Pietro Ardizzone
Studi Falascia

La questione Falascia nel periodo prefascista: le missioni in Etiopia di Jacques Faitlovitch e la politica religiosa e scolastica dell’Italia nella colonia eritrea.

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La questione Falascia nel periodo prefascista: le missioni in Etiopia di Jacques Faitlovitch e la politica religiosa e scolastica dell’Italia nella colonia eritrea.

L’attività di Joseph Halévy per i Falascia ed i suoi appelli perché si prestasse loro aiuto sembravano esser caduti nel vuoto: neanche l’Alliance Israélite Universelle, sebbene avesse promosso la sua spedizione, era intervenuta con iniziative concrete.

Desta pertanto una certa curiosità il rapporto inviato l’11 settembre 1897 dall’agente diplomatico italiano a Tunisi, G.B. Machiavelli, al ministro degli Esteri, Visconti Venosta, per segnalare l’interesse dell’Alliance ad estendere in Etiopia la sua attività, destinata ai Falascia, affidandola al signor S.R. Paziente, direttore a Tunisi di una scuola della stessa Alliance di cui era pure un esponente di rilievo: ciò spiega perché provenisse proprio da Tunisi quella segnalazione.

Pazienteinformava Machiavelli – aveva la nazionalità francese, era oriundo del Marocco e – possiamo aggiungere noi – a giudicare dal suo nome doveva avere più o meno lontane ascendenze italiane; l’agente italiano non lo conosceva di persona, ma asseriva trattarsi di “persona di qualche valore”; qualità che, unita al suo patriottismo, rendeva più sospetta la sua missione agli occhi di Machiavelli, in quanto avrebbe mirato in Etiopia “…a promuovere non solo il benessere materiale e morale degli abitanti che seguono la legge mosaica, ma anche l’incremento dell’influenza francese”.

Era ancora fresca e cocente la delusione in Italia per l’infelice esito della guerra contro Menelik del 1896 e quindi il rapporto di Machiavelli toccava un nervo scoperto, destando l’interesse del ministro; difatti a pochi giorni di distanza, il 21 settembre, Visconti Venosta rispose all’agente diplomatico ringraziandolo per l’informazione e chiedendogli di tenerlo informato dei successivi sviluppi; lo stesso giorno inoltre comunicava le notizie pervenute da Tunisi sia al governo coloniale eritreo sia al capitano Ciccodicola, rappresentante italiano ad Addis Abeba.1

Ma il piano dell’Alliance Israélite Universelle denunciato da Machiavelli svanì come una bolla di sapone e, da quel lato almeno, le autorità politiche italiane potevano dormire sonni tranquilli. Né valse a turbarli, quei sonni, una missione in Etiopia disposta pochi anni dopo dall’Alliance: l’incaricato, Rapoport, interruppe in Egitto il viaggio appena iniziato ed una volta ancora non ci fu alcuna per i Falascia; toccò in seguito realizzarla ad un allievo di Halévy, Jacques Faitlovitch, ebreo polacco nato a Lodz il 15 febbraio 1881 da una famiglia di tradizionale osservanza religiosa; il giovane aveva seguito comunque studi laici a Berlino e Parigi, dopo aver prestato servizio per breve tempo nell’esercito polacco.

A Parigi, alla scuola di Halévy, maturò la sua vocazione per gli studi orientali, dimostrando una totale dedizione per svolgere un’azione religiosa-politica e non soltanto culturale: il suo ambizioso proposito era promuovere su scala universale la rigenerazione dell’Ebraismo. Di questo compito grandioso l’azione per i Falascia divenne nel tempo un episodio particolare, un laboratorio di esperienze da inquadrare in un’azione complessiva di respiro mondiale.

- 68 -Parigi non era allora soltanto la “ville lumière”, il centro politico e culturale di una grande nazione allietata dai piaceri della “belle époque”. Risolto il caso Dreyfus con la piena riabilitazione dello sfortunato protagonista; svanite così le ombre dell’antisemitismo e di un nazionalismo esasperato che prese il nome di chauvinismo, alla ossessiva ricerca della “revanche”, parola d’ordine dopo la sconfitta del 1870, la Francia aveva  ritrovato gli antichi ideali del 1789, divenendo la patria di elezione per quanti aspiravano alla “rigenerazione” del proprio popolo: non a caso quel termine era stato coniato da un protagonista degli Stati generali del 1789, l’abate Baptiste-Henry Grégoire, il sacerdote progressista di spirito gallicano, schierato con i patrioti rivoluzionari.

Con quel termine Grégoire indicava l’azione rivolta a plasmare un ebreo  dalla mentalità moderna, capace di inserirsi nella società francese; termine ripreso poi  da Halévy, riferendolo alla rinascita delle comunità ebraiche dell'Africa settentrionale ed orientale.

Fra  quanti nutrivano gli ideali della " rigenerazione" nella Parigi di fine ottocentopronta ad accogliere  sognatori politiciredentori religiosi, vi erano giovani ebrei dell'Europa orientaleattirati dalla spregiudicata atmosfera di libertà che si respirava.

Già Halévy aveva subito quel  fascino e, da cittadino turco   per nascita, dalla natia Adrianopoli  si era trasferito a Parigi, assimilando completamente cultura ed ideali francesi.  Lo seguirono altri: Jacques Faitlovitch  non rappresentò un caso isolato.  Con lui divise infatti l'apprendistato culturale alla scuola di Halévy e la fervida attività per la causa dell'Ebraismo un altro  giovane  ebreo Askenazita, Nahum Slouschz,   di origine lituana ( era nato a Vilnius  ed era più anziano di qualche anno rispettoFaitlovitch), ma vissuto  ad Odessa, prima di trasferirsi a Parigi, da lui considerata la capitale del progresso, dove erano state cancellate le superstizioni religiose del Medio Evo.2 

Il giovane lituano, come Faitlovitch credeva nell'esistenza di tribù perdute dell'antica Israele, disperse nel mondo, che occorreva rintracciare e riabilitare per farne il lievito della rinascita di un impero semita, un tempo esistente nel bacino del Mediterraneo, dove si era parlato l'ebraico. I due giovani condividevano questa visione pan-ebraica, ispirata dall'antico mondo semitico e da Canaan; il loro ideale era farlo rinascere  includendovi paesi dell'Europa mediterranea, del Nord Africa e del Medio Oriente

La ricerca delle tribù perdute di Israele  attirò l’interesse di Faitlovitch verso i Falascia, mentre l'amico e sodale  Slouschz si dedicò alle popolazioni del Nord Africa ( fu pure con il generale Liautey in Marocco); a differenza di Faitlovitch si accostò al Sionismo   fin dai primi anni della sua attività e considerò uno Stato di Israele (dove emigrò nel 1919) il futuro centro di quell'impero semita vagheggiato; solo in epoca successiva Faitlovitch invece si convinse dell'importanza di uno Stato sionista in Palestina: al centro dei suoi interessi e della sua attività rimasero a lungo l’ Etiopia e gli Stati Uniti.

Per Slouschz aveva una decisiva importanza l'uso della lingua ebraica (ne tenne la cattedra alla Sorbona dal 1904 fino al trasferimento in Israele), da lui identificata con la lingua di Canaan. In totale accordo con questa opinione, Faitlovitch fu un convinto assertore della necessità di insegnare ai giovani Falascia la lingua ebraica ed i principi tradizionali dell'Ebraismo, mantenuti integri dagli Ebrei dell'Europa orientale, a differenza di quelli occidentali corrotti da una modernismo irrispettoso delle tradizioni.

- 69 -Su questo punto si ebbero divisioni, intendendosi il termine "rigenerazione" in modo diverso. Se difatti il termine per Faitlovitch e Slouschz significava rispecchiarsi nei costumi degli Ebrei d'Oriente; che dovevano esser presi ad esempio per tornare all'antica purezza; per l’Alliance Israélite Universelle la “rigenerazionedoveva invece consistere nell'abolizione delle antiche superstizioni e di abitudini arcaiche, che frenavano il progresso civile del mondo ebraico.

L'antica, ostile diffidenza dell’Alliance verso Halévy, passata in eredità ai suoi allievi, traeva origine anzitutto da questa radicale diversità degli ideali e dei programmi che ne derivavano, primo fra tutti la diffusione universale dell'Ebraismo, nel rispetto del precetto biblico per cui Israele doveva essere la luce delle nazioni, destinata a diffondere la sua civiltà fino all'estremità della terra (Isaia,49-6).  La Diaspora era stata voluta dalla Divina Provvidenza proprio per facilitare la diffusione della religione ebraica. Diffusione realizzabile sia recuperando le antiche tribù perdute di Israele, da cui s'era formato "Nidhe I Yisrael", cioè il mondo degli ebrei convertitisi al Cristianesimo, sia reclutando nuovi proseliti, poiché si poteva essere ebrei per conversione oltre che per nascita; in questo secondo caso, legato ad una discendenza etnica, si restava ebrei, anche se non praticanti; gli Ebrei d'acquisizione, divenuti cioè tali a seguito di una conversione religiosa, potevano invece mantenere quella identità solo con la scrupolosa osservanza delle pratiche religiose.

La ricerca di una ascendenza ebraica presso popoli lontanissimi dalla Palestina storicamente e geograficamente aveva in alcuni casi dato luogo ad affermazioni quanto mai discutibili ed improbabili. Un missionario anglicano, Samuel Marsden (1765-1838) aveva sostenuto l'origine ebraica dei Maori della Nuova Zelanda, in quanto essi erano abili commercianti come gli Ebrei,un loro antico capo aveva decapitato un nemico vinto come aveva fatto David con Golia, il linguaggio bellicoso dei loro sacerdoti ricordava quello degli Ebrei e lo stesso nome dato alle isole Salomone sembrava derivare da quello del saggio re della Bibbia.

Non fu da meno un esploratore tedesco, Karl Mauch; scoperte nel 1871 in Sudafrica, a nord del fiume Limpopo, delle rovine, affermò trattarsi dei resti di un antico tempio costruito dalla regina di Saba ad imitazione di quello eretto da Salomone a Gerusalemme; pertanto quel territorio doveva essere l’Ofir, la mitica terra dell’oro di cui era originaria la regina.

A parte queste stranezze, la ricerca per identificare presenze ebraiche, reali o presunte, in lontani paesi diede  in alcuni casi risultati di un certo rilievo sociale e culturale.

Faitlovitch si mantenne fedele per tutta la vita al suo programma, i cui prodromi possono trovarsi già nelle sue posizioni giovanili maturate a Parigi; negli anni successivi cercò contatti con le comunità ebraiche dell'Afganistan, dell'India e della Cina, interessandosi anche del Giappone, considerato terra di missione, nel 1954, alla fine quasi della sua esistenza, Faitlovitch vi fu  invitato e pensò di crearvi una missione ebraica, destando la decisa opposizione del grande rabbino di Israele, Herzog, che considerava essere per Israele i proseliti null'altro che un noioso sfogo di pelle.

L'universalismo di Faitlovitch trovò quindi avversari anche al di fuori dell'Alliance Israélite Universelle; l'episodio più significativo del programma di espansione dell'Ebraismo, da lui propugnato, fu legato alla comunità afroamericana di Harlem a New York.

- 70 -Gli afroamericani erano portati a simpatizzare con l'Ebraismo perché ritenevano la loro condizione analoga a quella dell'antico popolo palestinese, essendo stati entrambi costretti a lasciare la propria terra d'origine. Inoltre trovare le proprie radici nei Falascia era un mezzo per affermare una identità ed una dignità nuova; per differenziarsi anche dagli Ebrei bianchi, ritenuti  discendenti di Esaù, gli afroamericani vedevano in Giacobbe il loro capostipite; inoltre essi si dicevano Hebrews, mentre per gli Ebrei bianchi usavano il termine Jews. Si era fondato il "Royal Order of Ethispian Hebrews", diretto dal rabbino nero Wenwerth A. Mattew, molto attivo nell'organizzare seminari per gli afroamericani di New York e di Cincinnati; si dovette a lui la proposta di sostituire all'offensiva denominazione "niger" quella di "Hebrews of Ethiopian descent”. ("Ebrei di discendenza etiopica").

Attivo nel propagare l'Ebraismo tra gli afroamericani fu pure David Horowitz, fondatore del movimento "Mosaic Law for one world"  ("La legge mosaica per un mondo unito"); mantenne contatti con l’ “American pro Falasha Commitée”, fondato nel 1922 da Faitlovitch, considerando i Falascia un elemento importante per l'unificazione di tutti gli Ebrei di colore, il cosiddetto "Black Judaism".  Gli afroamericani sceglievano di preferenza nomi propri dei Falascia.

In tutt'altro contesto storico i Falascia vennero  considerati un elemento di progresso: nel dicembre 1935, quando si era già iniziata la guerra italo-etiopica ed alla vigilia della proclamazione di Vittorio Emanuele III imperatore d'Etiopia, uno studioso del calibro di Carlo Conti Rossini rivolse un appello agli Ebrei d'Italia, di Libia e dell'Egeo perché sostenessero i Falascia, in quanto essi "... distaccati per tradizione dal resto della popolazione", sarebbero stati "... i vessilliferi della nuova civiltà etiopica. Dopo tanti secoli, forse l'ora del risveglio, della resurrezione di quel popolo sta per suonare. E il segno della diana sarà dato dalla torre del Campidoglio immortale".3 

Sorte davvero singolare quella dei Falascia, piccolo popolo rimasto ai margini del mondo ebraico, considerato però motore del progresso storico in vista di finalità tra loro tanto diverse come quelle degli afroamericani e quelle dei fondatori di un effimero impero italiano d'Etiopia. Non mancò chi addirittura formulò la teoria di una discendenza etnica degli afroamericani dai Falascia, come fecero Josias Ford e Rabbi Mattew, leader di un'altra associazione, i "Comandment keepers of the Royal Order of Aethiopian Hebrews”; 4  teoria onestamente rifiutata da Faitlovitch, la cui attività era stata oggetto di interesse per gli organi di stampa degli Ebrei americani già all'inizio del secolo XX: "Jewish Comment” e “American Jewish Year Book” se ne erano occupati, tenendo a sottolineare come i Falascia non avessero una fisionomia negroide.

Ma non tutti in America si erano dimostrati favorevoli all'iniziativa di Faitlovitch: il rabbino George Zemin  si era detto contrario all'apertura di scuole per i Falascia in Etiopia, poiché si trattava di gente primitiva abitante in una terra poco civilizzata.5 

A questa contrarietà a fornire aiuto ai Falascia seguì un’aperta ostilità alla diffusione dell'Ebraismo tra gli afroamericani, poiché si riteneva l'evento una complicazione ed un ostacolo alla realizzazione del "melting pot” da cui traeva origine la popolazione degli Stati Uniti.

- 71 -Nella sua visione ecumenica Faitlovitch  si interessò anche della comunità ebraica formatasi a San Nicandro, in Puglia, in modo spontaneo, frutto soltanto di una meditazione sulla Bibbia, in assenza di un qualsiasi intervento missionario.6

Queste anticipazioni sulle successive prese di posizione di Faitlovitch, "in nuce" già presenti nei suoi anni giovanili, valgono a chiarire la ragione dei suoi difficili rapporti con l’Alliance Israélite Universelle agli inizi del ‘900, quando Halévy, non potendo per la sua avanzata età affrontare i disagi di un viaggio in Etiopia, gli affidò l'impegnativo compito di recarsi presso i Falascia per ottenere direttamente da loro una risposta a tutti gli interrogativi ed a tutti i dubbi che circondavano ancora la loro esistenza.

L'anziano studioso partecipò attivamente ai preparativi della spedizione e fu largo di consigli ed indicazioni per il suo giovane allievo (Faitlovitch  al momento del viaggio, intrapreso nel 1904, doveva ancora compiere 23 anni), suggerendo gli itinerari da seguire, le persone da contattare, i comportamenti da adottare.

L'altro mentore di Faitlovitch fu Zodiac Khan, gran rabbino di Francia, il cui intervento fu determinante per ottenere dal barone Edmund de Rotschild il finanziamento necessario, negato invece dall’Alliance Israélite Universelle, sempre diffidente nei confronti di Halévy.

Il giovane esploratore poté quindi partire da Napoli il 29 gennaio 1904 alla volta di Massaua, da dove risalì verso l'altopiano abissino, per incontrare i Falascia, secondo le istruzioni di Halévy, dopo averne fatto ricerca in Eritrea.

Massaua era il principale porto della colonia eritrea appartenente all'Italia e prima di partire quindi Faitlovitch aveva cercato di ottenere l'appoggio delle autorità coloniali italiane, aiutato dal rabbino maggiore di Firenze, Margulies, e da Carlo Conti Rossini.

Il 18 febbraio 1904, qualche giorno dopo l'arrivo di Faitlovitch a Massaua, (avvenuto il 13), un deputato ebreo, Leone Romanin Jacur, scriveva a Guido Fusinato, sottosegretario agli Esteri, chiedendogli di intervenire presso il governo dell'Eritrea a favore di Faitlovitch, presentato a lui e ad un altro deputato ebreo, l'onorevole Franchetti, dal rabbino di Firenze Margulies.

Faitlovitch era descritto come un giovane studioso polacco che a sue spese intendeva recarsi in Eritrea e nello Scioa per studiarne i dialetti.

Dimostrandosi molto sensibile a quella richiesta, Fusinato già due giorni dopo, il 20 febbraio, inviò un dispaccio al governo dell'Eritrea, perché favorisse Faitlovitch nell'affrontare le difficoltà del viaggio. Altrettanto sollecita fu la risposta: Pecori-Giraldi, facente funzione di commissario per l'Eritrea, con il suo dispaccio del 6 marzo 1904 assicurò al ministro degli Esteri, Tittoni, che avrebbe fornito ogni possibile aiuto.7

A Massaua Faitlovitch  conobbe un giovane Falascia, Taamrat Emmanuel, ospite della  scuola annessa alla missione evangelica svedese (i suoi genitori si erano convertiti al protestantesimo), destinato a divenire il pupillo preferito dello studioso, al cui fianco rimase per tutta la vita con un rapporto di fedeltà a volte turbato da contrasti, ed una figura di spicco nel mondo culturale e politico dell'Etiopia.  

- 72 -Dopo una sosta ad Asmara, Faitlovitch  partì l'8 giugno 1904 per Addi Ugri, località eritrea al confine con l'Etiopia, spingendosi poi fino ad Axum ed Adua; avrebbe voluto aprire subito una scuola per i Falascia ad Addi Ugri, ma si opposero le autorità italiane. Si dimostrano ben disposti i Falascia dello Scioa: ad Adenkato il “debtera” (diacono) Barott si dichiarò disposto ad apprendere l'ebraico; in questi primi contatti  Faitlovitch notò che i Falascia, chiamati da tutti "yehudi" (ebrei), pregavano allo stesso modo degli Ebrei dello Yemen.

Questa prima parte del viaggio durò fino all'ottobre del 1904, quando Faitlovitch  fece ritorno ad Asmara, dove ricevette da Halévy  ulteriori istruzioni; si trattenne poco nella capitale eritrea: seguendo il consiglio di Halévy ripartì senza indugiare troppo per la regione etiopica del Lasta, ove ebbe modo di incontrare a Debra Tabor molti Falascia, convertiti al Cristianesimo, cercando di farli ritornare all'Ebraismo.

I missionari protestanti iniziarono a seguire con attenzione e diffidenza i suoi spostamenti, segnalandoli l'un con l'altro, poiché lo consideravano un pericoloso avversario. A somiglianza di quanto avevano fatto i protestanti, Faitlovitch ritenne utile operare a mezzo di missionari indigeni; ebbe pure contatti con i Kemanti, che professavano una religione in cui si mescolavano elementi pagani e giudaici.

A Genda conobbe la madre di Taamrat Emmanuel e si spinse fino al Semien, accompagnato dal giovane Falascia Gete Yirmiahu, da lui detto Geremia: l'imposizione di un nome biblico doveva significare una nuova identità: per la stessa ragione Faitlovitch aveva mutato in Dawit il nome di Taamrat Emmanuel, conservato peraltro dal giovane poco disposto ad accettare quel cambiamento.

In compagnia dei due giovani Faitlovitch trascorse ad Asmara alcuni mesi, nell’attesa di ricevere il denaro necessario per il viaggio di ritorno. Halévy continuava a vegliare sul buon esito della missione ed intervenne per risolvere le difficoltà economiche che avevano bloccato la partenza di Faitlovitch dall'Eritrea. Chiese pertanto il 12 giugno 1905 a Conti Rossini, cui era legato da una reciproca stima, di procurare a Faitlovitch un passaggio gratuito su di una nave italiana o di aiutarlo in altro modo; per facilitare tale aiuto riferì, a dispetto della verità, che lo studioso polacco aveva preso la cittadinanza italiana.

Conti Rossini si attivò subito ed il 16 giugno chiese di intervenire ad un "signor commendatore" (con molta probabilità si trattava di Agnesa, funzionario dell'ufficio coloniale del Ministero degli Esteri, o del segretario generale dello stesso Ministero, Giacomo Malvano, di fede israelitica), asserendo però di non conoscere direttamente Faitlovitch, ma solo attraverso le parole di Halévy.

Proprio Agnesa rispose il 23 giugno 1905 a Conti Rossinipromettendo di intervenire a favore di Faitlovitch presso il governatore dell'Eritrea, Ferdinando Martini.  E difatti, il 26 dello stesso mese, Malvano scrisse a Martini per fargli presente le difficoltà del viaggiatore polacco. Il governatore nella sua risposta del 28 luglio comunicava di aver fornito a Faitlovitch ogni possibile facilitazione; ma nel corso degli incontri con lui avuti, il giovane studioso non gli aveva fatto cenno a difficoltà di natura economica ed era già partito per l'Europa a quella data: in qualche modo quindi il problema del ritorno era stato risolto.8   

- 73 -Difatti, sempre accompagnato da Gete Yiemiahu e da Taamrat Emmanuel, Faitlovitch era partito da Massaua il 4 luglio 1905; dopo una breve sosta al Cairo si imbarcò ad Alessandria per Marsiglia, ove arrivò il 2 agosto ed il 12 dello stesso mese incontrò a Parigi Halévy, facendogli una minuta esposizione delle sue esperienze di viaggio, di cui  l’Alliance Israélite Universelle era stata fino ad allora tenuta all'oscuro: furbizia consigliatagli da Halévy per mettere l’Alliance di fronte al fatto compiuto dell'arrivo dei due giovani Falascia venuti a Parigi assieme a lui. Altro consiglio dato da Halévy a Faitlovitch era stato quello di concentrare la propria attenzione sui Falascia, senza farsi distrarre da altri interessi, e di basare le proprie conclusioni non soltanto sulle cose viste, ma anche su testi scritti dei Falascia; e pertanto Faitlovitch aveva acquistato alcuni manoscritti, come documentazione della religione e delle tradizioni dei Falascia.9

L’Alliance Israélite Universelle  malgrado il  disappunto causato dall'arrivo non preannunciato dei due ragazzi Falascia, li accolse nella sua scuola di Auteil dandone notizia con una breve nota apparsa sugli”Archives Israélites”  (19 ottobre 1905, p.  335),  sotto il titolo "Nouvelles Diverses”,  astenendosi da ogni commento. Il malcontento e lo scetticismo dell’Alliance trasparivano però dall'accenno  al fallimento di un precedente analogo tentativo fatto da Halévy, che nel 1867 aveva portato con sé un giovane Falascia, Daniel  ( non alcuni come detto in quella nota),  pure lui ammesso alla scuola di Auteil,  ma presto rimpatriato perché non ambientatosi a Parigi.  

