Napoleone Colajanni
Gli avvenimenti di Sicilia e le loro cause

XXIV LA DISCUSSIONE PARLAMENTARE

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XXIV

 

LA DISCUSSIONE PARLAMENTARE

 

Se questo libro non dovesse essere che la esposizione cronologica degli avvenimenti, più volte avrei dovuto accennare alla discussione parlamentare; ma poichè ho invece preferito raggruppare i fatti logicamente e metterli in connessione colle loro cause, facendoli seguire dai commenti che mi sono parsi opportuni, ho raccolto in unico capitolo tutto ciò che riguarda la discussione degli avvenimenti a Montecitorio; perchè in quelle discussioni c'è appunto il riassunto degli avvenimenti, della esposizione delle loro cause, e delle considerazioni fatte sugli uni e sulle altre, della responsabilità del governo, della utilità e convenienza della sua azione.

I giudizî emessi in Parlamento dànno la più esplicita sanzione a quanto sinora è stato esposto e servono di opportuna conclusione alla precedente narrazione ed ai relativi commenti.

Quali le cause intime e reali dei moti di Sicilia? Su questo argomento ci fu un consenso ammirevole di parere tra gli oratori delle varie parti della Camera, che non potè essere menomato dal dissenso di pochissimi deputati, e che verrà lumeggiato in ultimo.

Prima tra le cause venne indicato il forte e rapido disagio economico. Si comprende che su di esso abbia insistito un socialista come il Badaloni, che opportunamente ricorda che le stesse cause economiche, le quali - secondo Massari, Castagnola e Villari - produssero il brigantaggio, cagionarono i moti di Sicilia. Egli con sintesi mirabile espose le risultanze della Inchiesta agraria - il cui volume sulla Sicilia porta, come si sa, la firma dell'on. Damiani - e secondo la quale nell'isola le classi lavoratrici hanno un impronta comune di miseria, di abbattimento e di patimento; dove invano si cerca un ceto agricolo, ma si trovano servi sfruttati sempre, riconosciuti mai, che per vivere sono costretti a rubare ed a vendere l'onore delle loro figlie e delle loro mogli... Si comprende del pari che io - che da vero sobillatore, molti anni or sono avevo riprodotto questi giudizî del Damiani, dalle forti tinte, - mi sia trovato perfettamente di accordo coll'amico carissimo Badaloni; ma importa di più il conoscere che il forte disagio economico venne ammesso da molti altri, che militano in partiti avversissimi al socialista: dall'on. Comandini - che fece due discorsi forti per logica e per ricchezza di fatti - all'on. Farina; dall'on. Franchetti all'on. La Vaccara; dall'on. Filì Astolfone all'on. Di San Giuliano. Quest'ultimo anzi dette in sulla voce all'on. Nasi - i cui singolarissimi giudizî troveranno un posto speciale - ed insistette nel dimostrare i danni del latifondo, il rapido passaggio dal benessere al disagio economico vivo e sentito da tutte le classi e non dai soli lavoratori.

Non è meno notevole il consenso sulla pessima amministrazione dei corpi locali e sulla iniqua ripartizione dei tributi: ammette questi gravi inconvenienti ed efficaci fattori di malcontento lo stesso on. Crispi!

Ricordai, che li aveva messi in evidenza l'onorevole Damiani in una intervista col corrispondente del Lokalanzeiger e li riconobbero gli onor. Farina, Pinchia e Filì-Astolfone. Ne fece un quadretto verista ammirevole l'on. Di Sant'Onofrio, che ricordò essere stato prodotto dalle iniquità e dalle prepotenze dei partiti locali il motto popolare, che ritiene: la legge essere fatta solamente per lo sciocco. Ma fu l'on. Di San Giuliano, che anche su questo riguardo col rammarico di dissentire dal solito Nasi, somministrò dati importanti sulla prevalenza delle relazioni e clientele personali, sull'accanimento delle lotte tra i partiti locali, sulla gravezza delle imposte, sulla dissennatezza delle spese, sulla falsità delle liste elettorali... E chi più ne ha, più ne metta!

I danni enormi del disagio economico e della iniquità e scorrettezza delle amministrazioni locali fu dimostrato che venivano aggravati dalla imperizia e dalla partigianeria dei funzionarî di ogni grado, che il governo ha mandati in Sicilia dal 1860 in poi in punizione o in esperimento.

Il male fu più volte denunziato e deplorato; ma i varî ministeri lo negarono sempre; il male era reale tanto che venne stigmatizzato in questa occasione da un uomo di facile contentatura, qual'è l'onorevole La Vaccara, seguito dagli on. Di San Giuliano, Farina e Nicolosi.

Questi, di animo mite e alieno dalla critica contro l'ente governo, fece una vera e giusta carica a fondo contro i prefetti, la cui partigianeria politica generava un forte disagio morale, che aggravava il disagio economico. A notarsi: avendo io accennato ad un funzionario abile e intelligente, l'on. Damiani mi fece questa caratteristica interruzione: «Pare impossibile, ma è vero!»

Chi mise il dito sulla piaga sui funzionari governativi accennando al passato prossimo... ed al presente fu l'on. Comandini. Egli nel suo discorso del 27 febbraio 1894 disse:

 

«Non facciamoci illusioni: la condizione delle provincie siciliane, per ciò che si riferisce agli atti ed alla responsabilità delle autorità governative, non poteva essere peggiore... In Sicilia io ho trovato che negli uomini veramente di ordine era ed è radicata la convinzione che in alcuni comuni, per fini elettorali, non sdegnarono alcuni funzionarî del governo di farsi essi autori di circolari e di proclami, che venivano distribuiti ed affissi in pubblico sotto l'intestazione: Fascio dei lavoratori.» (Commenti).

 

Coi pieni poteri del generale Morra di Lavriano ci fu un miglioramento? Ecco il giudizio, da nessuno contraddetto, dello stesso on. Comandini:

 

«Io ho trovato che la fiducia nei funzionari amministrativi era scossa, e quando ho indagato se sua Eccellenza il regio Commissario straordinario si fosse insediato a Palermo con uno speciale gabinetto politico, sapete voi quale Gabinetto politico ho trovato? Ho trovato un Gabinetto composto di un militare e di due civili, perfettissimi gentiluomini, giovani di grande e buona volontà, d'ingegno pronto e di eccellente volontà nel lavoro, ma sorpresi essi stessi dal carico, ch'era stato addossato alle loro spalle, e non timorosi di dire che essi si sentivano contenti di essere stati chiamati a tali funzioni, perchè imparavano una quantità di cose nuove, che prima essi ignoravano...»

 

La Sicilia era, dunque, pel Gabinetto del generale Morra di Lavriano corpus et anima villa... Ed ora si meravigli chi può della sapienza degli atti e degli editti del Commissario.

Date queste premesse e assodate queste cause predisponenti si può indovinare quale e quanta responsabilità si possa attribuire ai socialisti, ai sobillatori, ai Fasci dei lavoratori.

Sono essi, che hanno calunniato la borghesia e che hanno generato l'odio di classe?

Badaloni prende il volume dell'Inchiesta Agraria del Damiani e mostra che l'odio di classe è antico e produsse le manifestazioni del 1848 e del 1860 di quella popolazione, che lo stesso on. Crispi chiamò sobria, schiava della fame e del lavoro. Socci, Ferrari, Prampolini ed io, ribadimmo l'assunto del Badaloni; lo confermò Franchetti, che disse l'antagonismo tra le varie classi sociali antico e fatale. Ma le classi dirigenti e la grossa borghesia sono meritevoli di odio? Basta rammentare le parole di Crispi, riportate avanti, ch'egli pronunziò a Palermo nel 1886, in una riunione di operai...

Come la borghesia usò in Sicilia di quella sua onnipotenza? Ecco qua: «Il grande proprietario è troppo sovente fruges consumere natus, un parassita, un ozioso... ma non è (?) uno sfruttatore. I borghesi rurali in generale trattano male i contadini; amministrano i comuni con criterî d'interessi di classe; sono azzeccagarbugli, usurai... Le classi dirigenti non sono all'altezza dei loro doveri...» È forse questo il giudizio appassionato di un socialista? No! venne formulato da un loro avversario, da un loro persecutore: dall'on. Marchese di San Giuliano il giorno 27 febbrajo 1894! E dopo le sue parole, lasciamo che il suo amico on. Castorina si diverta, e diverta gli altri, nel difendere la borghesia, e nell'affermare che borghesi e lavoratori in Sicilia fraternizzano, come nel più idillico dei mondi possibili!

Se i socialisti, i sobillatori, i Fasci non generarono l'odio di classe, che trovarono bello e preparato da anni e forse da secoli, non può dirsi neppure ch'essi furono gli agenti diretti, determinanti degli ultimi moti. Che non lo furono fu sostenuto da Badaloni, da Altobelli, da Comandini, da me. L'ottimo Farina si stupì, si meravigliò altamente degli on. Nasi e Saporito, che ai Fasci e ai sobillatori li attribuirono; ma il loro era naturalmente il parere dell'on. Crispi, che fu pure combattuto da uno dei suoi più fedeli amici politici, dall'on. Di Sant'Onofrio. Più equanimi vollero mostrarsi gli on. Filì-Astolfone e Di San Giuliano che dei moti trovarono la ragione parte nelle cause precedentemente esposte e parte nell'azione dei Fasci. Il secondo, anzi, si espresse in termini, che meritano di essere integralmente riprodotti.

 

Per quanto concerne le cause - disse il rappresentante per Catania - voi avrete visto, e dalla discussione fatta qui e da quello che si è detto fuori di quest'aula, che vi sono due tendenze. Gli uni credono che causa unica sia il disagio economico, e specialmente la miseria dei contadini; altri credono che causa unica sia la propaganda161 dei sovvertitori

«L'onorevole Nasi nel suo discorso di ieri si accostava a quest'ultima opinione. Ora io francamente credo che abbiano contribuito l'una e l'altra causa. Senza il disagio economico e senza il malcontento che ne consegue, la propaganda dei sovvertitori non avrebbe potuto avere gli effetti che ha avuto, e forse non si sarebbe fatta. Senza poi la propaganda dei sovvertitori il malcontento non si sarebbe manifestato ora, o si sarebbe manifestato in altro modo, forse non meno pericoloso, ma più legale

 

Non è evidente da questi forse dell'on. Di San Giuliano, che i moti si sarebbero avuti anche senza i Fasci, e in una forma non meno pericolosa?

Una manifestazione se è più pericolosa, dal punto di vista politico, non giova che sia più legale; ad ogni modo l'on. Paternostro, che dell'on. Crispi è amico politico e non è affatto socialista, riconobbe e ricordò colla sua lealtà, che il movimento dei Fasci era legalissimo e doveva essere rispettato.

