Napoleone Colajanni
Gli avvenimenti di Sicilia e le loro cause

CONCLUSIONE

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CONCLUSIONE

 

In tutti i capitoli di questo libro traspare un pessimismo, che non è ordinariamente nel mio carattere e nelle mie convinzioni, ma che fatalmente s'impone a chi esamina gli avvenimenti recenti, sia nella parte che riguarda il governo, sia in quella che concerne le classi dirigenti.

Ma non c'è un raggio di luce, che possa rischiarare le tenebre che circondano la sconsolante prospettiva dell'avvenire?

Non si può e non si deve a priori negare la possibilità nelle cose siciliane di un esito diverso da quello enunziato e temuto; si può anzi ammetterla, purchè governo e classi dirigenti agiscano di conserva e rapidamente per iscongiurare i pericoli che risorgeranno spontanei dalla situazione, presto o tardi, senza o con l'opera dei sobillatori, col concorso indiretto dei Fasci come nel 1893, o senza che fossero conosciute le teorie socialiste, e senza che Fasci esistessero come nel 1860 e in altre epoche.

Storia e scienza politica si accordano nel riconoscere che non c'è che un mezzo per evitare le rivoluzioni violente173: le riforme date a tempo. E riforme ne sono state proposte di ogni sorta per la Sicilia: riforme economiche, politiche amministrative e sociali; riforme, che in parte riuscirebbero utilissime al resto d'Italia174. Ma perchè riuscirebbero utilissime al resto d'Italia c'è da temere che non ne saranno votate in tempo per la Sicilia dal Parlamento; e per lo stesso motivo i deputati siciliani più interessati al mantenimento dello Statu quo e che rispecchiano fedelmente le aspirazioni e gl'interessi delle classi dirigenti, levano alta la voce contro ogni legge speciale per la Sicilia, che scioccamente designano come legge eccezionale - di leggi eccezionali essi non invocano e non approvano che lo Stato d'assedio con tutti i suoi amminicoli, dalla censura preventiva ai Tribunali militari! - poichè essi sono giustamente convinti che allontanerebbero per più lungo tempo l'amaro calice delle riforme economico-sociali, quando tutti i deputati d'Italia fossero costretti ad avvicinarvi le labbra.

Di ciò che si dovrebbe e potrebbe fare, di ciò che si è fatto già o si è mostrato l'intenzione di praticare, bisogna fare rapidissima menzione.

Nell'ordine amministrativo si reclamano pronti provvedimenti che spengano ed impediscano il risorgere dell'attuale prepotenza delle locali, che opprimono i deboli e gli avversarî; non rendono fruttuosa l'opposizione nelle vie legali; e coll'intrigo, colla corruzione o colla protezione dei deputati, del governo centrale e dei suoi rappresentanti scambiano le parti e riducono alla condizione legale di minoranze, quelle che realmente sono maggioranze. E prontamente si farebbe opera di pacificazione, (più sincera e più duratura di quella più che consigliata, imposta dai Prefetti e dagli ufficiali dell'esercito tra i partiti opposti all'indomani dei disordini e delle repressioni), collo scioglimento di molti Consigli comunali e colle elezioni senza ingerenza indebita di chicchessia.

Ciò che si è fatto non ispira fiducia, poichè dalla narrazione precedente, e specialmente dai capitoli sui Tribunali militari e sull'Opera civile del generale Morra si apprese che furono abbandonate le primitive buone intenzioni in ordine alla ricostituzione delle amministrazioni comunali sulle basi della giustizia, della legalità e della preponderanza delle maggioranze reali; lasciando perdurare, anzi consolidando il prepotere di quelle consorterie - in fondo apolitiche - che si mostrano più ligie al governo ed ai suoi rappresentanti locali.

In un ordine più generale bisognerebbe provvedere affinchè venisse assicurata la onesta compilazione delle liste elettorali: come sarebbe savio provvedimento determinare la misura delle spese obbligatorie - eliminandone alcune; impedire la partigianeria nella distribuzione delle imposte; riformare il sistema dei tributi locali, modificare la tassa di minuta vendita, alla quale nei comuni aperti sfuggono gli agiati colle compere all'ingrosso, abolire il dazio sulle farine, la tassa sulle bestie da trasporto e da lavoro, mantenendo quella sui bovini, abolire le quote minime del focatico e stabilire un maggior numero di categorie che rendano possibile la più equa graduazione dell'imposta stessa, che in è delle più democratiche, ordinare che non si possano sorpassare certi limiti nei dazî di consumo se non quando siano raggiunti gli estremi limiti nelle imposte dirette, invertendo il sistema vigente; distruggere, infine, come dice l'anonimo del Giornale degli economisti, «il vizio fondamentale del sistema finanziario locale che si riassume nel fare pagare prevalentemente le imposte ai meno abbienti e nel farle usufruire per servizi pubblici prevalentemente ai maggiori abbienti.» (Febbrajo 1894)175.

Nel precedente capitolo si disse a che cosa è servita sinora e serve la nuova legge elettorale: è sicuro, che si avrà un enorme peggioramento nella compilazione delle liste elettorali, nelle quali finiranno col trovar posto solamente coloro, che preventivamente avranno ipotecato il loro voto.

L'organismo amministrativo si dovrebbe completare col referendum - accessibilissimo alle intelligenze meno sviluppate, perchè si esercita sopra quistioni chiare e concrete - parziale o totale; - e colla elezione diretta del sindaco e degli assessori - sistema dei selectmens, - tenendo conto sempre delle diversità di cultura, di educazione e di tradizioni, che rendono dannosa qualunque legge unitaria che debba aver vigore in Lombardia e in Sicilia, in Piemonte e in Basilicata176.

E di questa varietà di ordinamenti (perfettamente consona a quella politica sperimentale, di cui ci ha dato tanti esempi convincenti il Donnat, nel libro che porta detto titolo, e a quella analoga politica quantitativa descritta da uno dei più sapienti positivisti che seguirono il Littrè - il Wirouboff) non c'è da allarmarsi come di uno sbocconcellamento della patria italiana, se lo stesso on. Crispi, il più fanatico unitario d'Italia, sin dal 1878 riconobbe «che le isole hanno diritto a norme speciali di governo, ad una speciale amministrazione177» come ricordò di recente l'on. Comandini (Corriere della sera n. 50, 1894)178.

È corsa con insistenza la voce, che l'on. Crispi voglia realmente venire ad un ordinamento speciale per la Sicilia; ma tutto quanto sinora si è fatto non autorizza a sperare che la riforma sia inspirata a sensi democratici; se a qualche cosa che somigliasse alla regione egli verrà, di sicuro tutto si ridurrà ad una diminuizione nel numero delle provincie e delle intendenze e ad un concentramento di poteri nel Prefetto di Palermo; avremmo al più un decentramento more imperiale, di cui la parte popolare non avrebbe da rallegrarsi.

Più difficili, ma di maggiore importanza rispetto ai lavoratori delle campagne e delle miniere, sono le riforme di ordine economico-sociale.

Alcune si può essere sicuri che verranno adottate tra breve - e fu già presentato qualche disegno di legge per tutta Italia, ma che ha particolare importanza per la Sicilia, dal passato ministero - ; così quella sul truck-sistem nelle miniere di zolfo, che bisognerebbe completare con una legge contro l'usura, che rovina i contadini; quella sull'obbligo dei frequenti pagamenti agli operai e sulla insequestrabilità degli stipendi; sulla così detta cassa piccola da doversi imporre in tutte le miniere di zolfo; sui probi-viri nell'agricoltura; sulle cooperative di consumo e di lavoro, alle quali si dovrebbero concedere diritti reali e mezzi adatti per farli riconoscere dalle amministrazioni locali e dal governo, ecc. ecc.

