ecco il rapporto dell'ottimo signor Morandi, mandato in ottobre al suo superiore, il sottoprefetto di Corleone, in tutta la peregrinità del suo stile:

 

«Notizie sulla cospirazione del Comitato centrale esistente in Palermo, inspirata dai componenti di esso, da notizie partecipate da un gregario fin dall'ottobre 1893.

«1. La congiura che ha la sua manifestazione a mezzo dei Fasci dei lavoratori socialisti ha per obiettivo una azione politica, protetta e promossa dalla Francia e dalla Russia, che hanno di mira lo smembramento della Sicilia dal resto d'Italia;

«2. La Sicilia sarebbe invasa dalla Russia e tenuta da essa come base d'operazione sopra Costantinopoli;

«3. Si promette alla Sicilia un governo libero, indipendente, senza oneri, con l'obbligo però di tenere, nei punti in cui vorrebbe la Russia, delle guarnigioni militari;

«4. Non più tardi del maggio 1894 la Francia simulerà un passaggio delle Alpi per invadere il Piemonte, nel mentre che la Sicilia farà l'insurrezione socialista, protetta al di fuori dalla Francia, la cui flotta terrebbe a bada quella italiana e quella inglese, ecc.;

«5. Per aver vivo lo spirito di ribellione in Sicilia si forzeranno i soci dei fasci allo sciopero, permodochè esasperati dalla miseria, l'impeto della rivolta sia indomabile;

«6. I Fasci di Sicilia attendono due navi di fucili a retro-carica, munizioni e bombe cariche di dinamite;

«7. Si tenterà ancora la rivoluzione dei fasci e di altri sodalizi sovversivi delle altre regioni d'Italia, e quando il governo cercherà di riparare per la Sicilia, la Francia tenterebbe una spedizione per invadere Roma;

«8. Tutto avrà luogo con rapidità fulminea, che in ciò le potenze nemiche posano la maggior fiducia per completamente riuscire.

«9. Si fa assegnamento sulla non intera compattezza dell'esercito italiano, tanto più che la bassa forza ritiensi voglia partecipare nelle aspirazioni comuni ed unisone alla redenzione del proletario (!);

«10. Il Consiglio generale di tale congiura è composto di varii deputati siciliani, fra i quali Colajanni, De Felice Giuffrida ed un Granduca (?);

«11. Per ora si è concertato un moto rivoluzionario da verificarsi, o nell'atto in cui venissero sciolti i fasci, o nel prossimo inverno, perchè i socii del fascio potessero avere agio di approfittare coi saccheggi, e così poter campare fino all'epoca in cui insorgesse con la Sicilia il resto dell'Italia. Tale rivolta che precorrerebbe la generale, si limiterebbe alla sola provincia di Palermo, essendo questa ben preparata con armi in parti nostrane, in parte a retro-carica e a Wetterly, e già i soci del fascio attendono in segreto alla formazione delle cartucce;

«12. Si è stabilito che la corrispondenza dei cospiratori di tutti i fasci, venga affidata ad appositi pedoni espressamente scelti fra i più scaltri e fidi gregari, escluso il mezzo postale ed il telegrafo, con eccezione di quest'ultimo nei casi impellenti, ma con la preintelligenza fra i corrispondenti di specificare l'opposto di quello che si dovrebbe manifestare.

 

Questo rapporto è un brano di romanzo di Ponson du Terrail? è una farsa? è una realtà terribile e dolorosa? La ritenne cosa comica il sottoprefetto di Corleone, che non volle mandarla all'on. Giolitti come desiderava l'autore; e cosa lontanissima dalla serietà la ritenne l'avvocato fiscale Viesti in una interruzione fatta durante la mia deposizione. Altri invece, vi prestò piena fede; e il suo autore quando il 21 aprile fu richiesto in Tribunale se era sicuro che ciò che aveva scritto corrispondesse al vero, rispose: ne ho la certezza metafisica! E a domanda analoga aggiunge imperterrito: il trattato rivoluzionario fu sottoscritto in ottobre 1893.

Ebbene: Prefetti, Sotto-prefetti, Questori, Ispettori, Delegati, Carabinieri - che tanto gravi accuse lanciarono - d'onde e come ne acquistarono la certezza più meno metafisica?

La grande sorgente delle notizie è la vaga ed indeterminata voce pubblica; le esatte e metafisiche informazioni vengono da misteriosi quanto comodi confidenti. Qualche volta si tentò determinare meglio chi fosse la voce pubblica; e il tentativo non poteva riuscire più infelice pei suoi portavoce.

Viene un ricco proprietario di Palermo, il Barone Valdaura, chiamato dall'accusa e dichiara di saper nulla di nulla, meravigliandosi di vedersi citato. Un delegato Zummo riassume la voce pubblica di Piana dei Greci nel D. Carnesi, ma questi quantunque nemico personale di Barbato, interrogato, risponde che nulla disse mai direttamente al Delegato, che avrà saputo qualche cosa dai discorsi che correvano.

La voce pubblica afferma che Petrina in un dato giorno si trovava in Palermo a cospirare col Comitato dei Fasci, ma il signor Restivo viene a deporre, che proprio in quel giorno il Petrina stava nel suo ufficio di Procuratore del Re in Messina, per cose che interessavano la giustizia, e si può non credere ora alla ubiquità di Sant'Antonio? sono le sole autorità governative a trincerarsi dietro la inviolabilità del segreto di ufficio; l'espediente per fare accettare come oro di coppella le proprie invenzioni è comodissimo e vi ricorrono anche i privati. Migliore, sindaco di Belmonte Mezzagno, ne dice tante e così grosse a carico degli imputati, negandosi a fare i nomi dei confidenti dai quali le aveva apprese, che il Tribunale si vede costretto per salvare la decenza, ad incriminarlo. Un Vernaci di Parco assicura in nome della voce pubblica che il Fascio locale aspettava comunicazioni per discendere armato a Palermo; ma incalzato dalla difesa a dare migliori prove dell'asserto conclude: Ma..... non so..... l'ho inteso a dire..... Però non mi risulta affatto.....

«Bel modo di mandare in galera i galantuominiesclama dalla gabbia il povero Nicola Petrina fremendo al pensiero che nella terza Italia si fosse tornati ai tempi della onnipotenza delle delazioni segrete.

Se la voce pubblica e i confidenti - risulta dal dibattimento - non sono che la espressione genuina della menzogna viene invece dimostrato a luce meridiana la provocazione poliziesca, la corruzione e la falsità di molti e gravi testimoni dell'accusa.

Premetto che tali arti nefande dei peggiori tempi del dispotismo non furono messe in opera soltanto nel processo De Felice. Un delegato di Pubblica sicurezza si traveste da detenuto per carpire rivelazioni a Molinari in carcere.

Un Macciscali, nel processo pei tumulti di Salemi, fu corrotto con promesse di denaro e d'impunità per fare false testimonianze. Parecchi testimoni risultarono mendaci e reticenti nel processo pei fatti di Valguarnera e furono corrotti per fare condannare i cittadini egregi, che militavano nella opposizione municipale.