Si dirà che i Fasci, i sobillatori, i socialisti hanno almeno la responsabilità indiretta dei tumulti siciliani, in quanto furono determinati o accelerati dalla loro propaganda? E allora a quanti hanno predicato e raccomandato la emancipazione o il miglioramento dei lavoratori deve assegnarsi buona parte delle responsabilità; e primo fra tutti all'on. Crispi, che proprio in Sicilia espose... in pubblici discorsi idee poco diverse per il fine cui miravano, di quelle propugnate dai socialisti. E gli on. Altobelli e Badaloni con eloquenza e con senso vero di opportunità all'on. Crispi ricordarono questi brani significanti dei suoi discorsi di deputato e di candidato:

 

«Bisogna una volta uscire da cotesto egoismo borghese, che ha già sconvolto altre nazioni, o, quel che più monta, ha soffocato nel sangue i reclami del popolo, volta a volta blandito e tradito.

«La questione sociale, se non venga risolta come dovere, verrà imposta come necessità

«Alle plebi manca tutto, il loro rinascimento comincia da oggi...

«Bisogna che i lavoratori siano redenti dalla schiavitù della ignoranza, e dalla schiavitù del capitale...

«Bisogna che siano messi nella condizione di avere il denaro necessario, affinchè, volendolo, possano diventare padroni di un opificio, e che, associati, possano anche essi costituire opifici...

«Allora potrete trovare la soluzione del problema, che il capitale ed il lavoro stiano allo stesso livello, siano nelle stesse condizioni di eguaglianza, e che l'uno non possa comandare sull'altro, ma si riequilibrino, si rafforzino a vicenda...

«Noi avremo allora la vera concordia degli animi, avremo costituita quella unità morale, senza la quale non è possibile che duri l'unità politica del popolo italiano.

«Imperocchè fino a quando le classi sociali dureranno distinte per gl'interessi rivali, e qualche volta l'una tiranna dell'altra, saremo in continuo pericolo di disordini e conflitto

 

Ora io, dico, i socialisti e i sobillatori quando mai enunziarono propositi diversi e più radicali di quelli enunziati dall'on. Crispi in Palermo nel 1886? In quanto al metodo per farli trionfare non può dimenticarsi che lo stesso on. Crispi pochi anni dopo, proprio alla vigilia del movimento dei Fasci, telegrafava di rivoluzione come un qualunque avventato sobillatore...

Chi conosceva tutto quanto precede avrebbe dovuto concludere che nei moti di Sicilia non c'era stato accordo, non vi era stato intesa, non c'era l'intervento della cospirazione; ed alla Camera tale dimostrazione venne fatta da Altobelli e da me; e v'insistettero due oratori, che pel partito politico in cui militano non possono menomamente essere sospettati di tenerezza pei socialisti: l'uno l'on. Emilio Farina con quella espressione di sincerità ch'è l'impronta dei suoi discorsi, perciò tanto bene accetti a Montecitorio, disse:

 

«Non vi furono attacchi contro le caserme, non movimenti simultanei, non danari spesi per suscitarli o sostenerli, ed è perciò che questi movimenti potevano apparire, come disse qualcuno dei colleghi, sfoghi d'ire locali, e non meritare tutti i rigori che sono stati adottati per reprimerli. Le stesse stragi furono motivate, non già da assalti preconcetti contro le truppe; furono le truppe in piccolo numero, che per svincolarsi da folle clamorose che mano mano andavano esaltandosi, fecero uso delle armi, con quel penoso resultato che ognuno sa. La strage stessa commessa sul pretore, non fu un'azione, ma una reazione dopo una strage di popolo.

 

L'altro, l'on. Comandini, con l'immancabile e scettica sua ironia, mise in ridicolo la cospirazione, e a provare che era un romanzo aggiunse:

 

«Io non voglio far perder troppo tempo prezioso alla Camera, ma voglio evocare un curioso ricordo che ho comune con qualche nostro collega

«Nel 1874 si volle scuoprire una pretesa cospirazione repubblicana per la quale furono denunciati, arrestati e processati invano ventotto uomini, parecchi dei quali hanno già seduto ed alcuni seggono ancora in questo Parlamento

«Fra i documenti sequestrati, fu ritenuto uno dei più impressionanti di quella cospirazione una specie di discorso sedizioso che si voleva fosse stato preparato per una riunione di ribelli, e che fu trovato nella tasca di uno degli arrestati

«Per due mesi l'istruttoria si torturò con quello spietato discorso, che poi si verificò non altro essere che un semplice esercizio di traduzione dal latino in italiano di un'orazione di Catilina tratta dalla Congiura di Catilina di Sallustio (Ilarità).»

«Ella, onorevole Crispi, venne qui a dirci: «Ecco qua le lettere da Trapani, ecco qua il manifesto: «Operai, figli dei Vespri, ancora dormite

«Ma che Vespri, onorevole Crispi! Michele Amari, nel 1842, diceva che «i Vespri non si combinano; essi sono irresistibilmente ispirati, irrompono nell'ora fatale e soppiantano il potere» (Commenti). «E queste stesse parole di Michele Amari hanno ripetuto a voi il nostro compianto collega Cuccia, il professore Salvioli, il professore Schiattarella, Antonio Morvillo, tutti i vostri amici di Palermo

 

Se la cospirazione era un romanzo, invece erano una triste realtà la violazione dello Statuto, gli eccessi del governo nella repressione, la reazione.

E a Montecitorio furono in molti a constatarle anche tra gli amici del ministero e dell'on. Crispi, sebbene non mancassero contraddittori, che trovarono tutto ben fatto.

Nel primo senso parlarono gli on. Imbriani, Bonajuto, Altobelli, Bovio, Sacchi, Comandini, Cimbali, Marcora, Pinchia, Paternostro ed io. Approvarono quasi incondizionatamente gli on. Lazzaro, La Vaccara, Damiani e Castorina; e pur approvando la condotta del governo ebbero da deplorare non poche cose gli on. Spirito e Di San Giuliano.

Bovio sostenne che le idee, le utopie non si possono colpire, ma soltanto i mezzi adoperati per realizzarle. Imbriani - certamente facendo violenza a stesso - disse che in Austria testè per proclamare lo stato di assedio in Boemia si domandò l'autorizzazione del Parlamento ed enunciò gli articoli dello Statuto, che furono violati in Italia: il 26°, inviolabilità della libertà individuale; il 27°, inviolabilità del domicilio; il 28°, libertà della stampa; il 32°, diritto di riunione e di associazione; il 45° immunità parlamentare; il 70° proibizione di derogare all'organizzazione giudiziaria; il 71° divieto di sottrarre i cittadini ai giudici naturali e di creare tribunali e commissioni straordinarie... E nessuno seriamente osò negare che tanti articoli - i più importanti - siano stati manomessi; si constatò, invece, con giustezza dall'on. Sacchi, che l'azione reazionaria del governo potè passare con indifferenza, perchè in sostanza la reazione era nella Camera e nel paese!

L'on. Cimbali bene a proposito rilevò, che il disarmo fu fatto a benefizio dei malfattori. Sacchi dimostrò la enormità commessa dando effetto retroattivo alle ordinanze dei regî commissarî di Sicilia e di Lunigiana. E che i civili non si potessero sottoporre ai Tribunali militari l'on. Paternostro, lo provò colle parole dello stesso on. Crispi, che nel 1862 in un mirabile discorso sostenne ciò che quasi tutti gli oratori della Camera sostenevano su tale argomento, ed opportunamente ammonì che le armi della reazione non hanno mai salvato le dinastie...

L'on. Altobelli fu felicissimo nello studio comparativo tra la legge francese sullo Stato d'assedio e la legge italiana che esclude di poter fare ciò che fece il governo; contro le leggere asserzioni dell'on. Crispi che nel Codice penale militare del 1869 trovava la legittimazione del suo operato, provò che essa invece c'era soltanto nell'art. 137 del codice penale militare sardo del 1840 che diceva:

«Le stesse regole in tempo di pace potranno anche di nostro speciale ordine, qualora le circostanze lo esigano, essere poste temporaneamente in vigore in alcuna parte dei nostri stati»; e flagellò a sangue il contegno bassamente opportunista e servile della magistratura, riportando la motivazione della ordinanza della Camera di Consiglio che mandò il Molinari innanzi ai Tribunali militari «perchè non sarebbe stato opportuno che i primi arrestati si sottraessero alla giurisdizione speciale

Si può passar sopra adesso all'affermazione troppo semplicista ed ottimista dell'on. Castorina che nello Stato di assedio vide un eccellente rimedio; ed all'altra dell'on. La Vaccara che nello Stato di assedio trovò un conforto.

I bravo! che partirono dall'estrema sinistra a questa inattesa uscita dell'on. rappresentante per Piazza Armerina, sottolinearono la esplosione d'ironia della Camera. Ad onore del vero devo aggiungere che il conforto di cui parlò l'onorevole162 La Vaccara rispondeva alla realtà; egli ebbe il torto, però, nell'asserire che l'applauso per lo Stato di assedio fu unanime; poichè il conforto non lo provarono che solo i conservatori e le classi dirigenti. Del resto questa loro tenerezza per lo stato di assedio è di antica data: Filippo Cordova nel 1863 riferiva che qualche siciliano gli aveva detto: assicuratevi che nel cuore di ogni proprietario siciliano vi è l'immagine di Rattazzi, non per altro che per lo stato di assedio!

E vengo in ultimo all'on. Di San Giuliano, il quale trovò opportuno lo Stato di assedio, ma non poté negare gli arbitrî163 e le ingiustizie commesse. Ed egli conchiuse con un pensiero, che racchiude tutta la filosofia degli ultimi avvenimenti, la misura della utilità della reazione e della repressione e ammonisce sulla via da battere.

«Dopo l'istruzione data e la propaganda fatta, - disse il rappresentante per Catania, - l'antica rassegnazione dei contadini e degli operai non tornerà più!»

E collo stesso on. Di San Giuliano, che fu seguito dagli on. Comandini e Ferrari - contro il parere degli on. Saporito, Fortis e Damiani - mi trovo pienamente di accordo nel ritenere che ai mali della Sicilia si deve porre riparo con leggi speciali, ricorrendo ai veri criterî sperimentali. Non bisogna affidarsi alla uniformità delle leggi per tutta la nazione, perchè la uniformità rappresenta un vero letto di Procuste.

Da questo fedele riassunto della discussione parlamentare si detegge che di tutte le cause dei moti della Sicilia, frammentariamente, venne riconosciuta l'azione persistente, dagli uomini più temperati, dagli amici delle istituzioni, dai più devoti al ministero dell'on. Crispi; riconoscimento, che indirettamente eliminò la responsabilità dei Fasci dei lavoratori e della propaganda socialista.

La nota discordante non mancò, però, e venne portata alla Camera dagli on. Saporito-Ricca e Nasi.

L'on. Saporito, sorpreso del profondo perturbamento dell'ordine pubblico, maggiore che nelle precedenti rivoluzioni - e sorpreso perchè mai forse aveva posto attenzione all'indole dei moti puramente sociali - negò la spontaneità del movimento, lo attribuì interamente ai Fasci ed ai sobillatori e proclamò essere fandonie, ed ingiurie ingiuste e gratuite le asserzioni dei precedenti oratori. Si dichiarò soddisfatto dell'opera del governo, e nello Stato di assedio vide il rimedio supremo a tutti i malanni!