Maggiori ostacoli si incontrerebbero per diffondere e regolare equamente il credito, sottraendolo agli usurai e alle influenze politiche, e per organizzare efficacemente il credito fondiario ed agrario, dopo che fu votata e sanzionata la infausta legge bancaria del 10 agosto 1893; ma è materia di cui c'è da occuparsi, perchè molte altre riforme economiche sono intimamente connesse alle facilitazioni che possono venire dal credito equamente distribuito e ad interessi miti, che possano essere sopportati dall'agricoltura.

Le difficoltà divengono veramente gravi, quando si arriva alle proposte per migliorare i rapporti tra contadini e proprietari mercè la riforma in via legislativa dei contratti agrari e promovendo lo spezzamento del latifondo. Qui non c'è solamente l'aspro conflitto tra due scuole economiche diverse, che battagliano nel campo teorico; ma c'è il conflitto tra gl'interessi contrarî colla prevalenza di quelli dei proprietari e del capitalismo, che soli sinora comandano nei comuni, nelle Provincie, nei Comizî agrarî, nelle camere di Commercio, nel Parlamento.

Qualche provvedimento che riesca indirettamente a tale miglioramento nei contratti agrarî non è difficile che prevalga, perchè contemporaneamente se ne avvantaggerebbero le classi dirigenti, che nell'attuale conflitto tengono, come suol dirsi, il coltello per il manico: tale sarebbe ad esempio la proposta sesta del Comitato promotore dei grandi proprietarî di Sicilia: - esenzione per legge dalle tasse di focatico, sul bestiame, bestie da tiro e da soma e ricchezza mobile per quei contadini che prendano stabile dimora nelle campagne - mentre mi sembra più difficile che possa passare la proposta settima colla quale si dimanda la riduzione del 50 % della imposta fondiaria sui latifondi nei quali verrebbero costruite case coloniche e adottati quei metodi di coltura razionale che sarebbero, caso per caso, stabiliti da apposite commissioni tecniche, nominate dal ministro di Agricoltura e Commercio.

E nello interesse dei grandi proprietari, - ma che indirettamente potrebbe giovare ai contadini, perchè indurrebbe più facilmente i primi alle enfiteusi - i senatori siciliani, con alla testa il principe di Camporeale, fecero votare dal Senato la istituzione di una Banca che si occupasse del riscatto dei censi a richiesta del proprietario, a somiglianza di ciò che già si pratica altrove.

Cessata la cieca venerazione per la proprietà privata col suo quiritario jus utendi abutendique, per il legislatore in Sicilia non riuscirebbe difficile il compito di creare una numerosa falange di piccoli proprietarî e poco più disagevole riuscirebbe l'altro della riforma dei contratti agrari.

Gli esempi che ci somministra la legislazione straniera sono incoraggianti, come osserva il Cavalieri: Le Homestead Laws negli Stati Uniti, le leggi per l'Irlanda del 1881, altre leggi per la stessa Irlanda, per la Scozia e per l'Inghilterra - Small holdings Act, Allotments Act, ecc., ecc. - le colonizzazioni interne, le modificazioni alle leggi sull'enfiteusi in Germania, la quotizzazione dei terreni sabbiosi resistenti alla filossera in Ungheria e le più recenti proposte di leggi dell'Austria sulla cooperazione agraria e sulla redenzione dei debiti ipotecarî cogli opportuni temperamenti suggeriti dalle condizioni e dalle tradizioni locali, potrebbero riuscire di grande efficacia in Sicilia per migliorare la condizione dei contadini e i rapporti tra proprietari e lavoratori.

Da tempo, e prima che gli ultimi avvenimenti richiamassero sull'isola l'attenzione generale, proposte inspirate ai criteri informanti la legislazione straniera succennata, nel 1883 - più di un decennio fa! - erano state avanzate dal Baer: il quale, sebbene schietto conservatore, arrivava sino alla espropriazione dei latifondi privati per distribuirli a piccoli lotti ai contadini.

Gli esempî stranieri e i consigli non sospetti condurranno a risultati pratici?

Non mi abbandono ad un alcun preconcetto pessimista nella previsione dei medesimi, ed espongo puramente e semplicemente i dati di fatto, che possano aiutare il lettore a formarsi da stesso un esatto concetto.

In quanto alla riforma dei contratti agrarî c'è poco da sperare dal Parlamento. Figuriamoci che si considerò come troppo ardito, quasi rivoluzionario, il progetto sulla mezzadria dell'on. Sonnino! E la sorte che correrebbe qualunque altro disegno meno anodino si può indovinarla dalle discussioni e dalle risoluzioni della Commissione nominata dal ministro di Agricoltura e Commercio e da quello di Grazia e Giustizia per istudiare precisamente la riforma di detti contratti agrarî.

La maggior parte dei deputati e dei senatori, che ne facevano parte - tra i quali l'on. Fortis, che a tempo perso si proclama socialista di Stato - si mostrarono decisamente avversi ad accettare quella corrente nuova (che fa capo a Menger in Austria, che in Italia è rappresentata degnamente da Gianturco, Nitti, Salvioli, Cogliolo, ecc.) la quale mira ad innestare il contenuto socialista nel Codice Civile, modificando il concetto quiritario della proprietà e facendo posto adeguato alle ragioni del lavoro.

L'opposizione alle chieste modifiche dei contratti agrarî da parte degli elementi conservatori di detta Commissione, sebbene truccati alcuni da democratici in aperto conflitto coll'elemento universitario (Nitti, Cogliolo, Salvioli) quantunque disinteressata nella apparenza, perchè mossa da elementi non siciliani, pure tale non era: essi avvedutamente han dovuto pensare che ciò che adesso si concederebbe alla Sicilia, sotto la pressione della rivolta, più tardi si dovrebbe accordare al resto d'Italia dove sussistono condizioni analoghe. L'esempio di ciò che è avvenuto nella Gran Brettagna li ammaestrava: le concessioni e le riforme agrarie della Irlanda non tardarono a varcare il canale di San Giorgio, per essere proposte a vantaggio dei lavoratori d'Inghilterra e di Scozia.

In quanto allo spezzamento del latifondo, e alla creazione dei piccoli proprietari, memore più che degli esempi stranieri dei consigli dei conservatori illuminati e preveggenti, (Baer, Cavalieri, Monsignor Carini ecc., ecc.) in seno della Commissione eletta dai deputati siciliani per istudiare le opportune proposte per la loro regione, osai proporre il censimento obbligatorio dei latifondi di una certa estensione; ma rimasi solo: gli on. Di Rudinì, Di San Giuliano, Sciacca della Scala, Reale e Filì-Astolfone si dichiararono avversi alla proposta mia. L'on. Damiani l'accolse con simpatia; ma funzionando da presidente non credette pronunziarsi in proposito179.

Il Luglio 1894 l'on. Crispi presentò alla Camera dei Deputati il disegno di legge intorno alla enfiteusi dei beni degli enti morali e ai miglioramenti dei latifondi dei privati nelle provincie Siciliane, e il cuore dei partigiani delle sane riforme si riaprì alla speranza e le previsioni dei pessimisti e degli increduli parve che ricevessero una solenne smentita.

Con quel disegno di legge non solo s'imponeva la enfiteusi dei beni degli enti morali, ma si costringevano ai miglioramenti agrarî colla mezzadria i latifondisti che non ottemperando a tali disposizioni dovevano vedere sottoposti all'enfiteusi obbligatoria i loro fondi.

Non occorre scendere a dettagliata disamina delle proposte del Presidente del Consiglio dei ministri, perchè esse colla chiusura della180 Sessione parlamentare, legislativamente sono già morte e sepolte, sebbene suscettibili di resurrezione; basta qui e adesso giudicarne il principio, che lo informa.