Ma tutto ciò che negli altri processi fu incidente, nel processo mostruoso divenne sistema. E il punto di partenza del medesimo è tipico: il Questore Lucchese chiama Bosco nel suo gabinetto e gli dice: ma non sentite dolore di tanti eccidî? Se ne sentite affrettate la convocazione del Comitato Centrale dei Fasci, riunitevi, portate una parola di calma!

Bosco, l'ingenuo! si commove e affretta la riunione, quantunque un telegramma del corrispondente del Siciliano da Roma, avvisasse dei pericoli; e il Comitato mandò quella sola parola di calma che poteva mandare.

Ebbene nella riunione affrettata, voluta e consigliata dal questore di Palermo, si trova uno degli indizî più forti delle intenzioni criminose degli imputati! si dica che il crimine fu trovato nelle parole del manifesto.

No! Lo esclude la magistratura, che mandò assolti Leone e De Luca, che lo avevano sottoscritto.

Passo sopra alle dinamite, col bollo anarchico e di provenienza costituzionale, che la questura scovò a Catania141 e vengo alla creazione di lettere e di telegrammi che dovevano, nella intenzione degli autori, nuocere agli imputati. A carico di De Luca, e dopo la sua liberazione, si creano lettere di indubitabile altissima origine portanti la intestazione: Comitato rivoluzionario e firmate tout bonnement: «Francesco De Luca. Ma il tranello è così volgare ed evidente che il De Luca dopo essere stato arrestato per la seconda volta, col lusso di un Maggiore dei Carabinieri mandato a posta da Palermo a Girgenti, viene subito rimesso in libertà.

La lettera di presentazione al direttore del Vero Guelfo di Napoli non fu ritenuta sufficiente a provare l'alleanza dei socialisti coi clericali; allora si crea una lettera dei clericali.... di Venezia, che la dirigono a De Felice in... carcere e nella quale il tema discusso è la rivoluzione; e di rivoluzione e di sbarchi parla un telegramma anonimo da Palermo inviato all'on. Cavallotti e che l'occhio vigile del Generale Morra di Lavriano lascia allegramente passare mentre sequestra il discorso del Procuratore generale e i telegrammi commerciali con linguaggio convenzionale.

Di testimoni mendaci, reticenti, interessati a mentire a danno degli imputati si sa qualche cosa; di più se ne saprà del caso della Baronessa142 di Valguarnera, che a dire il falso se non fu indotta dalle promesse del delegato Munizio, vi fu certo dalla speranza di salvare dalla prigione il marito fratello al Cottonaro. Il Polizzi, della stessa Valguarnera, narra una circostanza a carico di De Felice in quattro modi diversi e non sa dire mai la verità, neppure per isbaglio! come disse il Presidente del Tribunale di Guerra.

E vengo alla storia edificante di Pico e di Laganà.

Pico è un disgraziato studente di Francofonte. Lo arrestano, lo intimidiscono, lo seducono promettendogli la libertà immediata se si fa accusatore dei suoi amici. Pico, come suggestionato, cede e la sua deposizione diviene il perno dell'accusa. È Pico che scrive a suo padre, mentre era trattenuto in questura: «Ho conferito col signor Questore; è una persona oltremodo cortese e gentile. Egli mi ha promesso che domani verso le 10 probabilmente sarò fuori e in libertà. Intanto ha fatto sì che io sia trattato bene, ecc., ecc.»

Le promesse sono invenzioni di Pico, anche colla buona intenzione di tranquillare la famiglia? No; esse portano il bollo morale della questura: Lucchese confessò innanzi al Tribunale, che lesse la cartolina prima di spedirla. E Pico, contro i regolamenti, in prigione viene chiamato col falso nome di Araldi. Ma Pico si ravvede, si pente dell'infamia commessa resta in prigione e si guadagna una condanna, che può valere a riabilitarlo.

Giorgio Laganà, è un povero sarto di Napoli, pochi giorni prima della proclamazione dello stato di assedio va a Palermo a nome degli amici del Continente per mettersi di accordo coi siciliani per la rivoluzione. Non c'erano accordi di sorta alcuna da prendere e tornato a Napoli, dopo l'arresto di De Felice e Compagni, viene ghermito della polizia, che lo induce a nuove delazioni contro il Comitato centrale dei Fasci. E Laganà accetta; e Laganà piangendo fa la storia della propria delazione innanzi al Tribunale di Napoli il 12 marzo 1894: «i delegati, che lo arrestarono, egli narra, mentre aveva fame e freddo lo rifocillarono, lo sedussero promisero e dettero soccorsi alle sue figliuole, che avevano più fame di lui!» E basta con queste menzogne, con queste insinuazioni, con questo fango...

La sorgente delle accuse contro gl'imputati del processo mostruoso era impura; ma i rivoli che furono raccolti nell'atto di accusa della Camera di Consiglio del Tribunale penale di Palermo prima e poscia nella requisitoria dell'avvocato Fiscale presso il Tribunale militare - che ne fu la copia, giacchè l'avvocato Fiscale dichiarò che non avrebbe tenuto conto delle risultanze del dibattimento orale bastandogli il processo scritto. - vennero maggiormente intorbidati e inquinati da uno spirito più che farisaico, loiolesco.

L'on. De Felice, forse per sentimento cavalleresco o per abilità, attribuì all'atto di accusa e alla requisitoria, che ne fu la parafrasi, dei meriti che non ha; può essere un laberinto all'interno, come egli la qualificò, ma non è certo un magnifico edificio all'esterno. L'una e l'altra, e con esse la sentenza furono vuote, fiacche, sconnesse. La logica adoperata avrà potuto essere efficace per convincere i militari, che la logica il diritto hanno studiato143; avrebbe fatto sorridere qualunque giurista, qualunque pensatore uso a ragionare sui dati di fatto e ad indurre dai medesimi. Con sì strana logica si generalizza da un singolo caso, si esagerano i fatti reali, degli stessi fatti reali si sconvolge l'ordine di successione, si stacca una frase da un discorso e da una lettera alterandone, mutandone il significato, si induce da una ipotesi, si asserisce gratuitamente, si mutila, si contorce, si adultera ogni pensiero e s'interpreta capricciosamente ogni fatto purchè si possa rivolgere contro gl'imputati.

Per esempio, il solo Cassisa scrive a Montalto chiamando il duca degli Abbruzzi un farabutto savojardo? E nell'ordinanza si afferma che non ci fu mai inaugurazione di Fasci senza un discorso violento contro i farabutti di Casa Savoia. Nella sola Valguarnera vi furono rapine? Le rapine, per aggravare le tinte, si dicono avvenute dovunque ci furono tumulti.

A Gibellina si uccide il pretore, a Pietraperzia si devasta? Si dimentica di ricordare che l'uccisione e la devastazione seguono al massacro dei contadini e che rappresentano, perciò, la esplosione di una indignazione se non giusta, certo spiegabile.

Si trova uno scritto di De Felice in cui si parla di regicidio? Si tace di tutto il resto dello scritto, ch'erano gli appunti per un discorso sulla rivoluzione francese, e si afferma che il deputato di Catania professa ed approva il regicidio. E questa abile ma disonesta tattica si eleva a sistema, presentando, tra le migliaia di lettere sequestrate agli imputati, solo quelle, che potevano loro riuscire nocive e sopprimendo le altre che avrebbero potuto costituire la loro difesa.