La stessa tesi precedentemente era stata svolta dall'on. Nasi, con lusso di particolari e con aneddoti ameni e piccanti, con una forma spigliata e talora elegante; sicchè il suo discorso dal punto di vista oratorio si può considerare come il gran successo della discussione.

Secondo l'on. Nasi in Sicilia non c'era fame, vi erano minori che altrove le sofferenze economiche, il salario non era inferiore di altrove, il lavoro delle miniere di zolfo non era più duro che altrove, le amministrazioni comunali non andavano più male che altrove, il dazio sulla farina non aveva influenza prevalente ed uguale sul prezzo del pane; il governo non aveva le responsabilità che gli erano state addossate, nemmeno quella dei cattivi funzionarî164 mandati nell'isola, i quali avevano fatto sempre il proprio dovere; non c'era, infine, una quistione siciliana poggiata su cause politiche, economiche, amministrative.

I nuovi piagnoni avevano tutto esagerato, e tutto il movimento si doveva esclusivamente alla azione dei sobillatori, la cui propaganda socialista non era che una mistificazione, e che i Fasci dei lavoratori, non raccoglievano che ambiziosi e malcontenti.

Date queste premesse chiunque si sarebbe atteso, che l'oratore avrebbe conchiuso con un inno al governo e colla raccomandazione di lasciar correre tutto per la sua china, come pel passato. Nossignori! L'on. Nasi si dichiarò contrario al governo, non solo, ma stigmatizzando le infeconde lotte parlamentari profetizzò che il ritardo nel presentare opportuni rimedî porterà a conflitti terribili e pose termine al brillante discorso come tutti gli altri oratori socialisti e radicali, promettendo che in un possibile conflitto egli, con tutti gli uomini di cuore, si sarebbe schierato dalla parte del popolo.

La conclusione sorprese, e tutti - compresi i suoi intimi - si domandarono la ragione del discorso. Si avrebbe potuto cercarla nel livore contro qualche collega suo e contro alcuni organizzatori dei Fasci suoi nemici politici e personali; ma escludendo pure questi moventi non belli si può ammettere che l'onorevole Nasi fu spinto a parlare dal desiderio di lanciare qualche freccia all'indirizzo dell'on. Crispi, e dall'altro non meno ardente di difendere l'antico ed amato ministero dell'on. Giolitti, e sopratutto fu mosso dalla patriottica e generosa preoccupazione di annunziare alla Camera che ai mali d'Italia - e forse dell'umanità - non c'era che un rimedio, uno solo: la dottrina di Alessandro Fortis!

All'annunzio di tanta scoperta tutti richiesero quale fosse la dottrina di Alessandro Fortis, la modestia del quale venne offesa specialmente perchè egli non ricordò di averne formulata mai alcuna sua propria, e che se per sua dottrina volevano prendersi gli accenni simpatici al socialismo di stato, fatti in momenti di espansione a Bologna o altrove, non potevasi e non dovevasi sospettare che tali accenni costituissero la sua dottrina, poichè egli si era affrettato a ripudiarli coi discorsi alla Camera e specialmente coi voti dati, coi fatti.

Comunque, le congratulazioni all'on. Nasi furono grandi nella Camera e in certa stampa pel successo del suo discorso, e fu notevole poi la lode rivoltagli dall'on. Comandini, che rapito dal discorso ammirò oltre ogni dire il coraggio dell'oratore. Oh! se ce ne volle del coraggio a dire tutto quello, che disse...... Ma le congratulazioni pel coraggio all'on. Nasi resero più amare le critiche, non degli avversarî politici, ma degli amici; perciò da uomo che non voleva procurarsi la nomea di peccatore ostinato, nella seduta del 2 marzo, a meno di otto giorni di distanza, rimangiò le precedenti denegazioni, facendo precedere l'atto di autofagismo da questa dichiarazione, che lascia perfettamente intendere che io non ho di una linea esagerata o alterata la impressione che ricevette la Camera dal suo discorso:

 

«È troppo facile e vecchio argomento di polemica quello di attribuire ai propri avversari opinioni, che non hanno manifestato od assurdità, di cui non sarebbero capaci

«Io non ho negato nulla, non ho detto che in Sicilia non ci sia la miseria: non ho detto che non ci siano gli abusi municipali; non ho detto che in Sicilia non vi sia una questione dei tributi locali, o di contratti agrari. Gli onorevoli Comandini, Farina, San Giuliano e Sant'Onofrio, potevano quindi dispensarsi dal manifestare un dissenso, che è fondato sopra un semplice malinteso

«Il malinteso deriva da ciò, che essi hanno esaminato la questione in modo analitico: ed in molti loro giudizi io consento

«Io ho posto a base del mio ragionamento un concetto logico generale, che è il seguente: se c'è una questione siciliana, è necessario che essa abbia cause speciali del luogo. Ho distinto perciò le cause efficienti dalle condizionali

 

Egli fece molte sottili distinzioni in seguito; ma come si potè vedere continuò a denegare che una quistione siciliana ci fosse. Ma sia lode alla sua rettitudine: egli non persistette neppure in questa denegazione, che dovette pesargli sulla coscienza per ben lunghi quattro mesi, e perciò il 5 luglio interroga solennemente il ministro dell'interno per sapere se, come e quando intendeva provvedere ai bisogni della Sicilia, ritenendo che fosse necessaria una parola del governo prima che la Camera si separasse....

Mi sono dilungato sui discorsi dell'on. Nasi perchè egli fu il solo autorevole a smentire tutti gli oratori che lo avevano preceduto e lo seguirono, e che non trovandosi di accordo neppure col governo, si creò una situazione nuova, specialissima.

Chi infine merita di soffermare l'attenzione è l'on. Crispi, non solo pel posto che occupava, ma sopratutto per l'autorità, che gli veniva dai suoi patriottici precedenti, per la simpatia, che ispirava la sua tragica situazione; - e dico tragica, perchè a nessuno passa per la mente di negare il suo affetto per la Sicilia, onde gli dovette sanguinare il cuore nel dovere prendere, come capo del governo, delle dolorose misure. Ed ispirava ancora simpatia per la singolare energia addimostrata in momenti gravissimi, in una età nella quale in Italia gli uomini politici se non materialmente, certo psichicamente165 sono finiti. E degli sforzi enormi fisici e morali si risentirono in questa occasione i suoi atti e sopratutto i suoi discorsi, nei quali si accentuarono non i pregi, ma gli abituali difetti. La leggerezza e l'assolutismo delle affermazioni furono veramente eccezionali, e per quanto mi riesca increscioso devo metterli in evidenza, perchè precisamente a forza di affermazioni recise e di altrettanto risolute denegazioni - che, dato l'uomo e la sua alta posizione, pochissimi osarono sospettare poggiate sul falso - la Camera si formò un concetto assolutamente erroneo sulla situazione e sulle rispettive responsabilità e votò conformemente all'errore.

Per parte mia sin dal primo iniziarsi della discussione, il 21 febbraio, con quanta più forza potei, all'annunzio di certe cospirazioni e di certi pericoli, gridai: È falso! È falso! È falso! E l'on. Crispi allora solennemente affermò che c'erano documenti, che avrebbero schiacciate le mie affermazioni!

I primi atti, le prime parole e i primi scritti dell'on. Crispi - che M. Imbriani nella discussione delle leggi antianarchiche paragonò al convenzionale Fouchet - dimostrarono che egli si era posto su di una china pericolosa, che doveva percorrere intera, procurandogli le più amare ed incontrastabili smentite, più che dagli avversarî, dalle risultanze dei processi e dai fatti indiscutibili.

La violenza del linguaggio e la esagerazione iperbolica cominciarono a far capolino nella relazione dell'on. Crispi, che precede il decreto di proclamazione dello Stato di assedio, nella quale è detto: i moti furono provocati da gente dedita ad ogni sorta di delitti; saccheggi, incendî, rapine si commisero in QUASI TUTTI i comuni dell'isola. Poi, considera Molinari e Lombardino come esseri inferiori a Ninco-Nanco ed a Cipriano La Gala. E supera qualunque aspettativa quando ad un delicato appello d'Imbriani al suo cuore di padre in favore di Maria De Felice, risponde: quella è la figlia di un malfattore! La Camera riverente, per non dire servile, verso il presidente del Consiglio rimase profondamente addolorata di questa risposta... inqualificabile, e consentì, a proposta di Cavallotti, ch'essa venisse cancellata dal resoconto ufficiale: la massima censura che può infliggersi ad un oratore e che venne inflitta all'on. Crispi; il quale voleva esser punito più severamente dall'on. Agnini, che si oppose alla proposta Cavallotti, chiedendo che rimanesse constatata nel processo verbale, ad edificazione dei posteri, la frase che disonorava soltanto chi l'aveva pronunziata.

A questa violenza - che non è energia - e scorrettezza di linguaggio dell'on. Crispi, fece degno riscontro la enunciazione di certe teorie illiberali e di certe proposizioni, che dovettero sorprendere e addolorare gli uomini di scienza e di cuore. Dopo avere affermato - contro le leggi - che c'è il diritto al ricorso per le sentenze dei Tribunali militari in tempo di guerra, immemore del biasimo che colpì l'on. Nicotera per avere indicato l'articolo del Codice penale che i magistrati avrebbero potuto applicare pei fatti del maggio 1891, augurò, egli, Presidente del Consiglio, che la Suprema Corte di Cassazione respingesse i ricorsi, esercitando con ciò la più aperta pressione sull'animo dei magistrati, che docilmente respinsero. Nel Re riconobbe il diritto illimitato di proclamare lo Stato di assedio in forza dell'art. dello Statuto, che gli conferisce il diritto di dichiarare la guerra....!

Pose le colonne d'Ercole alla evoluzione politica, annunziando che al di fuori delle attuali istituzioni non c'è che l'anarchia o il dispotismo. E arrestò la evoluzione economica e chiuse autorevolmente ogni dibattito scientifico affermando che abolito il feudo e soppressi i fidecommessi la proprietà è legittima. - legittimità da lui stesso poi violata colla proposta di legge sui latifondi di Sicilia - Che il socialismo moderno ha elevato a scienza il diritto della spoliazione e che il concetto dello stesso socialismo si avvicina al delitto. Vero è che parlando in tal modo egli alludeva al socialismo della piazza, ma nessuno potè sapere come distinguerlo da quello di Marx e dall'altro più temperato da lui stesso preconizzato nel discorso di Palermo del 1886.