Negli uffici il disegno di legge agraria venne combattuto fieramente alla quasi unanimità dai deputati siciliani, - e si vede da ciò ch'erano fedelmente rappresentati in quella Commissione privata di cui mi occupai precedentemente - e venne combattuto perchè ritenuto violento e rivoluzionario181. I socialisti invece - e in nome loro autorevolmente ha scritto il professore Salvioli nella Riforma Sociale (N. del 10 agosto 1884) - non lo trovarono di loro gradimento, «perchè in sostanza è conservatore, tendendo a diffondere quella proprietà fondiaria coltivatrice, pegli stessi lavoratori del suolo, la quale secondo la relazione che la procede è per lo Stato e per le civili istituzioni una più sicura garenzia di ordine e di stabilità

Io non esito a dichiarare che il principio del disegno di legge agraria Crispi era equo ed opportuno, era rispondente alle condizioni del momento, e sebbene combattuto ad un tempo dai socialisti e dai latifondisti - senza distinzione di colore politico - sarebbe riuscito bene accetto e giovevole ai contadini ed ai proletari. ciò dicendo credo derogare alle teorie socialiste, che da anni sostengo, come in altro luogo e in altra occasione cercherò di dimostrare182.

Se della legge agraria cennata accetto il principio informatore, non approvo però i particolari, molto meno posso dichiararmi soddisfatto dei mezzi proposti per creare la piccola proprietà rurale e promovere i miglioramenti agrarî.

Inoltre non sono favorevole alla quotizzazione dei demanî comunali, e credo che sarebbe più utile e conveniente costituirli in proprietà collettiva o almeno farli servire ad esperimenti di cooperazione agraria.

Il nome e la cosa in fatto di proprietà collettiva oggi non dovrebbero più spaventare, dopo che un progetto di legge che mira a conseguire tale risultato venne presentato da deputati conservatori e timidamente liberali per i dominî dell'ex stato pontificio; progetto al quale promise il suo appoggio il ministro Boselli183. E queste proprietà collettive potrebbero e dovrebbero allargarsi, costituendo un vero campo di sperimentazione economico-sociale coll'adottare le misure proposte poco tempo fa dall'egregio avv. P. Di Fratta, segretario al Ministero di Grazia e Giustizia - nell'opuscolo sulla Socializzazione della terra.

La cennata discussione della Regia Commissione sui contratti agrari e l'accoglienza fatta negli Uffici al disegno di legge Crispi lasciano poche illusioni sulla sorte dello stesso progetto qualora venisse ripresentato nella futura sessione: per farlo accettare dal Parlamento occorrerebbe una forte, direi quasi, minacciosa pressione della pubblica opinione e un ministero energico che sapesse rendersene interprete. E in tanto abuso di decreti reali, chi potrebbe protestare se ancora una violazione delle buone norme costituzionali si avesse a fin di bene per attuare qualche importante riforma economico-sociale? A cosa fatta - l'esperimento è stato ripetuto, - la Camera non ardirebbe negare la sua approvazione: tanta energia nessuno gliela suppone e potrebbe attingerla soltanto nel più sfrenato egoismo.

Ma dato che si arrivi comunque allo spezzamento del latifondo e alla costituzione di numerosi piccoli proprietarî rurali, cura somma dello statista dovrebbe essere quella di saper conservare; poichè si sa che i piccoli proprietarî sorti dal censimento dei beni dell'asse ecclesiastico e dalla quotizzazione di alcuni demanî comunali sono nella massima parte scomparsi: i loro campicelli furono inghiottiti dall'antico latifondo limitrofo o servirono a costituire qualcuno nuovo.

Nelle legislazioni straniere c'è la preoccupazione di conseguire tale supremo intento ed oltre le Homestead laws degli Stati Uniti è noto «che lo Schäffle, che voleva davvero le piccole proprietà, non si è peritato di suggerire la proibizione di accendere ipoteche per la legittima ogni volta che dovevano colpire un già modesto fondo; in Prussia e in Austria si è giunti a costituire degli Höferolle, che rappresentano una specie di catasto speciale della piccola proprietà ai fini della sua conservazione; e nel Mecklemburgo si è provveduto non solo alla irredimibilità dei beni enfiteutici, ma anche alla loro trasmissione indivisibile». (Cavalieri, p. 60).

Questo bisogno di provvedimenti urgenti ed efficaci per la conservazione della piccola e media proprietà è più impellente per le provincie del mezzogiorno, e specialmente per la Sicilia e per la Sardegna come risulta con straziante eloquenza dalle cifre.

Su 100,000 abitanti nelle vendite giudiziarie nell'anno 1885 l'Italia settentrionale è rappresentata con 7,16, l'Italia centrale con 16,43, il Napoletano con 49,34, la Sicilia con 61,57, la Sardegna con 742,89.

Nel 1886, nel 1887, nel 1888, troviamo gli stessi rapporti e nel 1889 c'incontriamo con questi dati: l'Italia Settentrionale 8,21, l'Italia centrale 17,46, il Napoletano 77, la Sicilia 170,77, la Sardegna 1380,41!

E non siamo ancora negli anni ultimi, nei quali la crisi economica è terribilmente aumentata......

Ancora delle cifre! Per ogni cento vendite di mobili e di frutti pendenti, in quelle di valore non superiore a trenta lire l'Italia settentrionale è rappresentata da 7,69% l'Italia centrale da 6,57 il Napoletano da 33,53, la Sicilia da 26,41, la Sardegna da 29,28: in quelle non superiori a cinquanta lire, l'Italia settentrionale è rappresentata da 8,12% la Centrale da 8,60, il Napoletano da 12,76, la Sicilia da 17 e la Sardegna da 26,69. Nelle vendite per espropriazione forzata in quelle non superiori a 500 lire l'Italia settentrionale da 5,80, la centrale 7,27, il Napoletano 7,19, la Sicilia 9,45, la Sardegna 14,62; in quelle superiori a tale somma e non oltre mille lire l'Italia settentrionale 8,31 l'Italia centrale 7,80, il Napoletano 11,23, la Sicilia 16,60, la Sardegna 16,04.

Non avevo dunque ragione nell'affermare che da tali cifre risulta colla massima evidenza l'impellente dovere di provvedere alla difesa della piccola e media proprietà in Sicilia e in Sardegna; ed esse stesse non provano ancora una volta luminosamente che le condizioni economiche dell'isola sono generalmente più tristi di quelle del resto d'Italia, eccettuata la povera Sardegna184?

Quando poi si considera che l'avidità del fisco italiano è la grande e generale causa della espropriazione e della graduale scomparsa della piccola e media proprietà si deve riconoscere che gli sforzi legislativi per creare l'una e l'altra sono un perditempo, anzi una crudele ironia e che è perfettamente inutile pensare a fare colla mano destra ciò che la sinistra deve affrettarsi a distrurre. E chiunque ha fior di senno e non si lascia mistificare dalle apparenze e dalle parole, dopo avere esaminato i provvedimenti ch'erano contenuti nella legge agraria dell'onorevole Crispi, meschinamente inspirati al concetto dell'Homestead, per ovviare al riassorbimento nel latifondo della piccola proprietà, dovrà coscienziosamente riconoscere che essi non corrispondono affatto allo scopo. Meglio si riuscirebbe con una politica generale casalinga ed economica.

Accanto alla questione agraria in Sicilia ce n'è una mineraria ancora più acuta. Nulla per essa, proprio nulla, ha fatto mai il governo italiano, che in questo di tanto si mostra inferiore al governo borbonico. E quanto ci sarebbe da fare risulta dai due progetti d'iniziativa parlamentare presentati l'uno dall'on. Ippolito De Luca e l'altro da me, nonchè dalle proposte della Sotto commissione dei Deputati Siciliani (Di Rudinì, Di San Giuliano, Colajanni). È da notarsi, per aggravare la enorme responsabilità del governo nella quistione mineraria, che la Sicilia non chiede alcun sacrifizio pecuniario al resto dell'Italia, a tutti i contribuenti; essa non chiede se non ciò che le spetta di pieno diritto; essa chiede che venga consacrato all'industria zolfifera ciò che questa allo Stato e che lo Stato indebitamente prende, cioè il prodotto del dazio di esportazione sugli zolfi. Dico che lo Stato lo prende indebitamente perchè dopo l'abolizione del dazio di esportazione sulla seta, chiesto ed ottenuto dai lombardi, quello sugli zolfi è il solo dazio di esportazione che resta in Italia e che pesa esclusivamente sulla Sicilia anzi su tre provincie soltanto dell'Isola. La parità di trattamento s'imponeva tanto, che l'abolizione di detto dazio chiesta dall'on. Pantano e da me nella Camera dei Deputati nel 1891, venne promessa dal ministro delle Finanze on. Luzzatti e la promessa fu riconfermata dall'on. Di Rudinì nel discorso di Milano. Le promesse!