Malgrado tutto, l’Alliance  sembrava nutrire  ancora  fiducia nelle iniziative pro Falascia,  di cui Faitlovitch  era strenuo paladino; in una successiva nota non firmata, "M. Joseph  Halévy et le Falachas”,  pubblicata sugli “Archives Israélites”  (28 dicembre 1905, p.  413) si sosteneva l'intervento a favore dei Falascia da parte degli Ebrei d'Europa che dovevano farsi carico della loro istruzione. Era infatti un dovere soccorrere chi si trovava in miseria e si chiedeva con enfasi l'autore della nota, rivolgendosi idealmente ai Falascia: “Et quelle misère est plus digne de compassion que la Vôtre, qui menace d’étouffer vos âmes avides de lumière dans le fange de la plus abjecte barbarie!” (E quale miseria merita più compassione della Vostra, che minaccia di soffocare le Vostre anime avide di luce nel fango della barbarie più abietta!”).

Si occupò più estesamente della missione di Faitlovitch e dell’arrivo dei due giovani Falascia a Parigi un articolo del “Bulletin de l’Alliance Israélite Universelle” (anno 1905, pp. 96-104 “Israélites Falachas”), che dava un resoconto della religiosità e dei costumi dei Falascia, riportando le notizie date da Faitlovitch; il bilancio era positivo e si ricordava pure l'ammissione dei due ragazzi Falascia alla scuola orientale dell'Alliance a Auteil.

Ma quello che poteva essere un gesto distensivo da parte dell'Alliance rese invece ancora più difficili i rapporti con Faitlovitch, poiché si manifestò subito un insanabile dissenso sui metodi e sui contenuti educativi. A Parigi Faitlovitch continuò a mantenere rapporti con le autorità diplomatiche italiane; inviò direttamente il 29 novembre 1905 una lunga lettera al ministro degli Affari Esteri, Alessandro Fortis, ringraziandolo per gli aiuti ricevuti in Eritrea durante il suo viaggio, di cui illustrava impressioni e risultati. Osservava anzitutto come l'Abissinia, malgrado le numerose relazioni degli esploratori, restasse "...un pays misterieux et fabuleux"; contestava il giudizio dato sugli Abissini, descritti come arretrati, violenti e refrattari ad ogni progresso civile, per cui era stato

- 74 -ritenuto inutile ogni tentativo di civilizzarli. In realtàaffermava Faitlovitch - gli Abissini inizialmente avevano avuto buoni rapporti con gli europei; in seguito si erano però ribellati ai tentativi di imporre loro usi stranieri, senza alcun rispetto per la libertà di coscienza: "En Abyssinie, comme chez les autres sémites attachés aux coutumes des ancêtres, l’intolérance ne pouvait produire que la haine du persécuteur, haine qui frappa tout ce qui portait un nom européen”. Indubbiamente il clero copto e le autorità abissine si opponevano ad ogni progresso, volendo mantenere immutata una situazione ad essi favorevole; ma aveva pure potuto constatare in Eritrea ed in Abissinia un diffuso desiderio di uscire dallo stato di ignoranza stagnante e l'apprezzamento della civiltà europea. Quella aspirazione era evidente soprattutto nel Tigrai, territorio abissino al confine con l'Eritrea grazie al benefico influsso della presenza italiana: "Les indigènes de cette dernière partie s’imprègnent des idées que l’Italie inspire par sa gestion, et ils s’attachent de plus en plus aux Italiens, dont ils reconnaissent la supériorité”.

Reso questo omaggio all'attività coloniale italiana, Faitlovitch entrava nel vivo della questione che più gli stava a cuore, quella dei Falascia.

Anche in Abissinia - proseguiva lo studioso - esistevano persone desiderose di progresso: "Parmi les Abyssins, se trouve d’ailleurs un élément aussi actif quintelligent et industrieux qui sera d’un secours puissant et précieux pour l’exécution de cette œuvre humanitaire: ce sont les Falachas”.

Quanto gli Abissini erano contrari alla civiltà europea, altrettanto i Falascia erano ansiosi di farla propria; la loro superiorità di artigiani abili e laboriosi era riconosciuta da tutti: “Ils serviront donc de levier pour entrainer toute l’Abyssinie à adopter des mœurs conformes aux progrès”.

Agevolare i Falascia a svolgere tale funzione sarebbe giovato a fare dell’Abissinia la nazione pilota per il progresso civile della intera Africa orientale, sostenendo lo stesso ruolo avuto dall’Egitto per il Sudan.

Corrispondeva dunque all'interesse dell'Italia intervenire a favore dei Falascia: "Ce sera une mesure de haute politique pour l’Italie de ne pas laisser périr les germes précieux semés par elle dans ce pays aux prix des plus sanglants sacrifices”.

La risposta del nuovo ministro degli Esteri, Tommaso Tittoni, fu affidata al sottosegretario Fusinato; essa non tardò, portando la data del 13 dicembre 1905, ma si limitò ad un ringraziamento di maniera per le comunicazioni fatte ed all'assicurazione di aver seguito con interesse la missione di Faitlovitch, promettendo di prender volentieri visione dei risultati da lui ottenuti.10

Per rendere più convincente la sua proposta Faitlovitch non aveva esitato ad apportare qualche ritocco alla verità, affermando che i Falascia erano apprezzati dagli Abissini per la loro abilità di artigiani ed erano quindi considerati persone superiori: in realtà erano oggetto di disprezzo poiché le attività artigianali erano giudicati degradanti ed in particolare quella di fabbro aveva loro procurato la reputazione di "buda", cioè di stregoni.   

Senza farsi scoraggiare dalla evasiva risposta di Fusinato, Faitlovitch continuò ad insistere con il governo italiano per una iniziativa a favore dei Falascia. Il conte Tornielli, ambasciatore d'Italia a Parigi, il 23 marzo 1906 scrisse difatti al Guicciardini, ministro degli Esteri del primo governo Sonnino,  che il polacco era tornato a far presente l'utilità di aiutare i Falascia, unici elementi attivi e produttivi in Abissinia, dove erano molto apprezzati per quelle loro caratteristiche.

- 75 -I Falascia del Tigrè d'estate si recavano a lavorare in Eritrea, facendo ritorno in Abissinia al sopraggiungere dell'inverno; sarebbe stato utile per l'amministrazione italiana -asseriva Faitlovitch -una loro stabile dimora in Eritrea, inducendoli a trattenersi con l'apertura di una scuola di istruzione generale e professionale ad essi dedicata.  

La stessa proposta era già stata inviata in precedenza direttamente al governo di Roma; l'ambasciatore ricordava gli aiuti forniti a Faitlovitch durante il viaggio, organizzato per conto dell'associazione israelitica di Londra e finanziato dal barone de Rotschild; alla questione dei Falascia riservava "vivo interesse l'illustre Max Nordau, capo del movimento sionista". A conclusione del rapporto Tornielli definiva lo studioso polacco  "persona di molto merito" e, con una punta di velato rimprovero, ricordava che il Ministero degli Esteri non aveva dato una risposta esauriente alla sua lettera precedente.

Al rapporto di Tornielli  rispose il segretario generale della Ministero Affari Esteri, Malvano,   con il dispaccio del 21 aprile 1906, ricordando come una propria benemerenza l'aver segnalato nel 1904, Faitlovitch al governatore dell'Eritrea, Martini,  perché ne agevolasse la missione. Accusava ricevuta della lettera di Faitlovitch al Ministero del 29 novembre 1905, definendo interessanti le considerazioni sull’Abissinia e le proposte per i Falascia; non c'erano stati ulteriori contatti e sarebbe stato messo al corrente di quella lettera Martini, chiedendo il suo parere. Comunque, concludeva prudentemente Malvano, le proposte di Faitlovitch dovevano essere mantenute riservate accuratamente date le loro implicazioni politiche.  A Martini fu inviata copia del rapporto di Tornielliallegata al dispaccio di Malvano in data 25 aprile, in cui si esprimeva lo stesso prudente riserbo manifestato nella risposta all'ambasciatore, adoperando quasi le stesse parole: le proposte di Faitlovitch implicavano"una questione politica che dobbiamo in ogni modo riservare".                  

Martini tardò a rispondere perché si trovava in viaggio verso Addis Abeba per incontrare Menelik; Malvano lo sollecitò ad esprimere il suo giudizio con dispaccio del 13 novembre 1906,incrociatosi con il rapporto del governatore inviato il 16 novembre da Roma,dove in quel momento si trovava. Martini  ricordava di aver già conosciuto Faitlovitch in Eritrea e di aver recentemente ricevuto il suo progetto di una scuola per i Falascia (lo studioso l'aveva inviato anche a lui, oltre che all'ambasciata a Parigi); al riguardo affermava che nessun divieto era stato opposto in casi analoghi all'iniziativa di una scuola destinata da un'organizzazione religiosa ai propri fedeli; non si poteva quindi " senza odiosità vietarlo agli israeliti"; ma "... appunto perché israeliti, i Falascia non  avranno dagli indigeni, cristiani o musulmani, festose accoglienze".

Riteneva inoltre difficile convincere i Falascia a fissare stabile dimora in Eritrea, come proponeva Faitlovitch. In definitiva, il governatore non si sarebbe opposto, "... quando si tratti non d'altro che di permettere" (sottolineate nell'originale le ultime parole).

A Tornielli il ministro degli Esteri, Tittonitrasmise il 14 dicembre 1906 la risposta di Martini, raccomandando di riferire a Faitlovitch solo "... la parte positiva del rapporto, cioè quella concernente la non opposizione da parte del governatore ai suoi progetti".  Permaneva quindi una certa ambiguità del Ministero degli Esteri nei suoi rapporti con Faitlovitch; questi nel frattempo non era rimasto ad attendere la risposta da Roma; oltre ad  inviare direttamente a Martini il suo progetto, aveva  pure  cercato  un  incontro  al più alto livello, con  Tittoni  in persona. Lo aveva segnalato da

- 76 -Milano il 17 ottobre 1906 un letterato dell'epoca, Giannino Antona Traversi, tanto in confidenza con il ministro da rivolgersi a lui chiamandolo "Carissimo Tommaso", facendo presente che Faitlovitch era stato "particolarmente raccomandato da Max Nordau".11          

Non si esaurirono nell'autunno del 1906 questi ripetuti tentativi di Faitlovitch per convincere il governo italiano ad aprire in Eritrea una scuola per i Falascia; egli aveva trovato un alleato nel rabbino capo di Firenze, Margulies, ed insieme avevano creato nel 1907 a Firenze un Comitato italiano pro Falascia, prima organizzazione espressamente creata per iniziative a loro favore. Nello stesso anno si aprì un nuovo fronte nel lungo braccio di ferro ingaggiato con il Ministero degli Esteri italiano per la questione dei Falascia; si ebbe infatti la discesa in campo del rabbino di Marsiglia, Hirschler, spinto da Margulies ad intervenire, come risulta dalla lettera del rabbino marsigliese al Ministero, in data 20 agosto 1907, trasmessa il 24 a Roma dal console generale d'Italia a Marsiglia; il diplomatico precisava che Hirschler era stato raccomandato "da persona rispettabilissima" della comunità italiana.

Hirschler aveva affermato di essere a conoscenza di una favorevole disposizione di Martini all'istituzione di una scuola dei Falascia in Eritrea, manifestata a Margulies: "M. le Gouverneur estimait que ce tronçon de l’antique Israel méritait l’attention de leurs coreligionnaires d’Europe et que les facultés de ces juifs, développées par l’instruction, leur permettraient dans un avenir prochain, de rendre florissantes à tout point de vue ces région lointaines"; i Falascia elemento di progresso: era lo stesso argomento caro a Faitlovitch.

Promuovere quell'opera civilizzatrice era lo scopo del comitato sorto a Firenze, con il quale Hirschler si dichiarava pronto a collaborare. Tittoni nella risposta del 4 ottobre 1907 incaricava il console a Marsiglia di far sapere al rabbino come il governo italiano si fosse fin dal 1904 interessato dei Falascia, favorendo la missione di Faitlovitch; ricordava il progetto di una scuola in Eritrea per i Falascia, fatto pervenire da Faitlovitch al ministero tramite l'ambasciata a Parigi, e precisava la posizione di Martini al riguardo: "L’on. Martini, allora governatore dell'Eritrea, pur facendo delle riserve sui progetti troppo rosei  del Faitlovitch, rispose che avrebbe permesso l'istituzione di una scuola israelita in Asmara", allo stesso modo come avrebbe consentito l'apertura di qualsiasi altra scuola confessionale.

Il ministro si diceva poi all'oscuro dell'esistenza di un Comitato italiano pro Falascia a Firenze e sollecitava l'invio di proposte concrete per decidere il da farsi, dopo aver sentito il parere del governatore dell'Eritrea (Salvago Raggi, subentrato a Martini all'inizio del 1907). Ed al governatore lo stesso giorno 4 ottobre 1907 Tittoni indirizzò un lungo dispaccio per informarlo delle richieste di Faitlovitch e di Hirschler; il Ministro non vi aveva dato seguito perché non aveva ricevuto ulteriori proposte ed anche perché Martini non si era mostrato del tutto favorevole "...anzi ci vedesse qualche inconveniente pel come la cosa sarebbe stata accolta dagli indigeni cristiani e musulmani".

Il ministro vedeva nell'Alliance Israélite Universelle  l'interlocutore più autorevole, ignorando o trascurando la sua contrarietà alle proposte di Faitlovitch; attendeva difatti di conoscere attraverso Hirschler quale fosse la posizione dell'Alliancedicendosi sicuro che non avrebbe voluto "... abbandonare i suoi lontani e derelitti confratelli".

- 77 -Nella minuta del testo inviato a Salvago Raggi figurava una parte poi omessa, in cui  era definita "... un errore fondamentale" di Faitlovitch e di   Hirschler l'affermazione da essi fatta di essere i Falascia stimati per le loro capacità di artigiani; al contrario rettificava Tittoni -gli Abissini "... stimano le professioni manuali tra le più basse occupazioni che possa avere un uomo e degli ebrei hanno tanta avversione che li sfuggono come esseri malefici che di giorno lavorano ad opere vili e di notte si cambiano in iene. Temo -proseguiva il Ministro -che favorire questa gente sarebbe diminuirsi agli occhi di tutti gli altri indigeni che, purtroppo, un po' per tutto in Etiopia vanno dicendo che gli Europei sono Ebrei perché non adorano Allah, vanno nelle chiese degli Abissini". E quindi - continuava Tittoni riferendosi ai Falascia -"... accoglierli nel nostro seno e carezzarli, per quanto generoso possa essere ed umanitario, può sembrare ridicolo ed umiliante agli altri nostri sudditi di colore, che già non videro con entusiasmò sorgere in Asmara la chiesa degli Israeliti".

Nel testo inviato a Salvago Raggi si ricordava genericamente senza quella ricchezza di particolari il disprezzo degli Abissini per il lavoro manuale, contrariamente alle affermazioni di Faitlovitch, e si concludeva così: "Bisogna esaminare se alle non poche ragioni di malcontento contro gli Europei in Etiopia, e contro gli Italiani in Eritrea, sia conveniente aggiungerne qualche altro, o per dir meglio se il vantaggio morale e materiale che se ne avrebbe merita di essere nuova ragione di malcontento".

Perplessità e riserve quelle del Ministro, ispirate da ragioni di opportunità politica, seppur egoistiche, piuttosto che da un preconcetto antisemitismo.

Il console a Marsiglia con il rapporto del 21 ottobre 1907 assicurò al ministro l'invio nel giro di pochi giorni di un promemoria del rabbino Hirschler con proposte concrete per i Falascia.12

Di questo memoriale non c'è traccia fra le carte  dell'archivio del Ministero degli Esteridove invece si trovano le comunicazioni inviate al Ministero dal Comitato pro  Falascia di Firenze per illustrare le proprie finalità e proposte, informandone Tittoni che aveva affermato di non conoscerle nel suo dispaccio al console di Marsiglia.

L'avvocato Raffaele Ottolenghi  a nome del Comitato, di cui era il tesoriere, inviò difatti una lettera al Ministro in data 8 dicembre 1907, seguendo il suggerimento dell'onorevole Luigi Luzzattiautorevole parlamentare ebreo, più volte ministro del Tesoro e dell'Agricoltura, destinato a divenire nel 1910 presidente del consiglio dei ministri.

Ottolenghi ricordava le difficoltà avute da Faitlovitch con l'Alliance  Israélite Universelle,  che aveva rifiutato di finanziare la spedizione in Etiopia, realizzata con il generoso aiuto di 10.000 franchi dato dal barone Edmund de Rotschild.  Il gran rabbino di Francia  Zadoc Kahn  aveva promesso di premere sull'Alliance per farle cambiare atteggiamento, ma la sua morte avvenuta nel 1905 gli impedì di agire tal senso.

Dell'Alliance Ottolenghi tracciava un quadro impietoso: il presidente Levin era vecchio e debole; il vicepresidente Reinach era  un ellenista illustre, ma si interessava solo ai suoi studi. L'anima nera dell'associazione era il segretario, definito "... un certo Bigarre, persona sospetta e creatura venduta al governo francese", in grado di spadroneggiare perché il comitato centrale, composto da persone anziane e sparpagliate in tutta l'Europa, raramente si riuniva; ogni decisione era affidata ai pochi membri del comitato residenti a Parigi, che lasciavano Bigarre libero di "...disporre dei milioni della

- 78 -Alliance secondo gli ordini del Quai d’Orsay".  Bigarre era ostile ai Falascia e a Faitlovitch che sollecitava il suo appoggio per iniziative destinate ad essi aveva risposto: "... gli Ebrei sono già troppi per cercarne altri".

L'ostilità dell'Alliance era stata confermata dal rifiuto di occuparsi dei due giovani Falascia venuti a Parigi con Faitlovitch, affermava Ottolenghi, dando una versione di comodo dei fatti: non c'era stato un rifiuto ad accogliere i giovani nella  scuola di Auteil, ma una divergenza con Faitlovitch e sui criteri educativi da applicare.

Il comitato di Firenze sorto con il preciso intento di aiutare i Falascia aveva ricevuto un finanziamento di 10.000 franchi annui, per un triennio, da parte della Jewish Colonisation Association; Ottolenghi da parte sua aveva procurato cinque o seimila franchi ed era alla ricerca di altri fondi. Ricordava ancora Ottolenghi le difficoltà avute con l'Alliance per l'organizzazione ancora in corso del secondo viaggio in Etiopia di Faitlovitch; alla fine si era raggiunto faticosamente un compromesso per cui la spedizione sarebbe stata guidata da un uomo di fiducia dell'Alliance, Nahum, con la partecipazione in sott'ordine di Faitlovitch.

Era consigliata da Ottolenghi l’interruzione di ogni trattativa con l'Alliance, poiché una scuola realizzata sotto i suoi auspici non sarebbe stata italiana. Proponeva invece di aprire la scuola ad Asmara con l'aiuto del governo italiano, chiedendo a tal fine un locale; si erano dichiarati disponibili a finanziare la scuola in cui si sarebbe insegnato l'italiano, organizzazioni ebraiche austriache e tedesche.

Insisteva Ottolenghi nell'affermare la considerazione e la simpatia di cui godevano in Abissinia i Falascia; secondo le confidenze fattegli dal viaggiatore inglese Fleming, conosciuto quando era viceconsole d'Italia in Egitto, anche Menelik li amava; Faitlovitch era benvoluto dai Falascia, desiderosi di istruirsi, che lo definivano "liberatore dell'ignoranza; quando la voce corra che una scuola è all'Asmara,-assicurava Ottolenghi - quegli uomini assetati del sapere e avvezzi alle lunghe corse, accorreranno dal centro dell’Abissinia a portare i loro figli.”

Con poca spesa l'Italia avrebbe compiuto un'opera di civiltà ed avrebbe avuto tra i Falascia "... un centro di influenza che sarà più forte perché basato sulla riconoscenza".

Per rende più convincenti le sue affermazioni Ottolenghi sopravvalutava in 200 mila il numero dei Falascia.  

Quelle argomentazioni produssero un certo effetto; in un appunto senza data e firmato con una sigla indecifrabile, allegato alla lettera di Ottolenghi, era ricordata l’avversione degli Abissini per i Falascia, ma se ne voleva però accertare la veridicità, chiedendone conferma alla legazione in Addis Abeba, retta dal conte Colli, e si dichiarava:"... se Colli trovasse che la cosa farebbe buon effetto in Etiopia, noi si potrebbe concedere terreno (casa no perché troppo costosa)", in ogni caso il terreno sarebbe stato da concedere non all'Asmara, ma in una località vicina.

Tittoni telegrafò quindi a Colli il 20 dicembre 1907 per sapere quali impressioni avrebbe suscitato in Etiopia  una scuola per i Falascia in Eritrea: non si conosce la risposta del diplomatico, ma, quale che essa fosse, perdureranno le resistenze italiane alle richieste del Comitato  pro Falascia.

- 79 -Con eccessivo ottimismo Margulies si rallegrò con Ottolenghi nella prospettiva illusoria di un appoggio del governo italiano per una scuola destinata ai Falascia, scrivendogli il 10 dicembre 1907; nella sua lettera il rabbino rincarava la dose degli attacchi all'Alliance Israélite Universelle, di cui giudicava vergognoso il comportamento; proponeva quindi di inviarle una nota di protesta comunicandola pure alla stampa italiana e straniera.13    

Qualche mese prima della sua lettera al ministro, Ottolenghi aveva pubblicato sulla "Nuova Antologia" un articolo sui Falascia, rievocando alcuni momenti cruciali della loro storia e le più importanti ricerche su di essi effettuate, a partire da Bruce e D’Abbadie  fino a Luzzatto, Halévy e Faitlovitch.  

Ottolenghi voleva scongiurare il rischio di una scomparsa delle tradizioni ebraiche dei Falascia, sottoposti alla pressione esercitata dai protestanti per convertirli, scrivendo che ciò "... sarebbe doloroso non solo per le antiche idealità, ma più e soprattutto in riguardo ai problemi più alti del mondo religioso e della storia della cultura umana".

Erano ricordate le varie ipotesi formulate sulle origini dei Falascia ed era ritenuta più semplice la loro provenienza dall'Asia attraverso lo stretto di Bab-el-Mandeb; Ottolenghi riteneva però più probabile che i Falascia fossero arrivati dall'Egitto ed in quanto ai rapporti fra l'Ebraismo e la chiesa copta d’Abissinia riteneva che quest'ultima fosse stata soggetta "alle influenze apostoliche più genuine", piuttosto che a quelle provenienti dagli Ebrei dello Yemen.  