Dalla esposizione delle teorie passando alla esposizione dei fatti non si guadagna in esattezza e in verità. L'on. Crispi garentì che in Sicilia non c'era miseria; che i moti furono determinati dai Fasci; che l'esposizione di Palermo del 1892 fu una peste, perchè gli operai del continente in tale occasione importarono nell'isola la propaganda socialista; che la borghesia con tanti meriti, non aveva che una colpa sola: l'avere abbandonato le plebi alle sette ed ai preti; che i Fasci avevano promesso la divisione delle terre nel 1894; che i capi del movimento si erano posti in relazione coi clericali del continente e collo straniero; ch'erano state annunziate una guerra nel 1894, la invasione del Piemonte, la vittoria di flotte nemiche nel Mediterraneo, la autonomia siciliana sotto la protezione della Russia, cui si sarebbe ceduto un porto: che la insurrezione era pronta e lo stato di assedio fu posto in tempo; che duemila armati percorrevano la Lunigiana e 280 mila socî dei Fasci potevano accoppare i 14 mila uomini di truppa, che c'erano in Sicilia; che De Felice fu arrestato in flagranza ec. ec. Con pari esattezza e con altrettanta recisione interruppe me, che parlavo del processo mostruoso pei fatti di Valguarnera, garentendo che nessuno in Italia tentava le bricconate da me denunziate, e che i processati lo erano perchè ritenuti colpevoli, mentre poi il processo innanzi il Tribunale militare di Caltanissetta giustificò alla lettera le mie osservazioni. Contraddice formalmente Imbriani e me sulla autenticità dei fatti di Castelbuono e nega fede alla Giunta comunale, che li aveva stigmatizzati nella nota sua protesta; ma il Tribunale di Termini Imerese lo smentisce inesorabilmente, condannando l'autore di quei fatti, il delegato Breda, a tredici mesi di reclusione. Assicura l'on. Imbriani, che arbitrî e ingiustizie non se ne commettono e che se i prefetti e le Commissioni speciali avevano mandato a domicilio coatto i pregiudicati ritenuti tali dalla legge di pubblica sicurezza, ciò era stato fatto con ordinanze regolari e dopo essere stati esaminati i fatti della loro vita e la loro condotta; e invece risulta da centinaia e centinaia di casi, che cittadini onestissimi, mai per lo passato processati, in nessun modo pregiudicati, senza processo, senza interrogatorio, senza formalità di sorta alcuna vennero arrestati, ammanettati e condotti nelle isole destinate al domicilio coatto, per isfogo di vendette personali di sindaci e per semplice furore di persecuzione e per paura dei delegati, della questura, dei Prefetti, senza che mai alcuna commissione fosse stata interrogata166! Assicurò infine che non occorrevano leggi sociali e speciali per la Sicilia e dopo pochi mesi si smentisce da presentando lo specialissimo disegno di legge sui latifondi.

E veniamo finalmente ai documenti, a quei documenti, che l'on. Crispi annunziò che sarebbero riusciti schiaccianti per gli accusati e per coloro che, come me, difesero questi alla Camera. Sono due: il trattato di Bisacquino e l'appello rivoluzionario agli Operai figli del Vespro.

Non ho bisogno di ripubblicare il trattato di Bisacquino, di umoristica memoria, di cui mi occupai nel capitolo sul processo mostruoso. In quel trattato erano contenute le notizie per le più terribili accuse contro i Fasci e contro i socialisti, me compreso. Quale il valore di esso risultò dal processo: l'avvocato Fiscale lo ripudiò formalmente e si sentiva umiliato, come di un tentativo di volgere in ridicolo il processo, ogni volta che accusati e difensori vi accennarono. Ma quando l'on. Crispi prestò fede al trattato di Bisacquino, si dirà che non gli erano note le risultanze del processo. Ebbene, fu proprio durante il processo che l'avv. fiscale Soddu-Millo annunziò all'on. De Felice, che nell'ottobre 1893 il sotto-prefetto di Corleone non ritenne degno di essere mandato alle autorità superiori il documento, che si deve alla fervida immaginazione di qualche spia e più probabilmente di qualche burlone, che lo dette come oro di coppella al delegato di Bisacquino. Il grottesco, l'inverosimile di quella fantasticheria, come la chiamò l'avv. fiscale, che apparvero evidenti ad un umile sotto-prefetto, non trasparirono menomamente innanzi agli occhi del Presidente del Consiglio.....?

Il secondo documento, ch'è passato alla storia sotto il nomignolo di firmatissimo, ha una origine più scellerata e più comica ad un tempo e servì a fini iniqui, e l'avervi prestato fede, e ancora di più l'aver mentito dichiarandolo firmatissimo costituisce una delle grandi vergogne per l'on. Crispi.

A dimostrare quale importanza egli vi annettesse riproduco integralmente il brano del discorso da lui pronunziato alla Camera dei Deputati, il giorno 28 febbraio; di quel discorso in cui si valse - precipuamente a falsare l'opinione della Camera e del paese a danno dei Fasci, e di De Felice e degli altri compagni - dei due cennati documenti. Dopo avere esposto il contenuto del trattato di Bisacquino, che fu accolto, secondo il resoconto ufficiale degli atti parlamentari, da commenti vivissimi, l'on. Crispi aggiunse:

 

«A dare un concetto dei proclami che si spargevano nei Comuni, ve ne leggerò uno solo che vale per tutti. (!)

«Operai! Figli del Vespro: Ancora dormite? Corriamo al carcere a liberare i fratelli! Morte al Re, agli impiegati. Abbasso le tasse. Fuoco al municipio e al casino dei civili. Evviva il fascio dei lavoratori! Quando le campane della Matrice e del Salvatore suoneranno, assieme corriamo armati al castello, che tutto è pronto per la libertà

«Attenti al segnale!» (Impressione.)

Prampolini. È firmato?

Crispi, presidente del Consiglio. È firmatissimo! (Ilarità).

C'è anche il nome del Comune. Tutto risulterà dal processo

 

Or bene: è falso che quell'appello sia stato sparso nei comuni dell'isola; è falso che sia stato167 pubblicato e letto da qualcuno, meno che dal suo autore, da un delegato di P. S. e dai magistrati che se ne occuparono; è falso che fosse nonchè firmatissimo, neppure... firmato. Di vero non c'è che il nome del Comune in cui venne manipolato. Ma eccone la storia, che rappresenta un breve intermezzo comico-erotico, in questo dramma siciliano dai tragici episodî, che in un paese di uomini liberi avrebbe abbattuto il ministro.

In Petralia Soprana - provincia di Palermo - c'era un disgraziato vice cancelliere di pretura perdutamente innamorato della moglie di un agiato pastaio del luogo, certo Alessi. La donna, tanto bella quanto onesta, aveva replicatamente respinto le profferte del vice-cancelliere; il quale nel suo furore erotico arrivò a minacciarla di ridurla in condizioni da doverglisi dare a discrezione. E l'immondo satiro ricorse ad un diabolico mezzo: scrisse il manifesto agli operai figli del Vespro - il manifesto firmatissimo, - e lo mandò per posta allo indirizzo del marito della sua amata, l'Alessi; poi con una lettera anonima denunzia lo stesso Alessi alle autorità del luogo come uno dei promotori più pericolosi dei disordini, e in prova della realtà del fatto denunziato avvisa che proprio in quel giorno allo Alessi doveva arrivare per la posta un manifesto rivoluzionario. In questa guisa il vice-cancelliere sperò fare arrestare l'incomodo marito e avere nelle sue braccia la moglie.

Si era nel periodo più acuto dei tumulti, e le autorità di Petralia Soprana credettero di salvare la patria, corsero alla posta, sequestrarono la lettera indirizzata all'Alessi, e in base al manifesto rivoluzionario sequestrato procedettero al suo arresto. A questo punto la moglie dell'Alessi intravvede le trame inique e denunzia tutto alle stesse autorità, che onestamente e rapidamente ripararono al mal fatto arrestando il vice-cancelliere; il quale confessò tutto, cercando di scusarsi con la follia amorosa.

Pochi mesi dopo il vice cancelliere di Petralia Soprana venne condannato dal Tribunale di Termini Imerese come autore del manifesto firmatissimo a tre anni di reclusione....

E qui mi fermo senza commentare ulteriormente questi indecorosi documenti, in base ai quali si strapparono voti iniqui alla Camera dei deputati; mi fermo, perchè dovrei adoperare roventi parole contro l'on. Crispi, del quale non si può abbastanza deplorare la... leggerezza.

Lo stesso on. Crispi, il 9 Marzo, discutendosi la domanda di autorizzazione a procedere contro l'onorevole De Felice, dopo che da me era stata fatta la storia del firmatissimo, osò continuare a prestarvi fede ed uscì in queste dichiarazioni testuali:

 

...«Si oppugnò a torto un documento del quale vi diedi lettura: e che, del resto, non è il solo, perchè ne ho qui molti altri più importanti di quello, che per prudenza e per sentimento di giustizia non volli leggere. Se li avessi letti, sarei stato fatto segno all'accusa di voler pesare, con la mia parola, sopra atti dell'autorità giudiziaria, la cui indipendenza voglio resti impregiudicata.

.....«In altra occasione, quando i processi saranno terminati, dirò tutto, e meraviglierò anche la Camera con la storia degli avvenimenti siciliani. Allora gli interruttori potranno sfogarsi a lor guisa, imperocchè non ci sarà più pericolo per gl'imputati.

 

La tenerezza dell'on. Crispi per gl'imputati in quella occasione fu appresa come un prodigio incredibile; che dire poi del suo delicatissimo riserbo di non voler leggere i molti altri documenti più importanti, dopo che ne aveva letti due, che riteneva i più gravi, e che erano falsi? Che dire di un riserbo che... dura tutt'ora, quando i processi sono finiti e la pubblicazione dei documenti, che dovranno meravigliare la Camera, potrebbe essere fatta senza pericolo per gl'imputati, che per dodici, per sedici, per diciotto anni sono al sicuro... nelle sinistre celle dei varî penitenziari d'Italia? Ed è da sperarsi, che l'on. Crispi li verrà a leggere alla Camera, non essendo stati letti nei processi, a difesa del proprio decoro e della propria serietà, onde il paese apprenda che per davvero l'on. Crispi fu generoso verso gl'imputati, non avendo voluto dare al magistrato documenti che avrebbero potuto aggravare le pene alle quali furono condannati e che forse li avrebbero potuto far condannare a morte da un Tribunale militare che punisce con un Codice in cui la pena di morte è conservata...

Pervenuta al termine la discussione sui casi di Sicilia, e venuti in luce i fatti, le accuse e i documenti che le suffragavano, tutti si attendevano che il governo fosse venuto a chiedere un bill d'indennità - che in Inghilterra e dovunque c'è regime costituzionale, si ritenne sempre indispensabile dopo la sospensione delle guarentigie costituzionali, anche quando la medesima sia stata ordinata con legge del Parlamento - bill d'indennità, che, secondo il Majorana, ha un doppio carattere: giuridico, al fine di togliere qualunque azione possa spettare ai cittadini per tutte le violazioni di leggi comuni e statuti normali in cui il governo sia incorso; politico, per fare sanzionare l'opera di questo dal sovrano sindacato parlamentare.

Molti, anche avversarî del Ministero presieduto dall'on. Crispi, tenendo conto delle eccezionalità dei casi e della bontà delle intenzioni, erano disposti a concedere detto bill d'indennità.

L'on. Ambrosoli in nome della destra pure lo accordava, chiedendo, però, che una legge, a somiglianza della francese, regolasse lo Stato di assedio; accordavalo l'on. Martini in nome del centro sinistro, negando un voto politico e chiarendo erronei i precedenti invocati dall'on. Crispi, e voleva darlo l'Arcoleo, pur ritenendo - egli professore di diritto costituzionale - che fosse quasi incompatibile lo Stato di assedio con la ordinaria funzione del Parlamento.