Ora l'industria non chiede l'abolizione di quel dazio di uscita; ma domanda, ed ha diritto di ottenere, che se ne impieghi il prodotto a proprio vantaggio, lasciando anche un largo margine di profitto all'erario dello Stato ed altro maggiore creandogliene col risollevamento economico di una numerosissima classe di lavoratori, di speculatori, o di proprietari. Sarà ascoltata?....

Una circolare riservata dell'on. Boselli altra volta lasciava sperare che ad un lato della questione mineraria - quello della proprietà del sotto suolo e del sistema degli affitti angarici ed a breve durata - si cominciava a pensare nelle sfere ministeriali. Ma l'on. Boselli è passato alle finanze e il suo successore, on. Barazzuoli, propugnatore dell'anacronistico liberismo economico non alcun affidamento, che qualche cosa di bene si voglia fare. Egli anzi ha cominciato dal ritirare il disegno di legge sui consorzî obbligatorî, sulla brucia ecc. presentato prima dall'on. Lacava, e mantenuto dal Boselli e che pur riuscirebbe tanto utile all'industria!

E mentre il governo si mostra così incurante o così ligio a vieti principî economici - a meno che non si tratti di violarli nello interesse delle finanze - l'ingiustificabile rinvilimento nel prezzo degli zolfi continua vertiginosamente, gli scioperi forzati si succedono con allarmante frequenza, la miseria dei zolfatarî ha raggiunto proporzioni spaventevoli e non ostante lo Stato di assedio avvengono terribili attentati e delitti minerari che fanno ricordare i delitti agrari dell'Irlanda e della stessa Sicilia185.

Le misure economiche-sociali dianzi cennate risolverebbero in parte la quistione Siciliana; ma la soluzione dovrebbe essere completata da provvedimenti di altra indole.

L'analfabetismo è una delle piaghe dell'isola, che va amorevolmente studiata e curata.

I vantaggi generali che si avrebbero da una buona istruzione impartita alle classi lavoratrici sono evidenti. Vero è che l'istruzione è un prezioso coefficiente per la propaganda socialista, anche quando riesca a creare un grande numero di spostati, come ha dimostrato il Bebel; ma non si dovrebbe ignorare che anche colla più crassa ignoranza non si sono evitate le ribellioni e i tentativi di rivendicazioni sociali; dalle guerre servili alle Jacqueries; dai moti di Ben Tillet in Inghilterra e dell'anabattismo in Germania e in Isvizzera, ai tumulti dei contadini del Napoletano nel secolo scorso e della Sicilia dal 1860 al 1894. Si rileva che l'analfabetismo non è rimedio efficace per impedire le esplosioni determinate dalle sofferenze dei lavoratori. Dalla storia invece si apprende che dovunque186 gli operai e i contadini hanno acquistato una certa coltura, ivi la lotta si è fatta pacifica, evolutiva, con manifesto vantaggio delle classi dirigenti.

Vero è che l'istruzione obbligatoria com'è attualmente organizzata, non risultati corrispondenti alla spesa che costa ai comuni; ma questo non autorizza a prendere occasione dall'insuccesso delle leggi attuali per domandarne l'abolizione o indicarla come spesa facoltativa ai comuni, come con mia sorpresa ha proposto un egregio scrittore.

Meglio sarebbe invocarne la riforma e comprenderla tra gli obblighi dello Stato assai più utilmente e più equamente che non si faccia col lasciargli l'insegnamento secondario ed universitario, ch'è un bisogno meno universale della istruzione elementare.

Ma purtroppo le classi dirigenti o il governo non apprezzano in Sicilia i vantaggi della istruzione, non ne vedono che i pericoli. Ivi appena si affacciò sull'orizzonte la reazione trionfante fu dichiarata guerra a morte all'istruzione. L'odio che alcuni lords in Inghilterra manifestarono contro la istruzione e di cui parla Marx, si è ripresentato nell'isola, dove dapertutto quasi venne invocata la chiusura delle scuole serali istituite saviamente dai Fasci. Nella Sala Ragona non solo si protestò contro l'insegnamento universitario, che ha tendenze socialiste; non solo s'invocò che nelle scuole s'imponesse il catechismo ma quando un oratore parlò degli aggravi che l'istruzione obbligatoria impone ai Comuni si gridò con entusiasmo! abolitela! abolitela! E quel ch'è peggio i rappresentanti del governo si mostrano dello stesso avviso dei reazionarî grandi proprietarii della Sala Ragona.

Tali riforme e tali provvedimenti dovrebbero essere coronati da un ultimo d'indole politica, che pur troppo incontra la più viva opposizione e nel governo e nelle classi dirigenti che spadroneggiano in parlamento e fuori: la ricostituzione dei Fasci dei lavoratori.

Se si tenesse conto delle savie considerazioni svolte dall'on. Di San Giuliano nel suo libro sulla opportunità di conservare i Fasci (p. 23 e 120) si converrebbe anche adesso da conservatori intelligenti che alla causa dell'ordine vero gioverebbe la ricostituzione di quei sodalizî, che rappresenterebbero tante valvole di sicurezza, tanti organi per la esplicazione legale dei bisogni e delle tendenze delle classi lavoratrici. Il Brentano ritenne che le Trade Unions - delle cui vicende si fece menzione - in Inghilterra furono un vero elemento di ordine e di conservazione sociale, e l'Howel ha dimostrato (Le passé187 et l'avenir des Trade Unions) che le grandi associazioni inglesi cessarono di essere causa di perturbamento dopo che vennero lasciate libere di svolgersi ed intraprendere le loro lotte contro il capitalismo pel miglioramento del salario dei loro socî.

Le dichiarazioni dell'on. Sonnino - ministro e non più semplice touriste - sulla iniquità del dazio di consumo e sulla ripartizione dei tributi locali avevano a sufficienza giustificata l'azione, anche tumultuaria, dei Fasci dei lavoratori; chi poi l'ha addirittura glorificata è stato l'on. Crispi colla presentazione del suo disegno di legge agraria. Se lo ha presentato, è segno che lo ritiene giusto e necessario, e se così è tutto il merito della sua iniziativa dev'essere restituito esclusivamente ai Fasci, che la propugnarono, che minacciosamente la chiesero e senza la cui azione non sarebbe venuta come non era venuta per trentaquattro! anni. Se quel disegno verrà ripresentato e trionferà, potrà il governo iniquamente continuare a mantenere in galera i capi e gli organizzatori dei Fasci dei lavoratori, ma esso stesso avrà loro innalzato un altare nel cuore dei contadini che alla loro agitazione e ai loro sacrifizî dovranno la terra tanto desiderata e invano per tanti secoli.

E qui è opportuno ribattere qualche sofisma che le reminiscenze liberiste fanno spuntare anche in bocca di chi dal liberismo si mostra lontano, a dimostrare ancora che ciò che è avvenuto testè in Sicilia non è che un caso di una regola generale.