Ottolenghi lodava l'attività del governatore Martini per riparare i guasti del precedente governo militare e si associava a Faitlovitch nel sollecitare l'istituzione di una scuola per i Falascia di cui tesseva le lodi: probi e laboriosi, essi costituivano "... in Abissinia una vera aristocrazia del lavoro". Erano stimati da tutti per la loro abilità di artigiani, "... venuta ad essi, secondo gli Abissini, e conservata per privilegio di re Salomone". 

L'autore faceva poi un insolito accostamento tra i Falascia ed i Valdesi. Nel coro di lodi degli Abissini per i Falascia una nota stonata era costituita solo dal clero copto, che per la sua crassa ignoranza era loro ostile.     

Era quindi opportuno un intervento italiano a loro favore: "... se il governo italiano fornisse degli strumenti più perfezionati di lavoro, o aiutasse private iniziative di scuole professionali rudimentali, potrebbe dall'Asmara costituire un centro di nuova civiltà laggiù, appoggiandosi a questo piccolo nucleo di forti lavoratori". 

Era quindi nell'interesse italiano sostenere l'attività del Comitato italiano pro Falascia, cui si era detto disposta ad associarsi la Società Dante Alighieri, "... per desiderio dell'uomo insigne che la dirige", Pasquale Villari, con lo sguardo universale, comprese che non è da dispregiare questo elemento modesto, che forse per umili inizi potrà portare qualche vantaggio all'opera di penetrazione civile dell'Italia nell'Africa, fra le circostanze perigliose e ignote che si preparavano in Abissinia.”  

Si augurava pertanto l'autore che presto sorgesse ad Asmara la scuola per i Falascia. Non bisognava indugiare, poiché era un'occasione da cogliere al volo: "Il momento per quest'attività è propizio, Menelik essendo animato da sentimenti di ogni benevolenza per quei modesti lavoratori. Non vogliano gli Italiani lasciar sfuggire «l'attimo che vola»". 

- 80 -È di particolare interesse l'accenno al coinvolgimento della "Dante Alighieri" nell'iniziativa della scuola per i Falascia, che sembrava poter rientrare tra le iniziative della benemerita società impegnata per la diffusione della lingua e della cultura italiana nel mondo. Ma la "Dante" non prese alcuna iniziativa per i Falascia; non si possono chiarire le ragioni del suo mancato intervento quale effettiva consistenza avessero le promesse di Villari riferite da Ottolenghi, poiché nessun documento relativo a questo episodio si trova nell'archivio storico della "Dante Alighieri" né in quello della Comunità ebraica di Firenze, supporto del Comitato pro Falascia.

Appare verosimile la disponibilità di Villari  a sostenere l'iniziativa per i Falascia alla luce della sua posizione a favore dell'impresa di Libia o più in generale, di un'attività colonizzatrice italiana in Africa, considerata una missione di civiltà conforme ad antiche tradizioni e non un'impresa con finalità economiche.

All'indomani della guerra di Libia, in un articolo pubblicato sul "Corriere della Sera"  (24 ottobre 1912, "Dopo la guerra") Villari, constatato che l'Italia giunta ultima nella corsa europea alle colonie aveva un campo ristretto d'azione, affermava che all’Italia toccava comunque l'obbligo di continuare la sua missione storica; scriveva infatti: "Essa sente che la storia del suo passato le il diritto e le impone il dovere di contribuire al progresso della civiltà nel mondo. Sente che non è andata in Africa per un'impresa puramente militare, o puramente commerciale, industriale, agricola..”, ma per contribuire "... al progresso d'una più vasta civiltà umana, nella quale le forme diverse di cultura, di religione e società nazionali diverranno come i vari lati della nuova civiltà, cui il mondo si va ora apparecchiando".  

Era questo l'orientamento di Villari, ed appare inoltre credibile una disposizione favorevole a sostenere un’iniziativa per i Falascia da parte di quella “Dante” che aveva fra i suoi più autorevoli esponenti l’israelita Ernesto Nathan e di cui l’ebreo triestino (seppur convertito al Cristianesimo) Giacomo Venezian si era fatto promotore con la sua lettera a Giosuè Carducci del 21 novembre 1888. Tuttavia alle parole non seguirono i fatti; forse la tiepidezza dimostrata dal governo italiano scoraggiò una concreta azione della "Dante" o forse, con l'ottimismo eccessivo di chi crede in una causa, Ottolenghi in perfetta buona fede prese per oro colato le affermazioni di Villari, scambiando generiche promesse per impegni categorici.

Ottolenghi non rimase deluso, o quanto meno non lo dimostrò, per il mancato intervento della "Dante" a favore dei Falascia; anzi, anni dopo, nel 1913, in una lettera al sottosegretario del Ministero delle Colonie, menava vanto degli elogi a suo dire riservati da Villari al Comitato pro Falascia per l'italianità delle sue proposte a favore dei Falascia.14

Nel suo articolo sulla"Nuova Antologia" Ottolenghi avanzava la proposta di una scuola professionale per i Falascia:era una posizione diversa da quella di Faitlovitch, che voleva dare Falascia un'istruzione superiorefacendone una elite intellettuale formata da professionisti: motivo questo di contrasto con l'Alliance che si proponeva realisticamente di impartire ai Falascia una preparazione tecnica, affinando le loro capacità di artigiani.

Nel corso del tempo si venne rafforzando l'ostilità dell'Alliance per Faitlovitch, apparsa evidente già nel 1904 con il rifiuto di finanziarie la prima spedizione in Etiopia; acuitasi poi con il ritiro dei due giovani Falascia dalla scuola di Auteil voluto da Faitlovitch e con le diverse vedute per l'educazione dei Falascia .

Si arrivò ad un'aperta rottura quando si venne preparando la seconda missione iniziata nel 1908.

- 81 -Si sono date varie spiegazioni dell'atteggiamento negativo dell'Alliance nei confronti di Faitlovitch.

Si è pensato anzitutto che potesse dipendere dallo stretto rapporto del giovane polacco con il suo maestro Halévy verso cui l'Alliance aveva manifestato un'aperta diffidenza, arrivando a mettere in dubbio non solo i risultati del suo viaggio, ma addirittura che lo studioso si fosse realmente recato in Etiopia; diffidenza ripagata da Halévy con la stessa moneta, tanto da consigliare a Faitlovitch di tenere l'Alliance all'oscuro dell'andamento della sua prima  missione, mettendola di fronte al fatto compiuto dell'arrivo a sorpresa dei ragazzi Falascia a Parigi.

Inoltre l'Alliance dimostrava ben poca simpatia nei confronti dei Falascia, gente di colore e considerata rozza e primitiva, fonte di imbarazzo per gli evoluti Ebrei occidentali, così come lo erano quelli dell'Europa orientale con i loro pregiudizi e costumi arretrati. A sua volta Faitlovitch  (askenazi come lo erano pure Halévy, Margulies, il compagno di studi a Parigi  Slouschzconsiderava l'azione dell'Alliance  viziata da un eccesso di burocrazia, per cui restava insensibile alle esigenze dei Falascia.

Motivo di fondo del  dissenso restava sempre la diversa concezione dell'Ebraismo e della sua missione nel mondo: l'esaltazione universalistica fattane da Faitlovitch non era affatto condivisa dai modernisti dell'Alliance, la cui massima aspirazione era integrarsi nella società laica e razionalista dell'Occidente, per cui le tradizioni potevano essere un ostacolo ingombrante.

Influivano anche motivi politici di concorrenza tra associazioni oltre che tra nazioni: l'Alliance, pur fregiandosi del titolo di universale, aveva una spiccata caratterizzazione francese, mentre la sua principale concorrente, l’Hilfsverein des Deutschen Juden denunciava già nella sua denominazione un'appartenenza nazionale certo non gradita a Parigi dove restava sempre vivo il ricordo cocente della sconfitta subita nel 1870 ad opera della Prussia: non a caso Faitlovitch, sebbene polacco, era definito con scarsa simpatia "l'ebreo tedesco".

E proprio all’Hilfsverein, di cui condivideva la scelta di un'educazione rispettosa delle tradizioni con l'ebraico lingua obbligatoria per tutti i fedeli, Faitlovitch si venne accostando per averne l'appoggio politico e finanziario, sentendosi abbandonato dall'Alliance; per la stessa ragione lo studioso aveva cercato con tanta insistenza di coinvolgere il governo italiano nei suoi progetti per i Falascia; la ricerca di appoggi in Germania e in Italia da parte di Faitlovitch accrebbe l’avversione dell'Alliance nei suoi confronti, acuita da reciproche antipatie personali.

Faitlovitch dimostrò scarsi riguardi verso l'Alliance: dopo averla tenuta all'oscuro delle vicende del suo primo viaggio in Etiopia, arrivò a Parigi con i due giovani Falascia senza alcun preavviso e, trovatosi in disaccordo per l'educazione da dare loro, ritirò già nel 1906  Gete Yirmiau dalla scuola di Auteil, giustificando tale decisione con la difficoltà del giovane ad adattarsi al rigido clima parigino; per cui era necessario il suo trasferimento a Firenze, affidandolo alle cure del rabbino Margulies. Questi, dotato di un maggior senso diplomatico, consigliò a Faitlovitch di pazientare e, per il bene della sua missione, di non prendere decisioni affrettate per l'altro Falascia, Taamrat Emmanuel, rimasto nella scuola di Parigi.

Consiglio di cui non tenne conto Faitlovitch: difatti nell'ottobre 1907 anche Taamrat lasciò Parigi per Firenze, senza neanche dare questa volta una spiegazione più o meno plausibile del ritiro.

Le prime reazioni dell'Alliance all'attività di Faitlovitch dopo il suo ritorno dal primo viaggio in Etiopia non erano state, almeno in apparenza, negative.

- 82 -Un articolo del 1905 sul "Bulletin de l’Alliance Israélite Universelle” (pp. 95-104) denotava già nel titoloIsraélites Falachas” un riconoscimento della loro appartenenza all'Ebraismo, in seguito disconosciuta. L'articolo ricordava la missione affidata ad Halévy dall'Alliance nel 1867 e venivano riportate senza contestarle le notizie sui Falascia, frutto del viaggio di Faitlovitch; la fisionomia dei Falascia e la loro resistenza ai tentativi di convertirli confermavano la discendenza da Abramo e dagli altri patriarchi biblici da essi vantata.  Per la loro intelligenza e per la loro difesa dell'antica fede i Falascia meritavano l'aiuto degli Ebrei d'Europa. A conclusione dell'articolo erano ricordati i  due giovani Falascia affidati all'istituto di Auteil, dove - si affermava -  erano circondati dalla simpatia generale: i giovani non conoscevano l'ebraico altra lingua all'infuori dell'amarico al loro arrivo a Parigi;  avevano però fatto rapidi progressi nella conoscenza del francese tanto da parlarlo già discretamente; una volta acquisita una miglior conoscenza di quella lingua, si sarebbe deciso quale indirizzo dare ai loro studi e come essi avrebbero potuto operare a vantaggio dei loro confratelli in Abissinia. Era una cauta apertura, per cui non si dava nulla per scontato sulla fondamentale questione del modello educativo da seguire: ma presto i due giovani furono ritirati dalla scuola dell'Alliance per essere affidati alle cure del rabbino maggiore di Firenze, Zvi Margulies.

Questi era come Faitlovitch un Askenazita di origine polacca, accomunato da un analogo attaccamento all'Ebraismo tradizionale, seppur privo delle tendenze universalistiche già presenti nella posizione del giovane studioso e destinate ad acquistare successivamente un rilievo sempre più evidente ed importante. Margulies aveva studiato filosofia e lingue semitiche in Germania, prima nel seminario rabbino di Breslau e poi all’Università di Lipsia. La sua origine polacca e la sua formazione culturale in Germania lo resero all'inizio poco gradito alla comunità ebraica di Firenze, in particolare all'avvocato Moise Finzi, presidente della Commissione incaricata di trovare un successore al rabbino David Jacob, morto nel 1889.

La candidatura di Margulies era stata proposta da un ebreo tedesco, il dottor Berliner, che riuscì a vincere le perplessità di Finzi, grazie all'impressione favorevole suscitata nell'avvocato fiorentino dal candidato polacco nell'incontro tenuto a Francoforte nel settembre 1889.

Furono superate anche le difficoltà linguistiche: Margulies non conosceva l'italiano, ma si impegnò ad apprenderlo e già nella primavera del 1890 fu in grado di rispondere in quella lingua alla comunità di Firenze che gli aveva ricordato l'impegno assunto; nell'ottobre dello stesso anno 1890 Margulies si insediò come rabbino maggiore di Firenze, mantenendo l'incarico fino alla morte, avvenuta il 12 marzo 1922. 15

Questi i precedenti e le caratteristiche dell'uomo destinato a divenire accanto a Faitlovitch il difensore della causa dei Falascia, di cui si occupò già alla fine del 1905 con un articolo sulla "Rivista Israelitica". L'arrivo dei Falascia in Etiopia era dovuto - secondo l'autore - alla persecuzione musulmana per cui erano stati costretti a fuggire dall’Arabia; erano ricordati gli studi di Luzzatto e di Halévy cui aveva fatto seguito la spedizione di Faitlovitch, pubblicandone in appendice una lettera inviata a Margulies il 6 ottobre 1905 per informarlo dell'esito del viaggio; pure in appendice era pubblicata la lettera di due "Grandi Sacerdoti" falascia diretta a tutti gli Ebrei del mondo, tradotta dall’amarico in ebraico ad opera di Faitlovitch. Nella sua lettera Faitlovitch ricordava la resistenza opposta dai Falascia al tentativo di Teodoro di obbligarli a convertirsi; il negus, ammirato dal loro coraggio, aveva desistito dal suo proposito.

- 83 -L’enorme diminuizione del numero dei Falascia ad opera dei missionari protestanti era  attestata dal fatto che le sinagoghe si erano ridotte a 30 dalle 200 prima esistenti.

I due "Grandi Sacerdoti" si dicevano lieti dell'arrivo di Faitlovitch, da essi chiamato "Giacobbe  figlio di Mosé"; chiedevano agli Ebrei di tutto il mondo di ricordarli nelle loro preghiere e si dicevano pronti a ricevere con affetto la visita di altri confratelli.

Margulies dedicò successivamente ai Falascia il discorso tenuto nel Tempio maggiore di Firenze in occasione della Pasqua ebraica del 1907, esaltando ancora una volta la loro eroica difesa della fede antica; si trattava - affermava il rabbino - di "... un piccolo ramo della nostra stirpe, sbattuto colà da una delle tante tempeste che passarono sul nostro capo. Ignoti ai loro fratelli di altri paesi, quei figli dei patriarchi hanno sostenuto isolatamente le più fiere persecuzioni, le più aspre battaglie e hanno versato il loro sangue per la fede dei padri e pel nome d’Israele".

Ed ancora: "Essi possono dire a noi, come l'umile pastorella del Cantico dei Cantici alle figlie di Gerusalemme... non guardate ch’io sono bruna, perché mi ha bruciata il sole".

I Falascia erano una testimonianza vivente dei valori ebraici: "... niuna cosa al mondo è tanto atta a testimoniare e dimostrare al mondo ed a noi stessi la nobiltà del sangue ebraico e la potenza incivilitrice della dottrina del Sinai, quanto la vita e l'eroica perseveranza dei Falascia, di quegli Ebrei abissini di cui ben a ragione possiamo andare orgogliosi".

Ma quell’eroica perseveranza nel resistere alla violenza era allora insidiata da falsi amici: isolati e dimenticati, molti Falascia avevano ceduto alle false lusinghe dei missionari protestanti e si erano convertiti. Si imponeva pertanto la necessità di soccorrerli: "La loro anima avida di luce si protende supplichevole verso di noi attraverso gli spazi immensi, implorando il nostro aiuto morale per rialzarsi dal decadimento, per uscire dall'ignoranza che li opprime e li rattrista più assai che la miseria materiale. Null'altro essi ci chiedono se non scuole e libri...". Si chiedeva quindi il rabbino: "Lasceremo noi che la loro speranza rimanga delusa e che, abbandonati da noi, essi si gettino nelle braccia di chi con mille lusinghe li tenta, li attrae verso altra fede?". Scontata la risposta a quell'interrogativo: se gli Ebrei avessero abbandonato i Falascia, avrebbero confermato l'accusa loro rivolta di avere abiurato la propria fede. Le circostanze storiche impedivano un proselitismo ebraico, ma -osservava Margulies -"... non possiamo nemmeno, senza vergogna, permettete che ci vengano straziate centomila anime nobili che sono legate a noi dai sacrosanti vincoli del sangue e della fede".

I Falascia erano quindi Ebrei per ragioni etniche e religiose, era un dovere sacrosanto soccorrere gli Israeliti dell'Europa orientale, che "... cacciati dalle loro case, errano raminghi senza tetto e senza pane...", ma non dovevano trascurarsi i Falascia.16

L'appello di Margulies venne fatto nel momento in cui Faitlovitch pensava ad un secondo viaggio in Etiopia. Malgrado le crescenti difficoltà con l'Alliance Israélite Universelle sia Margulies che Faitlovitch continuavano a cercarne il sostegno ed avrebbero voluto porre la nuova spedizione sotto gli auspici di quella potente organizzazione, la cui esperienza nel campo scolastico era indiscussa.

Il numero dei suoi istituti era in continuo aumento: le 60 scuole con 18.000 allievi esistenti alla fine del 1898 si erano più che raddoppiate alla fine del 1904, essendo divenute 128 con 34.500 allievi.

- 84 -Nel gennaio 1906 se ne contavano 134 con circa 40.000 allievi, per arrivare nel 1909 a 42 scuole con 1250 insegnanti e 41.000 allievi; numeri destinati ancora a crescere negli anni successivi: 149 scuole con 1275 insegnanti (di cui 983 indigeni e 292 formati dall'Alliance) e 41.000 allievi (28.000 ragazzi e 13.000 ragazze) nel 1909; per limitarci al periodo antecedente alla prima guerra mondiale, nel 1913 si contavano 183 scuole con 1472 insegnanti e 48.000 allievi.17

Si spiegano quindi facilmente le ragioni per cui Faitlovitch e soprattutto Margulies cercarono a lungo un accordo con l'Alliance Israélite Universelle18; Margulies continuava a far parte del Comitato Centrale di quell'organizzazione per conto della quale raccoglieva pure fondi.

Al tempo stesso però il rabbino trattava con l’Hilfsverein, dando assicurazioni sulla ortodossia di Faitlovitch, considerato dall'Alliance troppo tradizionalista, mentre non lo era abbastanza per l'organizzazione tedesca.

Margulies per tutto l'anno 1907 tenne un intenso carteggio con il presidente dell'Alliance, Leven, per convincerlo ad affidare a Faitlovitch la nuova missione in Etiopia. Non si trattava solo di un problema di persone ma piuttosto delle finalità da perseguire; per Leven si doveva far soltanto uno studio di fattibilità sull'eventuale apertura di una scuola per i Falascia: bisognava chiarire dove istituirla, come reclutare gli insegnanti, come trovare un adeguato numero di allievi, quale lingua studiare, se aprire la scuola anche alle ragazze.

Faitlovitch intendeva invece aprire la scuola subito, senza frapporre indugi per cercare una risposta agli interrogativi che Leven si poneva. Restava inoltre insoluto il problema fondamentale: permanevano le divisioni sui contenuti e sulle finalità dell'insegnamento, derivanti dalla diversa opinione sui Falascia: per Faitlovitch Ebrei a pieno titolo, per l'Alliance popolazione di colore dalle incerte caratteristiche etniche e religiose.

La paziente mediazione di Margulies sembrò per un momento avere avuto successo; l'Alliance Israélite Universelle rifiutava di affidare a Faitlovitch la piena responsabilità della missione, preferendo per quel compito ricorrere ad un esperto di problemi scolastici che avrebbe dovuto essere S. Somekh, sovrintendente delle sue scuole al Cairo. L'avrebbe comunque  affiancato Faitlovitch, nella qualità di guida e di interprete, mettendo a frutto la sua conoscenza delle lingue dell'Etiopia e l'esperienza fatta nel viaggio precedente. Seppure a malincuore Faitlovitch accettò il compromesso e Somekh si accingeva a recarsi a Firenze per ottenere, tramite Margulies lettere di presentazione per le autorità coloniali italiane, dal momento che il viaggio, come il precedente, doveva iniziare dall'Eritrea. Quel risultato per il momento positivo della trattativa fra Margulies e l'Alliance fu raggiunto anche grazie all'intervento di Frank Philipson, vicepresidente dello "Jewish American Commettee", sollecitato dallo stesso Margulies a chiedere all'Alliance di finanziare il viaggio e di accettare la creazione di una scuola per i Falascia.

Leven si era mostrato possibilista, pur ribadendo la necessità di procurarsi informazioni preliminari per non procedere alla cieca; considerava infatti insufficienti le notizie raccolte da Faitlovitch nel suo viaggio precedente. Negli anni successivi gli Ebrei americani furono i principali sostenitori di Faitlovitch, fornendogli generosi finanziamenti, oltretutto non sospetti data l'estraneità degli Stati Uniti in quegli anni alle contese coloniali degli Stati europei.

- 85 -Ma l'accordo faticosamente raggiunto svanì per il verificarsi improvviso di un colpo di scena: per ragioni personali Somekh rinunciò alla missione e l'Alliance  propose allora di affidarla ad Haim Nahum, ex allievo del seminario rabbinico di Francia, organizzato dalla stessa Alliance, docente nel collegio rabbinico di Costantinopoli e, fattore essenziale, protetto dal segretario generale Bigart.

Faitlovitch ricavò un'impressione negativa dal suo incontro con Nahum; per cui sfumò ogni possibilità di accordo con l'Alliance Israélite Universelle e da quel momento l'interlocutore privilegiato di Margulies e Faitlovitch divenne Paul Nathan, presidente dell’Hilfsverein.

Le molteplici occupazioni ed i frequenti viaggi non distolsero Faitlovitch da un'attività pubblicistica; principale sua opera fu in quegli anni il rapporto sulla missione in Etiopia resa possibile dalla munificenza del barone Edmund de Rothschild cui furono dedicate quelle note di viaggio, pubblicate a Parigi nel 1905, subito dopo il rientro dall'Etiopia.