E il meno che poteva fare il Presidente del Consiglio, a propria giustificazione, si era di convocare il Parlamento, dopo la violazione dello Statuto o di tutte le leggi durante lo Stato d'assedio, per chiedere il bill d'indennità.

Questo avrebbe dovuto e potuto bastare a qualunque Ministro ed a qualunque Ministero, ma l'onorevole Crispi, disse l'on. Imbriani, respinse per alterigia abituale il bill d'indennità e chiese un voto politico esplicito, che ne approvasse la condotta e stabilisse che tutto era proceduto conforme a legge. Ciò sembrava enorme e contrario a tutti i precedenti parlamentari, anche italiani, e si ricordava come in altri tempi si giudicò temerario l'on. Nicotera, che bill d'indennità chiedesse per ciò che aveva fatto nella stessa Sicilia; ed aveva fatto assai di meno e di meno peggio dell'on. Crispi (Zini op. cit. p. 47 e 48). Altri tempi!

Ora, la Camera dette ragione al Presidente del Consiglio, eliminò il bill d'indennità, e con 342 voti favorevoli contro 45 contrarî e 22 astensioni168 approvò quest'ordine del giorno presentato dell'on. Damiani e accettato del governo:

 

«La Camera, approvando l'azione del Governo, diretta alla tutela della pace pubblica, confida ch'esso saprà definitivamente assicurarla con opportuni provvedimenti legislativi, e passa all'ordine del giorno

 

La enorme maggioranza, che approvò la condotta del governo non lasciava luogo a sperare - nella sua resipiscenza nella grave quistione che le venne innanzi il giorno 8 Marzo - per la autorizzazione a procedere contro l'on. De Felice e per la convalidazione del suo arresto.

Qui erano in giuoco le prerogative della Camera, delle quali, dal 1848 in poi, essa si era mostrata sempre gelosa. Ma a nulla valsero le osservazioni di Cavallotti, di Barzilai, di Imbriani, di Sacchi, di Altobelli, di Merlani, mie e dello stesso Palberti, ch'era relatore delle Commissione nominata dagli ufficî della Camera dei Deputati per esaminare la domanda di autorizzazione a procedere presentata dal Regio Procuratore presso il Tribunale di Palermo.

Non valse che io dimostrassi che le accuse si fondavano sopra documenti ridicoli come il trattato di Bisacquino, o infami come il firmatissimo; che lo stesso Procuratore del Re, costatando la lunga lotta in seno del Comitato dei Fasci alla vigilia della proclamazione dello Stato d'assedio, escludeva implicitamente l'azione dello stesso Comitato e dell'on. De Felice nei moti di Sicilia; che lo stesso pubblico accusatore non avesse potuto dimostrare un sol caso di azione diretta del rappresentante per Catania nei tumulti; che aveva torto l'on. Palberti ad ammettere la esistenza di depositi di armi vecchie e nuove sulla semplice assicurazione del questore Lucchese. Non valse che l'on. Sacchi collo esame della corrispondenza tra l'on. De Felice e il Cipriani - il cavallo di battaglia del processo e dell'accusa di alto tradimento - avesse luminosamente provata la inesistenza dei mezzi idonei per provocare la rivoluzione. Non valse che l'on. Barzilai avesse esposto i casi numerosi (Luzzi, Carbonelli, Costa, Francica, Bonajuto, Dotto ec.) nei quali la Camera, contro il parere dell'on. Palberti e della maggioranza della Commissione di cui era relatore, era entrata nel merito della domanda di autorizzazione a procedere. Non valse che lo stesso on. Sacchi avesse ricordato il parere del più grande e autorevole commentatore delle leggi inglesi, il Blackstone, sulla prerogativa parlamentare, che la Camera inglese non volle mai definita da leggi speciali affinchè, di caso in caso essa ne facesse quell'uso che nel suo sovrano apprezzamento le sembrasse conveniente; a nulla valsero tanti sforzi: la Camera accordò l'autorizzazione a procedere perchè il governo la voleva.

La lotta della quistione dell'autorizzazione a procedere passò in terreno ancora più favorevole ai difensori dell'on. De Felice quando si discusse della convalidazione dell'arresto. Rammentò opportunamente l'on. Imbriani, che nel 1848, quando fu eletto deputato Didaco Pellegrini, nella Camera, appena se ne pronunziò il nome, alcuni deputati si alzarono per domandare se fosse già stato messo in libertà, trovandosi in carcere il Pellegrini sotto accusa di Stato. Il Ministro Pinelli riconobbe il diritto della Camera ed immediatamente ordinò la escarcerazione. Tali nobili e liberali tradizioni del Parlamento subalpino non esercitarono influenza sulla Camera del 1894.

Se altra volta si era ordinata la liberazione di chi era stato eletto mentre era in prigione, ora si violava evidentemente l'art. 45 dello Statuto arrestando il De Felice, mentre era deputato. Vero è che lo stesso articolo sottrae dalla prerogativa il caso della flagranza; ma questa derogazione, osservò l'on. Barzilai, ha la sua ragione potente: nel caso della flagranza l'evidenza della prova distrugge ogni sospetto di un arbitrio, di una ingerenza indebita a danno del deputato. Ora, a danno dell'on. De Felice, erano evidenti non la flagranza - che nessuno seppe dimostrare e che l'on. Palberti tanto condiscendente verso il governo ridusse alla quasi flagranza e alle considerazioni di convenienza politica, - ma l'arbitrio e la ingerenza indebita del governo per odiosi e partigiani motivi politici; per quei motivi, che appunto hanno fatto consacrare nello Statuto la prerogativa parlamentare dell'art. 45!

Se c'era un caso, adunque, in cui la escarcerazione avrebbe dovuto ordinarsi ai sensi di quell'articolo era proprio questo dell'on. De Felice. E indarno l'on. Cavallotti su questa questione della prerogativa parlamentare provò che la giurisprudenza costante della Camera e il voto di due commissioni solenni - quella del 1855 e l'altra del 1870 - di cui facevano parte il senatore Cadorna, Valerio, Mancini, Biancheri, davano completa ragione all'on. De Felice e mostravano che i nemici dello Statuto, dei plebisciti e delle leggi, gli adulteratori della storia erano al banco dei ministri; indarno! La Camera che nel 1869, tenera delle proprie prerogative, non volle ammettere la flagranza a danno dell'on. Majorana Cucuzzella accusato di assassinio e accettò la divisa della sua Commissione: in dubiis pro libertate; nel 1894 la riconobbe in odio all'on. De Felice accusato di reato politico.

Concessa l'autorizzazione a procedere; riconosciuta la flagranza, e convalidato perciò l'arresto dell'on. De Felice, si sperava infine che la Camera non si volesse coprire di vergogna riconoscendo la retroattività dei Tribunali di guerra, sanzionando la più iniqua ed erronea violazione delle leggi e dello Statuto. Era lecito sperare, che la Camera a questo punto si sarebbe arrestata sulla china vergognosa delle concessioni, e del proprio esautoramento; perchè il relatore onorevole Palberti in nome della Commissione - in maggioranza composta di amici del governo - aveva affermata manifestamente la propria ripugnanza ad arrivare sino a quel punto. Ma l'on. Palberti affermava il principio, la teoria, esprimeva il desiderio; però non osava formulare recisamente la proposta per ottenere che l'on. De Felice venisse sottratto alla illecita giurisdizione dei Tribunali militari, e si limitò a sperare nella equanimità del governo e sperò eziandio, che su questa quistione il governo si sarebbe astenuto, disinteressandosene, come aveva fatto sempre pel passato in tutte le quistioni, che toccano i diritti e le garenzie del Parlamento. Ma egli stesso dovette riconoscere che le sue speranze furono una illusione e dovette sentirsi dire dall'on. Cavallotti non essere giusto, non essere bello dimostrare che una cosa è iniqua e non avere il coraggio di proclamarlo.

D'onde la incertezza e la condotta fiacca dell'onorevole Palberti e della Commissione? Dal timore e dallo scrupolo d'invadere il campo della magistratura, di preoccuparne le decisioni e di sollevare anche un conflitto tra la Camera dei Deputati e la Corte di Cassazione; poichè in quei giorni si attendeva la decisione della Suprema Corte sui ricorsi contro la competenza dei Tribunali militari, e si trovava sconveniente da un lato indicare alla medesima la via da battere; e dall'altro non si sapeva trovare una uscita corretta nel caso che il giudicato della Cassazione riuscisse contrario al voto della Camera dei deputati.

Quanto poco valore dovessero avere quegli scrupoli lo dimostrò lo stesso on. Palberti, che cortesemente rimproverò al guardasigilli la pressione esercitata sull'alta magistratura, annunziando lui la risoluzione che esso avrebbe dato al difficile quesito che le era stato sottoposto. Così era lecito al governo venir meno ai riguardi dovuti alla suprema magistratura per farle commettere una enorme iniquità; ma la Camera, doveva usare tutti i riguardi verso la prima e rinunziare ai propri diritti e alle proprie prerogative in danno di una causa giusta!

Che la decisione della Camera non potesse invadere il campo della magistratura, lederne i diritti, menomarne la indipendenza, sollevare conflitti colla medesima ce lo apprese la sentenza della stessa Corte di Cassazione nel ricorso De Felice e C., nella quale si riconobbe che essa non si permetteva di entrare in apprezzamenti di indole politica, sull'alta ragione di Stato che aveva potuto consigliare lo Stato d'assedio con tutte le sue conseguenze, e che lasciava di giudicarne alla competente autorità politica, cioè al Parlamento, che se n'era rimesso alla Cassazione! Da Caifas a Pilato...

E così la Camera dette l'ultimo passo sulla via dell'approvazione degli arbitri sterminati, e accettando i comodi ed onesti scrupoli dell'on. Palberti, lasciò che governo e Cassazione vedessero loro in quanto alle competenze dei Tribunali militari; e l'una e l'altra provvidero... nel modo conosciuto.

Tutto questo era fatto per rattristare profondamente l'animo di coloro che amano la libertà e che vorrebbero vedere l'Italia procedere per le vie della rettitudine in politica e nel delicatissimo campo della amministrazione della giustizia; ma la Camera e il governo nello stesso giorno in cui si passava sopra a tutte le illegalità e le enormezze commesse in Sicilia, recitava una farsa che destava una nausea invincibile: nel giorno 9 marzo infatti, dopo avere emesso l'autorizzazione a procedere contro l'on. De Felice, averne convalidato l'arresto e consentito che venisse sottratto ai giudici naturali e sottoposto ai Tribunali militari, con una ipocrisia veramente fenomenale respinse due altre domande di autorizzazione a procedere contro lo stesso on. De Felice per due discorsi-reati pronunziati a Pedara e a Casteltermini, e che formavano parte integrale dell'accusa che lo condusse innanzi al Tribunale di Palermo e da questo alla reclusione per diciotto anni...