Ancora. I socialisti si riuniscono a banchetto all'Acquasanta, e la polizia illegittimamente vuole intervenirvi provocando.

Petrina, ironicamente, parla da commendatore alla Tanlongo in senso monarchico; e la polizia induce che se mutossi discorso è segno che il soggetto della discussione precedente era criminoso. Cipriani risponde a De Felice questo e quest'altro? e il pubblico accusatore induce che De Felice avrà dovuto scrivergli in questo o quell'altro senso.

Le gratuite asserzioni poi abbondano. Si afferma, senza un solo minimo elemento di dimostrazione, che nel Comitato interprovinciale dei Fasci c'era un misterioso sotto-comitato di azione, più misterioso del Consiglio dei Dieci. Il popolo grida: Viva il Re! Abbasso le tasse! e il pubblico accusatore asserisce che quei gridi erano una lustra, e che in fondo si voleva e si preparava una rivoluzione politica generale. E così di seguito.

L'ordinanza, la requisitoria, la sentenza talora si contraddicono, e che, nell'insieme, l'orditura dell'accusa sia stata sfasciata, distrutta vittoriosamente dal dibattimento pubblico, risulta all'evidenza da questa circostanza capitale: l'avvocato fiscale sentì il bisogno di dichiarare che non intendeva avvalersi delle risultanze del dibattimento e che gli bastavano quelle del processo scritto. È enorme, ma... naturale! Il processo scritto gli bastava, perchè il processo orale aveva annientato il primo; ma al processo orale, abbandonati i metodi da Sant'Uffizio, si accorda oggi la preminenza per unanime consenso dei giuristi, non escluso Francesco Crispi, e col processo orale, l'on. De Felice con logica stringentissima fece l'auto-demolizione dell'accusa.

La demolizione già apparve evidente assai prima che il dibattimento fosse terminato; e quindi l'avvocato fiscale Soddu-Millo, forse convinto di non potere sostenere l'accusa e non essendogli lasciata la libertà di ritirarla - così è lecito supporre - a mezzo processo, aiutato da un lieve incomodo, si dette per ammalato e si fece sostenere dal Cireneo... Viesti. Onde il De Felice, con ammirabile ironia, «manda un saluto al Cav. Soddu-Millo, che ebbe la rara fortuna di ammalarsi in tempo!...»

La inconsistenza e la irragionevolezza della ordinanza, della requisitoria e della sentenza risultano meglio collo esame critico delle principali accuse, cui furono fatti segno i Fasci e il Comitato Centrale.

L'avvocato fiscale facendo sue le calunnie della polizia volle disonorare la massa dei Fasci mettendo in luce la preponderanza numerica, che vi avevano i delinquenti. Non accettò la proporzione del Commendatore Lucchese, che poteva essere denunziata soltanto da un ignorante qual'è il questore di Palermo; ma fece della statistica giudiziaria e portò i delinquenti dei sodalizî odiati a 1645.

Il De Felice abilmente accettò la cifra, la mise in rapporto con l'altra ammessa dall'accusa del numero dei socî dei Fasci, e facendo le proporzioni coi deplorati della Camera dei Deputati, indusse che tra i lavoratori la moralità era quindici volte maggiore, che tra i deputati. E il confronto sarebbe riuscito più concludente in favore dei Fasci se posto tra questi e i commendatori e cavalieri del regno d'Italia; con questa differenza che i delinquenti operai per piccoli reati vanno in galera; i commendatori delinquenti vanno fino in Senato.

L'esame delle statistiche giudiziarie, del resto, che ho intrapreso per alcune località della Sicilia, quando seppi delle stolte asserzioni del Prefetto De Rosa, mi convinsero che durante il 1893 nelle provincie dove erano numerosi i Fasci, o non vi fu aumento della criminalità o non superò quello del resto d'Italia144, dovuto alle generali cause sociali.

A Corleone, poi, secondo l'avv. Riolo, la costituzione del Fascio fece diminuire la delinquenza; e così avvenne in altri luoghi.

Da questa accusa generica e che riguardava la collettività passiamo a quella speciale, che si fece pesare sui membri del Comitato Centrale: l'accusa di alto tradimento fondata sull'oro straniero - leggi, francese - e sulla cessione di una parte del territorio a ipotetici futuri nemici del regno.

Si rise della cessione di un porto della Sicilia alla Russia, stipulata nel trattato di... Bisacquino; e della cessione della Sicilia... all'Inghilterra; ma l'Italia tutta si indignò contro il Deputato di Catania e i suoi complici, che si erano lasciati corrompere dall'oro straniero. Questa calunnia fa capolino in numerosi rapporti della polizia e nelle testimonianze dei più alti accusatori.

Il Prefetto De Rosa, accettando per Vangelo le sciocchezze dei carabinieri di Acquaviva, fa dire a Bosco che denari non ne mancavano, perchè ne venivano dalla Francia, dalla Germania, ecc. Si afferma che Bosco e De Felice lasciarono somme a Balestrate e a Monreale; che una amica di Barbato, aveva accennato a soccorsi francesi; che fossero stati pagati i viaggi di Cottonaro da Valguarnera... Al questore Lucchese risulta che i fondi vengono dall'estero, specialmente dal partito socialista germanico; all'ispettore Marzullo consta che i membri del Comitato erano sovvenuti largamente da mano ignota. Di grosse somme venute dall'estero parla l'ispettore Gallegra; e supera tutti l'ispettore Castellini, che precisa che il denaro col quale Bosco, Barbato e C.i se la scialavano in pranzi e bagordi veniva dalle 32000 lire che De Felice portò dal suo convegno col Cipriani a Marsiglia.

Che cosa rimase di tali turpissime accuse? Nulla: documenti e testimonianze irrefragabili distrussero la indegna calunnia. Comincio dai piccoli. Consta a me che Cottonaro da Valguarnera era tanto fornito di mezzi, che viaggiava a piedi e mangiava per carità altrui.

Il lusso di Bosco fece ridere tutta Palermo. Lo stesso Bosco in data 11 novembre 1893 scrive a Montalto in Trapani: «Di mezzi noi ne abbiamo meno di te; perchè, eccettuato Baucina che paga solamente le passività del giornale, tutti gli altri sono socialisti da burla. Il solo Tasca diede 500 lire per la cassa centrale e 100 per gli arrestati. La cassa centrale serve per le spese di posta e di telegrammi, non indifferenti dati i momenti che attraversiamo

Egli vendette alcuni vestiti per potere scappare!

Quanti ne avesse il Montalto si rileva da sue lettere da Palermo a Curatolo. Il 27 maggio 1893 gli scrive:

«Andrò al Congresso di Reggio Emilia ricorrendo per denaro agli amici, naturalmente a titolo di prestito

E in data del 25 gli aveva scritto: «... le cambiali fatte per sostenere il giornale Il Mare scadono e non so come far fronte....»

Ci saranno almeno le 32000 lire date da Cipriani a De Felice. Sì! Cipriani ne aveva tanti quattrini da dare agli altri, che ne chiede a Bensi, il quale gli manda lire 60, sequestrate dalla polizia; ne aveva tanti che domanda cento lire a De Felice.... per venire in Sicilia!