Nella premessa l'autore tracciava un rapido sommario delle precedenti esplorazioni a suo giudizio viziate dagli errori e dalle leggende riportate senza un discernimento critico; riteneva quindi poco attendibile anche il celebre Bruce; sarebbe stato necessario fare ricerche sul campo per non limitarsi a vaghe e generiche informazioni come quelle fino ad allora riportate, ma la natura selvaggia del paese e la conseguente difficoltà delle comunicazioni lo avevano impedito. Avevano comunque dato importanti contributi, pur non avendo visitato l'Etiopia, Louis Marcus, autore di uno studio da Faitlovitch ritenuto pregevole, pubblicato nel 1829 sul "Journal Asiatique", e Filosseno Luzzatto, che tramite Antoine D’Abbadie aveva posto ai Falascia una serie di domande; basandosi sulle risposte fornitegli dal dotto Falascia Abba Isaac, Luzzatto aveva poi pubblicato sugli "Archives Israélites” degli anni 1851-54 una memoria sui Falascia. Successivamente, nel 1887, c'era stata la missione affidata ad Halévy dall'Alliance; esperto conoscitore della storia e delle lingue orientali, quello studioso era ben qualificato per svolgere al meglio l'incarico, ma la guerra fatta dagli Inglesi a Teodoro e dopo l'invasione dei Dervisci avevano ostacolato la sua attività, costringendolo ad un ritorno in Europa anticipato ed a fornire dati incompleti; aveva tuttavia Halévy pubblicato opere importanti come "Prières des Falachas” (1877) e, a distanza di molti anni, nel 1902, "Commandement du Sabat”.

C'erano stati tentativi sporadici degli Ebrei d'Europa per stabilire contatti con i Falascia, ma risultarono poco fruttuosi e pertanto i Falascia avevano continuato ad ignorare l'esistenza di altri Ebrei nel mondo; ridotti pertanto alla disperazione, essi erano divenuti facile preda dei missionari protestanti venuti a convertirli. Si imponeva quindi la necessità di  una spedizione in loro soccorso da parte degli Ebrei europei ed era toccato a lui - affermava con orgoglio Faitlovitch - continuare l'opera del suo maestro Halévy, con il patronato di Zadoc Kahn, gran rabbino di Francia, ed il generoso contributo di Rotschild.

Fatta tale premessa, l'autore entrava nel vivo del suo rapporto e ricordava come la conquista italiana dell'Eritrea sembrasse spianare la via alle esplorazioni in Etiopia, ragion per cui si era nel 1904 recato in Italia per cercare il sostegno del governo di Roma.

Imbarcatosi a Napoli il 2 marzo 1904 era arrivato l'11 dello stesso mese a Massaua, dove esisteva una comunità israelitica formata da ricchi commercianti italiani e da ebrei provenienti da Aden, orafi o piccoli commercianti; erano molto devoti e praticavano il culto pur non disponendo di una sinagoga.

- 86 -Coincideva con quella di Faitlovitch la descrizione della comunità ebraica di Massaua fatta nel 1896 dal tenente medico israelita Teodoro Foa, primario nell'ospedale locale: "Qui a Massaua ci sono molti israeliti, in generale  negozianti o fornitori militari; alcuni di essi godono di una bellissima posizione sociale. Benché non vi sia un rabbino, tuttavia formano come una comunità israelitica e nelle occasioni solenne si riuniscono in una camera, dove il signor del Burgo fa da lettore della Bibbia e delle altre preghiere... Sono in generale molto religiosi ed i negozi sono chiusi al sabato. Tutti gli israeliti di qui sono italiani o di Smirne o della Turchia europea. Vengono poi gli israeliti girovaghi che vendono penne di struzzo, da Aden. Sono quasi neri o meglio hanno quel colore di cioccolato e sono appena un po' più bianchi o meglio meno neri degli Indiani: si avvicinano cioè pel colore della pelle ai Baniani, dei quali hanno lo stesso modo di fare".

Foa  li riteneva brava gente: segnavano in ebraico i prezzi delle loro merci ed avevano lineamenti simili a quelli degli Ebrei, per cui dovevano essere non indigeni convertiti ma veri Ebrei resi abbronzati dal climaFlaminio Servi, direttore de " Il vessillo  Israelitico”  su cui era apparso l'articolo di Foa, si chiedeva se quegli Ebrei indigeni non potessero essere dei Falascia, trascurando il particolare che questi ultimi non conoscevano l'ebraico, usato invece per segnare il prezzo delle merci da quelli che Foa definiva "israeliti girovaghi". 

Faitlovitch proseguiva il suo rapporto facendo presente che esisteva invece una sinagoga ad Asmara, città di cui serbava un grato ricordo per le attenzioni rivoltegli dalle locali autorità italiane. Anche la comunità di Asmara era composita, risultando formata da Ebrei italiani e da quelli originari della Turchia, dell'Egitto e dello Yemen. Vivevano in pace, protetti dalle autorità italiane e non considerati dalla popolazione locale diversi dai bianchi di fede cristiana. Solo i Greci erano loro contrari per ragioni di concorrenza commerciale, arrivando ad accusarli di omicidi rituali; ma un energico intervento del governatore Martini aveva posto fine a quelle false accuse.

Faitlovitch faceva seguire a queste note sugli Ebrei dell'Eritrea una dettagliata esposizione dell'itinerario seguito in Etiopia; ad Axum aveva avuto con i Falascia un primo contatto, fra molte precauzioni per non allarmare le autorità abissine. Anche i successivi incontri erano avvenuti usando molta prudenza e Faitlovitch dové faticare non poco per convincere i Falascia di essere ebreo. Era ancora ricordato Halévy chiamato Iosief, ma credevano fosse già morto. Superata l'iniziale diffidenza dei Falascia, Faitlovitch aveva da essi ottenuto molte utili informazioni sulla loro religione, sui rapporti con gli altri Abissini, sui loro capi religiosi residenti nel Tigrai. La sosta nella località di Adenkato durò un mese e ci furono altri incontri con i numerosi Falascia residenti. Dopo aver svernato in Eritrea, il viaggiatore tornò in Etiopia e, instancabile, fece un lungo giro nelle regioni di Dembea, Lasta, Lalibela, dove vivevano molti Falascia.

Dopo una rapida puntata nel Sudan, Faitlovitch visitò le popolazioni Falascia residenti attorno al lago Tana; a Gonzala, posta nelle vicinanze di Gondar, incontrò i capi religiosi Falascia, da cui fu informato delle numerose conversioni operate dai missionari protestanti. I convertiti si trovavano in una difficile situazione; avrebbero voluto far ritorno all'antica fede, ma si trovavano isolati, respinti sia dai Copti sia dagli altri Falascia, che non perdonavano loro l'abiura fatta.

- 87 -I capi Falascia diedero a Faitlovitch una lettera in amarico per gli Ebrei degli altri paesi, cui chiedevano aiuto per resistere all'attività dei missionari protestanti; l'autore ricordava pure l'affidamento del giovane Ghettiè Yirmiahu, fattogli perché fosse educato in Europa. Intrapreso il viaggio di ritorno, Faitlovitch  arrivò il 18 maggio all'Asmara ed in Eritrea prese con sé l'altro giovane Falascia, Taamrat Emmanuel, pur esso desideroso di essere istruito in Europa. Accompagnato dai due giovani il nostro viaggiatore partì alfine da Massaua per l'Europa il 4 luglio 1905.

Faitlovitch omise il particolare di avere incontrato Taamrat Emmanuel nella scuola della missione evangelica svedese di Asmara, frequentata dal giovane.

Nell'ultima parte del suo rapporto Faitlovitch dava alcune notizie sui Falascia, rinviando ad uno studio successivo un'esposizione più dettagliata.

A suo parere i Falascia erano indubbiamente Ebrei anche per le loro caratteristiche etniche, oltre che per le religiose; essi si dicevano discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe; affermazione che apparirà confermata dalla vivace intelligenza che traspariva dalla loro fisionomia, malgrado il loro colorito scuro sembrasse smentirla. Essi conoscevano il Talmud e formavano una setta particolare, da non confondersi con i Samaritani ed i Caraiti; erano molto devoti, anelavano tornare a Gerusalemme, considerata la città santa per eccellenza; rispettavano scrupolosamente il sabato e le altre feste, digiunando nei giorni prescritti dalla tradizione. Era molto curata l'igiene personale ed evitavano il contatto con gli altri Abissini di fede diversa: se ciò fosse avvenuto, si isolavano fino al bagno serale; evitavano parimenti le donne nel periodo mestruale; le donne erano emancipate ma tenevano un comportamento modesto e pudico; macellavano gli animali con un rituale diverso da quello degli altri Ebrei, prestando comunque attenzione perché colasse tutto il sangue della vittima, sacrificata con la testa rivolta ad oriente; la circoncisione, infine, veniva praticata otto giorni dopo la nascita, rinviandola però se quel giorno ricorreva di sabato.

Nell'abbigliamento i Falascia non si distinguevano dagli Abissini di altra fede; come questi comminavano scalzi, tenevano il capo scoperto anche nella sinagoga, soltanto i sacerdoti portavano un turbante, bianco al pari di quello dei religiosi copti.

Erano abili artigiani, ricercati per la loro bravura; godevano perciò del rispetto di tutti, solo i missionari protestanti rendevano loro la vita difficile a causa dell'insistenza messa nei tentativi di conversione ed il clero copto, fanatico ed ignorante, era  loro avverso. A ciò si doveva aggiungere lo sfruttamento da parte dei capi politici che obbligavano i Falascia a lavorare gratis per loro; l'elenco degli avversari era quindi abbastanza lungo e non si poteva definire generale il consenso della popolazione nei confronti dei Falascia. Faitlovitch indubbiamente mirava ad abbellire la realtà, tacendo pure della fama di stregoni da cui Falascia erano perseguitati anche dalla gente comune e non soltanto dai religiosi e dai capi politici.

Faitlovitch concludeva la sua esposizione affermando che i Falascia erano ebrei senza ombra di dubbio: "L’ardeur avec laquelle ils cherchent à se régénerer à sortir de cette barbarie africaine qui les enveloppe et les étouffe, prouve quen eux persiste le caractère instinctif de la race”. L'ideale della rigenerazione nutrito dai Falascia e tanto caro a Faitlovitch già in questa età giovanile rendeva i Falascia degni dell'interesse degli Ebrei d'Europa, tenuti ad offrire loro in modo disinteressato quell'istruzione da essi agognata ed offerta dai missionari protestanti per indurli a convertirsi.

- 88 -Con l'aiuto offerto loro dalle organizzazioni ebraiche i Falascia sarebbero divenuti un elemento di progresso per l'intera Etiopia, dotato di una grande superiorità morale di intellettuale rispetto al resto della popolazione.19

Questa superiorità dei Falascia era contestata da Francesco Gallina, già allievo di Ignazio Guidi nella Scuola Orientale di Roma, nella recensione a quest'opera di Faitlovitch, pubblicata sul "Bollettino della Società Africana d'Italia" (gennaio 1906, pp. 20-22): le restanti popolazioni etiopiche - affermava il recensore - non erano refrattarie alla civiltà come affermato da Faitlovitch; avrebbero quindi dato anch'esse un contributo alla civiltà ed al progresso dell'Africa. Oltre a spezzare una lancia a favore delle popolazioni etiopiche, Gallina notava l'impossibilità di stabilire con sicurezza il numero dei Falascia; non essendoci dati statistici, si poteva affermare soltanto che essi erano divenuti sempre meno numerosi a causa delle conversioni operate dai missionari. Inoltre, non c'era stata nel Medio Evo una dinastia reale ebraica: la regina Gudit nel secolo X non era Falascia, ma pagana.

La presentazione del rapporto alla "Société Asiatiquevalse a Faitlovitch l'ammissione a quella prestigiosa associazione, decisa nella seduta dell'8 dicembre 1905 e, sebbene fosse già latente una polemica, si occupò favorevolmente dell'opera anche l'Alliance Israélite Universelle, pubblicandone una recensione sul suo bollettino.

Il lavoro era giudicato interessante ed era condiviso l'allarme lanciato da Faitlovitch per il rischio di una scomparsa dei Falascia a causa dell'azione combinata dei missionari protestanti e del clero copto locale, se non fossero intervenute le organizzazioni ebraiche. Si diceva pure dei due giovani Falascia venuti con Faitlovitch, notando le caratteristiche del loro aspetto: "Bien que de teint noir, ils n’ont pas le masque écrasé du nègre d’Afrique; leurs traits sont fins, les yeux curieux et éveillés, le corps robuste et élancé; il ressemblent beaucoup aux noirs des Indes anglaises”. Era dipinto a tinte rosee il loro soggiorno nella scuola di Auteil; da quella descrizione idilliaca non traspariva la tensione tra l'Alliance e Faitlovitch.20

Ai Falascia Faitlovitch dedicò un'altra pubblicazione, apparso in Italia nel 1907. L'esordio era solenne, attribuendo la diaspora del popolo ebraico ad un disegno divino volto a diffondere nel mondo la luce della Fede: "La Provvidenza, volendo disperdere gli Ebrei sulla terra, per recare agli uomini, per mezzo di loro, la morale sublime che essi avevano ereditato, non mancò di spingerli anche nell’ Abissinia a questo scopo". Missione compiuta con intrepido eroismo: "E gli Ebrei, portando in mano la Bibbia, che contiene la morale più sublime e i precetti più santi, andarono per tutta la terra per soffrire ed insegnare".

Da tempo immemorabile i Falascia vivevano in Abissinia, resistendo ad ogni avversità e conservando con tenacia la loro fede; dopo averli a lungo ignorati, gli Ebrei d'Europa si erano interessati ad essi grazie agli studi di Filosseno Luzzatto e di Halévy, la cui opera, interrotta a causa della guerra degli Inglesi contro Teodoro, era stata ripresa da Faitlovitch. Una volta ancora era affermato categoricamente l'Ebraismo dei Falascia: "Nessuno può contestare la loro appartenenza al giudaismo, e secondo il significato del loro nome e secondo la propria asserzione essi sono in questo paese stranieri, esuli Ebrei venuti in Abissinia dalla Palestina. Nella letteratura etiopica cristiana trovansi dei passi in cui sono menzionati i Falascia quali stranieri e discendenti dalla razza deicida, cioè dagli Ebrei".

- 89 -Non si prestava però fede alla loro discendenza da Salomone, era più credibile che fossero arrivati in Etiopia in varie fasi: la prima immigrazione, avvenuta qualche secolo prima di Cristo, proveniva dall'Egitto. Successivamente, dopo la distruzione del Tempio ad opera dei Romani, si aggiunsero altri immigrati e da ultimo arrivarono dall’Arabia gli Ebrei fatti prigionieri dagli Abissini verso la fine del V secolo dopo Cristo.

Tra gli immigrati ebrei non c'erano donne, per cui ci furono matrimoni con donne abissine e ne derivò il colorito scuro dei Falascia; il loro numero diminuì a causa delle persecuzioni a cui furono sottoposti a partire dal XV secolo da parte dei sovrani abissini intenzionati a convertirli con la forza. Alcuni cercarono scampo in luoghi remoti ed isolati; la conversione degli altri in molti casi fu solo apparente, poiché in segreto continuarono a professare l'antica fede, come era avvenuto per i marrani in Spagna; non era pertanto possibile stabilire con esattezza il loro numero.

Non sfuggivano a Faitlovitch le numerose somiglianze dei Falascia con gli altri Abissini: " È difficile distinguere i Falascia fisicamente dagli Aborigeni, poiché essi vestono come loro, parlano i medesimi linguaggi. Bisogna vederli ed esaminarli da presso per osservarne la finezza dei tratti che li caratterizzano.”

I Falascia dimostravano una spiccata superiorità morale ed intellettuale sugli altri Abissini; la loro religione aveva per base la Bibbia e non conoscevano il Talmud, verso cui però dimostravano interesse, a differenza dei Caraiti e dei Samaritani.

Seguivano usi ebraici, praticando la circoncisione e mangiando pane azimo per Pasqua; osservavano le stesse feste degli altri Ebrei, ad eccezione di alcune come Purim e Hannucà.

Morigerati e rispettosi dei valori familiari, ignoravano il concubinato e la poligamia; la donna Falascia era rispettata e godeva degli stessi diritti riconosciuti agli uomini, per cui era "... superiore alla donna abissina in morale, felicità, igiene e carattere".

Non esistevano classi sociali, tutti dovevano lavorare per guadagnarsi da vivere; avevano perduto il diritto di proprietà della terra e coltivavano quella presa in affitto oppure esercitavano molti mestieri (fabbri, muratori, falegnami, vasai, tessitori, conciatori di pelli). Era apprezzata la loro opera e la loro vita sarebbe stata tollerabile, "... se la tirannide dei missionari protestanti ed un clero ignorante sostenuto dalla violenza dei capi delle località, non turbasse l'esistenza di questi poveri ebrei...". Menelik non era al corrente di questa situazione e ne approfittavano i ras per vessare i Falascia: essi con la conversione raggiungevano l'estremo degrado, assimilandosi ad una popolazione inferiore.

Restando fedeli alle loro tradizioni, i Falascia sarebbero invece divenuti gli artefici di un progresso civile. Si imponeva agli Ebrei d'Europa il dovere di venire in aiuto dei Falascia con l'istruzione, affinché essi a loro volta potessero aiutare "... i loro compatrioti a scuotersi dai pregiudizi e dalla barbarie. Quando saranno messi nei sentieri salutari dell'istruzione, i Falascia sapranno camminare verso la realizzazione di questo ideale, per compiere la loro missione nel mondo" .21

Il tono complessivo di questo scritto di Faitlovitch era pacato, anche se venato da spunti polemici.

Molto più accesa era invece la polemica espressa in un articolo sulla “Rivista Israelitica” dello stesso anno 1907, rivolto a confutare l'opinione di quegli Ebrei che non volevano riconoscere nei Falascia dei confratelli.

- 90 -Non era citata esplicitamente l'Alliance Israélite Universelle, ma era anche essa l'obiettivo polemico di Faitlovitch, che trovava stupefacente l'attacco rivolto ai Falascia da altri Ebrei, che si giovavano di argomenti presi a prestito dai missionari protestanti, spingendosi anzi oltre, poiché anche un famoso missionario quale Henry A. Stern nel suo libro "Wanderings among the Falashas” non aveva potuto esimersi dal riconoscere le caratteristiche ebraiche dei Falascia, sia etniche che religiose, notando la somiglianza della loro fisionomia con quella degli Ebrei d'Europa.

I detrattori ebrei avevano invece accusato i Falascia di essere una razza impura, inferiore, degenerata, corrotta, un popolo di stregoni, dedito alla poligamia e che praticava la castrazione. Per questi accusatori i Falascia non discendevano dagli Ebrei della Palestina, ma erano indigeni Agau convertiti all'Ebraismo.

Ma - obiettava Faitlovitch - gli Abissini consideravano invece i Falascia autentici Ebrei e li rispettavano per il coraggio dimostrato nel difendere la loro fede, considerata ingiustamente dagli avversari un confuso miscuglio di elementi pagani e cristiani contaminato con qualche cerimonia giudaica. Quel giudizio era frutto della ignoranza degli esploratori, posti in difficoltà dalla mancanza di un contatto diretto con i Falascia, nelle cui preghiere non erano presenti tracce cristiane, non era mai citato il nome di Gesù, come aveva messo in luce Halévy nella sua opera "Prières des Falachas”.

Ignoravano i Falascia la lingua ebraica, ma ciò non dimostrava una loro estraneità all'Ebraismo, poiché gli Ebrei emigrati prima della venuta di Cristo avevano adottato la lingua locale, dimenticando l'originaria. Erano ridicole le accuse di stregoneria e di praticare la  castrazione: nel saggio apparso sul Bollettino della Società geografica francese D’Abbadie aveva chiarito come soltanto gli eremiti fossero celibi e per reprimere gli istinti sessuali mangiassero una radice capace di cancellare ogni traccia di virilità in essi, per cui si arrestava anche la crescita della barba; tutti gli altri Falascia erano coniugati e con prole.

Falsa pure l'accusa di immoralità: avevano riconosciuto la loro moralità Stern e i viaggiatori tedeschi Theodor von Henghin (“Reise nach Abessinien”) e F. Rosen (“Eine deutsche Gesandtschaft in Abessinien”), le donne dei Falascia erano madri affettuose, fedeli al marito; in alcuni casi si erano suicidate per sfuggire alla violenza.

Nella sua conclusione Faitlovitch ribadiva i favorevoli giudizi già espressi in precedenza sui Falascia: "Les Falachas sont juifs sous tous les points de vue, et c’est grâce à leur religion aussi bien quà leur origine, quils sont restés de tout temps supérieurs aux Abyssiniens et quils ont pu affronter tous les périls du passé”.

Ed ancora: "Supérieurs aux habitants de l’Abyssinie, par les mœurs et par le caractère, il ne leur manque qu’un peu d’instruction pour briller au milieu des ténèbres de leur pays…Ce sont les pionniers futurs du progrès en Ethiopie, car ils portent la religion la plus épurée et le caractère le plus apte aux perfectionnement”.

Un senso di solidarietà spingeva Faitlovitch ad enfatizzare le qualità dei Falascia; coglieva comunque nel segno nel confutare i pregiudizi nutriti su di essi, come la stregoneria, la dissolutezza, la pratica sanguinosa della evirazione. Non rispondeva invece a verità l'affermazione della loro appartenenza etnica al ceppo ebraico, respingendo con sdegno razzista l'ipotesi che si trattasse di Agau convertiti all'Ebraismo, ormai  concordemente accettata.22

- 91 -Per quanto preso dalla stesura di quegli scritti, Faitlovitch non trascurò di propagandare i suoi progetti effettuando un giro di conferenze in varie città per far conoscere i Falascia ad un pubblico più vasto.

Questa attività di conferenziere trovò spazio sulla stampa ebraica: ne parlava con simpatia il "Corriere Israelitico" di Trieste il 30 novembre 1906, riferendo sulla conferenza tenuta in quella città  il 22 dello stesso mese. Nel resoconto erano riportate notizie sui Falascia ed era commentata con simpatia la proposta di creare una scuola per essi; si affermava l'interesse italiano a sostenere quegli abili artigiani, molto utili, considerata anche la riluttanza degli operai italiani a vivere nella lontana Eritrea. Era visto con favore il progetto di Faitlovitch di fondare in ogni città comitati incaricati di raccogliere fondi per finanziare le iniziative a favore dei Falascia: se ne erano mostrati entusiasti i capi di molte comunità ebraiche, fra cui quello di Trieste "La causa" - affermava il giornale - non è confessionale, ma mira alla conservazione di genti che onorano il nostro popolo e rivelano la nostra superiorità.”

Era un'impennata di orgoglio ebraico cui faceva riscontro sullo stesso numero del "Corriere Israelitico" una nota dedicata ai Falascia, in cui si rimproverava agli Ebrei d'Europa di aver ignorato le ricerche di Luzzatto e di Halévy e di non aver preso iniziative per i Falascia meritevoli di aiuto; "... essi - scriveva il giornale - hanno infatti un così profondo desiderio di imparare, un così ampio corredo di beni morali, che si elevano sopra tutti gli africani circostanti". Si dava poi notizia del Comitato pro Falascia costituito a Firenze, coinvolgendo però anche rappresentanti di altre città; ne facevano infatti parte, oltre al rabbino capo di Firenze, Margulies, in qualità di presidente, il rabbino di Roma, Castiglioni, quello di Torino, Bolaffio, e quello di Milano, Da Fano. Al comitato aveva pure aderito l'editore fiorentino Leo S. Olschki e l'avvocato Raffaele Ottolenghi di Acqui ne era il tesoriere.