Due cose in questa farsa indegna furono notevoli: la generosità dell'on. Crispi che dichiarò disinteressarsi di queste due altre domande di autorizzazione a procedere e la premura delicatissima dell'on. Canegallo, che volle si sapesse dalla Camera e dal paese che esso in seno alla Commissione, contro la maggioranza, aveva votato in favore della concessione. All'uno e all'altro la corona civica non dovrebbe mancare.

Verso la Camera dei deputati fui severo nel libro Banche e Parlamento, esaminandone la condotta e la responsabilità nelle quistioni degli scandali della Banca Romana e in quella della legge sul riordinamento degli istituti di emissione; non potrei essere altrettanto severo in questa occasione dei casi di Sicilia, quantunque non siano stati meno ingiusti e meno esiziali alla vita pubblica italiana i voti dati secondo le richieste e la volontà del governo.

Non mancarono i deputati servili, quei deputati che furono in altri tempi fieramente flagellati dall'onorevole Crispi, che votarono favorevolmente al governo per l'abituale servilismo che li distingue per motivi non nominabili; ma giustizia vuole che io dica che molti altri, pur addolorati dello strazio fatto dello statuto e delle pubbliche libertà, approvarono l'opera del governo sotto l'incubo di preoccupazioni di ordine politico elevatissimo. In molti infatti era sincera la convinzione che gli eccessi commessi dal governo dell'on. Crispi, fossero una dolorosa necessità non solo per ristabilire l'ordine pubblico, ma anche per conservare l'integrità della patria! Essi che avevano un'idea iperbolica della entità dei pericoli corsi dell'Italia, guardarono al successo rapido e immediato del governo e ne rimasero ammirati senza guardare ai mezzi adoperati per ottenerlo. Invece, i mezzi sinora adoperati creano pericoli veri, e servono soltanto alla reazione bieca, che tanto più impunemente e sicuramente se ne giova in quanto che all'ombra del vecchio patriottismo e della qualità di siciliano dell'on. Crispi molte forze vive che avrebbero potuto opporre una diga o sono state neutralizzate anch'esse dalla paura dell'immaginario pericolo corso, o rimasero inerti perchè non sanno ribellarsi a chi considerarono per tanti anni come capo ed amico e che oggi riprovano in fondo dell'animo loro senza avere il coraggio di rendere palese il proprio pensiero.

Conosciuto il movente del successo parlamentare ed anche extra-parlamentare dell'on. Crispi, mi rimane l'ultimo compito increscioso: esaminare se esso rispondeva al vero e completare l'esame obbiettivo coi confronti storici invocati dall'on. Crispi a giustificazione della sua azione e ridotti alle loro giuste proporzioni, cioè a nulla, dagli on. Cavallotti, Altobelli, Comandini ecc.

Che il pericolo in Sicilia per la integrità della patria fosse grande, più volte l'on. Crispi lo dichiarò, e fece comprendere che dell'ordine stabilito gli si doveva tanta se non maggiore riconoscenza quanto della spedizione liberatrice dei Mille. Il fatto, dall'on. Guardasigilli si tentò di giustificare con quella teoria di diritto pubblico, che ritiene legittimi lo Stato di assedio e le misure eccezionali a difesa della esistenza dello stato, come legittima ogni violenza si riconosce negli individui a difesa della propria esistenza. (Seduta della Camera dei Deputati del 28 Febbraio 1894).

Gli epigoni completarono l'accenno del Ministro Calenda dei Tavani facendosi forti dell'autorità di Bluntschli, che nei seguenti termini ha formulato tale teoria: «In tempo di guerra o di sedizione la istituzione del Consiglio di guerra, può essere una pubblica necessità per la salute dello Stato. Quando si tratta di salvare lo stato e la salvezza non è possibile senza violare i diritti dei privati od anche di tutta una classe della popolazione, allora il governo non può e non deve per risparmiare quella, far perire questo, ma deve anzi far tutto ciò ch'è necessario alla conservazione colla salvezza dello stato. Su di ciò si fonda il cosidetto potere eccezionale, il diritto di necessità del governo, che corrisponde al diritto di necessità del popolo

Nell'applicazione, questa teoria s'infrange di fronte alla quistione della misura e della opportunità di invocarla; poichè chi governa è sempre tentato di ricorrervi ad ogni difficoltà che incontra e che tanto più facilmente vi ricorrono gli uomini impari alla situazione. Il primo venuto, diceva Cavour, può governare collo stato di assedio!

Cavour in Italia non fa più scuola, è quasi considerato come un anarchico; i Tedeschi invece, sono di moda - s'intende, non quelli della democrazia sociale - e ad un Tedesco, perciò, ad un professore e Consigliere aulico me ne appellerò per mostrare le enormità di tale teoria e i pericoli, che si annidano in seno della medesima. A Bluntschli contropporrò Holtzendorff. Il quale osserva: che non c'è illegalità, non c'è attentato contro il diritto, che non si possa dorare sotto il pretesto dell'interesse dello stato. «Questa teoria del bene pubblico, colla sua pericolosa massima: salus publica suprema lex est, non offre alcuna base per la politica pratica... In nome di tale teoria ci fu un governo - non tedesco - che proibì l'uso dei fiammiferi, perchè facevano aumentare gl'incendî e in alcune parti della Germania non si permise ai contadini la danza più di tre volte in un anno per impedire la demoralizzazione

Lo stesso compianto professore dell'Università di Monaco, elevandosi in una sfera ancora più generale e più nobile, raccomandò quasi quell'azione cosidetta sovversiva presa oggi di mira da coloro che operano e legiferano in nome della salute della patria, scrivendo: «nei codici penali si perpetua il pensiero, che i sentimenti dei cittadini devono essere regolati e ordinati da parte dello stato e che l'eccitamento all'odio e al disprezzo stesso delle cose e delle istituzioni odiose e spregevoli merita tutti i rigori della legge.

«Alcuni Stati, che si dicono cristiani e tedeschi, obbliarono, sotto pretesto del bene pubblico, che l'apostolo condanna in nome della morale il fatto di non sapere odiare ciò ch'è male.» (Principes de la politique p. 116, 117 e 119).

Non si direbbe che queste parole dello scienziato tedesco siano state scritte a difesa di coloro, che furono accusati di eccitamento all'odio di ciò ch'era odioso e spregevole, del male, cioè: della oppressione dei lavoratori siciliani?

Ma questa teoria non riesce semplicemente pericolosa ai cittadini, i cui diritti sono esposti all'arbitrio del governo; ma spesso riesce pericolosa al governo stesso, che la invoca; poichè il Royer-Collard - un altro pericoloso anarchico! - tanti anni fa ricordava, che le leggi eccezionali sono come i prestiti ad usura: presto o tardi chi se ne serve si rovina completamente. Già lo stesso Bluntschli parlò di un diritto di necessità del popolo, che sta di fronte e limita il diritto di necessità del governo e che corrisponde al diritto sopra costituzionale dell'Hallam. Quando il governo ricorse alle violenze delle leggi di eccezioni, come si fece sotto Carlo X colle ordinanze di luglio, e sotto Luigi Filippo colla proibizione dei banchetti parlamentari, il popolo rispose colle barricate e vinse. I casi della Francia si sono ripetuti e si potranno ripetere altrove...

Ciò premesso sul conto della teoria e dei suoi possibili risultati, brevemente si dica della opportunità della invocazione della salus patriae, poichè se essa fu opportuna realmente tutto il resto cade e l'opera dell'on. Crispi - quali che abbiano potuto essere gli eccessi, le violenze e gli arbitri contro i cittadini e quanto abbia potuto essere la manomissione delle leggi e delle pubbliche libertà, rimane giustificata e rimane come un suo titolo di gloria; e s'intende che lo esame non va fatto dal punto di vista di coloro che vorrebbero mutato l'ordinamento politico-sociale attuale dello stato, ma dal punto di vista strettamente legale della conservazione delle vigenti istituzioni.

Esisteva realmente il pericolo della integrità della patria? Lo affermò il trattato di Bisacquino, e coloro che si valsero di quel documento oggi se ne vergognano e lo ripudiano.

Esisteva il pericolo per le istituzioni? È strano che lo si abbia trovato in dimostrazioni e tumulti avvenuti al grido di: Viva il Re! quando si portarono in giro i ritratti dei Sovrani; quando affermavasi che il governo guardava con simpatia ai dimostranti, stanco com'era di vederli opprimere dalle consorterie locali e dall'egoismo dei grandi proprietari; quando si sperava che il figlio del Re e lo stesso on. Crispi sarebbero venuti a capitanarli - Questa la voce, che correva a Palma Montechiaro. E furono precisamente le sentenze dei Tribunali militari, che constatarono l'assenza di ogni carattere politico nei moti, che essi furono destinati a punire. C'erano forze incoscienti ma organizzate, che a momento opportuno avrebbero potuto essere adoperate dai malintenzionati ai loro fini sovversivi, volgendo a loro benefizio, la ingenuità stessa dei tumultuanti? I famosi 300,000 soci dei Fasci erano un esercito sulla carta; esercito immaginario non solo, ma inerme assolutamente, privo di qualunque mezzo per l'attacco o per la resistenza169. E furon gli stessi Tribunali militari, osserva l'on. Prof. Lucchini, a ridurre a proporzioni ridicole il pericolo , che li fece sorgere! E che il pericolo fosse insussistente risulta, infine, da un dato di capitale importanza; l'on. Comandini ripetè nella Camera dei deputati ciò che aveva pubblicato nel Corriere della sera, senza che nessuno lo smentisse e cioè: che lo stesso generale Morra il 3 gennajo 1894 neppur lui avesse ritenuto opportuna, necessaria la proclamazione dello Stato di assedio e che aveva ceduto alle insistenze del potere centrale; il quale, era assediato e ipnotizzato in Roma, dai campioni della reazione.

La insussistenza del pericolo, la inopportunità della invocazione della salus patriae e dei conseguenti provvedimenti eccezionali e la mancanza di misura nell'uso dei medesimi, risultano meglio e con maggiore evidenza dal confronto tra i casi recenti di Sicilia e gli altri nei quali il regno Sardo prima e il regno d'Italia dopo, per motivi politici e sociali, si trovarono in condizioni di invocare tale massima.

Nel 1849, lo Stato di assedio viene proclamato a Genova. Le cause che lo determinarono erano assai più gravi di quelle di Sicilia. Da un lato c'era la guerra collo straniero, coll'Austria; dall'altro c'era una grande città, che fatta la rivoluzione si era proclamata repubblica e si era distaccata dal Piemonte. Genova aveva già un governo nemico a quello che sedeva a Torino; aveva forze organizzate, che opposero resistenza, e la città si dovette bombardare e prendere di assalto. La proclamazione dello Stato di assedio era legale, perchè il Parlamento il 29 luglio 1848 aveva dato i pieni poteri al governo con una legge, nella quale però si diceva: salve le guarentigie costituzionali. C'era nulla di simile in Sicilia nel 1894? Eppure il generale Lamarmora, i cui poteri erano assai più legittimi di quelli del generale Morra, nel suo proclama accennò alla possibilità dei Tribunali militari; ma non li istituì, e allora forse potevasi parlare di un nemico col quale si era in guerra!