Il Cavalieri, che ripetutamente ha invocato il savio intervento dello Stato, a certo punto si ricorda di essere conservatore in politica e torna liberista in economia per dare ingiustamente addosso ai Fasci. Egli dopo avere osservato, che da Giorgio III in poi senza bisogno dei socialisti la legislazione inglese promosse molte radicali riforme agrarie esclama: «non c'è bisogno di stringersi in una setta (?), di ordire costanti macchinazioni (?), di ricorrere alla violenza per fare trionfare nuovi canoni di distribuzione della ricchezza, che se son giusti, faranno certo la loro strada da .» (p. 64)

Non avrei rilevata questa strana affermazione - che suona aperta contraddizione in bocca del Cavalieri - se essa non venisse ripetuta - in buona o in mala fede - da molti uomini politici, che vanno per la maggiore e dai loro giornali.

No! non è vero che i nuovi canoni di distribuzione della ricchezza, se giusti, faranno la loro strada da , importa se la parola socialisti e socialismo ai tempi di Giorgio III non esistevano: altri ne rappresentarono l'azione equivalente e le riforme furono la conseguenza delle agitazioni popolari e di una maggiore partecipazione dei lavoratori alla vita politica, come risulta dalla citata polemica tra il Prof. Luzzatti e l'avv. Bissolati, nonchè dal libro del Thorold Rogers sulla interpretazione economica della storia d'Inghilterra.

E le grandi riforme agrarie dell'Irlanda, che tra non guari saranno completate dall'Home rule, non si devono esclusivamente ad un secolo di lotte ed anche di violenze? Che cosa avrebbe ottenuto l'Isola senza gli agitatori, senza i Feniani, senza la Land League e forse anche senza il tremendo delitto188 di Phoenix Park189?

Nulla! La giustizia non avrebbe trovato la strada da ; e se la violenza gliel'aprì spesso, la responsabilità dei suoi possibili danni ricade intera sui governanti e sulle classi dirigenti, che vogliono tenerla sbarrata ad ogni costo e in tutti i modi.

Da tanti anni, per non dire secoli, si conoscono i mali della Sicilia; ma quali i rimedi efficaci sinceramente apportati? Nessuno! Ebbene i contadini di Piana, di Corleone e di cento altri siti unendosi in setta, ricorrendo alla violenza se si vuole, migliorarono salari e patti agrari, mentre l'inchiesta sulla Sicilia del 1875, l'inchiesta agraria, i libri di Caruso, di Sonnino, di Franchetti, di Basile, di Villari, ecc., gli articoli di Baer e di tanti altri non cavarono, da pur troppo! un ragno da un buco.

E che cosa è avvenuto non appena soppressi i Fasci e impedita la loro e proficua agitazione? I miglioramenti ottenuti scompaiono e si torna all'antico colla antica miseria eccessiva dei lavoratori. E ciò che previdi sin dallo scorso gennaio in alcuni articoli e nella prima edizione di questo libro oggi viene riconfermato dall'agitazione che rinacque in Corleone, e altrove, appena tolto lo Stato d'assedio, e ch'è tanto giusta che provoca scoppi di sdegno anche nella più autorevole stampa ufficiosa, che se la prende colla improntitudine, colla slealtà e colla ingordigia dei grandi proprietari e che invece si dovrebbe scagliare contro il governo e contro il suo proconsole cicisbeo, che ai grandi proprietari hanno prestato mano forte e della cui iniquità si sono fatti strumento.

E questa solidarietà di fatto tra governo, proconsole e grandi proprietari è tanto più mostruosa in quanto che tra gli ultimi non si è levata sin ora una voce coscienziosa, autorevole, efficace contro la propria classe e in favore dei contadini, mentre in Irlanda non mancarono landlords, che dettero l'esempio della equità e del disinteresse, come risulta dalla relazione della Commissione presieduta dal duca di Richmond e che preparò la legge agraria del 1881 di cui fu segretario un grande proprietario irlandese, il colonnello King-Harman, che si mostrò tra i più energici e convinti nel propugnare la causa dei lavoratori della terra.

Il vicino passato e gli avvenimenti contemporanei adunque, se c'è sincerità nell'on. Crispi nel promettere il miglioramento dei contadini, dovrebbero indurlo a consentire la ricostituzione dei Fasci, che prima delle sue leggi varrebbero ad infrenare il mal volere dei grandi proprietari.

Ma per quanto ciò non sarebbe altro che il rispetto puro e semplice dei diritti riconosciuti dallo Statuto, nulla fa sperare che verranno rispettate queste leggi nostre, in stesse tanto inferiori in liberalismo alle straniere - come osservò l'Impallomeni - e c'è tutto da temere che si perdurerà nella reazione ignominiosa e pericolosa. Certe abbominevoli liste di proscrizione a me note, le leggi antianarchiche, la loro interpretazione - di cui si ebbe già un saggio nell'applicazione retroattiva pei reati di stampa - le decimazioni tra gli elettori popolari, i numerosi arresti arbitrarî, l'avviso dato dalla questura di Palermo al barone Colnago e ad altri socialisti di astenersi da qualunque agitazione e propaganda, la proibizione dei congressi socialisti di Carpi, di Bozzolo e d'Imola e cento altri sinistri indizî confermano un tale timore.

Ben so che c'è una circolare dell'on. Crispi, che invita le autorità ad interpretare nel senso più largo e meno illiberale le così dette leggi anti-anarchiche; ma ammesso pure che egli l'abbia dettata colle migliori intenzioni del mondo, se conosce uomini e cose del suo paese deve immaginare che le sue raccomandazioni, data la qualità delle nostre autorità di pubblica sicurezza, rimarranno lettera morta.

questo è giudizio avventato suggerito dalla partigianeria politica: venne formulato in termini più severi da un amico del governo, da un alto funzionario dello Stato, da un conservatore infine, qual'è il Senatore Costa nella relazione sulle stesse leggi.

Ed ora prendiamo quanto di ottimismo ci rimane in fondo dell'animo e concediamo che governo e Parlamento concordemente si mettano all'opera per dare alla Sicilia una legislazione riformatrice economico sociale, quale le occorre - e quale, del resto, su per giù occorre al resto d'Italia. - Di fronte ad una siffatta manifestazione di buona intenzione potremo dire che si sono superate le più gravi difficoltà e che si è risoluto il problema? Sarebbe strana illusione il pensarlo.

Le riforme tributarie, intese ad alleviare la sorte dei contribuenti - e che sono le più urgenti - e quelle economico-sociali sopraccennate, presuppongono bilanci dello Stato e dei Comuni in condizioni tali da potere sopportare le prime; capitali a disposizione dello Stato e dei Comuni e dei privati per eseguire le seconde.

È quasi impossibile, dato l'attuale sistema tributario, pensare alla soppressione dei dazi di consumo, che maggiormente pesano sui lavoratori di fronte alla condizione dei bilanci dei Comuni (che nei medesimi spesso trovano la maggiore risorsa) e del bilancio dello Stato che attinge nella stessa sorgente di entrate.

Crescono la difficoltà dopo la votazione dei provvedimenti finanziarî dell'on. Sonnino, che hanno peggiorato le condizioni finanziarie dei Comuni, di già dissestate dalla continua diminuzione190 del prodotto del dazio di consumo a causa delle peggiorate condizioni economiche del paese; e i provvedimenti dell'on. Sonnino riescono esiziali ai Comuni anche per l'insufficiente abbuono ch'essi ricevono dal governo per l'abolizione del dazio governativo sulle farine, per l'avocazione allo Stato dei decimi sulla ricchezza mobile e per avere imposto ai comuni alcune spese, che per lo passato venivano sopportate dallo Stato191.