Il 31 gennaio 1907 il "Corriere Israelitico" tornò ad occuparsi dei Falascia con due distinte note; la prima, intitolata "Un commento ebraico al Comitato pro Falascia", ribadiva l'utilità di quella gente per l'Italia, interessata ad affermare, nonostante la sconfitta di Adua, la sua presenza in Etiopia. Inoltre, occuparsi dei Falascia avrebbe esteso l'attività internazionale degli Ebrei italiani ed aiutarli era quindi un interesse reciproco, come aveva affermato "Ha’ dam", giornale ebraico tedesco pubblicato a Colonia sul numero 2 del 1907.

La seconda nota "Il Governatore dell'Eritrea per i Falascia" lodava Martini, definito " l'intellettuale Governatore dell'Eritrea" per la sua disponibilità a fondare una scuola per i Falascia, che erano "... gli intellettuali dell'Etiopia".

In realtà Martini si era mostrato piuttosto freddo al riguardo, limitandosi a consigliare un semplice e distaccato consenso all'iniziativa, senza troppo esporsi a sostenerla.

Al riguardo equivocava quindi il giornale triestino lodando ancora il 28 febbraio 1907 nel suo "Notiziario" il governatore per aver assicurato "... da parte dell'Italia ufficiale ogni più largo appoggio alla nobile iniziativa". In questa nota si esortavano gli Ebrei italiani a raccogliere i 50.000 franchi ritenuti necessari per costruire la scuola e si esprimeva la speranza in una concessione gratuita del terreno in Eritrea da parte del governo italiano.

Con una polemica tutta interna al mondo ebraico si affermava poi: "Se l'Italia israelitica ufficiale, borghese e plutocratica, ha avuto paura di far della politica giudaica col sionismo, si ricordi che oggi le si chiede una politica giudaico-italiana, anzi umana".

- 92 -Era pure riportata una lettera di Ottolenghi; i Falascia non chiedevano "... pane o denaro, - assicurava l'avvocato di Asti - come con assalto  importuno sogliono fare purtroppo i nostri mendichi dell'Israele occidentale, che la lunga servitù debilitò".

La generosità degli Ebrei italiani si sarebbe rivelata contagiosa - sperava Ottolenghi - : il loro esempio non sarebbe stato seguito dall'Alliance Israélite Universelle e dall’Hilfsverein.

Erano iniziate ad affluire in Italia le offerte: ad Acqui si erano raccolte 745 lire  (di cui 500 date dallo stesso Ottolenghi); a Firenze Leo S. Olschki e Raffaele Rosselli avevano offerto 500 lire ciascuno ed il vicepresidente della Jewish Colonisation Association aveva inviato  1000 lire. Si era ben lontani - c'è da osservare - dall'obiettivo di raccogliere 50.000 franchi.

Ottolenghi lamentava infatti sul "Corriere Israelitico" del 30 giugno 1907 ("Notiziario, Italia. Per i Falascia".) l'insufficienza delle offerte fino ad allora pervenute. Si erano avuti i buoni risultati solo a Firenze; i rabbini delle altre città, per pigrizia o per gelosia, avevano fatto ben poco: a Milano il rabbino capo Da Fano aveva raccolto 225 lire in tutto.

Il giornale e riprendeva poi dall'articolo di Ottolenghi sulla "Nuova Antologia" del aprile 1907 la notizia dell'intervento della "Dante Alighieri" a favore dei Falascia, promesso dal presidente Pasquale Villari.

Ancora Ottolenghi lamentava sempre sul "Corriere Israelitico" (31 agosto 1907, "Pro Falascia") l'inerzia degli Ebrei italiani: la guida dell'iniziativa era destinata perciò a passare alle organizzazioni ebraiche di altri paesi, come la britannicaJewish Colonisation Association”: eppure avrebbe avuto un'utilità economica per l'Italia servirsi dei Falascia come intermediari per la penetrazione commerciale in Etiopia, unendo agli interessi spirituali quelli economici, secondo il metodo abilmente adottato dagli Inglesi.

Il giornale dava pure notizia che per la spedizione in Etiopia era annunciata la duplice direzione di un esperto di questioni scolastiche, Somekh, designato dall'Alliance Israélite Universelle, e di Faitlovitch per conto del Comitato pro Falascia di Firenze. I due avrebbero presto incontrato Margulies a Firenze ed avrebbero viaggiato insieme. Ma presto la situazione cambiò: " Il Corriere Israelitico" annunciò il 30 novembre 1907 la variazione resa necessaria dalla rinuncia di Somekh, per cui - secondo un comunicato dell'Alliance - sarebbe stato sostituito da Nahum, accompagnato da un medico ebreo (solo in seguito si precisò trattarsi del dottor Eberlein). Alla notizia il giornale riservava un commento distensivo nel suo ottimismo: “Il Corriere Israelitico è lieto dell'interesse che la benemerita società prende alla sorte dei nostri fratelli coraggiosi di Abissinia e fa nuovi voti per la loro redenzione morale".

Ancora fiducioso ed ottimista si dimostrava il giornale triestino nel successivo numero del 31 dicembre 1907 ("Notiziario. Italia. Pro Falascia") nel dare notizia dell'incontro svoltosi a Parigi tra Margulies ed i dirigenti dell'Alliance Israélite Universelle per definire la collaborazione tra Nahum, Eberlein e Faitlovitch. Scriveva difatti “Il Corriere Israelitico": "L'importanza di queste notizie che preludono, speriamo, ad una pronta ed efficace opera redentrice dei Falascia, non sfuggirà ai nostri lettori".

- 93 -Illusione subito dissolta da una notizia dell'ultima ora, riportata in una nota aggiuntiva sullo stesso numero del 31 dicembre 1907: Faitlovitch aveva rifiutato di partecipare alla missione, perché riteneva il suo ruolo subordinato all'autorità di Nahum; il Comitato di Firenze nella sua riunione del 25 dicembre aveva ritenuto che la mancata partecipazione dello studioso polacco avrebbe reso inutile la missione per gli scopi da raggiungere e quindi aveva rinunciato ad essa,"... riservandosi di cercare altri mezzi per conseguire il proprio intento".

Le vicende della spinosa trattativa con l'Alliance furono esposte sul “Corriere Israelitico" del 31 gennaio 1908 ("Pro Falascia. Il conflitto coll'Alliance") pubblicando una lettera del Comitato fiorentino, firmato congiuntamente dal presidente Zvi Margulies, dal segretario Moise Finzi e dal tesoriere Raffaele Ottolenghi. Margulies era riuscito a convincere l'Alliance a desistere dal suo originario proposito di escludere Faitlovitch dalla missione, in quanto era ingiusto: il giovane polacco aveva avuto per primo l'idea di quella iniziativa e la sua esperienza sarebbe stata preziosa ai fini dell'impresa. Si era raggiunto un accordo in base al quale Nahum doveva essere il capo della missione di cui comunque avrebbe fatto parte Faitlovitch. Ma quest'ultimo aveva rifiutato quella condizione ritenendolo umiliante e pertanto il Comitato aveva deciso di rinunciare ad una missione congiunta e di organizzarne a parte una propria, rivolgendosi ad altre organizzazioni israelitiche perché la finanziassero.

La rottura con l'Alliance aveva comportato le dimissioni di Margulies dal Comitato centrale di quell'associazione, con la quale restava un altro motivo di contrasto, oltre alla controversia per la partecipazione di Faitlovitch alla spedizione.

La "Jewish Colonial Association” aveva assicurato al Comitato fiorentino un contributo di 10.000 franchi per la scuola dei Falascia, da versarsi tramite l'Alliance fino ad allora partecipe della progettata missione congiunta: l'associazione di Parigi subordinava però l'attuazione del progetto scolastico all'esito di una preliminare missione esplorativa della fattibilità di quella iniziativa affidata a Nahum e quindi la somma restò bloccata.

Il presidente della Hilfsverein des Deutschen Juden assicurò un finanziamento per la missione di Faitlovitch, che il Comitato pro Falascia - assicurava Ottolenghi con una lettera pubblicata sul “Corriere Israelitico  del 31 marzo 1908 sotto il titolo "Pro Falascia. L'Alliance Israélite fa da sé" - era intenzionato comunque a far svolgere finanziandola con i fondi raccolti; era prevista la partenza del giovane Falascia Ghettiè assieme a Faitlovitch.

Con un  inguaribile ottimismo che sfiorava il candore, il “Corriere Israelitico" commentava con queste parole la lettera di Ottolenghi: "Così ora i Falascia interessano per due vie il mondo ebraico: dalla Francia e dall'Italia. Speriamo che l'emulazione sia vantaggiosa ai fratelli abissini".

Anche "Il Vessillo Israelitico" si era occupato delle iniziative di Faitlovitch, dando notizie sul suo primo viaggio in Etiopia e sulla sua successiva attività per divulgare i risultati con un articolo di Ferruccio Servi, subentrato al padre Flaminio nella direzione del giornale. Nell'articolo, pubblicato nell'ottobre 1906 sotto il titolo "Per i Falashas”, erano ricordati i nomi di quanti avevano sostenuto la prima spedizione compiuta  negli anni  1904-1905: il grande  rabbino  di  Francia Zadoc  Kahn, il

- 94 -barone Edmund de Rotschild, il rabbino capo di Firenze, Margulies, il rabbino capo di Roma, Castiglioni. Inoltre i deputati italiani Romanin Jacur e Leopoldo Franchetti, interessati da Margulies, avevano raccomandato Faitlovitch al governatore Martini perché gli riserbasse una cortese accoglienza.

Scopo di Faitlovitch era stato sottrarre i Falascia "... alle insidie sempre maggiormente insistenti dei missionari evangelici"; tornato dal viaggio ne aveva esposto i risultati in una conferenza tenuta a Casale in Piemonte. Nel suo articolo Servi si era augurato un appoggio di tutte le comunità a Faitlovitch e questo appello era stato accolto a Casale dal rabbino Aldo Lattes, dal signor Lelio David Sacerdote, dal capitano medico Teodoro Foà, che aveva prestato servizio in Eritrea.

Nel successivo numero del novembre 1906 "Il Vessillo Israelitico" dava notizia della costituzione del Comitato pro Falascia, avvenuta a Firenze, e dell'esito positivo delle conferenze tenute da Faitlovitch in Italia, Austria e Germania. Da Venezia Giuseppe Bassi informava sul brillante successo ottenuto dalla conferenza di Faitlovitch il 15 novembre per illustrare le richieste dei Falascia; per l'occasione era stata organizzata una mostra fotografica sui loro tipi fisici, sui loro costumi e sul loro abbigliamento.

In sintonia con il "Corriere Israelitico"  anche il "Vessillo" (febbraio 1907, gennaio 1908riferiva sulla raccolta di fondi promossa dal Comitato di Firenze e sui suoi rapporti con l'Alliance Israélite.

Margulies dopo la rottura con l'Alliance continuava a tallonare l’Hilfsverein des Deutschen Juden, arrivando a proporre con lettera del 14 gennaio 1908 al presidente Paul Nathan di capeggiare la spedizione in Etiopia.

La proposta fu cortesemente declinata da Nathan con la sua del 21 gennaio 1908, spiegando che era da evitarsi l’impressione di una rivalità dell’Hilfsverein con l'Alliance, tale da spingerlo ad assumere in prima persona la responsabilità della missione. Nathan  incoraggiava Margulies a realizzare il suo nobile progetto e gli proponeva a sua volta di esser lui il capo della spedizione: l'interesse italiano a difendere la cultura e l'Ebraismo avrebbe giustificato l'accettazione di quel ruolo da parte del rabbino capo di Firenze. Consigliava quindi di formare un comitato internazionale e di chiedere un contributo all’Hilfsverein, da aggiungere a quelli offerti da altre associazioni; a parere di Nathan esistevano buone possibilità perché fosse accolta quella richiesta.23

In contemporanea con questo scambio epistolare con l’Hilfsverein, il Comitato pro Falascia proseguì i contatti con il Ministero degli Esteri italiano. Nella sua lettera del 26 gennaio 1908 al ministro Tittoni, Ottolenghi affermava che, aiutando i Falascia con una scuola, il governo italiano "... farebbe opera civile e, lungi dal crearsi competizioni (come avviene talora colle missioni) si acquisterebbe lodi e benedizioni e simpatie".

Le difficoltà economiche del Comitato derivavano dalla mancata adesione di nomi illustri dell'Ebraismo italiano. Esisteva comunque una certa disponibilità finanziaria; il Comitato aveva raccolto 8.000 lire; un contributo ancora maggiore era atteso palese dell’Hilfsverein; la Jewish Colonisation Association aveva già promesso 10.000 lire per la spedizione inviandole all'Alliance Israélite Universelle presso cui la somma era rimasta bloccata.

- 95 -Il Comitato aveva rinunciato ad un'azione comune con l'Alliance perché questa era uno strumento della politica francese. "Quei Falasha - affermava Ottolenghi - si denatureranno sotto l'influenza della scuola dell'Alliance. Diverranno dei bastardi francofili".

Dopo queste spiegazioni di comodo sulla rottura dei rapporti con l'Alliance, Ottolenghi auspicava che Tittoni desse il suo appoggio e che Luzzatto o un altro deputato ebreo accettasse la presidenza, seppure onoraria, del Comitato: se ciò si fosse verificato, si sarebbe avuta l'adesione dei Treves e dei Levi, fino ad allora rifiutata.

La lettera di Ottolenghi si concludeva con la richiesta di "... 4 o 5 stanzette all'Asmara" e di un contributo annuo di 5.000 lire, sufficiente per aprire la scuola, poiché "... il vitto per quella povera gente costa poco".

In calce alla lettera figura un’ appunto anonimo e privo di data del Ministero per segnalare l'opportunità di chiedere il parere del rappresentante italiano in Etiopia, il conte Colli.

Con un'accorta regia, basata sulla divisione dei ruoli, già il 3 febbraio 1908 Margulies sollecitava il responsabile dell'Ufficio Coloniale del Ministero Affari Esteri, Agnesa, per una risposta alla lettera di Ottolenghi, facendo presente la necessità di una pronta azione italiana mentre la Francia si accingeva ad agire in Etiopia per mezzo del l'Alliance, dopo i successi già riportati in Marocco ed in altri paesi africani.

Pressato con una insistenza che rasentava l'indiscrezione, Tittoni il 9 febbraio telegrafava a Colli, tramite il governo dell'Eritrea, chiedendo il suo parere sulla questione della scuola per i Falascia.

Già il 30 gennaio 1908 Salvago Raggi si era detto d'accordo con il suo predecessore Martini nel ritenere odioso vietare una scuola professionale per i Falascia, dal momento che non si era fatta opposizione ad iniziative scolastiche di altro segno religioso, rinnegando esplicitamente un atteggiamento antisemita; riteneva però che da quella scuola non sarebbero venuti per la Colonia "... vantaggimoralimateriali, ma solo difficoltà". Pertanto il governatore riteneva che "... l'iniziativa del signor Faitlovitch non fosse né da ostacolarsi né da favorirsi".

Colli rispose a Tittoni con telegramma del 17 febbraio, trasmesso da Asmara il successivo 19; secondo il diplomatico la concessione di un terreno edilizio per la scuola in Eritrea non avrebbe prodotto "... in Etiopia speciale impressione sfavorevole"; con prudenza diplomatica seguiva però la precisazione di non averne parlato con Menelik.

Non si arrestava il pressing del Comitato; Margulies si rivolgeva a Tittoni il 25 dello stesso febbraio 1908 per chiedere un contributo annuo di 10.000 lire : la precedente richiesta di 5.000 lire, avanzata da Ottolenghi appena un mese prima, il 26 gennaio, era lievitata sino a raddoppiarsi perché le offerte su cui si era fatto affidamento erano state inferiori al previsto. In attesa del terreno ad Asmara per costruirvi la scuola, si faceva richiesta di un locale provvisorio di almeno cinque stanze, da concedersi gratis. In cambio, si assicurava che scopo delle Comitato era "... infondere negli animi dei giovani Falascia, che verranno educati nel collegio, insieme ai sentimenti religiosi anche quelli dell'amore e dell'entusiasmo per l'Italia nostra"

Si dimostrò comunque poco efficace questo patriottico sentimento per strappare il consenso del governo italiano.

- 96 -Agnesa, direttore dell'Ufficio coloniale del Ministero degli Esteri inviò a Tittoni il 13 marzo 1908 un promemoria per fare il punto della situazione. Ricordato che prima di Margulies alla questione si erano interessati gli onorevoli Luzzatto e Romanin Jacur, oltre che Ottolenghi, il funzionario faceva presente che il contributo di 10.000 lire annue, richiesto per un periodo di cinque anni, sarebbe dovuto gravare sul bilancio del Ministero Affari Esteri, poiché il governo della Colonia non era in grado di corrisponderlo. Si dimostrava possibilista per la concessione gratuita del terreno edificabile e di un locale provvisorio; tale disponibilità trovava però un limite nell'opportunità, concordemente affermata prima da Martini e poi da Salvago Raggi, di non ostacolare l'iniziativa per i Falascia senza comunque assumere impegni economici. Era infine ricordato il recente giudizio di Colli, favorevole seppur con la riserva di non aver consultato l'imperatore Menelik.

In calce a questo documento Tittoni apposte questa annotazione: "Accetto il parere di Martini e di Salvago Raggi perciò sono contrario al sussidio. Quanto al terreno e locale lascio a Salvago Raggi di fare ciò che meglio crede".

In conclusione, un rifiuto ed una larvata indifferenza, scaricando sul governatore dell'Eritrea la responsabilità di una decisione.

Quasi in coincidenza con il promemoria di Agnesa, il giorno precedente, cioè il 12 marzo 1908, l’instancabile Ottolenghi caldeggiò ancora il progetto per i Falascia, scrivendo a Tittoni: "Mentre le altre Missioni religiose vanno in Africa a portare germi di odio (e io fui V. Console e lo vidi) noi ci troveremmo a portare nei Falascia  il ricordo della loro stirpe".

Era utile, aggiungeva Ottolenghi, non lasciare l'iniziativa ai Tedeschi (già l’Hilfsverein si stava attivando) o ai Francesi.

E poi, quasi avesse avuto sentore del tiepido atteggiamento del governatore dell'Eritrea, concludeva così: "Io temo  che il Salvago Raggi non si lasci influenzare dalle Missioni Cattoliche, che temono concorrenze che non hanno ragione di essere".

Ad Ottolenghi rispose il 21 marzo direttamente Tittoni, non celando una punta di fastidio per l'insistenza e per il fatto di avere più interlocutori. Diceva di aver avuto un recente incontro con Margulies e che in futuro si sarebbe rivolto al rabbino per tenerlo informato sugli sviluppi della vicenda, su cui forniva comunque informazioni allo stesso Ottolenghi, riferendo di aver chiesto il parere di Colli e di Salvago Raggi, cui avrebbe lasciato libertà di iniziativa, senza però intervenire attivamente.

Lo stesso giorno Tittoni scrisse a Luzzati di aver consultato il governatore dell'Eritrea ed il rappresentante italiano in Etiopia e di non esser contrario in linea di principio all'iniziativa, purché questa restasse di natura privata. Seguiva nella minuta un brano poi cancellato nel testo definitivo: le autorità locali "... non si mostrarono entusiaste del progetto la cui attuazione potrebbe sollevare il malcontento tra le popolazioni cristiane e musulmane della nostra colonia".

Tale accenno avrebbe difatti attenuato la portata delle generiche assicurazioni con cui la lettera si concludeva: "Le domande specifiche del dottor Margulies... sono ora in esame col desiderio di prenderle, per quanto si può, in considerazione".

Quelle "domande specifiche" Margulies le riduceva di molto nella lettera ad Agnesa del 2 aprile 1908; non chiedeva più né 5.00010.000 lire di contributo annuo, né un terreno edificabile per la scuola, accontentandosi di molto meno: "Almeno almeno bisogna che il governo ci dia il locale, un

- 97 -Maestro d'italiano ed un inserviente". Inoltre il rabbino chiedeva l'assistenza dei residenti italiani e delle autorità in Eritrea per Faitlovitch nel corso del suo viaggio.

Fu sollecita la risposta di Tittoni, anche se diversa da quella che Margulies avrebbe voluta: non esistevano, assicurò il Ministro il 5 aprile, obiezioni di natura politica per la scuola da destinare ai Falascia, a condizione però che l'iniziativa fosse esclusivamente privata; pertanto il governo non poteva concedere alcun contributo, lasciando comunque a Salvago Raggi la libertà di decidere per la concessione del terreno edificabile.

Su di un punto almeno Tittoni soddisfece le richieste di Margulies: segnalare l'arrivo di Faitlovitch perché le autorità italiane gli fornissero assistenza. Il 18 aprile con due distinti dispacci dello stesso tenore il Ministro infatti chiese all'agenzia diplomatica al Cairo ed alla legazione in Etiopia di aiutare all'occorrenza lo "studente polacco" Jacques Faitlovitch interessato a studi sui Falascia in Eritrea ed in Etiopia. In pari data fu inviato a Salvago Raggi un altro dispaccio per chiedergli di aiutare nei modi "ritenuti più opportuni" Faitlovitch in viaggio per accertare la possibilità di una scuola per i Falascia.24

Da notare che il Ministro faceva sua - non è chiaro se inconsapevolmente - la versione minimalista dell'Alliance Israélite Universelle sugli scopi della missione presso i Falascia: non si parlava di un'apertura della scuola come di un fatto scontato, ma soltanto dell'accertamento della possibilità di istituirla.

Le ripetute dimostrazioni di sentimenti patriottici da parte di Margulies e di Ottolenghi nel loro carteggio con il Ministero degli Esteri erano indubbiamente volte ad accattivare la simpatia degli interlocutori per la causa dei Falascia, presentata come un'occasione propizia per favorire le aspirazioni coloniali italiane. Non era comunque un semplice espediente; gli Ebrei italiani erano infatti assimilati in maggioranza e, divenuti ardenti patrioti, condividevano ideali ed aspirazioni nazionali, a partire dall'esaltazione del Risorgimento fino ai progetti di espansione coloniale propri di quell'epoca. Per limitarsi ad una sola citazione, è da ricordare quanto il rabbino mantovano Marco Mortara aveva scritto nel suo articolo "L'amor di patria nel giudaismo", pubblicato su "Il Vessillo Israelitico" dell'anno 1867-68 (p.52): "... non è già il giudaismo che vi insegnerà dogmi contrari alla ragione, che vi imporrà precetti incompatibili cogli obblighi di devoto cittadino". Ed anni dopo, nel commemorare Umberto I ucciso a Monza, il rabbino di Torino, Foà, affermava: “Sentiamo di essere più che Israeliti, anzitutto Italiani”. Parole che destarono la reazione di Dante Lattes, pioniere del sionismo in Italia, che su “Il Corriere Israelitico” di cui era condirettore (“Rabbini e patriottismo”, n. 5 del 1900), scrisse: “Questa professione di fede politica, così esageratamente assimilatrice, sta male in bocca d’un Rabbino, il quale è il rappresentante più puro dell’Ebraismo storico”.