Della calunnia non rimane traccia alcuna; rimane invece assodata questa dolorosa verità: gli accusati sono nella miseria e nella più squallida miseria rimasero le loro famiglie. La calunnia era tanto ignobile, che quando Bosco, accompagnato da un suo amico va a protestare presso il Questore Lucchese contro la voce dell'oro straniero, specialmente francese, che gli agenti spargevano e che la stampa raccoglieva, il questore ipocrita lo rassicura. L'accusa infine, era tanto falsa, che l'Avvocato fiscale nella sua requisitoria la ritirò, per non coprire di ridicolo stesso. Ma la calunnia aveva circolato liberamente per sei lunghi mesi ed aveva fatto la sua opera!

Se l'accusa battè in ritirata su questo punto, insistette maggiormente nella imputazione di cospirazione politica per alcuni e di eccitamento alla guerra civile per tutti; precisamente i reati pei quali furono condannati i socialisti del processo mostruoso.

Furono condannati sì; ma contro ogni norma di diritto e contro tutte le risultanze di fatto145.

Anzitutto perchè ci sia la cospirazione, secondo il Codice penale, occorre il concerto stabilito e conchiuso, l'unicità dello scopo, la risoluzione di agire al fine di far sorgere in armi gli abitanti contro i poteri dello Stato e i mezzi idonei per raggiungere lo scopo. Tutto ciò, naturalmente, viene ammesso dall'ordinanza, dalla requisitoria della sentenza.

Esistevano, risultarono del processo questi estremi, che costituiscono la cospirazione? No!

L'esame dei documenti, che l'accusa ritenne decisamente compromettenti, esclude il concerto stabilito e conchiuso; e questi documenti vengono rappresentati dalle lettere di Cipriani e di De Felice e dal famoso cifrario.

Cipriani scrive a De Felice: «Se mai farai o tenterai qualche cosa, spero penserai a me.» Avrebbe potuto scrivere ciò se fosse stato a parte di una cospirazione e se cospirazione vi fosse stata?

Cipriani continua: «Dimmi qualche cosa.» Dunque egli non sa nulla! Cipriani gli annunzia «che sta sulle spine e che ha bisogno più di frenare se stesso, anzichè di frenare gli altri.» Non è evidente che De Felice lo aveva pregato di frenare gli altri?

C'è di più. Cipriani domanda a De Felice: «Perchè non scrivi? Eppure se i giornali non mentiscono vi sarebbe di che.» Non prova questo che il più temuto fautore della cospirazione apprende le notizie dai giornali piuttosto che dal complice?

La premura, la diligenza di un altro complice, viene luminosamente dimostrata da questo altro brano di una lettera dello stesso Cipriani a De Felice:

«Scrissi a Bosco e non si è neanche degnato di rispondermi. Poverino!» E questa lettera porta la data del gennaio, cioè della vigilia della rivoluzione!

Quando si pensa alla importanza assegnata dal processo al Cipriani non si può fare a meno di sorridere pensando all'accordo singolarissimo, che esisteva tra questi non meno singolari cospiratori! Quanto poi i tumulti di Sicilia fossero la conseguenza della coordinata direzione dei cospiratori con non minore evidenza emerge da ciò che il De Felice scrive a una sua amica:

«Giungono notizie di gravi disordini dalla provincia.» Dunque quei disordini erano per lui cosa nuova; e lo erano ancora il gennaio, quando gliene scrive, provando che non erano stati da lui preparati.

Questo il contenuto dei più terribili documenti dell'accusa: si pensi cosa erano gli altri!

Uno ce n'è, però, che mostra le ree intenzioni di De Felice: il cifrario. Sia: De Felice lo compilò per servirsene a fini criminosi. Ma oltre l'intenzione, che non è punibile se rimane esclusivamente tale senza un principio di esecuzione, c'è un dato che può giovare all'accusa? Se ne servì mai il suo autore? Mai. Ne fu trovata copia corrispondente presso altri complici? Nessuna. Fu adoperato pei casi di Sicilia? Neppure: De Felice lo lascia a Roma, dove viene sequestrato, dopo ch'era stato arrestato a Palermo.

Se il concerto sfuma, non possono restare i mezzi idonei per raggiungere i fini della cospirazione.

Quali sono i mezzi idonei e determinati? Le armi e il denaro.

Che siano indispensabili i mezzi idonei e determinati risulta dai precedenti giudiziari. Il giurì di Bologna nel 1874 assolse Costa e gl'internazionalisti pei moti d'Imola e di Persiceto, perchè fu riconosciuta la inidoneità dei mezzi. Il giurì è di manica larga? Ma il suo responso venne corroborato dalla sentenza della Corte di appello di Trani (18 marzo 1875) relativa ai moti del Barese. Dunque secondo il Codice e secondo la giurisprudenza perchè il reato di cospirazione ci sia occorrono i mezzi idonei: armi e denaro.

In quanto alle armi, nel nostro caso, le hanno cercate dapertutto e non le hanno mai e in nessun luogo trovate. Il questore Lucchese in un rapporto del 16 dicembre scrive:

«Il mio studio è rivolto a scovrire dove trovasi un deposito di armi e di materie esplodenti.» Ebbene egli studia ancora e non ha ancora trovato il deposito.

Sappiamo che non è stata più fortunata la polizia nella ricerca del denaro: ha cercato l'oro francese, e non ha trovato che la miseria grande onesta dei cospiratori.

E in quanto a questi mezzi idonei e determinati - alle armi e al denaro - la situazione viene brillantemente riassunta da una lettera di Cipriani nella quale egli dice: «Siamo senza un fucile, senza un centesimo!»

Qualche cosa, però, trovarono gli agenti della polizia, i magistrati, l'avvocato fiscale, i giudici del tribunale militare: un delegato trova certi pericolosi bastoni bianchi, un altro le coccarde dei socî dei Fasci; quello di Monreale trova l'acqua calda; l'eroe di Bisacquino scopre un vetterly; il comodo e misterioso signor Peter promette armi a De Felice.... già in carcere; l'avvocato fiscale vede i mezzi nella organizzazione dei lavoratori.

Contro i battaglioni serrati e contro i cannoni dovevano riuscire efficacissimi tali mezzi idonei e determinati; Turpin per distruggere gli eserciti non potrebbe inventarne di più terribili.

Non se ne accontentò che in parte il sapiente Tribunale di guerra - che in fatto di efficacia dei mezzi distruttivi se ne doveva intendere - e sentenziò: «è vana la ricerca delle armi, inutile il provare la mancanza di depositi di armi, vana la ricerca della maggiore o minore vendita di esse, perchè le risoluzioni si fanno anche senza armi, come s'è visto nei tumulti nei quali combatterono con bastoni e con sassi

Combatterono!

Il Tribunale non poteva mostrarsi più sapiente nelle storiche e politiche discipline confondendo i tumulti con le rivoluzioni; inchiniamoci riverenti innanzi a lui e procediamo oltre.