Ho sottocchio un prospetto redatto dal Comitato permanente dal Congresso dei sindaci nel quale si notano i danni recati dai nuovi provvedimenti a centocinquanta comuni del regno; ma lasciando da parte ciò che riguarda il continente, correggendo e completando i dati del Comitato dei sindaci si avrà un'idea del danno che subiranno i Municipî dell'isola da queste sole cifre: Palermo perderà circa 600 mila lire, 200 mila Catania, 200 mila Messina, 50 mila Caltanissetta.... E il danno è tanto sicuro e grave che il presidente del Consiglio promise di occuparsene. La promessa sarà sincera, ma di dubbia realizzazione; certo è invece il danno che arreca questo ministero restauratore che continua nell'antica e cattiva politica che mira a peggiorare le condizioni dei municipî sottraendo ad essi i cespiti di entrata e addossando loro spese che prima erano dello Stato.

Andiamo avanti.

Per la istruzione, per la sicurezza pubblica, per le strade di campagna, per le case coloniche, per le acque potabili, per gli attrezzi agricoli, per le sementi, per gli animali da lavoro, per le scorte ecc. ecc. occorre denaro, denaro, denaro. Chi lo appronterà? I Comuni, lo Stato, gl'Istituti di credito, i grandi proprietari? Nessuno credo che attualmente sia in condizione di soddisfare tale primario e prepotente bisogno; meno che tutti lo Stato, il cui bilancio è in deficit minaccioso; lo Stato, cui l'on. di San Giuliano formalmente attribuisce tale obbligo; lo Stato, che non si stanca di chiedere sacrifizî ai contribuenti per riempire la botte delle Danaidi, che si chiama bilancio del ministero della guerra; lo Stato che il denaro ha saputo trovare per profonderlo sulle aride sabbie dell'Africa maledetta, lo Stato a cui non mancò il denaro per la pronta repressione dei moti di Sicilia e che forse meno ne avrebbe speso se avesse pensato alla savia e benefica prevenzione sociale!

E quale risultato potrebbe avere qualunque buona legge economico-sociale, di fronte ai mezzi finanziari che mancano per eseguirla, ci lascia indovinare il disegno di legge agraria dell'on. Crispi.

I mezzi assegnati per la sua esecuzione erano deficienti e facevano presentire che la legge agraria, come le precedenti leggi sanitaria e di pubblica sicurezza, nella parte buona e sociale che esse contenevano, sarebbe rimasta una platonica affermazione con niuna o ridicola efficienza reale.

Ma per quanto deficienti i mezzi per l'attuazione della legge agraria dove essa li attingeva? Alla cassa di soccorso per le opere pubbliche in Sicilia, alle opere pie, al quarto dei beni dell'asse ecclesiastico assegnato ai comuni dell'isola.... cioè a tutti quegli enti, che sono stati dissestati dal governo e che avrebbero bisogno di essere rafforzati e che rispondono a bisogni presenti e impellenti, come la cassa di soccorso per le opere pubbliche!

Nelle condizioni del bilancio dello Stato e nelle generali condizioni economiche del resto d'Italia sta la maggiore difficoltà a provvedere efficacemente ai mali della Sicilia. Non bisogna illudersi: se nella maggiore isola del regno si soffre, non si sta molto meglio nelle altre e nel continente; e si può tanto meno riparare alla crisi locale in quanto che realmente la crisi è generale. E nel grido partito dalla Sicilia, che si ripercosse, sebbene debolmente, in Calabria e nelle Puglie, potrebbe ravvisarsi un salutare avvertimento: il segnale dello incendio, scoppiato in un punto ieri, ma che domani potrà divampare in tutto il regno!

Questa considerazione sulla vastità del pericolo affacciatosi da principio al di dello stretto, dovrebbe altresì far apprezzare più esattamente la natura dei movimenti siciliani, nei quali si errerebbe di gran lunga se non si vedesse che la risultanza delle condizioni locali. Queste sono innegabili, ed hanno accelerato la esplosione e le hanno dato una impronta speciale, ma non si dimentichi ciò che i grandi proprietari della Sala Ragona avvertirono sul malessere generale; ma non si dimentichi che se in Sicilia da principio la lotta ha assunto carattere municipale, ciò si deve in gran parte alle condizioni intellettuali del popolo che la abita: i contadini e gli operai dei piccoli centri essendo quasi tutti analfabeti, non leggendo giornali e non sapendo scorgere le cause lontane e indirette delle loro sofferenze, tutte quante le attribuiscono alle amministrazioni locali e contro di esse hanno accumulati i loro risentimenti e contro di esse sfogano la loro ira. Le ingiustizie, talvolta enormi, del sindaco, degli assessori, dei consiglieri, rappresentano le ultime goccie che fanno traboccare il liquido del vaso.

Le vittime di tante ingiustizie si ribellano contro le autorità amministrative, perchè non sanno risalire più in alto per ricercare e trovare gli oppressori.

La forza delle cose adesso, o una maggiore coltura in appresso, li spingerà alla ricerca.

E la ricerca farà loro apprendere che i municipî ricorrono a tasse odiose, angariche, perchè il governo centrale non ne lascia altre a loro disposizione per i bisogni della vita locale, e per soddisfare le numerose esigenze che lo Stato ha loro imposto in nome della civiltà: che il governo centrale assorbe tutte le risorse economiche della nazione, perchè spende e spande pazzamente, e talvolta disonestamente; che della denegata giustizia, degli abusi perpetrati, delle violenze subite è responsabile interamente il governo centrale, che ha lasciato impuniti i colpevoli, conoscendoli tali e che dei colpevoli spesse volte si è fatto complice.

Si prendano pure e subito tutti quei provvedimenti che si credono indispensabili e particolari per la Sicilia; ma non si dimentichi che bisogna anche pensare al resto d'Italia, che soffre assai e che presto o tardi avrà anche esso le sue manifestazioni sanguinose.

Si deve mutare l'indirizzo della politica generale; si deve sopratutto pensare alla questione economica. I casi di Sicilia devono servire di monito severo: essi devono far riflettere che oggi la semplice proposta di nuove imposte è una grave provocazione.

Che sia grave il generale malessere economico che genera alla sua volta quello politico e morale, si rileva da indizi numerosi, molti dei quali sono stati raccolti e sobriamente commentati dall'illustre Comm. Bodio nella sua monografia presentata all'Accademia dei Lincei. (Di alcuni misuratori del movimento economico in Italia. 2. Ed. 1891)192 Infatti da alcuni anni diminuiscono i consumi e aumenta la emigrazione, aumentano o rimangono stazionarie le alte cifre dei reati e rimangano parallele quelle dell'analfabetismo, si chiudono le officine, si moltiplicano i fallimenti, si consumano i risparmi, o rimangono inoperosi nelle casse pubbliche, paurosi di avventurarsi in qualsiasi intrapresa di cui si vede quasi sicuro l'insuccesso, diminuisce a miliardi la ricchezza nazionale, e mentre si pensa ad aumentare pazzamente le imposte, lo stesso ministro del tesoro è costretto a confessare che quelle esistenti renderanno nel corrente anno finanziario circa 30 milioni meno del previsto. Si potrebbero avere più evidenti i segni dello esaurimento della economia pubblica?

Se si vogliono rintracciare le cause di questo esaurimento l'impresa riesce agevole: si sono spesi molti miliardi in armamenti senza riuscire a dare all'Italia un esercito ed una flotta corrispondente ai sacrifizî fatti, come dichiarò l'on. Crispi in uno dei suoi scatti di sincerità; si sono sperperati tanti altri miliardi, in soverchi lavori pubblici ed autorizzando i più gravi sospetti di corruzione, per non dire di furti ingenti, come risulta dai discorsi e dalla relazione sui lavori pubblici pel bilancio 1894-95 dell'onorevole Brunicardi, da una relazione dell'on. Carmine, da una interrogazione dell'on. De Bernardis e dagli stessi discorsi dell'on. Saracco ministro dei lavori pubblici; si può infine garentire in generale che il tenore di vita dello Stato, delle Province, dei Comuni, dei privati adottato e sviluppato dal 1860 in qua non è stato e non è menomamente proporzionato allo incremento della ricchezza; d'onde un disquilibrio nel bilancio della nazione e dello stato tra le entrate e le spese; e gli sforzi persistenti, direi quasi feroci del secondo per provvedere a premendo con tutta la sua forza sulla seconda ed assorbendone rapacemente tutte le risorse sino alla usurpazione del necessario.