Gli Ebrei italiani, a giudizio di attenti ed autorevoli osservatori stranieri quali Max Nordau ed Anatole Leroy-Beaulieu, erano i più integrati in Europa.25

Mentre Margulies ed Ottolenghi dialogavano con Tittoni ed Agnesa, dal canto suo Faitlovitch non restava inoperoso; si attendevano dall’Hilfsverein i fondi  per la spedizione e quindi  egli all'inizio

del 1908 trascorse in Germania un periodo di tempo per incontrare i principali esponenti dell'Ebraismo tedesco e consultare etiopisti come Mittwoch e storici come Elbogen; per cercare altri finanziamenti si recò in Olanda ed in Inghilterra e fu pure a Parigi per ricevere da Halévy le ultime istruzioni.

- 98 -Il 9 marzo partì per l'Italia, dove fece tappa a Torino, Acqui, Genova, Sanremo, Firenze e Roma, incontrando esponenti dell'Ebraismo italiano, studiosi e naturalmente il Comitato pro Falascia di Firenze.

A Roma ritirò il suo opuscolo in amarico "Lettere ai Falascia" ("Tomare Felasjian"), stampato dalla tipografia del Vaticano, da distribuire tra i Falascia in Etiopia perché conoscessero l'attività da lui svolta per attirare su di essi l'attenzione del mondo. Nell'opuscolo era riportata la lettera di alcuni rabbini europei che promettevano il loro contributo per l'educazione dei Falascia: era confermata in tal modo l'esistenza di Ebrei in altre nazioni, oltre che in Etiopia, smentendo i missionari protestanti che avevano sostenuto esser finito l'Ebraismo, assorbito dal Cristianesimo.

Inoltre i due giovani Falascia, Ghettiè e Taamrat, venuti in Europa nel 1905, affidarono a Faitlovitch una lettera per rassicurare sulla loro sorte, comunicando di star bene e di studiare religione e scienza.

Ma per dare una prova vivente dell'autenticità di quelle notizie, Faitlovitch decise di farsi accompagnare nel suo viaggio da Ghettiè ed i due partirono per l’Africa da Napoli il 3 aprile 1908. Fecero sosta al Cairo, dove Faitlovitch fondò un Comitato per i Falascia, presieduto dal dottor Cohen, volendo coinvolgere nella sua iniziativa gli Ebrei egiziani. Ripartirono dall'Egitto il 26 aprile e giunsero alfine a Massaua il maggio 1908.

Fu poco felice il primo impatto di Faitlovitch con le autorità coloniali italiane; si affrettò infatti a richiedere territori coltivabili per i Falascia, richieste di cui né Margulies né  Ottolenghi avevano mai parlato nel corso delle trattative con il Ministero degli Esteri. Salvago Raggi comunicò a Tittoni il 16 maggio quella inattesa richiesta, che, secondo Faitlovitch, nasceva da una esplicita promessa del governo italiano.

Il governatore informava che non c'erano territori agricoli da assegnare, né poteva procedere ad espropri"... per evitare difficoltà certe colle popolazioni". Asseriva inoltre di non disporre di un locale per la scuola; in quanto poi alla richiesta di un insegnante di italiano, la competenza spettava all'ispettorato per le scuole italiane all'Estero, organo del Ministero della Pubblica Istruzione.

Il governatore riteneva frutto di un malinteso la richiesta di terreni coltivabili e mostrava di non credere all'affermazione di Faitlovitch circa promesse del Ministero degli Esteri al riguardo. Con evidente fastidio Salvago Raggi e riferiva poi la richiesta di una tenda e di altri piccoli oggetti fatta da Faitlovitch: il Comitato per i Falascia contava sull'appoggio di facoltosi ebrei ed avrebbe quindi potuto provvedere a soddisfare quelle minute esigenze.

Nella sua risposta del 20 giugno 1908 Tittoni smentì esserci stata una qualsiasi promessa di terreni agricoli ed in quanto all'area edificabile per la scuola aveva lasciato al governatore la decisione, come provato dalla lettera a Margulies del 5 aprile, di cui era allegata copia al dispaccio. Precisava poi che le risorse economiche del Comitato di Firenze erano limitate, come poteva desumersi da un articolo sul numero di marzo de "Il Vessillo Israelitico".

Lo stesso giorno il Ministro riferiva a Margulies le richieste di Faitlovitch a Salvago Raggi, ricordando di non aver fatto alcuna promessa di terreni coltivabili, contrariamente alle asserzioni di Faitlovitch. Si diceva inoltre stupito della richiesta delle "... più piccole agevolazioni come una tenda ed altri piccoli oggetti...", pur avendo l'esploratore polacco vantato le notevoli somme raccolte dal Comitato pro Falascia. Tittoni concludeva affermando di aver scritto al rabbino"... affinché Ella, se lo crede opportuno, possa inviare al signor Faitlovitch precise istruzioni".

- 99 -Con notevole imbarazzo il 26 giugno Margulies  rispose a Tittoni essere stato un eccesso di zelo a spingere Faitlovitch a fare la richiesta di terreni agricoli; il Comitato si limitava a chiedere un'area edificabile ed un locale provvisorio per la scuola, oltre ad un insegnante di italiano.

Contraddicendo poi la tesi di un eccesso di zelo del polacco, Margulies addebitava l'estemporanea richiesta di terreni coltivabili alla scarsa conoscenza dell'italiano posseduta da Faitlovitch, indotto perciò in errore, e sempre per un equivoco dovuto all’imperizia linguistica Faitlovitch aveva parlato di grandi somme pervenute al Comitato pro Falascia erano scarse invece le risorse disponibili al momento ed il rabbino si augurava potessero aumentare dopo l'entrata in funzione della scuola.26

Senza farsi scoraggiare dall'infelice esito delle sue richieste, Faitlovitch proseguì il suo viaggio verso l’Abissinia, seguendo lo stesso itinerario del primo viaggio, passando da Addi Ugri, Adua, Axum, Addi Scioa.

Si proponeva di rincuorare i Falascia ad aver fiducia nella sua opera, rinsaldando le speranze destate con il suo precedente viaggio e la loro fede ebraica. A tal fine fu un utile strumento la sua "Lettera ai Falascia", distribuita largamente e con successo, seguendo il metodo dei missionari protestanti che avevano svolto il loro apostolato con la distribuzione del Vangelo tradotto in amarico e di brevi scritti utili ad illustrare i principi del Cristianesimo.

Il successo ottenuto da quella "Lettera ai Falascia" ("Tomare felasyan”) indusse Faitlovitch a scrivere altre "Lettere" negli anni successivi: la "Lettera di fraternità" ("Tomare ehivna”) nel 1912, la "Lettera di consolazione" ("Tomare nazizo”) nel 1915, la "Lettera di pace" ("Tomare salam”) nel 1928 ed infine la "Lettera del latore di buone notizie" ("Tomare absore") nel 1936.

Tutte queste lettere furono stampate in amarico dalla tipografia vaticana di Roma e riscossero molto successo, tanto da esser conservate con venerazione quasi fossero preziose reliquie.

Come i protestanti anche Faitlovitch preferì scrivere le lettere in amarico, lingua nota a tutti, mentre il geez, lingua tradizionale del culto, era compresa da pochi.

Nel corso di quel suo secondo viaggio, oltre a svolgere propaganda religiosaFaitlovitch provvide a raccogliere tra i Falascia notizie utili per la creazione della scuola ad essi destinata, chiedendo dove ubicarla e quali possibilità di successo potesse avere l’iniziativa. Contava inoltre di ottenere l’affidamento di altri giovani Falascia perché fossero istruiti nell’istituto dell’Hilfsverein a Gerusalemme, dove venne appunto destinato un cugino di Ghettiè, Salomon  Isaac.

La scelta di quell’istituto non fu certo casuale, poiché era opera proprio dell’Hilfsverein il finanziamento della spedizione.

Un altro omaggio alla generosità di quella associazione fu la scelta di Faitlovitch di scrivere in tedesco e di pubblicare in Germania nel 1910 la relazione su questo secondo viaggio, "Quer Durch Abessinien”.

Ma la prova più significativa del crescente peso esercitato dall'Ebraismo tedesco sulla questione dei Falascia fu la trasformazione del Comitato pro Falascia da italiano in internazionale, come Paul Nathan, il presidente dell’Hilfsverein aveva consigliato a Margulies nella lettera già citata del 21 gennaio 1908. Diede notizia di quella trasformazione, fra gli altri, "Il Vessillo Israelitico" nel suo numero dell’ottobre 1908, esprimendo l’augurio che il nuovo comitato internazionale seguisse l’esempio di Margulies e di Ottolenghi, tanto motivati ed attivi.

- 100 -Margulies restava presidente del Comitato, la cui sede  continuava ad essere Firenze, fino al marzo 1914, quando fu spostata a Francoforte sul Meno e Margulies fu sostituito nella presidenza dal tedesco  Julius Goldschmidt. Del nuovo comitato, oltre a Margulies ed Ottolenghi, fecero parte per l'Italia i rabbini Chàjes (futuro rabbino capo di Vienna, ma allora operante a Firenze), Bolaffio, Da Fano, l'avvocato Leone Ravenna, il prof. Finzi, il cavaliere Angelo Sereni, presidente della Comunità Ebraica di Roma e dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane. Accanto a questa nutrita rappresentanza italiana sedevano i rappresentanti degli altri paesi: per la Germania  il dr. Ellbgen, il rabbino Jarè, il dr. Klee, il prof. Mittwoch (docente di lingua abissina nel seminario orientale di Berlino); il rabbino maggiore di Londra, Adler, il dr. Gudermann di Vienna, ed il patriarca degli studi falascia, Joseph Halévy.

Nel numero de "Il Vessillo Israelitico" del novembre 1908 Ottolenghi commentava malinconicamente quella trasformazione del Comitato, dovuta alla scarsa risposta delle comunità italiane alla richiesta di contributi economici. Non si era inoltre riusciti a vincere la "... poca voglia del Governo. Noi non possiamo -affermava polemicamente l'avvocato di Acqui - chiedere come mendicanti che un Governo fortemente influenzato dall'elemento missionario cristiano aiuti un'opera di Ebraismo. Speriamo che facciano i tedeschi quello che non riuscì qui. Certo nella nostra iniziativa si intrecciano bene gli interessi di Israele con quelli dell'Italia moderna".

Già in precedenza Ottolenghi aveva lamentato la scarsa generosità dimostrata dagli Ebrei italiani nel finanziarie il Comitato italiano pro Falascia ("Corriere Israelitico",30 giugno 1907, pp. 56-57 "Notiziario. Italia per i Falascia").

"Il Vessillo Israelitico" (agosto 1906, pp. 89-90 "Pro Falasha”) si era spinto a criticare pure il Comitato di Firenze, fatta eccezione per  Margulies, ed ancora nel settembre 1909 (p. 431 "Pro Falasha”) faceva amare considerazioni sulla trasformazione del Comitato italiano in un Comitato internazionale: " Dunque veramente pare che ci si rassegni a vedere compiere da altri quello che era nostro dovere assoluto di fare. Ne siamo molto addolorati".

Il giornale non rinunciava però a rivolgere a Margulies l'invito a compiere un ultimo sforzo perché l'iniziativa restasse italiana, formando a tale scopo comitati locali nelle varie città della penisola.

Speranze puntualmente seguite da delusioni, destinate a durare negli anni successivi.

"Il Vessillo Israelitico" nel dicembre 1910 ( p. 565Varie. Pro Falascia”) annunciava fiducioso un giro di conferenze di Faitlovitch, iniziatosi a Torino, per raccogliere adesioni ed offerte, ed esprimeva questo augurio: "Speriamo in un ottimo e proficuo resultato, anche per l'onore dell'Italia israelitica". Ma già nel gennaio successivo lo stesso giornale constatava con amarezza il fallimento di quel tentativo, esclamando: "Possibile che ad una nostra impresa si neghi quell'aiuto che in proporzione molto maggiore non si nega a quel qualunque missionario, purché  vestito all'orientale, che si rechi a visitare le nostre comunità?".

E dire che Faitlovitch non era poi un "qualunque missionario": su"Il Vessillo Israelitico" del giugno 1909 (pp. 276-277 "Un'intervista col dr. Faitlovitch") Arrigo Lattes (che si firmava con le iniziali A.L.) dava notizia di una corrispondenza di Abraham Galante dal Cairo, pubblicata dagli “Archives

 

- 101 -Israélites”, in cui si tracciava un parallelo tra le affermazioni sui Falascia fatte da Nahum e quelle di Faitlovitch, senza prendere posizione, dimostrando così una certa soggezione nei confronti dello studioso polacco, sebbene gli “Archives” fossero l'organo di quella Alliance  Israélite Universelle decisamente schierata contro Faitlovitch. Lattes si mostrava chiaramente  favorevole a Faitlovitch, pur riservandosi di esprimere un giudizio più preciso dopo aver letto la relazione finale sul viaggio compiuto.

Ed in precedenza "Il Vessillo Israelitico" (ottobre 1908, p. 492 "Pro Falascia”) aveva affermato avere il Comitato internazionale appena costituito piena fiducia in Faitlovitch, "... l'unico che sia adatto a condurre a compimento l'alto incarico..." di una missione presso i Falascia, essendo il più esperto conoscitore delle loro tradizioni.

La missione di Faitlovitch era stata movimentata dall'incontro con Nahum avvenuto ad Addis Scioa il 21 giugno 1908, quando l'inviato del l'Alliance era ormai sulla via del ritorno, avendo intrapreso il suo viaggio nel gennaio 1908, alcuni mesi prima del polacco. L'incontro non fu dei più calorosi; tuttavia Faitlovitch intervenne a favore del rivale, contro cui erano furiosi i Falascia perché aveva viaggiato di sabato, violando il precetto che imponeva il più assoluto riposo in quel giorno sacro; era stato giudicato quindi un impostore che si spacciava per ebreo. Faitlovitch confermò essere Nahum un ebreo autentico e l'indignazione di Falascia si rivolse allora anche contro di lui, accusato di essere un altro impostore in combutta con Nahum. Fu provvidenziale a quel punto l'intervento di Ghettiè che riuscì a placare l'ira dei Falascia, convincendoli dei buoni propositi di Faitlovitch, venuto per operare a loro vantaggio e non per ingannarli con menzogne.

Questa seconda missione non permise a Faitlovitch di ottenere risultati concreti per realizzare il progetto della scuola per i Falascia; ma l'esploratore ebbe l'occasione di incontrare Menelik nella residenza imperiale di Entotto, come poi riportato nella "Lettera della fraternità" del 1912, in cui era lodata la tolleranza del negus che lasciava libertà di culto ai Falascia, rinunciando all'uso della forza per piegarli alla conversione, a differenza dei suoi predecessori. In occasione di quell'incontro Faitlovitch espose all'imperatore le tristi condizioni dei Falascia, perseguitati perché ritenuti stregoni, costretti dai ras a lavorare gratuitamente, in alcuni casi ridotti in schiavitù e deportati in lontane regioni. Menelik promise di intervenire in loro difesa e di mettere fine a quelle persecuzioni; si ottenne in effetti qualche miglioramento. Nella sua ultima "Lettera", pubblicata a Roma nel 1936 ma composta ad Addis Abeba nel 1934, Faitlovitch ricordò ancora quel lontano fruttuoso incontro con Menelik, la cui azione a favore dei Falascia era stata proseguita da ras  Tafari nel 1928 con il decreto relativo alle condizioni di vita dei Falascia: essi avevano diritto a lavorare da uomini liberi, regolarmente retribuiti, per non più di 8 ore giornaliere.

Ma Faitlovitch avrebbe voluto dare inizio alle pratiche per l'apertura della scuola già nel 1908, non accontentandosi delle promesse di intervento a favore dei Falascia fatte da Menelik. Intervenne a frenarlo Margulies, facendogli presente con una sua lettera l'insufficienza dei fondi, appena sufficienti a coprire le spese del viaggio di ritorno.

- 102 -La seconda spedizione giovò comunque a render chiaro un piano d'azione; prima della sua partenza da Napoli il 3 aprile 1908, Faitlovitch aveva scritto al presidente dell’Hilfsverein proponendogli l'apertura della scuola e prevedendo una spesa di 50.000 marchi (e non lire) per la costruzione e di 15 o 20.000 annue per le spese di esercizio. La scuola doveva essere aperta anche alle donne, senza fissare un limite al numero degli allievi, tranne che all'inizio, quando si sarebbero potuti ospitarne 20 o 30 nel pensionato  annesso alla scuola; si mirava pure al recupero dei Falascia convertiti dai protestanti, ammettendoli a frequentare la scuola.

Non era definita la località dove aprire la scuola; Faitlovitch era indeciso tra Dembea in Etiopia, al confine con il Sudan, e varie località dell'Eritrea, sperando sempre di ottenere dal governo italiano un suolo edificabile, mirando ad averlo ad Asmara, perché più vicina ai centri falascia e più facilmente raggiungibile dall'Europa, o, in alternativa, a Tekul.

Negli anni 1906-1910 Faitlovitch, sebbene preso dall'organizzazione e dall'esecuzione della seconda missione in Etiopia, non trascurò i suoi studi. Nel 1907 tradusse in ebraico ed in francese un testo falascia, "Mota Muse" ("Morte di Mosè") e pubblicò "Proverbes Abyssins” (fu la sua tesi di dottorato), cui seguì nel 1909 "Nouveaux Proverbes Abyssinsapparso sulla Rivista di Studi Orientali di Roma; il rapporto con gli studiosi italiani fu confermato dalla successiva opera del 1910 "Versi Abissini", traduzione dal tigrino in italiano di poesie popolari fino ad allora affidata soltanto ad una tradizione orale. Malgrado le esortazioni di Conti Rossini, Faitlovitch non si decise a pubblicare i testi raccolti durante la spedizione del 1908; successivamente Taamrat Emmanuel nella commemorazione dedicata alla scomparsa di Aešcoly lamentò il poco tempo dedicato da Faitlovitch all'attività scientifica.

In Faitlovitch l'uomo d'azione prevalse sullo studioso, dedicandosi egli di preferenza ad una incessante attività per realizzare i suoi piani scolastici per i Falascia, pur concedendosi pause di riposo.

Una di queste pause si ebbe appunto a conclusione del secondo viaggio, quando trascorse un periodo di tempo ad Aden prima di ritornare in Europa, pur non trascurando di occuparsi anche allora dei Falascia. Cercò infatti di stabilire contatti con la comunità ebraica locale perché desse un sostegno all'azione per i Falascia, sì da estendere la rete dei benefattori, destinata a svilupparsi in seguito dall'Europa alla Palestina, agli Stati Uniti, fino ad Aden.

Faitlovitch prese l'abitudine di trascorrere ad Aden periodi più o meno lunghi in occasione di tutti i suoi successivi viaggi, per non restare troppo esposto al clima tropicale dell'Etiopia. La consuetudine fu motivo di contrasto con i finanziatori delle missioni, che consideravano quei soggiorni un inutile spreco.

Il quinto viaggio degli anni 1923-24 fu intervallato da periodi di riposo ad Aden ed ebbe inizio con un anno di ritardo, poiché già nel 1922 erano disponibili fondi per la missione e Faitlovitch indugiava a partire, trascorrendo il tempo dell'attesa in confortevoli e dispendiosi alberghi. In effetti l'esploratore polacco amava trattarsi bene, buona parte dei fondi raccolti servivano per le sue spese personali. Per definire tale comportamento  Manuela Trevisan Semi ha tacciato Faitlovitch di scrocconeria e quelle abitudini furono criticate soprattutto negli Stati Uniti, essendo divenuti gli Ebrei americani i principali finanziatori dei viaggi in Etiopia e nel resto del mondo.

- 103 -È questo un aspetto poco simpatico del carattere umano di Faitlovitch; senza disconoscere i suoi indubbi meriti di sostenitore della causa dei Falascia, va inoltre ricordata la scarsa sensibilità da lui dimostrata verso i giovani portati dall'Etiopia in Europa a studiare, non curandosi dei loro problemi di adattamento al nuovo ambiente, tanto diverso da quello nativo e dell'isolamento in cui erano costretti a vivere. In alcuni casi le vicende di quei giovani si conclusero tragicamente, come avvenne per Hizkiahu Finka, malvisto, privo di assistenza a Firenze e poi spedito a Torino, dove fu accusato fra l'altro di omosessualità, ammalatosi di tubercolosi per il clima rigido, allontanato dal sanatorio ebraico di Merano per le difficoltà economiche a mantenerlo, destinato a finire tristemente i suoi giorni ad Alessandria d'Egitto perché in Italia nessuno voleva più occuparsi di lui. Faitlovitch non intervenne in modo alcuno: per lui non contava il singolo, ma il piano generale per cui Hizkiahu doveva continuare a studiare in Italia per poi rientrare in Etiopia ad operare a vantaggio della causa.27

Nahum condusse la missione affidatagli da l'Alliance Israélite Universelle in parte contemporaneamente a quella di Faitlovitch, partendo prima e rientrando pure prima; nel complesso si trattiene in Etiopia molto meno del polacco (solo cinque mesi rispetto ai 18 circa del suo concorrente) e ciò gli procurò l'accusa di aver tratto le sue conclusioni in modo affrettato e superficiale. L'Alliance era venuta preparando la missione di Nahum sui suoi organi di stampa. In un articolo non firmato apparso sul Bulletin si era ricordato il costante interessamento dell'Alliance per i Falascia, risalente alla missione Halévy nel 1867, da cui non si erano però potuti avere risultati esaurienti a causa della brusca interruzione dovuta allo stato di guerra allora esistente in Etiopia. Dopo un lungo intervallo, Faitlovitch nel 1904 aveva guidato una nuova spedizione; ma - scriveva il Bulletin - "...ses explorations furent également très sommaires” (“ le sue esplorazioni furono parimenti molto sommarie"). Dopo aver criticato così l'opera di Faitlovitch, in precedenza giudicata invece con favore, si toccava un argomento scottante: l'arrivo dei due giovani Falascia nella scuola parigina nel novembre 1905 ed il loro ritiro disposto da Faitlovitch.

I due giovani studiavano con profitto e facevano rapidi progressi, ma - si asseriva - "...comme M. Faitlovitch prétendait conserver la direction de leur education, il enleva ces jeunes gens de l’École Orientale contre le gré de l'Alliance, qui n’avait aucun titre légal pour s’opposer à cette action violente” ("... poiché il signor Faitlovitch pretendeva conservare la direzione della loro educazione, ritirò quei giovani dalla Scuola Orientale contro il volere dell'Alliance, che non aveva alcun titolo legale per opporsi a quell'azione violenta").