E procediamo oltre concedendo ciò che in verun modo è dimostrato: concediamo che ci sia stata la cospirazione con tutti i suoi estremi: concerto, unità d'intenti, mezzi idonei e determinati per conseguirli. Anche in questo caso il processo era giustificabile, la condanna era conforme a giustizia secondo i Codici.

Un'alinea dell'art. 134 del Codice Penale stabilisce: «va esente da pene chi receda dalla cospirazione politica prima che si cominci l'esecuzione del delitto e prima che sia iniziato il procedimento

Ora dato che cospirazione ci fosse stata, l'esecuzione non era cominciata per confessione stessa del magistrato ordinario che istruì, e del Tribunale militare che giudicò, poichè non venne imputato agli accasati alcuno degli attentati politici previsti dagli articoli 104, 117, 118, 120 e 128 del Codice penale e vi fu il recesso prima che fosse iniziato il procedimento, col manifesto del 3 gennaio.

L'ordinanza della Camera di Consiglio che sentiva di non potere rinviare i socialisti innanzi il Tribunale militare non considera il manifesto come un recesso, ma lo chiama un'abile ritirata e ne adultera il significato considerandolo come un recesso dall'attentato, giammai dalla cospirazione, tanto più che gli accusati sono rimasti più affratellati che prima.

E che cosa significa recesso dall'attentato se di attentato non furono mai accusati gl'imputati? E perchè non smettere ogni ipocrisia dichiarando con franchezza che lo affratellamento equivale a cospirazione? Tali loiolesche distinzioni non possono che disonorare sempre più una magistratura, che ha perduto ogni prestigio e che è venuta meno alla sua funzione, non sapendo che rendere servigi al governo. Il compianto Eula oramai, si affretterebbe sdegnato ad uscirne.

E non si può che disprezzare di più questa magistratura che il recesso dalla cospirazione tramuta capricciosamente in recesso dall'attentato e che il contorcimento illegittimo aggrava colla menzogna, perchè insinua con volgare indeterminatezza di frasi e di pensiero che il manifesto, l'abile ritirata, sia stata suggerita dalle energiche misure del governo, dallo Stato di assedio e dall'arrivo delle forze militari.

No, o illustri Iaghi della magistratura: la vostra rimane una menzogna.

Il manifesto precedette la proclamazione dello Stato di assedio e lo sappiamo dalle spie del governo, che ci dissero dell'animata discussione tra De Felice, che voleva favorire il movimento e gli altri membri del Comitato, che volevano e riuscirono a fare accettare al primo il consiglio della calma; il manifesto non potè essere imposto dal timore dell'arrivo delle forze militari, perchè queste non furono in Sicilia che verso la metà di gennaio, quando già gli accusati erano in prigione da parecchi giorni, sotto processo e predestinati alla condanna.

Rimanga dunque a voi tutta l'onta dell'opera vostra o magistrati degni di una istituzione che muore!

Non contenta del contorcimento tormentoso del significato dei fatti, per farli entrare nelle maglie del Codice penale; non contenta del mendacio per togliere ad essi il valore, che non osano negare; la magistratura di Palermo completò l'opera sua colla manifesta contraddizione nelle accuse. Temendo che la preda potesse sfuggirle pel capo della cospirazione, le imputa anche lo eccitamento della guerra civile.

L'accusa contemporaneamente portata su di alcune delle vittime designate non la esamino dal lato giuridico, poichè qui è evidente che se c'era cospirazione politica non ci potea essere eccitamento alla guerra civile: un reato esclude l'altro; ma passando sopra alla contraddizione in cui incorsero e istruttoria, e requisitoria e sentenza che tra i due reati contraddicentesi videro un nesso come tra causa ed effetto, bisogna dimostrare che di eccitamento alla guerra civile, da per solo, non erano colpevoli gli accusati.

Anzitutto, si rilevi che si volle trovare un substratum per l'accusa nelle ripetute dichiarazioni in favore della rivoluzione senza considerare che, dinanzi alla filosofia della storia ed alla politica, questa parola ha un significato ben diverso da quello connesso all'atto materiale, che si compie per rovesciare un governo. Si dicono convinti rivoluzionarî tutti i socialisti marxisti, che rifuggono dai tumulti e dalle violenze; e tali si dicono impunemente nei discorsi, nei giornali, nei libri. Perchè non processare tutti coloro che rivoluzionarî in tale senso si proclamano? E in tale senso il più grande reo in Italia fu Giuseppe Ferrari, che scrisse sinanco la Filosofia della rivoluzione e che invece di essere tradotto sullo sgabello degli accusati, venne innalzato agli onori del Senato, non ancora prostituito.

Nel De Felice non solo si volle colpire il rivoluzionario, ma anche colui, che non ha fede nel parlamentarismo.

Ciò fecero, perchè i giudici non frequentarono mai Montecitorio; se lo avessero frequentato o non avrebbero imputato a colpa del rappresentante di Catania questa sua mancanza di fede nel parlamentarismo, o avrebbero fatto una retata di deputati di lui più scettici e avrebbero dovuto sopratutto fare il processo alla memoria di Agostino Depretis.

Ma De Felice non è semplicemente questo sereno osservatore del corso degli avvenimenti, che inneggia alla rivoluzione come complemento necessario, fatale, di una serie di trasformazioni economiche, politiche e morali; no, egli ha predicato la rivoluzione materiale e immediata: lo ha fatto146 a Pedara. Egli a Pedara ripetè i versi popolari:

 

A rivederci maschere pagate.

A rivederci illustri mangiapani,

A rivederci sulle barricate!

 

Oh! perchè dunque non si processa l'autore di questi versi incendiarî e si lascia Olindo Guerini ai suoi studî prediletti? perchè non si processa Giosuè Carducci che versi più pericolosi scrisse prima che ponesse piede a Palazzo Madama? Perchè non si allontana dall'insegnamento inteso a formare le madri italiane, Ada Negri, che ha eccitato alla ribellione contro il mondo borghese, mondo d'oche e di serpenti, mondo vigliacco? perchè non si mandarono e non si mandano in galera le migliaia d'italiani, che ripeterono e ripetono le fatidiche parole di Beppe Giusti sull'invocato Dies irae?

Ma vedi caso strano: dovunque vanno i pericolosi eccitatori, dovunque esercitano indiscutibile e forte influenza, ivi si conserva la calma e non viene turbato l'ordine. Dunque eccitarono alla calma! Gli eccitatori, i sobillatori hanno pronunziato centinaia di discorsi; ma non si trova da incriminare che quello di Casteltermini, per cui la Camera di Consiglio del Tribunale penale di Girgenti non trovò luogo a procedere, e l'altro di Pedara... pei versi dello Stecchetti. E chiunque ha parlato alle masse, improvvisando, forse anche Rugero Bonghi - non si dica poi se parla Francesco Crispi - raramente evita gli scatti improvvisi, le frasi roventi, gli appelli all'azione energica salutare, necessaria. E l'applauso caloroso, sincero, spontaneo che accoglie le parole vibrate dell'oratore lo eccitano, lo trascinano irresistibilmente verso maggiore accentuazione di frasi. Solo i magistrati italiani ignorano questi elementi notissimi di psicologia popolare e questi fenomeni di contagio psichico, che talora trascinano i più miti.