Nel 1852, Sassari insorge e vi si proclama lo Stato di assedio; due eserciti stanno di fronte: la guardia nazionale da un lato e il regio esercito stanziale dall'altro. Eppure non furono soppressi i magistrati ordinarî, non furono istituiti i tribunali militari! Di più: il ministro dell'interno Pernati fece alla Camera dei deputati queste dichiarazioni - opportunamente ricordate dall'on. Altobelli - che suonano aspra rampogna all'on. Crispi. Il ministro sostenne di non avere avuto bisogno di farsi autorizzare dal Parlamento per proclamare lo Stato di assedio perchè non aveva violato lo statuto e soggiunse:

 

«Ma diverso sarebbe il caso della sospensione dell'articolo 71 dello Statuto, che garentisce la libertà individuale in guisa che nessuno può esser sottratto ai suoi giudici naturali. Se dunque una dichiarazione di stato d'assedio assorbisse il potere giudiziario, e lo concentrasse in altra autorità, egli è certo che si toccherebbe allo Statuto. In tal caso il Governo dovrebbe chiedere preventivamente l'assenso del Parlamento, od almeno, qualora l'urgenza lo costringesse ad agire senza indugio, dovrebbe riferire, in seguito, il suo operato al Parlamento per la convalidazione, e per avere un bill d'indennità

 

Nel 1862, lo Stato di assedio viene proclamato in Sicilia e nel Napoletano. Perchè? Un esercito meridionale era risorto al di fuori dell'autorità del governo e contro gli ordini espressi del Capo dello Stato. Quell'esercito era capitanato da Garibaldi e provocava diserzioni numerose nelle fila dell'esercito; il potente vicino impero francese esigeva che si arrestasse la marcia su Roma. Qualche imprudente ha detto che ogni paragone tra Garibaldi e De Felice - tra l'esercito dei volontari che volevano la liberazione di Roma e i tumultuanti che volevano la liberazione dalle tirannidi locali e il miglioramento economico - era impossibile. Sia. Eppure l'ente governo, sempre disposto ad abusare del salus patriae, trattò alla stessa stregua i nemici del 1862 e170 quelli del 1894; chiamò tutti disfacitori dell'Italia e ribelli. E quelli la cui missione viene ora dichiarata più nobile furono puniti più severamente e più iniquamente: la ferita di Aspromonte e i fucilati di Fantina ne fanno fede. Ad ogni modo la misura del pericolo nel 1862 - e lo stesso si potrebbe dire pel 1867, quando l'esercito dei volontari con Garibaldi si rimise in marcia verso Roma e venne arrestato a Mentana - non era identica a quella del 1894, e l'uguaglianza del provvedimento, perciò, rimane ingiustificabile. Ed uguale rimane la protesta in Parlamento; sulla quale Cavallotti osservò:

 

«Pigliate i resoconti di quella memoranda discussione su l'interpellanza Boncompagni: al banco del Governo, al posto di Rattazzi, mettete Crispi; poi qui all'estrema, al posto del Nicotera d'allora, mettete Bovio; al posto di Mordini, mettete Colajanni; al posto del perpetuo e violento interruttore di allora, ch'era l'onorevole Crispi, mettete Imbriani, (Ilarità) e voi avrete la discussione di quei giorni, completamente, fotograficamente riprodotta

 

Nel 1863-64, provvedimenti eccezionali vengono presi per le provincie meridionali.

 

«Allora sì, fu un momento per l'Italia ben più grave, ben più scuro di adesso. Era il momento in cui il brigantaggio infuriava per tutto il Mezzogiorno: non i quaranta o cinquanta o cento matti della Lunigiana, ma bande organizzate di briganti scorazzavano tutto il Mezzodì, assalivano e uccidevano i nostri soldati, entravano da conquistatori nelle terre e nei paesi. Era la guerra civile nel vero, terribile senso della parola, che aveva qui in Roma il suo quartiere generale; da qui il re di Napoli dirigeva le mosse, nominava i capitani; da qui la reazione mandava i denari. Ci poteva essere un caso più grave, nel quale il governo fosse tentato per la salus reipublicae di procedere per mezzi spicci, rigorosi, terribili? Ebbene, il Governo venne innanzi al Parlamento, e, come l'urgenza cresceva, si stralciarono, per far presto, dal progetto di legge per la repressione del brigantaggio pochi articoli che il Parlamento discusse e votò, e che formarono la legge Pica

«Che cos'era questa terribile legge? Il suo primo articolo diceva questo solo: «Fino al 31 dicembre nelle Provincie infestate dal brigantaggio e che tali saranno dichiarate con Decreto Reale, i componenti comitiva o banda armata di almeno tre persone che vada scorrendo le pubbliche strade o le campagne, per commettere crimini o delitti, saranno giudicati dai tribunali militari di cui nel libro II, parte II, del Codice penale militare»,

«Era il meno che si potesse chiedere in un caso di vera guerra civile, ed era chiesto per legge. Ebbene, l'onorevole Crispi lo trovava enorme!» (Cavallotti)

 

Le condizioni nel 1862-63, adunque, erano più gravi che nel 1894; eppure i provvedimenti eccezionali, furono assai meno rigorosi di quelli del 1894: ai briganti si consentì la difesa civile negata ai socialisti, e quei provvedimenti infine furono consentiti preventivamente dal Parlamento.

Nel 1866, lo Stato d'assedio viene proclamato in Palermo. Allora la guerra coll'Austria era appena cessata e la pace non era stata ancora segnata: quella città delle grandi iniziative e delle barricate, che nel 1894 si mantenne completamente tranquilla, era in piena insurrezione, in potere dei ribelli armati, che avevano costretto a rinchiudersi nel Palazzo reale la legittima autorità; oppose fiera e sanguinosa resistenza alle truppe e alla flotta mandate per ristabilire l'ordine e fu necessario bombardarla per domarla. Lo Stato d'assedio potevasi legittimamente proclamarlo, perchè il governo aveva avuto concessi poteri straordinarî dalla legge, di cui fu relatore eloquente lo stesso onorevole Crispi, che trovò allora occasione di dichiarare solennemente:

 

«io sempre amerò la libertà e mi opporrò ai pieni poteri. Credo che la libertà meglio di qualunque intelligente dittatura sia la sola feconda pel trionfo dell'unità nazionale

 

Eppure l'on. Presidente del Consiglio di allora, il Ricasoli, si affrettò a togliere lo Stato di assedio (lui, che non lo aveva imposto!) prima che si riaprissero le Camere.

Accanto a questi casi nei quali furono presi provvedimenti eccezionali e in condizioni e per ragioni tali e in tale misura che riescono a far condannare severamente chi li prese e quali li prese nel 1894, alcuni altri ve ne sono, nei quali sebbene con più ragione si sarebbe potuto invocare la giaculatoria del salus patriae, pure non si ricorse a provvedimenti eccezionali.

A Genova nel 1857 si tenta una insurrezione, s'invade il forte Diamante, si uccide un sergente, bande armate percorrono i dintorni delle città; ma non si proclama lo Stato di assedio. Nel 1869 una vasta cospirazione repubblicana si scopre nelle file dell'esercito, ch'è veramente minato e non si ricorre a misure eccezionali. Nel 1870 ben dodici provincie sono in disordine, vi sono insurrezioni nelle caserme - a Pavia ed a Piacenza - si dovette arrestare Giuseppe Mazzini allo sbarco in Sicilia; ma non si proclama lo Stato di assedio. La condotta dei conservatori allora fu tale che l'on. Comandini potè buttare in faccia ai liberali di oggi le parole pronunziate da Marco Minghetti nel 1875 nel difendere la legge straordinaria proposta appunto per la Sicilia: «la mia dottrina, la mia coscienza, la tradizione del mio partito mi consigliano di rifuggire dal ricorrere a mezzi eccezionali; tutto si deve sempre domandare ed ottenere dal Parlamento

Argomento a più melanconiche riflessioni è il fatto che la reazione non si è limitata alla Sicilia; è seguita ai folli e criminosi atti di Caserio e di Lega. Gli avvenimenti in Italia in ordine al tempo e allo spazio dicono che i moti di Sicilia e i crimini anarchici servirono di comodissimo pretesto per colorire il programma della reazione, ciò che prova luminosamente che la salus patriae fu invocata in malafede.

Guardate. Lega non aveva sparato il suo innocuo colpo e il guardasigilli aveva già da un pezzo diramate le sue circolari inculcanti una maggiore severità contro la stampa; e la epurazione delle liste elettorali era bene avviata171; e le liste di proscrizione erano composte e i consigli dei giornali fedeli al governo si ripetevano con insistenza per porre argine a quella propaganda socialista, che oggi si dichiara sovversiva e ieri serviva di bandiera nelle lotte elettorali ai ministri caduti ed a quelli risorti ed ai loro accoliti i quali blateravano con idillica ignoranza ed impudenza di un socialismo monarchico, che portava tanto di bollo dell'autorità superiore. I tumulti erano stati in Sicilia, ma le persecuzioni contro ogni libera manifestazione e gli scioglimenti dei sodalizî invisi e i sequestri e le minacce, infierivano in ogni parte d'Italia.

Lo Stato d'assedio legalmente viene tolto in Sicilia ma le norme e i criteri di governo non libero continuarono ad essere in vigore impunemente e sfacciatamente: a Palermo la questura chiama in ufficio Colnago ed altri giovani eletti e li ammonisce a moderare la loro propaganda; la censura telegrafica continua; la soppressione dei giornali assume forma più odiosa, perchè più ipocrita; quella del sequestro sistematico, capriccioso, non motivato da alcun pretesto plausibile, come si pratica contro l'Unione di Catania; le armi non vengono restituite ai loro proprietarî: si mantengono a domicilio coatto coloro che vi furono mandati arbitrariamente.

Quando il pretesto alla reazione è eccellente - e lo danno gli anarchici - la reazione abbandona ogni riserbo e arriva al suo parossismo colle leggi antianarchiche pensatamente indeterminate - delle quali un alto magistrato, l'Auriti, aveva dichiarato non esservi bisogno per combattere i nemici della società. In Parlamento si promise con solennità eccezionale, che non si sarebbero applicate contro i socialisti, ma appena votate sono già state sperimentate colla proibizione dei congressi, coi sequestri dei giornali, collo scioglimento delle associazioni a danno dei socialisti, dei repubblicani, dei democratici più tiepidi, ma sinceri, sospettati soltanto di non essere abbastanza soddisfatti della delizie che il regime ci procura nell'ora presente. E non solo le leggi antianarchiche si applicano contro coloro che si era dichiarato solennemente non ne sarebbero stati le vittime, ma la magistratura educata alla scuola di un qualsiasi Morra di Lavriano a dette leggi, in materia di stampa, un effetto retroattivo, sollevando proteste, forse le ultime, in certe sfere non sospettabili di tenerezze per tutte le gradazioni del mondo cosidetto sovversivo172.