I confronti statistici tra le nostre condizioni economiche e quelle degli altri Stati ci dicono perchè da noi il risentimento e il malumore sono più vivi che altrove e più vicino, anzi imminente, sembri uno scoppio, e i confronti statistici tra i bilanci europei ci somministrano del pari la ragione per cui risentimento e malumore in Italia a preferenza si acuiscono contro il governo, anzichè indurre come in altri paesi alla rassegnazione, considerando le sofferenze come circostanze fatali di cui non si potrebbe facilmente assegnare la responsabilità a chicchessia193.

Le conseguenze di siffatte premesse sono chiare, inesorabili: bisogna mutare l'indirizzo nella cosa pubblica non solo rispetto alla Sicilia, ma relativamente all'Italia tutta, bisogna mutare la politica doganale, la politica tributaria, la politica africana, la politica militare, e la politica estera, che su tutte le altre preme e sopratutto si percote sulla politica interna. La necessità di mutare s'impone, perchè come dice l'on. E. Giampetro: «oramai il dilemma sembra messo nettamente: o un governo avrà il coraggio di trasformare radicalmente tutto ciò che sinora si è fatto, o il paese farà da una completa demolizione di tutto ciò che in politica esiste.» (L'Italia al bivio, Roma 1894)

I segni precursori di questa demolizione che principia non mancano e presentano una grande analogia con quelli che nel secolo scorso precedettero lo scoppio tremendo della rivoluzione francese.

Si legga l'Ancièn règime di Tocqueville e di Taine e si vedrà che in Francia prima del 1789 come in Napoli, nelle Puglie, in Sicilia nel 1893 e nel 1894 si sente che c'è un popolo in rivoluzione latente, che aspetta l'occasione per irrompere; che questo popolo manca ancora di organizzazione e di capi, non avendo più fiducia in quelli che hanno l'autorità legale. Anche allora si gridava: «Pane, non tasse non cannoni!» ch'è il grido del bisogno, dice Taine, e il bisogno esasperato irrompe e va avanti come un animale inferocito. E i magazzini scassinati, i convogli di cereali arrestati, i mercati saccheggiati. - E si grida: abbasso l'ufficio del dazio! E le barriere sono infrante, gl'impiegati vinti e scacciati.... E si danno al fuoco i registri delle imposte, i libri dei conti, gli archivi dei comuni... e si fa tutto al grido di Viva il Re194 La scena descritta dal Taine per Bignolles e per altri siti non sembra la fotografia di ciò che è avvenuto a Valguarnera, a Partinico, a Monreale, a Castelvetrano, a Ruvo, a Corato? Eppure i contadini di Sicilia e di Puglia non sanno e non conoscono cosa sia la rivoluzione francese, i cui preludi imitano e ripetono.

Non basta ancora; l'analogia continua più grande che mai sulle cause che accelerano la catastrofe in Francia e che potranno accelerarla adesso in Italia. Si disse dei gravissimi imbarazzi in cui si dibatte il nostro paese e Gomel ha messo stupendamente in evidenza le cause finanziarie della rivoluzione Francese.

Qualche piccola inversione nell'ordine degli avvenimenti vi potrebbe essere; quando Joly de Fleury si decise all'aumento delle imposte i Parlamenti di Francia protestarono e invocarono la riunione degli Stati Generali. Noi non abbiamo assemblee che per la storia si rassomiglino ai Parlamenti francesi, ma abbiamo una Camera dei Deputati, che dovrebbe equivalere agli Stati Generali, che sotto l'incubo dello scioglimento ha approvato le imposte proposte dall'on. Sonnino, e che potrà essere disciolta se non farà quell'ultimo sforzo che si chiama ultimo per ischerzo, ma ch'è sempre seguito dalla domanda di un altro.

Chi può garentire che in Italia non si cominci da uno scioglimento mentre in Francia si cominciò da una convocazione? E qualche altra differenza ci sarebbe ancora nei protagonisti del prologo. L'Italia da alcuni anni ha visti i Maurepas, i Vergennes, i Calonne, i Brienne, i Joly195 de Fleury ed anche i D'Ormesson; l'Italia potrà anche trovare il suo Necker; ma in tanta decadenza indarno cerca un Turgot! Dov'è il ministro che dica coraggiosamente al Re ch'è impossibile ogni ulteriore accrescimento delle imposte; che prestiti non se ne possono fare più; che la salvezza è nelle economie e nelle riforme?

E tutto ciò disse Turgot al buon Luigi XVI; ma non fu ascoltato!

Lo sarebbe adesso in Italia?

Nessuno può dirlo; ma tutti devono riconoscere che gli avvenimenti incalzano e che la scintilla partita dalla Sicilia, che nell'arte, nella coltura, nella organizzazione sociale, in tutto, si trova - come direbbe Giuseppe Ferrari - in ritardo di fronte alle fasi di sviluppo percorse dalla Francia e da altre regioni dell'alta Italia, che sentirono l'alito della rivoluzione francese; quella scintilla, ove non si provveda in tempo, potrà, varcando lo stretto, far divampare l'incendio nel resto d'Italia.

Comunque, se insipienza di uomini di governo o fatalità di cose vorranno che gli avvenimenti non abbiano quel corso pacifico ed evolutivo, che dev'essere vagheggiato da quanti conoscono i danni e gli orrori delle cruente rivoluzioni, io faccio voti ardenti pel bene del mio paese che il grido: «morti a li cappedda» non possa acquistare quella triste celebrità che al di delle Alpi acquistò il grido: «les aristocrates à la lanterne

 

 

FINE

 

 

 





173  Nell'originale "violenti". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



174  Una lunga serie di riforme di ogni specie enumerò l'onorevole Marchese di San Giuliano e quasi tutte sono accettabili da chi pur essendo socialista convinto, non crede di potere arrivar in un fiat alla trasformazione totale dell'attuale ordinamento politico ed economico. Vedremo più innanzi se le proposte furono fatte sul serio.



175  Qualche cosa è giusto si dica è stata fatta colla legge del 23 luglio 1894.



176  Delle riforme amministrative più opportune e più urgenti mi occupai dal 1882 nel libro: Le istituzioni municipali - presso Remo Sandron, Palermo L. 3.



177  Nell'originale "ammistrazione". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



178  L'anonimo citato del Giornale degli economisti, ch'è piuttosto conservatore anzichè radicale non solo afferma vigorosamente la necessità di ordinamenti diversi nelle diverse regioni d'Italia, ma arriva a formulare la proposta della libertà doganale da sperimentarsi limitatamente alla Sicilia, e alla Sardegna, perchè crede che la forma insulare di quelle due regioni si presti alla prova. E ciò tanto più in quanto che la Sicilia e la Sardegna sono state tra le più danneggiate regioni del regno colle tariffe doganali generali del 1887 - contro le quali mi onoro aver fatto il mio primo discorso alla Camera dei deputati, nel Gennaio 1891.



179  Ho fatto i nomi dei membri della Commissione perché si vegga come e quanto in Italia, tra i deputati, fatti e parole concordino. Invero per quanto lo avessi temuto e preveduto rimasi oltremodo addolorato dal contegno dell'onorevole Di San Giuliano, che dimenticando tutte le belle cose scritte nel citato libro sulle Condizioni della Sicilia, si schierò della parte dei latifondisti, che volevano la conservazione dello Statu quo e che confidavano ancora nella libera iniziativa dei medesimi latifondisti!



180  Nell'originale "delle". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



181  Tra i pochi che si mostrarono favorevoli al principio del disegno di legge dell'on. Crispi sento il dovere di ricordare l'on. Nasi.