Si svolgono numerosi i processi innanzi i Tribunali militari e fra tanti sobillatori non se ne trovano che due soli socialisti, aderenti o dirigenti il moto dei Fasci: l'avv. Sparti a Misilmeri, che fu assolto; B. Verro per Lercara, che venne condannato colle prove che furono esposte nel precedente capitolo.

La connessione diretta tra lo eccitamento dei sobillatori e i moti di Sicilia si volle maggiormente riconoscere nell'azione di De Felice, e con una smemorataggine sorprendente si dimenticò che il colpevole nel periodo più agitato e dei più frequenti tumulti, dal 20 Novembre al 28 Dicembre, non si mosse da Roma.

E c'è di più. Il manifesto del Comitato centrale col quale si consiglia la calma non è atto isolato o semplicemente palese e destinato ad ingannare le vigili autorità politiche; no, dal processo risulta che altri manifesti precedettero il primo e nello stesso senso e che le lettere private sono inspirate agli stessi sensi.

L. Macchi, vice presidente del Fascio di Catania, ritenuto il più fedele interprete di De Felice, in data del 31 Dicembre, prima della riunione del Comitato, aveva diramato questa lettera caratteristica:

 

fascio dei lavoratori Catania, 31 dicembre 1893.

 

catania

 

Egregio Compagno,

 

L'inaugurazione del Magazzino Cooperativo della Scuola Industriale è stata rimandata alla seconda domenica di gennaio.

Il presidente mi scrive da Palermo che egli deve fermarsi sino a tutto il giorno 3 in quella città, in seguito ai deplorevoli e dolorosi fatti accaduti in diversi Comuni della Sicilia.

Dopo la riunione del Comitato, egli sarà qui e stabiliremo tutto di accordo con lui.

Colgo quest'occasione, intanto, per pregarvi, anche a suo nome, avendomene egli dato speciale incarico, di consigliare a tutti la calma più assoluta.

Come vedete, sono moti dovuti alla fame ed all'influenza dei partiti locali, non agl'ideali, e il Fascio dei lavoratori di Catania non può che sconsigliare moti incomposti.

 

Compagni.

 

Siate calmi! È questo il momento di dimostrare all'Italia che noi siamo tutt'altro che sobillatori.

 

Il Vice Presidente

Luigi Macchi.

 

E in una lettera di Cipriani a De Felice si legge: «fa, come consigli nella tua lettera, di evitare scatti inopportuni, le generali impazienze, le manifestazioni intempestive

Come i magistrati, l'avvocato fiscale e il Tribunale militare che ripetutamente supposero ciò che aveva dovuto scrivere De Felice a Cipriani, non si accorsero - qui, che la cosa era evidente - che De Felice aveva sconsigliato quegli avvenimenti di cui si volle renderlo responsabile?

Da tutto ciò emerge che il manifesto del 3 gennaio era un atto isolato, una manifestazione pubblica intesa a mascherare macchinazioni segrete: il consiglio alla calma rispondeva a tutto il metodo adottato ed era stato manifestato in pubblico e nelle lettere intime più efficaci, perchè non si vede in esse alcun arriere pensèe147.

Per quanto sinceri e ripetuti, questi consigli alla calma e non all'eccitamento, certo è che essi non raggiunsero l'intento e che furono accompagnati o seguiti dai noti tumulti. Ma si potrà renderne responsabili coloro che li biasimarono? Ciò è semplicemente enorme; e si troverà più enorme il fatto quando si penserà alla minima responsabilità diretta dei Fasci, dimostrata in un precedente capitolo, che fa supporre dovere essere nulla o incalcolabile quella del Comitato centrale, che poca o nessuna azione esercitava in molti punti e su quei Fasci nati da recente, male organizzati, acefali o in via di dissoluzione, che parteciparono ai tumulti.

Fosse pure stata energica ed indiscussa la influenza esercitata dal Comitato centrale sui Fasci e sulle masse non si può menomamente renderlo responsabile di ciò che avvenne, perchè è noto che quando esistono certe condizioni di animo e certe altre cause efficienti le parole più autorevoli non vengono, non possono venire ascoltate. Chi, come opportunamente ricordò De Felice, più adorato di Garibaldi dai suoi volontarî? Eppure egli impone alle sue schiere - e chi scrive ebbe la fortuna di trovarsi vicino a lui sulla spianata di Aspromonte e rammenta il tono imperioso e solenne della sua voce - di non far fuoco nel caso che venissero attaccati dalle truppe del Generale Pallavicini, e non viene ubbidito. Non poteva esserlo; perchè era umano che chi aveva il fucile in mano lo adoperasse contro l'aggressore: l'istinto supremo della propria conservazione lo esigeva o spiegava la disubbidienza148 verso l'idolo dei volontari che avevano preso per divisa: o Roma o morte.

Uguale fatalità s'imponeva in Sicilia: i consigli alla calma non furono ascoltati, perchè date le condizioni delle149 masse, non potevano esserlo. C'erano altri e più poderosi agenti di sobillazione, che non permettevano fosse ascoltata la voce dei socialisti coscienti; il grido degli affamati, degli oppressi, dei malcontenti la copriva.

Quali fossero le cause vere della sobillazione era noto ai magistrati, all'avvocato fiscale, al Tribunale, al Re, oltre che ai suoi ministri responsabili.

Il Re, nel ricevere la commissione parlamentare a Capo d'anno, aveva manifestato il suo dolore per le sofferenze del popolo siciliano sobrio, nobile, generoso derivanti dalla crisi agraria.... Il colonnello Pittaluga, un valoroso dei Mille, aveva saputo discernere tra responsabilità politica e responsabilità giuridica dell'on. De Felice, e aveva saputo additare le cause complesse - precipua quella economica - «che avevano acuito la sensibilità nervosa del popolo, rendendolo pronto all'incendio, come il filo elettrico è pronto a ricevere la scintilla». Gli odî e le ire dei partiti locali erano comparsi sulla scena in modo ineccepibile nei singoli processi e per numerose testimonianze nel processo mostruoso. La sentenza che chiude mostruosamente il processo De Felice e C.i riconosce «che le popolazioni erano incolte, impoverite: i lavoratori rozzi, ignoranti, abbrutiti dalla miseria.....»; questa stessa sentenza, infine, constata «che le masse spinte alla guerra civile non avevano senso politico, agognavano il benessere, tanto vero che portavano i ritratti dei sovrani ed erano tenute allo scuro del fine ultimo dei cospiratori e non si ebbe un solo grido, che accennasse ad abbattere i poteri dello stato».

Dopo queste testimonianze, confessioni e constatazioni, con quale logica, con quale lealtà, con quale senso di giustizia si fece risalire la responsabilità dei moti apolitici, ad una organizzazione e ad un Comitato essenzialmente politico, la cui azione non fu dimostrata in verun dei singoli fatti dolorosi, che funestarono la Sicilia?

Eppure si condannano gli accusati! E il Tribunale di guerra condanna tagliando colla spada tutte le più gravi quistioni giuridiche, respingendo tutte le pregiudiziali sollevate, quantunque convinto che solo alcune di esse non avevano fondamento. Dunque lo avevano le altre? E il Tribunale di guerra condanna colla logica ottentotta che si può riconoscere in questo brano della sentenza: De Felice e C.i volevano avvalersi del disagio economico, delle cattive amministrazioni locali, dell'istintivo odio dei lavoratori contro150 i proprietari; e la loro intenzione si argomenta dalla costituzione dei Fasci!