L'Allianceproseguiva l’articolo - aveva accettato di collaborare con il Comitato pro Falascia di Firenze, decidendo di comune accordo di organizzare una missione affidata a Nahum. La collaborazione era però cessata per la differenza di vedute sulle finalità della missione: per l'Alliance infatti essa doveva avere un carattere esplorativo, per accertare tutti i punti oscuri, dal momento che non si conosceva neanche il numero esatto dei Falascia. Solo dopo quella verifica si sarebbe potuto decidere il da farsi. Nahum era partito all'inizio del gennaio 1908, giungendo a Gibuti il giorno 16 dello stesso mese ed il 16 febbraio ad Addis Abeba. Il governo francese, a richiesta dell'Alliance, aveva assicurato il suo appoggio alla spedizione ed il ministro plenipotenziario Klobukovski, in missione in Etiopia, aveva ottenuto per Nahum un'udienza del negus, avvenuta il 6 marzo.

- 104 -Menelik  aveva accolto con benevolenza la missione dell'Alliance, per conto della quale Nahum  aveva presentato un messaggio. Nahum aveva dato notizia dell'avvenimento con un telegramma inviato all'Alliance. (Bulletin de l’Alliance Israélite Universelle, anno 1907, pp. 87-90 "Mission en Abyssinie". Da tener presente che la pubblicazione del Bulletin avveniva l'anno successivo a quello indicato, per cui nel numero datato 1907 figuravano avvenimenti del 1908. La stessa avvertenza vale per i numeri successivi).

Il "Bulletin" l'anno successivo (1908, pp. 100-137 "Mission chez les Falachas d’Abyssinie") pubblicò quasi per intero il rapporto di Nahum all'Alliance inviato da Costantinopoli, dove si era recato perché divenuto gran rabbino di Turchia. Nella capitale ottomana Nahum aveva trovato una situazione difficile, essendo già in corso la rivoluzione dei "Giovani Turchi" per cui aveva tardato a riferire sull'esito della sua missione, sulla quale aveva comunque anticipato notizie con le lettere del 12 e del 27 marzo 1908 dall'Etiopia.

Nella prima di quelle lettere era descritta la cordiale accoglienza di Menelik e con la seconda si metteva in evidenza come la concessione di un salvacondotto imperiale per poter circolare liberamente in Etiopia fosse un privilegio solitamente accordato solo ai ministri ed alle delegazioni ufficiali straniere, in quell'occasione dato eccezionalmente a Nahum; ai privati di solito provvedeva la polizia  rilasciando un permesso, come era avvenuto per lo stesso Nahum per il suo viaggio da Dire Daua ad Addis Abeba.

Partito dalla capitale etiopica Nahum non poté più dare sue notizie perché nelle regioni da lui attraversate non esisteva un servizio postale o telegrafico; malgrado ciò, gli "Archives Israélites" non mancarono di tener desto l'interesse sul suo viaggio, pubblicando il 7 maggio 1908 una nota non firmata (pp. 147-148 "Une mission israélite chez Menelik empereur d’Abyssinie") per fornire i particolari dell'accoglienza riservata a Nahum alla corte imperiale; accompagnato dal console francese, l'inviato dell'Alliance aveva preso parte al banchetto organizzato in suo onore con più di 10.000 invitati.

Il negus aveva amabilmente chiesto a Nahum di prolungare il suo soggiorno ad Addis Abeba per poter assistere alla festa dell'Arca dell'Alleanza; invito declinato perché l'inviato dell'Alliance desiderava concludere al più presto la sua missione.

Nahum si riservava di compiere in seguito uno studio più approfondito sulle origini dei Falascia e sull'epoca del loro arrivo in Etiopia; precisava di aver seguito nel suo viaggio l'itinerario suggeritogli da un Falascia convertito dai protestanti, Gabrukantila, ex sindaco di Gondar, che aveva studiato a Basilea e Londra, era divenuto poi interprete della legazione di Germania ad Addis Abeba. Si dilungava poi  Nahum a riferire minuti particolari sulla poca affidabilità degli Abissini, riferendo la scomparsa di un uomo della carovana, appropriatosi già nel primo giorno di viaggio  di un fucile con la cartucciera e di otto talleri, e l'alterco avuto con un abissino per la proprietà di un mulo da lui rivendicata.

Passato il Nilo blu su di un antico ponte costruito dai Portoghesi, la carovana era giunta nella regione di Beguemeder, dove aveva ricevuta una cordiale accoglienza dal governatore, ras Makonnen, dimostratosi premuroso al punto di fornire lettere di raccomandazione affinché le autorità locali  fornissero  viveri ai viaggiatori.

- 105 -Tappe successive del viaggio furono le province di Dembera e di Sekelt, abitate da Falascia in gran parte convertiti al protestantesimo. Nella valle di Djenda  Nahum incontrò due missionari protestanti indigeni, Aragui e Stefanas, e la madre di Taamrat Emmanuel, pur essa divenuta protestante e che svolgeva le funzioni di diaconessa.

Ad Amba Ualid ci fu l'incontro con la madre di  Ghettiè, già compagno di Taamrat nel soggiorno parigino e poi trasferitosi a Firenze, in quel momento in Etiopia al seguito di Faitlovitch. La donna chiese a Nahum notizie di Ghettiè e gli consegnò una lettera perché la consegnasse al figlio; commissione eseguita da Nahum  poco tempo dopo, in occasione dell'incontro con Faitlovitch e Ghettiè ad Addis Scioa, nei pressi di Axum.

A Gondar Nahum asseriva di non aver trovato traccia di Falascia, mentre era invece numerosa la comunità musulmana. Nahum vi si trattenne soltanto tre giorni, volendo attraversare il fiume Tacanzè prima della piena di fine giugno, per non restare bloccato fino ad ottobre.

Un nucleo di 10-12 famiglie falascia, agricoltori o fabbri, Nahum l'incontrò ad Adenkato, dove ebbe modo di constatare, in una sottintesa polemica con Faitlovitch, che la grande sinagoga di cui questi aveva parlato, in realtà era un piccolo tukul circolare con un diametro di circa quattro metri.

A due ore e mezza di cammino da Adenkato si trovava Addis Scioa, il maggior centro Falascia visitato da Nahum: ci vivevano 32 famiglie di Falascia, orgogliosi di essere rimasti tutti ebrei; la loro sinagoga era la più vasta tra quelle esistenti nei vari villaggi. In quella località i Falascia erano quasi tutti fabbri, solo pochi si dedicavano all'agricoltura.

Il clero copto controllava la città santa di Axum, dove vivevano circa 15 famiglie di Falascia, stimate per la loro onestà e per l'abilità di fabbri. Giunto ormai sulla via del ritorno, Nahum fu ospitato dal residente italiano di Adua, cui era stato raccomandato dalla legazione italiana di Addis Abeba.

Attraversato il Mareb ed ormai arrivato in territorio eritreo, Nahum ed i suoi furono accolti dai carabinieri italiani a Goundet ed ebbero poi ad Addi Ugri una calda accoglienza dal commissario italiano di zona, De Rossi, che li informò della presenza a Mai Tukul di alcuni Falascia venuti dallo Uolcait; De Rossi ne aveva già dato notizia al governatore Salvago Raggi, poi incontrato da Nahum all'Asmara. Nel suo rapporto Nahum riferiva il particolare forse più interessante di quell'incontro, riportando queste affermazioni del governatore: “Il nous déclara bien nettamente qu’il ne concevait pas l’utilité de creéer à Asmara, comme l’avait projeté M. Faitlovitch, une école pour les Falachas”. ("Ci dichiarò con molta decisione di non vedere l'utilità di creare all'Asmara, come aveva progettato il signor Faitlovitch, una scuola per i Falascia").

A giudizio di Salvago Raggi - riferiva sempre Nahum - era difficile trovare allievi per quella scuola, ed in ogni caso, - ammesso che si riuscisse a trovarli - essi dopo averla frequentata, sarebbero rimasti degli spostati, senza trovar posto nell'amministrazione coloniale italiana, considerati indigeni inferiori agli europei sebbene avessero ricevuto un'istruzione.

esisteva la possibilità di creare per i Falascia una colonia agricola, come aveva chiesto Faitlovitch, in quanto tutti i terreni erano già stati assegnati. In definitiva, potevano stabilirsi in Eritrea  singoli Falascia, ma non intere comunità. Inoltre, i Falascia preferivano altre regioni più favorevoli per il clima e per la posizione geografica; a causa di tale preferenza si erano spopolati territori prima abitati da Falascia, come era avvenuto per il Uolrait, secondo quanto il commissario De Rossi aveva detto allo stesso Nahum.

- 106 -Dopo la descrizione dell'incontro con Salvago Raggi, il rapporto di Nahum illustrava alcune caratteristiche sociali e culturali dei Falascia: sconoscevano l'ebraico e parlavano tigrino ed amarico, come gli altri Abissini; solo i sacerdoti conoscevano la lingua sacra della Chiesa copta, il geez. Era infondata l'accusa di stregoneria rivolta loro; di costumi morigerati, i Falascia erano attaccati alla famiglia ed erano rari gli adulteri, severamente puniti; la donna infedele era bastonata a sangue.

La giustizia era amministrata dalle autorità abissine; abbastanza buone, a paragone degli altri  Abissini,  le condizioni economiche dei Falascia grazie alle attività artigianali da essi praticate; lavoravano pure le donne, fabbricando vasellame ed oggetti in pelle.

Era stato tolto loro il diritto di possedere terre e quindi lavoravano i campi per conto di altri, restando perciò maggiormente esposti alla possibilità  di convertirsi alla religione copta: i casi di conversione erano difatti più numerosi tra i Falascia al servizio di proprietari copti; del tutto assente era l'attività commerciale.

Vivevano in piccoli gruppi che comprendevano da 5 a 30 famiglie, ed erano soggetti a frequenti spostamenti.

Secondo Nahum i Falascia avevano abbracciato il giudaismo intorno al II o III secolo a.C., ad opera di Ebrei venuti dall'Egitto, insediatisi, dopo aver ridisceso l’Atbara (Nilo azzurro) ad ovest del fiume Tacazzè, senza attraversarlo; era perciò stato dato loro anche il nome "Kaila” ("quelli che non traversano").

Nel periodo più antico i Falascia erano stati un gruppo etnico, non religioso; la loro provenienza dall'Egitto era confermata dall'adozione di testi religiosi apocrifi e dalla conoscenza del greco, diffuso tra gli Ebrei e egiziani.

Era un uso praticato anche dagli Abissini copti la circoncisione; tale analogia aveva favorito la diffusione della fede ebraica in Etiopia, per la quale i Falascia avevano sempre dimostrato un forte attaccamento. Ma erano stati molti i casi di conversione forzata e pertanto si era molto ridotto il loro numero; secondo Nahum non erano ormai più di 6 o 7000; la loro completa estinzione poteva essere evitata incoraggiando l'emigrazione dei Falascia dello Scioa verso l'Eritrea, mentre quelli dell'Amara avrebbero dovuto spostarsi verso Addis Abeba: in quelle regioni avrebbero avuto la libertà religiosa, lavorando nei centri agricoli ed industriali di proprietà europea.

Nahum nel suo rapporto arrivava a conclusioni destinate ad accrescere i contrasti con Faitlovitch ed il Comitato pro Falascia di Firenze: "Il ne faudrait  pas songer, un instant, à créer une œuvre scolaire quelconque en Abyssinie ou même en Erythrée” (“ Non si dovrebbe pensare neanche per un momento a creare una qualsiasi attività scolastica in Abissinia ed anche in Eritrea"); era irrealizzabile un simile progetto a causa della dispersione dei Falascia su di un vasto territorio, dotati inoltre - a parere di Nahum - di scarsa capacità intellettuale, per cui dopo la frequenza di una scuola sarebbero rimasti degli spostati. I Falascia erano definiti "...une population dont la capacité intellectuelle est peu développée en général, et dont nous ne pouvons, sans danger pour elle même, modifier trop brusquement les conditions sociales et économiques…” ("... una popolazione che in generale ha una capacità intellettuale poco sviluppata, e di cui non possiamo, senza pericolo per essa stessa, modificare troppo bruscamente le condizioni sociali ed economiche...").

- 107 -Non era quindi applicabile ai Falascia il modello educativo delle scuole istituite dall'Alliance nel Marocco ed in Turchia; appariva invece consigliabile far spostare temporaneamente ogni anno gruppi di Falascia in Eritrea per apprendere un mestiere o la coltivazione del cotone e dell'ulivo, introdotta con successo dagli Italiani.

Dopo la pubblicazione del rapporto di Nahum sul "Bulletin", gli “Archives Israélites” si occuparono ancora a loro volta dei Falascia ( n. 39, 24 settembre 1908, p. 307 “La querelle au sujet des Falachas” - Articolo non firmato). Era ricordato il dissidio con il Comitato di Firenze per cui Faitlovitch non aveva preso parte alla missione guidata da Nahum.

Già un dato preliminare, il numero dei Falascia, aveva causato il contrasto; prima del suo viaggio però Nahum aveva condiviso la stima di 100.000 Falascia fatta da Faitlovitch; ma l'esperienza diretta fatta in Etiopia l'aveva convinto trattarsi di circa 700 famiglie, disseminate su di un vasto territorio, presenti in piccoli gruppi in numerosi villaggi. Dobbiamo ricordare in proposito che per determinare la consistenza numerica dei Falascia si era scatenata in quegli anni una ridda di cifre in stridente contrasto tra di loro; per l’Encyclopaedia Britannica (edizione del 1911) il loro numero oscillava fra 100 e 150.000 individui; per lo Jewish Year Book nel 1913 (p. 161) i Falascia non erano più di 6500 (valutazione che concordava con quella di Nahum); l’American Jewish Year Book nel 1915 ne contava 25.000.

Ma, a parte la questione del numero dei Falascia, il problema di fondo era verificare l'autenticità del loro Ebraismo. Secondo Nahum l'ignoranza della lingua ebraica dimostrava la loro estraneità alla tradizione giudaica; essi inoltre non desideravano far parte della comunità ebraica europea né la sollecitavano per averne aiuti, dal momento che erano meno poveri di quanto si credeva. Lo scarso attaccamento all'Ebraismo per Nahum era dimostrato dalla conversione al protestantesimo (in realtà dubbia) del pupillo di Faitlovitch Taamrat Emmanuel.

La conversione di  Taamrat fu contestata da Margulies con documenti attestanti sì la frequenza della scuola evangelica svedese ad Asmara, ma non la sua conversione: difatti a Firenze aveva dimostrato un grande fervore religioso ebraico. Né era vero che i Falascia non volessero l'aiuto materiale e spirituale degli Ebrei europei, puntualizzò Margulies.

L'articolo degli Archives si concludeva con una inattesa professione di imparzialità; erano difatti riportate le opposte tesi di Nahum e di Faitlovitch, accompagnate da questa dichiarazione: "...entre les affirmations contradictoires de M.M. Nahum et Faitlovitch nous ne nous permettono pas de prendre parti” ("... fra le contraddittorie affermazioni dei Signori Nahum e Faitlovitch non ci permettiamo di prender posizione").

Ed era ancora prudente la posizione presa dagli "Archives Israélites” con una nota anonima apparsa sul n. 18 del 6 maggio 1909 (p. 139, "Chez les Falachas”). Erano citati i passi del rapporto di Nahum relativi alle pratiche religiose dei Falascia e si ricordava il consiglio ad essi dato di emigrare in Eritrea o nella zona di Addis Abeba.

Pur ribadendo l'opposizione a creare una scuola per i Falascia, gli Archives si dicevano però dispiaciuti perché le conclusioni di Nahum avevano raffreddato l'interesse per gli sventurati Falascia, di cui in questa occasione, contraddicendo Nahum,  si riconosceva l'attaccamento alla fede ebraica, malgrado le persecuzioni subite; si manifestava infine interesse per il rapporto che Faitlovitch avrebbe reso noto  a conclusione del suo viaggio.

- 108 -Su questo viaggio riferiva, seppur indirettamente, il successivo n. 19 degli Archives in data 19 maggio 1909 (p. 148 “Encore les Falachas”, nota anonima). Era riassunta la relazione di Margulies fatta all’Hilfsverein der Deutschen Juden sulla spedizione di Faitlovitch. Inoltre era ricordata l'informazione di Tittoni a Margulies relativa alla lunga udienza accordata da Menelik all'esploratore polacco, che aveva esposto al negus la situazione dei Falascia e l'interesse nutrito per essi dagli Ebrei europei, segnalando pure gli abusi di cui erano vittime  i Falascia, costretti dai ras a lavorare pure il sabato, e per giunta gratis. Il negus aveva promesso di porre fine a quegli abusi.

Nel riportare senza commenti quelle notizie, gli "Archives Israélites" smentivano la loro precedente affermazione, basata sulla testimonianza di Nahum, di un supposto benessere dei Falascia, per cui non desideravano l'aiuto degli Ebrei d'Europa ("La querelle au sujet des Falachas”, 24 settembre 1908).

La corrispondenza dal Cairo di Abraham Galante, già ricordata, confermava la più equilibrata posizione assunta dall'Alliance Israélite Universelle (“Archives Israélites", n. 22, 3 giugno 1909, pp. 171-172” Ce que dit le docteur  Faitlovitch").

La corrispondenza nasceva dall'incontro con Faitlovitch, di ritorno dal viaggio in Abissinia, avuto da Galante al Cairo; per l'occasione il giornalista aveva fatto vedere a Faitlovitch l'articolo sugli "Archives Israélites" del 13 maggio 1909, che riportava la relazione di Margulies all’Hilfsverein sul viaggio del polacco, apparso restio a concedere un'intervista; alla fine si era però deciso a dare alcune notizie sulla sua missione, "... qui paraît être d’un grand intérêt et qui jette une nouvelle lumière sur ces juifs noirs…”, a parere del Galante (  "... che sembra rivestire un grande interesse e che fa  nuova luce su questi ebrei neri...").  Faitlovitch aveva descritto l'itinerario percorso in Eritrea ed in Etiopia ed aveva riferito un dato interessante: molti Falascia da lui incontrati nel precedente viaggio1904-1905 erano tornati all'Ebraismo dopo esser stati convertiti al Protestantesimo ed il numero delle nuove conversioni era diminuito molto: secondo Faitlovitch era una conseguenza delle speranze dei Falascia in un intervento a loro favore dagli Ebrei d'Europa.

A conclusione del suo articolo Galante metteva a confrontodiversi risultati cui erano pervenuti Nahum e Faitlovitchsecondo il primo i Falascia erano soltanto poche migliaia e, condividendo il parere attribuito a Salvago Raggi, era da ritenersi inutile creare una scuola ad essi destinata poiché erano di limitata intelligenza e l'esperienza scolastica ne avrebbe fatto dei falliti; Faitlovitch sosteneva invece ascendere a molte decine di migliaia il numero dei Falasciaassetati di conoscenza per cui chiedevano l'aiuto dei confratelli europei; inoltre affermava di essere stato autorizzato da Salvago Raggi a smentire i giudizi sui Falascia attribuitigli da  Nahum.       

Con equidistanza salomonica Galante  non si schierava con nessuno dei due: e ciò era significativo, poiché gli "Archives" erano un organo di quella Alliance Israélite Universelle che aveva patrocinato la missione di Nahum in aperta polemica con Faitlovitch.   

L'articolo di Galante faceva seguito alla nota del 6 maggio 1909, pubblicata dagli stessi  Archives e già ricordata; se non un vero ripensamento da parte dell'Alliance sembrava quindi delinearsi una posizione di prudenza, non viziata da preconcetti negativi verso Faitlovitch.

 

- 109 -Ma ebbe breve durata quella che poteva apparire una cauta apertura nei confronti dello studioso polacco, un preludio quasi ad una riconciliazione: già l'anno successivo, sul n. 16 degli "Archives" (p. 126 “La population israélite du globe”, nota non firmata) i Falascia non erano citati fra gli Ebrei dell'Africa. Missione significativa, in quanto sottintendeva la negazione dell'Ebraismo di quella popolazione, strenuamente sostenuto invece da Faitlovitch.

Questi dal canto suo nella relazione sul secondo viaggio, "Quer durch Abessinien”, non risparmiò critiche a Nahum ed all'Alliance.

Solo negli anni ‘30 ci fu una riconciliazione, dovuta probabilmente all'aiuto prestato da Nahum, divenuto rabbino capo del Cairo, per trovare una sistemazione ai Falascia trasferitisi in Egitto (Tadesse Jacob dal 1931 al 1940 e Taamrat Emmanuel dal 1937 al 1940). Riconciliazione favorita da Israel Ben Zeev (noto anche con lo pseudonimo Wolfenson), antico conoscente di Faitlovitch e professore di letteratura araba nell'Università del Cairo.

Una conferma dei buoni rapporti stabilitisi tra Faitlovitch e l'Alliance è data dall'omissione degli attacchi a quell'organizzazione, presenti nella relazione"Quer durch Abessinienedita nel 1910, scomparsi invece nell'edizione in ebraico della stessa opera avvenuta a Tel Aviv  nel 1959 con il titolo "Masa El-Ha-Falashan” (prefazione di Ben Zeev).28

La stampa ebraica italiana non mancò di interessarsi sia della missione Nahum che di quella Faitlovitchmantenendo un certo distacco rispetto alle polemiche insorte tra i due e cercando anzi di svolgere per lo più un ruolo di conciliazione.

 " Il Vessillo Israelitico" (maggio 1908, n. 5, “Pro Falascia") dava notizia della cordiale accoglienza riservata da Menelik a Nahum,   commentando così le iniziative separate dell’Alliance e del Comitato pro  Falascia di Firenze: " Noi speriamo che il Comitato Italiano e l'Alliance Israélite Universelle,  che tendono per vie diverse allo stesso scopo, uniranno i loro sforzi per venire in aiuto di quei nostri fratelli nel modo più conveniente".

Nel successivo numero di giugno, sempre sotto il titolo "Pro Falascia", divenuto quasi quello di una rubrica fissa, "Il Vessillo" pubblicava però una lettera di Ottolenghi, che sferrava un duro attacco all'Alliance, accusata di aver sempre ostacolato le iniziative per i Falascia. Costretta alla fine ad occuparsene per la tenace azione di Faitlovitch e del Comitato di Firenze, l'Alliance "... pretese il monopolio dell'impresa, col troppo trasparente scopo di farla abortire, o almeno di rivolgerla a scopi di nazionalismo francese". "Ad abundantiam”, sullo stesso numero era pubblicata pure una lettera di Taamrat Emmanuel; il giovane affermava di trovarsi bene a Firenze assieme a Ghettiè, mentre era rimasto insoddisfatto dell'insegnamento ricevuto nella scuola dell'Alliance a Parigi, dov'era trascurato l'insegnamento della religione e della lingua ebraica.

Sconsolato il commento del giornale, attestato sempre su posizioni moderate e concilianti: "Questa specie di competizione, sorta fra il Comitato italiano e l'Alliance, ci addolora, perché non può che impedire o ritardare l'attuazione della grandiosa opera".

 

- 110 -Seguiva l'esortazione al Comitato italiano perché cercasse un'intesa con le maggiori organizzazioni israelitiche del mondo al fine di trovare adeguati finanziamenti: l'azione per i Falascia richiedeva centinaia di migliaia di lire ed in Italia ne erano state raccolte soltanto poche migliaia; a tale constatazione seguiva un mesto interrogativo: "È possibile che in Italia non si possa raccogliere molto di più di quanto finora è stato raccolto?".