E la reazione trionfante ha trovato il suo uomo, l'on. Crispi: deciso, caparbio, senza scrupoli, facile alle promesse, alle lusinghe o alle minacce se più opportune soccorrono, ed anche simpatico ed affascinante per certe sue doti eminenti e perciò più pericoloso. E tale uomo rinunzia agli ultimi legami colla tradizione democratica e coi suoi precedenti democratici e per quello stesso opportunismo che prima lo indusse ad inneggiare alla Dea Ragione ed a Giordano, a Napoli lo spinge a riconciliarsi col Papa e col Dio di Torquemada e di Lojola, e al clericalismo attonito, novello Costantino, bestemmiando di Mazzini, l'insegna: con Dio, col Re per la patria! e grida: in hoc signo vinces.

Ed ora si troveranno più amici e laudatori di Francesco Crispi, che oseranno negare ch'egli s'è gettato completamente ed entusiasticamente nelle braccia della reazione?...

Di quest'uomo testè Giovanni Bovio ha detto: «non ha partito e la Camera gli va incontro; si professa democratico e il Senato gli si piega ossequioso; non sollecitò il potere e gli scese incondizionato dall'alto; auspicò il monumento a Bruno e il Vaticano gli volge l'occhio salutevole. Il paese e la stampa che fanno? L'uno sotto la sua mano si addormenta; l'altra, in gran parte, lo seconda

Questa sintesi mirabile di contrasti risponde alla verità? Risponde; ma questo solo deve osservarsi, che l'uomo supera tutte le difficoltà, non perchè egli sia grande, ma soltanto perchè il paese e la sua rappresentanza sono piccoli. Il paese si addormentò e la stampa secondò altri uomini che di Crispi erano minori e che rispondevano ai nomi di Depretis e di Giolitti e che adoperarono mezzi ora uguali ora dissimili da quelli adoperati dall'attuale Presidente del Consiglio. Queste diversità negli uomini e nei mezzi e questa simiglianza nei risultati prova, che la ragione del successo sta al di fuori di essi.

Ciò si osserva non per acre voluttà di diminuire un uomo; ma per quell'imperativo categorico, che impone l'omaggio alla verità: alla verità, che deve giovare non preparando illusioni nuove e dolorose col fare sperare salute dalla caduta di un uomo; che deve giovare non permettendo un errore nella diagnosi del male, e nella scelta dei rimedî.

Il male è nel paese e si rispecchia nella sua rappresentanza legale. Lo constatai un anno fa in Banche e Parlamento di fronte alla onnipotenza dell'on. Giolitti; lo constato qui, di fronte alla onnipotenza dell'on. Crispi; constatai l'aberrazione morale dilagante colla tregenda bancaria; constato l'aberrazione giuridica, politica e sociale incarnatasi nella reazione.

Lo scienziato, che vive al di fuori delle passioni politiche, il Brusa, pensoso dello spettacolo che danno le presenti vicende politiche, scrisse che i governanti d'Italia hanno pareggiato i Borboni, il prete e l'Austria; anche sorpassato. (op. cit. pag. 28 e 31). Un altro scienziato, il Lucchini, soggiunse che le violazioni dello Statuto pei casi di Sicilia e di Lunigiana in altri tempi avrebbero sollevato popolo e parlamento.

Così è, nessuno si solleva per le condizioni che riassunsi altra volta e che ora ripeto perchè non potrei mutare di una linea: «le istituzioni si liquidano, la corruzione dilaga, la miseria cresce, tutti soffrono e sono malcontenti; e ancora il popolo non sa come, quando, perchè insorgere e che cosa sostituire a ciò che sente ed intuisce di dover demolire!» (Banche e Parlamento p. 384).

Sarà sempre così? Non lo credo, e la speranza in un futuro migliore tanto più mi si fa viva nell'anima quanto più audace si fa la reazione, quanto più essa infierisce contro il moto sociale che non si arresta mai.

Certo si passeranno momenti non lieti, ma la reazione capitanata da un Bismark fu doma la prima volta in Germania; rialza la testa altra volta, ma ricadrà più precipitosamente; la reazione armata del sentimento religioso, dell'odio di razza, dell'egoismo economico e maneggiata alternamente dai partiti storici dell'Inghilterra è stata costretta a capitolare in Irlanda.

In Italia la riscossa potrà essere più lenta e più tarda perchè la reversione atavica del servilismo ajuta efficacemente la reazione; ma la riscossa non può mancare.

 

 

 





161  Nell'originale "progaganda". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



162  Nell'originale "ononorevole". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



163  Nell'originale "arbitri". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



164  Nell'originale "funziozionarî". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



165  Nell'originale "psichiamente". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



166  Il Generale Morra, più sincero dell'on. Crispi, non esitò a indicare i criterî seguiti nello invio a domicilio coatto. Egli infatti nella circolare di commiato ai prefetti mette da parte ogni riserbo e dice: «Quello che più di tutto interessa si è che la mala pianta dei sobillatori, dei sovvertitori dell'ordine pubblico e delle istituzioni, che ci reggono, non abbia a ripullulare ed estendersi. Gran parte e i più pericolosi in questo genere sono stati allontanati, sia perchè condannati, sia perché a domicilio coatto...»



167  Nell'originale "stata". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



168  Nell'originale "astenzioni". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



169  Il generale Corsi aveva già accennato alle esagerazioni sulle forze dei Fasci e sui pericoli temuti. A tempo opportuno - oggi potrebbe procurare molestie a molti - narrerò un episodio tipico, che darà la certezza della assoluta inesistenza della cospirazione della organizzazione delle forze dei Fasci e della attribuita preveggente azione dei capi. A coloro, che non hanno seguito con attenzione i fatti da me esposti o li hanno dimenticati, ricorderò, che questi miei giudizi sulle forze dei Fasci, sulle loro mire politiche, sugli intendimenti separatisti e antinazionali ec. ec. non li accampo oggi per comodità di difesa dei miei amici; ma li precisai con crudezza di verismo, che dispiacque a molti, che credevano utile alla propaganda ogni esagerazione, e nella Grande Revue del gennajo 1893 e nella Rivista popolare di Roma e nel Secolo di Milano e nel Giornale di Sicilia di Palermo nello stesso anno e molti mesi prima, che si arrivasse ai tumulti - da me preveduti e preannunziati - che provocarono lo stato di assedio e la repressione.



170  Nell'originale "e e"



171  Ciò che avviene in fatto di liste colla nuova legge elettorale fatta votare dall'on. Crispi nelle sedute mattutine della Camera, fra la disattenzione e la nausea di tutti, è inaudito. All'on. Crispi che si vantava democraticamente di aver fatto votare l'art. 100 nella legge elettorale del 1882 oggi può assicurarsi la benevolenza dei suoi nuovi amici, i reazionarî, ricordando l'ultima legge del 1894, che il diritto elettorale quasi annulla. Non calunnio, non esagero; ecco come La Tribuna commenta alcune corrispondenze pervenutegli:

«Pubblichiamo su questa quistione delle liste elettorali la lettera di Capua per debito d'imparzialità e quella di Albano Labiale che prima ci è pervenuta per ordine cronologico. Ma se volessimo potremmo aggiungere qui sotto a diecine lettere e corrispondenze le quali ripetono press'appoco ciò che ci scrive il corrispondente di Albano Laziale e dimostrano che l'anarchia nella compilazione delle liste dovrà, anzi imperversare allegramente.

Molte commissioni elettorali si sono ostinate a seguire questo sistema di cancellare cioè tutti gli elettori, già inscritti, i quali non forniscono la documentazione del loro diritto elettorale.

Abbiamo già avvertito, quanto alle liste vecchie, che esse sono permanenti: che nella revisione straordinaria che si sta compiendo, coloro che sono già inscritti hanno per loro più che una presunzione di diritto: che se anche si vuole documentare il diritto elettorale, elettore per elettore, l'obbligo di ricercare, verificare, accertare i documenti spetta intero alle commissioni comunali: che queste non possono alla leggera disturbare i cittadini, quando esse hanno tutti i mezzi di verifica e di mutamento: infine che soltanto quando ogni prova e documento manchi, e se v'è reclamo o contestazione, allora solo le Commissioni debbono richiedere all'elettore di provare.

Le Commissioni dunque che si conducono come quella di Albano Laziale e come quella di Capua e come le altre, dalle quali ogni giorno ci si scrive, sono fuori della legge.

Noi non insistiamo di più, perchè non vogliamo ripeterci: chiediamo soltanto di nuovo e insistentemente una circolare esplicativa del ministero dell'interno che metta a posto le cose. Altrimenti potrà avvenir questo fra l'altro: che gli arruffoni, e ve ne sono massime nei piccoli comuni, si metteranno in mezzo a procurare iscrizioni, a far reclami, a chiedere cancellazioni, a far man bassa sulle liste elettorali, a prepararsi il terreno per l'avvenire, mentre i galantuomini, seccati o indifferenti, lasceranno fare e si lasceranno cancellare magari.

E le liste elettorali non saranno purgate, ma mutilate, se non corrotte.

Fra i moltissimi che ci hanno scritto protestando contro i metodi inquisitorii delle Commissioni comunali, parecchi concludono dicendo: - Noi non produrremo i documenti che ci si chiedono e subiremo piuttosto con indifferenza l'onta di non più appartenere alla classe degli elettori

Ed oramai ne siamo a questo: ci sono paesi, come Lovere in Lombardia, che sono rimasti senza elettori, perchè i cittadini nauseati non hanno voluto far valere i proprî diritti contro lo sconfinato arbitrio e la crassa ignoranza delle Commissioni!



172  Come indizio eloquentissimo della situazione noto quanto segue: Non appena i magistrati vollero dare effetto retroattivo alle leggi antianarchiche a Roma, ad Ancona, a Siena nei processi contro Il futuro sociale, Il Lucifero e la Martinella - giornali esclusivamente socialisti e repubblicani e antianarchici per eccellenza - le proteste fioccarono sulle colonne della Tribuna e il giornale le fece sue. Ora viene la proibizione del Congresso socialista d'Imola e la stessa Tribuna (n. 242 anno 1894) approva il Prefetto di Bologna. Il fatto, data la attitudine del giornale verso il governo, è importante perchè prova la malafede più impudente delle sfere ministeriali. Quando il governo per bocca di Crispi nella Camera prometteva ai deputati socialisti, che a loro non potevansi applicare le leggi antianarchiche, conosceva certamente il loro programma, che s'impernia nella lotta di classe, che tante polemiche ha suscitato e tanti malumori ha destato nello stesso campo socialista. La sua slealtà, adunque, è innegabile ed è enorme oggi, che si attacca a quel programma per farlo oggetto di persecuzione. Figuriamoci ciò che avverrà quando si sarà trovata l'isola adatta per mandarvi i coatti! E allora tu, o buon amico Lucchini, vedrai quanto avrai guadagnato a fare accettare una dicitura invece di un'altra appellandotene a Fanfani e a Tommaseo! I magistrati, i prefetti e i questori d'Italia che si occupano di sinonimia! e che nelle distinzioni di Tommaseo dovrebbero trovare la guida per agire correttamente e interpretare onestamente le leggi antianarchiche....! Questi preludî possono servire di opportuno commento alla liberale circolare dell'on. Crispi sulla applicazione di dette leggi.



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