E difatti, che bisogno avevasi di costituire i Fasci «quando avrebbero potuto servirsi, pel vantaggio dei lavoratori, delle società operaie esistenti?» Sono parole testuali della sentenza! E il Tribunale di guerra condanna avvolgendosi in una serie inestricabile di contraddizioni giuridiche e di violazioni della legge e sostituendo alle prove le supposizioni e le gratuite asserzioni; affermando pienamente constatate tutte le accuse, ritenendo che i capi dei fasci erano facinorosi disposti a tutto, creando di sana pianta un Comitato esecutivo dei Fasci quale emanazione diretta dal Comitato centrale, stabilendo che programma dei Fasci era la rivolta e la guerra civile, e che c'era l'ordine diretto del Comitato centrale di far sollevare in maggio le masse preparate e pronte!

Questa sentenza è al disotto di ogni discussione e disonorerebbe qualunque magistrato, anche dei peggiori tempi della servitù: il Tribunale militare potè emetterla, perchè la disciplina nell'esercito sostituisce tutto: prove, ragionamenti, giustizia; e il Tribunale dovette ricevere l'ordine di condannare. Dovette essere ben grande l'amarezza di G. De Felice nel sentirsi condannare da un Tribunale militare italiano, quando era stato assolto il suo antenato, che portava il suo stesso nome, dal Tribunale statario borbonico sedente in Siracusa nel 1837 e sotto il regime dello Stato di assedio! Ma allora in Sicilia comandava Del Carretto: oggi in Italia governa Francesco Crispi.....151 Questa sentenza che chiude il processo mostruoso è tale che la Suprema Corte di Cassazione non sapendo, non volendo o non potendo riformarla ed annullarla l'addita all'amnistia. La quale non potrebbe e non dovrebbe farsi attendere, non già nell'interesse dei condannati, ma in quello dei giudici, delle istituzioni e della società borghese. È la borghesia la vera colpevole di questo processo ed a suo beneficio l'amnistia dovrebbe venire.

E infatti questo Tribunale militare, secondo la profonda osservazione di Barbato doveva lealmente condannare per dare il suo contributo a ciò che crede sacro e immortale, e che pur si sfascia e muore.

È questo organismo in isfacelo, che per istinto di conservazione attacca e condanna l'idea avversaria in tutti i suoi gradi di esplicazione, in tutte le forme sotto le quali si manifesta, particolari e generali, teoriche e pratiche. Si vuol colpire l'idea nemica, infatti, e nella esplicazione generica dello affratellamento dei sodalizî dei lavoratori e nel patto di Corleone; si vuol colpire l'idea giudicando criminoso il programma dei Fasci e l'arma dello sciopero, che esso ingenuamente credette legittima; e che tutto ciò si abbia voluto colpire lo dice la sentenza, la quale si scandalizza che nei discorsi degli accusati «si spiegavano le teorie del socialismo e si propugnava l'emancipazione morale e materiale dei lavoratori».

Di questa confessione bisogna lodare i giudici, che si ricordarono di essere militari e vollero chiarirsi leali facendo conoscere almeno le loro intenzioni ed avvisando gl'italiani contristati che nel processo mostruoso non si ricercarono e si condannarono i fatti costituenti il crimine, ma il pensiero, le idee, le tendenze nuove in nome e in difesa del presente, che passa e lotta contro il futuro, che irresistibilmente diviene.

La tristezza dell'animo in chi si fa a riandare le vicende e l'esito del processo mostruoso non viene temperata che dalle letture delle dichiarazioni e delle autodifese degli accusati, che seppero elevarsi nelle sfere serene della filosofia della storia: che ammoniscono i giudici sulla fatalità degli avvenimenti; che infusero in tutti la coscienza di un avvenire migliore per equa distribuzione di ricchezze; che seppero rendere simpatica la propria causa anche a coloro, che da principio più fieramente l'avversavano. Ed è meraviglioso, a questo proposito, che seppe farsi ascoltare con benevolenza il Gulì, che fece la difesa dell'ideale anarchico nel momento in cui l'anarchia era più odiosa ed odiata.

Le conseguenze immediate della sentenza avrebbero dovuto fare ravvedere qualunque governo meno cieco e meno votato alla reazione che non sia il libero governo costituzionale d'Italia. In Palermo dove l'ambiente era dapprima più avverso agli accusati la impressione fu profonda e generale.

Tutte le forze militari disponibili furono spiegate per mantenere in freno la popolazione fremente; fu vietato l'accesso al pubblico nella sala del Tribunale152, e i condannati sotto scorta numerosa furono fatti uscire da una porta ignorata, dalla quale uscirono pure i giudici per sottrarsi ad inevitabili e gravi manifestazioni di biasimo. Questi giudici, che furtivamente si allontanano dal Tribunale, non si direbbe che si sentono rei? Il colonnello Giussani divenuto inviso, fu ripetutamente fischiato, e lo si allontanò per un po' da Palermo.

La polizia impose che si tenessero aperti i negozî che si sapeva si sarebbero chiusi in segno di protesta; ma l'Università venne chiusa; alle grandi prigioni avvennero dimostrazioni notturne, e canto di inni ch'erano un saluto ai prigioneri che ascoltavano; in teatro si va coi garofani rossi all'occhiello e si fa dal pubblico una di quelle mute proteste, che solo Palermo sa fare, uscendo in massa ad un dato segnale.

E il pensiero e il sentimento della gioventù si riassume nel simpatico episodio del baldo e intelligente Aurelio Drago, che fu condannato dal Tribunale di guerra a sei mesi di carcere, perchè il giorno della sentenza, si fece innanzi alla truppa mentre passavano i condannati, ed impose all'ufficiale: Scopritevi! oggi è giorno di lutto per la libertà!

In Italia non fu minore la impressione; e fu vivissima se si tiene conto dell'infrollimento, dello accasciamento degli italiani. Non si trovarono giornali, compresi gli ufficiosi, che poterono lodare o giustificare giudici e sentenza; e tutti manifestarono lo stupore, il rammarico la indignazione. Innumerevoli e vivaci furono le proteste e agitazioni; i condannati venne deciso, che verrebbero portati dapertutto nelle elezioni comunali e provinciali: De Felice e Petrina vennero già eletti in Messina con una splendidissima votazione, sotto il regime dello stato di assedio! e Bosco e gli altri, benchè non fossero nelle liste, ottennero moltissimi voti.

Riuscirà il governo ad arrestare queste proteste coi minacciati processi per apologia di reato contro coloro che propugneranno le candidature dei condannati? Se pur riuscisse la enormità e novità del procedimento rivelerebbe l'anormalità e il pericolo della situazione!

Il processo ai socialisti, che si è trasformato in processo al governo ed alle classi dirigenti e che ha servito alla più vigorosa e larga propaganda del socialismo avrà pure conseguenze che sorpasseranno quelle del primo momento.