182  La somiglianza tra le idee sostenute da me in seno alle Commissioni dei Deputati Siciliani col principio cardinale della legge Crispi fece credere ad alcuni, che io fossi stato l'autore principale di quest'ultima, come venne telegrafato a qualche giornale di Sicilia. Ciò che non è affatto vero.



183  Il progetto sull'ordinamento dei dominî collettivi nelle provincie dell'ex-Stato pontificio venne presentato nella seduta del 20 febbraio 1893 e porta le firme degli on. Tittoni, Zucconi, Garibaldi, Pugliese, Fani, Zappi, Colajanni Napoleone, Suardi Gianforte, Gamba, Comandini, Rava, Tasca Lanza, Torlonia e Sacchetti. Fu svolto e preso in considerazione nella seduta del 7 febbraio 1894. L'on Tittoni fu eletto relatore della Commissione ed ha presentato testè alla Camera dei deputati una pregevolissima Relazione sul disegno di legge, inteso a disciplinare l'esercizio dei dominii collettivi nelle provincie ex pontificie e nell'Emilia. Se nel lungo dibattito ch'ebbe luogo alla Camera, nel 1888, circa l'abolizione delle servitù prediali in quelle provincie, Governo e Commissione avessero accettato l'emendamento all'art. 9 proposto e vivamente sostenuto dall'on. Pantano - con cui nella maggioranza dei casi si conferiva agli utenti la preferenza dello svincolo, e si chiedeva per lo meno venisse loro riconosciuto, come si riconosceva in senso inverso ai proprietarii, il diritto di pagare un canone e godersi il fondo in natura tutte volte che l'interesse e i diritti degli utenti fossero in prevalenza su quelli dei proprietarii - ; noi avremmo avuto oggi in quelle provincie una congerie di dominii collettivi ben più vasta e ricca di quella, già per importante, illustrata dall'on. Tittoni. Anche l'on. Andrea Costa appoggiò quell'emendamento e prese parte a tutta la discussione, come vi presero parte, con decisa simpatia pei diritti degli utenti e per l'utilità dei dominii collettivi, parecchi altri egregi oratori politicamente più che temperati. La commissione dei deputati siciliani si chiarì favorevole agli sperimenti di proprietà collettiva e di cooperazione nei demanî comunali.



184  Tolgo queste cifre dall'opera citata dell'Alimena (I limiti e i modificatori dell'imputabilità p. 321 e 322); il quale, a rincalzare sempre più l'influenza del fattore economico sulla delinquenza, ha messo pure in rapporto le liti coi delitti. Procedono parallelamente le une e gli altri in Sicilia e in Sardegna: perciò il chiarissimo scrittore cosentino al Ferri, che aveva affermato non esservi notevoli differenze tra le singole regioni d'Italia chiede: «dinanzi a questi fatti, potrebbe ripetere che le condizioni sociali dell'Italia settentrionale non differiscono molto da quelle dell'Italia meridionale

Si hanno poi i dati numerici del malessere maggiore in Sicilia di fronte alle altre regioni d'Italia in queste altre cifre:

Quota per abitante di

RicchezzaDazio di consumoSovrimposta sui terreniSicilia L. 1,471L. 6,76L. 1,63Piemonte2,7463,714,03Lombardia2,4003,275,35Veneto1,9352,425,45

«E anche va notato che i dati della ricchezza per abitante e per regione si riferiscono ad un quinquennio (1884-1889) di eccezionale prosperità sopratutto in Sicilia. La crisi sopravvenuta dopo, ha certamente arrestato e retrocesso lo sviluppo della sua ricchezza proporzionalmente più che sulle regioni del Nord, per effetto della politica economica, più specialmente lesiva del mezzogiorno. Ma pure restando per larghezza di concessione, ai dati del Pantaleoni, il dazio consumo, che in Sicilia è quasi il doppio che in Piemonte, mentre la ricchezza ne è la metà, esercita nell'isola una pressione tributaria almeno quattro volte maggiore. Invece la sovrimposta sta ad un limite di poco inferiore a quello, che potrebbe ancora raggiungere in vista della ricchezza rispettiva; mentre le altre imposte (valor locativo, tassa famiglia bestiame, vetture e domestici) sono già in cifra assoluta per abitante più gravose pel contribuente siciliano. Questi dati permettono due considerazioni: che il sistema delle imposte comunali in Sicilia esercita una pressione maggiore che nel continente; che la ripartizione del carico tributario locale è fatta tutta a danno dei contribuenti, che pagano imposte indirette». (L'Insurrezione siciliana nel Giornale degli Economisti. Febbraio 1894).



185  In Giugno dopo i fatti dolosi del Dicembre '93 e Gennaio '94 - quando i zolfatari di Grotte fecero una dimostrazione furono suonati due squilli di tromba ed intimato lo scioglimento dell'assembramento; ma quei disgraziati rimasero immobili gridando: «Sì, ammazzateci! vogliamo morire, giacchè i nostri figli provano la fame!» Si evitò una catastrofe per la prudenza del delegato. Sulla crisi zolfifera ho pubblicato due lunghi articoli nella Riforma Sociale del Nitti. In un terzo ed ultimo mi occuperò dei possibili rimedi.



186  Nell'originale "dovuque". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



187  Nell'originale " passè". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



188  Nell'originale "delittto". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



189  Nell'originale "Parck". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



190  Nell'originale "diminuizione". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



191  Pare impossibile, ma pure è vero, che alcuni grossi comuni dell'isola hanno cominciato a violare le prescrizioni relative alla misura del dazio sulle farine; e la legge non è

votata che da pochi mesi!



192  Questi dati vennero completati e aggravati nei discorsi pronunziati sul bilancio della guerra e sui provvedimenti finanziari dagli on. Carmine, Colombo e da me alla Camera dei deputati in maggio e giugno 1894.



193  Il bilancio della Francia, dice il Vivante, è il prodotto dei fasti e delle avventure dell'impero, delle catastrofi del 1870, dello sperpero demagogico della repubblica, di costose recenti imprese coloniali, delle imperiose esigenze di una triplice difesa - i Vosgi, le Alpi ed il Mediterraneo - e malgrado questo sciagurato concorso di fattori disastrosi, esso è intrinsecamente migliore del nostro.

Il bilancio della Francia è il doppio del nostro: ma la ricchezza pubblica della prima essendo quattro volte maggiore della nostra si comprende che la pressione tributaria in Italia sia assai più grave che nella vicina repubblica.

La cifra complessiva delle spese intangibili e militari nel nostro bilancio rappresenta una percentuale superiore a quella che si riscontra nel bilancio di tutti gli altri Stati; supera del 6 e 1/2 % quella del bilancio francese. Lo stesso può dirsi facendo il paragone tra il bilancio nostro, il nostro reddito patrimoniale e il nostro reddito nazionale. Il bilancio nostro in rapporto al reddito patrimoniale supera 23 % quello francese e del 7 1/2 % pel reddito nazionale. Di più: «in tutti gli altri Stati di Europa, ad eccezione della Spagna (e dell'Austria in minime proporzioni) hanno la totalità del loro debito pubblico all'interno. Il Tesoro riversa dunque nel paese tutto il prodotto delle imposte; da noi ciò non è il caso. I 200 milioni circa che rimettiamo all'estero è denaro definitivamente perduto e sottratto dal reddito nazionale con doppio danno economico e monetario. Inoltre, in Austria, in Francia, in Inghilterra e più ancora in Germania lo sviluppo dei bilanci militari fu connesso ad uno sviluppo corrispondente delle industrie relative, che non solo forniscono allo Stato tutto ciò che gli abbisogna, ma esportano l'eccedenza dei loro prodotti all'estero. L'Italia non basta a stessa!» (Felice Vivante. Il nostro bilancio. Roma 1894.



194  Filippo Cordova - nel più volte citato discorso - sin dal 1863 trovò delle analogie tra i casi di Sicilia e i casi di Francia.



195  Nell'originale "Ioly". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



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