Previdi nella prima edizione che immediatamente si sarebbe avuto aumento di malandrinaggio e di odio fra le classi sociali sottolineate da qualche schiopettata per vendetta, aumento di miseria fra i lavoratori e di dissesto nelle finanze comunali; e sinora le tristi previsioni si sono avverate.

In quanto al resto, alla quistione politica generale i più avveduti sanno e sentono che il socialismo non muore; che esso risorse più forte e più vigoroso in Francia all'indomani del trionfo di una reazione; risorse sempre dopo che se n'erano cantati i funerali. E risorgerà in Sicilia dove la corrente scientifica, dei professori e dei giovani delle Università, che agiscono per altruismo, si fonderà coll'elemento di azione, coi contadini e cogli operai che agiscono per soddisfare impellenti bisogni e che hanno già acquistato coscienza, sebbene vaga, dei diritti e della forza propria.

E tristi conseguenze si avranno inoltre dagli ultimi avvenimenti: nel popolo si sarà fatto strada la convinzione che i metodi del regime borbonico continuano, e si sarà perduta la fiducia nei mezzi legali, mentre il socialismo dinastico avrà fatto il suo tempo e non troverà che sorrisi di scherno. Oh! non si vedranno più nelle sale delle associazioni i ritratti del Re e della Regina accanto alla immagine di Cristo! E i contadini non reclameranno più pane e giustizia al grido: Viva il Re! dopo la esperienza che in nome del Re non si dette loro che piombo, manette e domicilio coatto.

Il popolo in Sicilia per un periodo non breve ha avuto la forza e il potere nelle mani; ha devastato qualche volta i beni di coloro che crede a torto o sono realmente suoi nemici, ma ne ha rispettato le persone e non si è vendicato sulla loro vita. Sarà altrettanto mite altravolta? Sarebbe desiderabilissimo che lo fosse e sarebbe anche vantaggioso pel popolo stesso; ma qua e , nelle grotte che servono di abitazioni, nei sotteranei delle miniere, nei tukul sparsi per la campagna si sentono sommessi e compressi accenti d'ira, che fanno paura. Chi conosce la situazione confessa che è probabile lo scoppio di una vera Jacquerie e presente che i lavoratori in un dato momento prenderanno alla lettera il ritornello del poeta catanese e falceran le teste a lor signori!

 

 

 





136  Ricordo tra i tanti innumerevoli casi a mia conoscenza questo episodio mio personale. La sera del 5 gennaio 1894 appena arrivato in Palermo, uno dei miei più cari amici, costernato mi avvicinò e mi disse: Pur troppo è vero che Peppino (De Felice) è venduto alla Francia! Ier l'altro, nel momento in cui fu arrestato gli si trovarono addosso somme vistosissime ed una corrispondenza denunziatrice con uomini politici francesi! - Impossibile! risposi secco e risoluto. - E l'amico mio di rimando: - L'ho saputo da un ufficiale dei carabinieri, che procedette all'arresto e alla perquisizione! - E ci volle la smentita recisa degli avvocati Marchesano e Crimaudo, che all'uno e all'altra avevano assistito, per convincerlo che l'ufficiale dei carabinieri aveva mentito.



137  Nell'originale "delle"



138  Devo alla cortesia dell'egregio stenografo, sigr. Francesco Militello Quagliana, gran parte dei resoconti delle udienze; nonchè alla redazione del Giornale di Sicilia molto materiale che mi è servito per questo e per altri capitoli; e a tutti porgo i più vivi ringraziamenti.



139  Nell'originale «mandò»



140  Notevole esempio di quanto i nostri funzionarî di polizia siano profondi nelle discipline economiche!



141  In fatto di dinamite ricordo il comicissimo sequestro di alcune cartucce, ch'erano avanzate nei lavori di una galleria e il di cui proprietario ritenendo pericoloso tenerle in casa le depositò in una campagna e denunziò il luogo del deposito alle autorità con una lettera anonima. Le brave autorità scrissero a Girgenti, d'onde venne, credo un Procuratore del Re per sequestrare il corpo del reato con grande solennità. Il fatto avvenne a Campobello di Licata.



142  Nell'originale "Barone". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



143  Nell'originale "stustudiato". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



144  Nell'originale "italia". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



145  Nello esame di queste due accuse mi avvalgo, spesso letteralmente, della splendida auto-difesa del De Felice e della memoria dell'Impallomeni, lucida e strettamente giuridica.



146  Nell'originale "fattto". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



147  Verso la fine di Dicembre Garibaldi Bosco mi scrisse una vibratissima lettera, che esibii al Tribunale di guerra, nella quale sdegnosamente protestava contro le calunnie borghesi, che attribuivano al Comitato centrale i tumulti.



148  Nell'originale "disubbienza". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



149  Nell'originale "della". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



150  Nell'originale "contre". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



151  Le enormità giuridiche di questa sentenza voglio sottoporle al lettore colla sintesi severa e serena che ne ha fatto lo scienziato e non l'uomo di parte: «La cospirazione, fondata sulla manifestazione di semplici aspirazioni politiche in una corrispondenza fra assenti, rilevante la mancanza di qualunque accordo preso; la complicità in eccitamento alla guerra civile fondata sulla formazione dei Fasci dei lavoratori, pubblicamente costituiti, esistenti in virtù del diritto statutario, e non incriminati, come anche sulla propaganda socialista fatta nei limiti delle leggi, e sulla semplice possibilità di prevedere i disordini lamentati nell'isola, creandosi così una complicità colposa; dichiarati quelli complici in eccitamento alla guerra civile per avere a tali disordini, nella inesistenza di autori dello eccitamento, creandosi così una complicità senza una reità principale; affermata la cospirazione e la complicità in eccitamento alla guerra civile, come due delitti commessi per la realizzazione di un comune disegno ostile alla sicurezza dello Stato, identificando così l'eccitamento alla guerra civile con lo eccitamento all'insurrezione, e trasformando in un delitto politico un delitto contro l'ordine pubblico: ecco per sommi capi, gli elementi coi quali fu intessuta una sentenza, che condanna a spegnersi nelle galere la vigorosa giovinezza di chi vivamente e attivamente desiderò un'avvenire migliore alla classe dei sofferenti, ma che perciò non volle, la sentenza potè dire di aver voluto, i tristi lutti, avveratisi per opera di turbe suscitate dalla fame, dalle oppressioni locali, e dalla diffidenza in un Governo sordo per trentaquattro anni alle voci dei mali sollevantisi da mille parti. E questo, ritenuto da un tribunale di guerra, in tempo di pace istituito senza mandato legislativo, di derogare alla organizzazione giudiziaria del Regno e di creare Tribunali straordinarî; da un tribunale, che la propria giurisdizione elevò sulla ordinanza di un magistrato dichiaratosi incompetente, in una causa colla quale agli imputati, oppressi dal peso di fiere accuse, non fu concesso l'ausilio della difesa civile, facendosi al Codice penale per l'esercito del libero e civile Regno d'Italia l'ingiuria di supporre che avesse negato quel diritto di difesa, che i rescritti di Re Borbone dichiaravano di accordare in omaggio alla civiltà dei tempi

Così l'Impallomeni. (pag. 4).



152  Nell'originale "Trinale". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



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