Non demordeva dalla sua polemica contro l'Alliance Ottolenghi: nel numero di settembre del 1908 dello stesso giornale  appariva una sua nuova lettera, che deprecava le "affermazioni dolorose" sui Falascia fatte dall'associazione di Parigi, smentite da Margulies su "Jewish Chronicle”.

Quasi a compensare l'aggressività di Ottolenghi, "Il Vessillo Israelitico" ospitava sullo stesso numero di settembre l'articolo "Rimembranze di viaggio di M. Caimi”, che ricordava molto positivamente l'esperienza fatta nella scuola dell'Alliance ad Auteil, oggetto invece di critica da parte di Taamrat Emmanuel nella lettera pubblicata su "Il Vessillo” del giugno 1908. Gli alunni - affermava Caimi - "... si sentivano felicissimi a Auteil, non solo per il comfort del locale e di quanto ha attinenza con il vitto e con il vestiario, ma anche perché si vedevano circondati dall'amore paterno dei loro direttori, dai quali erano e sono adorati". Era pure confutata la critica di Taamrat dell'insegnamento dell'ebraico, ritenuto insufficiente; era  parlato invece da tutti e considerato la lingua nazionale dagli allievi provenienti da tutti i rami dell'Ebraismo. Ad Auteil Caimi aveva conosciuto pure i due giovani allievi  Falascia, dai quali asseriva di aver appreso che i Falascia erano molto meno numerosi di quanto si credesse: se ben ricordava - era l'affermazione di Caimisecondo i due ragazzi si trattava soltanto di 8000 persone.

Su questo punto però il giornale faceva una rettifica: i Falascia erano molto più numerosi e forse Caimi aveva fatto confusione attribuendo ai due giovani Falascia la valutazione propria invece di Nahum e dell'Alliance

I giornali ebraici italiani alternavano attacchi a Nahum ed all'Alliance con segnali distensivi, attingendo gli argomenti anche da organi di stampa stranieri. "Il Vessillo Israelitico" nel numero del 30 settembre 1908 pubblicava la traduzione di un articolo apparso il giorno 11 dello stesso mese su "The Jewish World”, dal titolo "Le missioni rivali", in cui si attaccava l'Alliance Israélite Universelle accusandola di una colpevole  inattività, anche se veramente Falascia fossero stati poche migliaia, come affermato da Nahum, sarebbe sempre sussistito l'obbligo di soccorrerli. Nahum aveva attribuito la diminuzione del numero dei Falascia, oltre che alle malattie, alle conversioni operate dai  protestanti; e proprio per arginare l'attività dei missionari era necessario un intervento degli Ebrei occidentali. Ed in ogni caso l'Alliance non aveva il diritto di opporsi alle iniziative altrui; una scorrettezza era stato asserire che i Falascia non avevano bisogno di aiuto prima ancora di conoscere a quali conclusioni fosse arrivato Faitlovitch. Tale comportamento scorretto dipendeva dalla gelosia per le iniziative prese da altri; si riconoscevano i meriti acquisiti in altre occasioni dall'Alliance, ma - si concludeva - "... questa volta non solo non si è mostrata all'altezza della circostanza, ma ha cercato di ostacolare altri che intendevano supplire alle sue deficienze": conclusione fatta propria da "Il Vessillo Israelitico".

Sempre martellante era poi la campagna condotta da Ottolenghi contro l'Alliance Israélite Universelle, che traeva spunto per l'ennesimo attacco da una intervista di Margulies alla "Jewish Chronicle".

- 111 -L’organo della sezione tedesca dell’Alliance, “Ost und West”, aveva pubblicato sul numero di settembre-ottobre 1906 un articolo di Nahum, reduce dal viaggio in Etiopia, ripreso dalla “Judische Presse” del 4 settembre 1908, corredandolo con vari pareri espressi da molti viaggiatori e studiosi. In una lettera al Direttore, pubblicata sul “Corriere Israelitico” del 30 settembre 1908 (pp. 136-138 “Pro Falascia”) ricordava le smentite alle conclusioni di Nahum date nell’intervista alla “Jewish Chronicle”  da Margulies. Il rabbino giudicava più attendibile Faitlovitch, trattenutosi per 16 mesi in Etiopia, molto più a lungo di Nahum; inoltre Faitlovitch conosceva bene l'amarico ed aveva quindi potuto avere notizie direttamente dai Falascia e dagli Abissini di fede copta, a differenza di Nahum che si era dovuto affidare ad interpreti, poiché sconosceva le lingue locali. Seguiva un duro attacco personale di Ottolenghi contro Nahum: il suo precipitoso ritorno in Europa, interrompendo bruscamente ed anzi tempo la missione in Etiopia, era avvenuto perché aveva avuto notizia durante il viaggio della morte del gran rabbino di Costantinopoli; poiché aspirava a succedergli, l'inviato dell'Alliance era corso a Parigi per sostenere la sua candidatura a quell'ambito incarico.

Bisogna notare anzitutto che la grave accusa di Ottolenghi si basava soltanto su di una sua personale (e maligna) supposizione, senza il conforto di alcuna prova; inoltre appare poco credibile che la notizia dell'improvvisa scomparsa del gran rabbino di Turchia potesse essere pervenuta a Nahum mentre si trovava in regioni prive di un servizio postale o telegrafico, come egli stesso aveva comunicato in marzo, alla partenza da Addis Abeba, preannunciando l'impossibilità di ricevere o inviare notizie e come di fatto avvenne per circa tre mesi; solo al suo arrivo in Eritrea, quando era già deciso il ritorno in Francia, Nahum  poté riprendere a comunicare con l'Europa.

Era invece più convincente la smentita dell'asserito benessere dei Falascia, per cui  - aveva affermato Nahum -  essi non avevano bisogno di interventi a loro favore: la testimonianza concorde di tutti gli altri viaggiatori e le ripetute, insistenti richieste di aiuto degli stessi Falascia dimostravano il contrario.

Ottolenghi citava al riguardo l'esperienza del barone Rosen, ministro plenipotenziario  tedesco in Marocco, fatta durante un suo viaggio in Abissinia, attestante l'estrema miseria dei Falascia; lo aveva pure confermato un omonimo compagno di viaggio del diplomatico, Felix Rosen, nel suo libro "Un'ambasciata in Abissinia" (Lipsia 1907).

Sulla "Revue des Études Juivesera pure  intervenuto Joseph Halévy per affermare l'estremo bisogno dei Falascia cui occorreva quindi dare aiuto, come meritoriamente sostenuto da Faitlovitch.

si esaurì l'attività di Ottolenghi con questo intervento; sul "Corriere Israelitico" del 31 dicembre 1908 ("Notiziario. Italia. La missione di Faitlovitch presso i Falascia") apparve infatti un'altra sua lettera: Faitlovitch aveva telegrafato il dicembre da Addis Abeba per informare di esser stato ricevuto dal negus, che si era impegnato ad intervenire a favore dei Falascia. Ottolenghi si augurava potesse riuscire efficace l'intervento promesso da Menelik, in modo che fosse sanata una situazione resa più grave dalla trascuratezza dimostrata dall'Alliance Israélite Universelle.

 

- 112 -Nel suo commento il "Corriere Israelitico" auspicava che "il difetto di concordia" esistente tra l'Alliance ed il Comitato di Margulies (genericamente ricordati come Ebrei europei) non compromettesse agli occhi di Menelik la causa dei Falascia; il negus non poteva apprezzare "questa concorrenza e questa gara di viaggiatori israeliti"; i contrasti sorti all'interno del mondo ebraico dovevano farlo dubitare della universalità vantata dall'Alliance, accorgendosi dell'esistenza di un giudaismo francese, tedesco, italiano, tra di loro divisi da accese polemiche.

Toccò poi a Margulies intervenire sul numero del 28 febbraio 1909 del "Corriere Israelitico (pp. 301-306 "La missione Faitlovitch presso i Falascia"), riferendo le notizie pervenutegli con due lettere di Faitlovitch da Addis Abeba, in data e 10 dicembre 1908. L'arrivo di Ghettiè aveva rallegrato i Falascia, poiché era stata smentita la loro idea che i "Frendji”, come erano detti gli Europei, uccidevano quanti si rifiutavano di convertirsi al Cristianesimo. Per contro si erano mostrati malcontenti dell'arrivo della missione ebraica i missionari protestanti indigeni di Enda Gualit, perché la missione di Faitlovitch degli anni 1904-1905 aveva posto fine alla conversione dei Falascia; molti dei convertiti avevano anzi fatto ritorno alla fede giudaica. Faitlovitch riferiva pure di aver acquistato manoscritti Falascia e di aver  procurato il testo di preghiere fino ad allora sconosciute in Europa.

A Debra Tabor aveva avuto un'ottima accoglienza da ras Gugsa, genero di Menelik e poi, arrivato ad  Addis Abeba il 20 novembre 1908 era stato ricevuto dall'incaricato d'affari italiano, Miniscalchi, che l'aveva accompagnato ad Entotto, dove Menelik, sebbene ammalato, gli aveva dato udienza. Faitlovitch lodava il negus per la generosità dimostrata verso i Falascia e riferiva come la sua conoscenza delle lingue etiopiche fosse stata grandemente apprezzata dal ministro degli Esteri etiopico, Haylu Ghierghis, e dal segretario personale del negusAleka Haylu Miriam. Molti giovani Falascia avrebbero voluto recarsi ad Asmara in sua compagnia - aveva comunicato Faitlovitch - e Ghettiè desiderava far ritorno a Firenze per completarvi gli studi.

In un  successivo intervento sul "Corriere Israelitico" (31 luglio 1909, pp. 50-52 "Pro Falascia. Una lettera dei Falascia agli Ebrei del Mondo"), Margulies annunciò il ritorno di Faitlovitch, che portava molte notizie e molto materiale. Erano state distribuite 1000 copie della lettera di Faitlovitch ai Falascia ("Tomare felasyan”), accolte con vivo interesse. A loro volta, in risposta a quella lettera, i capi religiosi Falascia avevano affidato al viaggiatore polacco un appello per tutti gli Ebrei del mondo civile, chiedendone l'aiuto; sarebbe stato vergognoso per l'Ebraismo - affermava Margulies - "... se anche questa volta rimanesse sordo a quel grido d'aiuto e non si mostrasse pronto a quei sacrifici, relativamente esigui, che si richieggono per strappare alle branche delle missioni cristiane e conservare al Giudaismo l'avanzo di un'eroica stirpe israelitica, che pure conta ancora a diecine di migliaia".

La smentita data a Nahum da Faitlovitch nell'intervista concessa al giornale "Progrès” del Cairo era ripresa sul "Corriere Israelitico" del 30 novembre 1909 (p. 130 "Pro Falascia"); si ricordava pure come Salvago Raggi avesse negato di essersi espresso negativamente con Nahum a proposito del progetto di una scuola per i Falascia in Eritrea.

- 113 -Sullo stesso numero del "Corriere Israelitico" si forniva il resoconto di una riunione della sezione tedesca dell’Alliance Israélite Universelle tenutosi a Berlino,  in quell'occasione M. Goldberg aveva definito con disprezzo i Falascia "pseudo ebrei negri d’Abissinia", e si era sostenuto che   l'Alliance avrebbe aiutato i Falascia "nel prudentissimo limite delle proposte del dr Nahum".  

La notizia era  data dal "Corriere Israelitico" senza alcun commento.

Quel "prudentissimo limite" si sperava di superarlo in un successivo articolo dello stesso "Corriere Israelitico" (31 luglio 1910, pp. 41-42 "Illusioni e sconforto. Le consolazioni d'uno scrittore ebreo"), a firma del direttore Dante Lattes. Il giornalista riassumeva un articolo di J. Klausser, apparso nel luglio 1910 su "Hasciolah”, e prendeva atto con soddisfazione della nascita di due importanti centri ebraici, uno negli Stati Uniti e l'altro in Palestina, che avrebbero dato un impulso"... al senso attivo della umana solidarietà ebraica, che abbraccia sefarditi, kemaniti e perfino i Falascia dell’Abissinia: “era un riconoscimento importante, seppur viziato da quel "perfino".

Mentre si svolgeva sulla stampa quella serrata schermaglia tra i sostenitori di Faitlovitch e quelli di Nahum, la diplomazia italiana continuava ad interessarsi dei Falascia. L'incaricato d'affari in Etiopia, Miniscalchi, gettava molta acqua sull'entusiasmo di Faitlovitch per l'accoglienza riservatagli da Menelik e per le promesse del negus relative Falascia.

Meneliksecondo Miniscalchi - aveva dato un assenso soltanto "vago e generale" alle richieste di Faitlovitch, avanzate nel corso di una brevissima udienza. A giudizio del diplomatico italiano i Falascia non avrebbero ottenuto nulla, poiché gli Abissini volevano ostacolare in ogni modo "quegli israeliti", per costringerli a convertirsi; non c'era quindi da attendersi molto da Menelik, giudicato da Miniscalchi, con scarso rispetto per la dignità imperiale, un rimbambito, che per le sue condizioni mentali non aveva capito le richieste di Faitlovitch

Ma sembrava essere stato lo stesso Miniscalchi a non aver capito molto, poiché riportava l'incredibile notizia della presentazione di un messaggio dell'Alliance Israélite Universelle a Menelik da parte di Faitlovitch. Un minimo di informazione avrebbe dovuto consentire al poco accorto diplomatico di escludere quella possibilità, considerati i pessimi rapporti del viaggiatore polacco con l'Alliance; ed oltretutto la sua presenza all'udienza imperiale rende incomprensibile quell'affermazione, destinata a suscitare l'allarme del governo italiano, sospettoso nei confronti dell'Alliance ritenuta al servizio del governo francese, nonostante l'assicurazione dello stesso Miniscalchi che Faitlovitch  si mostrava "... molto ben disposto a fare qualcosa per noi".

Salvago Raggi nel rapporto a Tittoni del 5 marzo 1909 chiedeva di informare Margulies del telegramma di ringraziamento inviatogli da Faitlovitch per l'accoglienza ricevuta (voleva far ricredere il rabbino dall'opinione che il governo dell'Eritrea avesse ostacolato la missione del polacco) e comunicava al contempo la notizia di quella presentazione a Menelik del messaggio dell'Alliance, sebbene questa avesse boicottato il Comitato pro Falascia di Firenze. Tittoni scrisse a Margulies per informarlo della riconoscenza dimostrata da Faitlovitch e per denunciare il comportamento del polacco, reo di aver presentato al negus un messaggio dell'Alliance, avversaria, a detta dello stesso Margulies, del Comitato di Firenze.

A stretto giro di posta, il 5 aprile 1909, Margulies precisò che era stato Nahum e non Faitlovitch a presentare al negus il messaggio dell'Alliance; al contempo il rabbino affermava di non aver mai dubitato della favorevole disposizione delle autorità italiane nei confronti della missione di Faitlovitch.

- 114 -Copia della lettera di Margulies contenente quella importante rettifica fu allegata al dispaccio del 27 aprile 1909 inviato dal Ministero Affari Esteri alla legazione di Addis Abeba (ed in pari data altro dispaccio con allegata la stessa lettera fu inviato pure a Salvago Raggi), chiedendo di precisare chi fra Nahum e Faitlovitch avesse presentato a Menelik il messaggio dell’Alliance29. Non c’è traccia nell’Archivio degli Esteri di una risposta di Miniscalchi per spiegare l’abbaglio preso nell’attribuire a Faitlovitch la presentazione del famigerato messaggio dell’Alliance al negus (se pure di abbaglio si era trattato, o piuttosto di una manovra architettata per screditare Faitlovitch agli occhi del governo italiano).

Una ragione di disagio, non per i Falascia ma per la comunità dell’Asmara, formata da Ebrei di  varia provenienza, fu denunciata all'indomani del secondo viaggio di Faitlovitch in Etiopia.        

Un gruppo di quella comunità inviò nel maggio 1911 al Ministro degli Esteri Antonino di San Giuliano un memoriale, lamentando il trattamento riservato agli Ebrei provenienti dallo  Yemen, discriminatorio rispetto a quello previsto per quanti provenivano da Smirne,   assimilati agli Europei e quindi soggetti a migliori condizioni di vita degli  yemeniti, considerati sudditi coloniali sottoposti all'autorità dei capi locali e della polizia indigena. Gli yemeniti  chiedevano di porre fine a quella discriminazione, per cui era loro vietato la residenza nei quartieri europei, e di essere assimilati anch'essi ai cittadini europei.

Il ministro prese a cuore la questione; in margine al memoriale appose difatti questa nota, siglata con le sue iniziali S.G.: “Comm.re AgnesaScrivere a Salvago   e vedere cosa si può fare"; di questo suo interessamento San Giuliano dispose fosse informato il rabbino capo di Roma, Castiglioni

L'ufficio coloniale del Ministero Affari Esteri diede rapido corso alla pratica, ed inviò  in data 29 maggio 1911 al governo dell'Eritrea copia di quel memoriale, chiedendo"... se fosse possibile accogliere in qualche modo il desiderio dei richiedenti".        

Salvago Raggi rispose il 14 luglio 1911, ricordando il decreto 787 dell'8 ottobre 1908, per cui tutti gli Arabi, di qualsiasi fede religiosa, dovevano esser considerati sudditi coloniali. La richiesta avanzata con il memoriale in questione contrastava quella disposizione di legge ed era pertanto da respingere; se si fossero fatte distinzioni secondo la religione professata, si sarebbe dovuto assimilare il cristiano europeo al copto abissino, il musulmano sudanese a quello turco, "... l'israelita di tutto il mondo civile al falascia d'Etiopia". Nell'Archivio del Ministero Affari Esteri si trova questo appunto, anonimo e privo di data, scritto a matita su carta non intestata, probabilmente redatto da un funzionario ministeriale (forse dallo stesso capo dell'ufficio coloniale, Agnesa): "Politicamente non è opportuno porre gli Ebrei, perché tali, in una posizione più elevata degli indigeni, dato il disprezzo di cui essi godono, per ragioni religiose, da parte degli abissini cristiani".30

Da  notare che nell’appunto si parla di Ebrei in generale, non soltanto dei Falascia e quello dell'autore dell’ appunto sembra essere stato un antisemitismo di riflessoderivante da quello dei copti abissini, che conveniva per ragioni politiche non urtare, piuttosto che di una ideologia derivante da proprie convinzioni maturate in modo autonomo.

- 115 -Un incidente turbò qualche anno dopo, nel 1913, la vita della comunità ebraica dell'Asmara. Il brigadiere dei carabinieri Antonio Scanu eseguì una perquisizione nella sinagoga, senza aver ricevuto un mandato dall'autorità giudiziaria e quindi in modo arbitrario, prestando fede a voci fantasiose secondo le quali vi era custodita una bambina rapita per compiere un sacrificio rituale.

L'episodio fu criticato dalle autorità civili e militari della Colonia ed il brigadiere venne biasimato per la sua credulità. Contro il graduato sporse denuncia per abuso di potere il capo della comunità, Elia Behár; il Procuratore del Re ritenne legittima la denuncia, in quanto "...la turpe e bugiarda leggenda dell'omicidio ritualegiustificava quell'iniziativa di  Behár; anche se era da stabilire se la comunità ebraica avesse personalità giuridica e fosse quindi abilitata a costituirsi in giudizio, era da considerarsi lecita anche l'azione di un singolo componente per "... provvedere, come meglio crede, alla tutela dell'onore e del decoro della corporazione, che è onore e decoro di lui".

 Non ci fu però luogo a procedere contro lo Scanu,  avendo ritenuto il giudice istruttore giustificato il suo intervento da considerarsi d'urgenza e quindi da eseguire senza attendere l'autorizzazione del magistrato, poiché era stato fatto di quel caso un racconto impressionante e circostanziato; era comunque ribadita la critica al sottufficiale, dimostratosi troppo credulone.   

Della vicenda si occupò anche il presidente del Comitato delle Comunità Israelitiche Italiane, Angelo Sereni,  cui si erano rivolti gli Ebrei dell'Asmara, lamentando la scarsa sollecitudine dell'autorità giudiziaria nel dare corso alla pratica. Nella loro lettera del 20 giugno 1913 gli Ebrei dell'Asmara scrivevano: "Infatti il Procuratore del Re se ne andò in licenza, e due sostituti si sono alternati in un mese, e nessuno si pose d’impegno per farci avere la dovuta riparazione".

Era sicura la colpevolezza del brigadiere che non aveva ragione"... per violare il Santuario della nostra Religione, che è anche il Santuario della nostra Nazionalità". Malgrado i fatti ritenuti evidenti, "... le cose vengono trascinate in una scappatoia".

Il brigadiere Scanu uscì indenne da quella azione giudiziaria, pur avendo gli Ebrei di Asmara fatto ricorso alla Corte d'Appello di Roma contro il suo proscioglimento in Camera di Consiglio. Sereni era pure intervenuto presso il Ministero delle Colonie, istituito di recente   ed affidato a Ferdinando Martini. Nella sua lettera del 10 agosto 1913 di risposta agli Ebrei di Asmara, Sereni asseriva di aver ricevuto "... autorevole quanto formale assicurazione che giustizia sarà resa non appena sarà possibile". Non c'erano state "scappatoie" nel corso della vicenda giudiziaria ad Asmara: il Procuratore del Re non era andato in vacanza, ma era morto e solo da poco si era provveduto a sostituirlo.31     

Era questa l'atmosfera in cui si svolse il terzo viaggio in Etiopia di Faitlovitch, durato dal gennaio al novembre 1913, e concepito da Margulies come una missione sacra in cui lo studioso polacco avrebbe assunto le funzioni di "goel" (redentore) dei Falascia per sottrarli all'azione dei missionari protestanti; ruolo di cui a volte Faitlovitch si mostrò  più infastidito che compiaciuto, sottoposto come era ad una incessante richiesta di chiarimenti da parte dei Falascia, pur assumendo in più occasioni atteggiamenti che incoraggiavano quell'assillante venerazione.

Si occupò Margulies di preparare presso le autorità italiane il terreno per la nuova spedizione.

- 116 -L'11 novembre 1912 il rabbino scrisse al marchese di San Giuliano, facendo una breve cronistoria dell'attività svolta dal Comitato italiano pro Falascia, costituito allo scopo di creare per essi una "scuola di religione" in Etiopia: già quella denominazione chiariva l'ispirazione della nuova iniziativa. Margulies ricordava l'appoggio ricevuto dal ministro degli Esteri dell'epoca, Tittoni, che aveva fornito lettere di raccomandazione per l’autorità coloniali, oltre a promettere la concessione di un'area edificabile per costruirvi la scuola. Le ristrettezze economiche del Comitato  non avevano permesso tale costruzione e quindi non si era potuto profittare di quell'offerta. La trasformazione del Comitato da nazionale in internazionale aveva fruttato una più copiosa raccolta di fondi, per cui si poteva disporre adesso dei mezzi necessari per costruire la scuola e si rinnovava quindi la richiesta del terreno; all'iniziativa delle Comitato si era mostrato favorevole il presidente del Consiglio, Giolitti, nel corso di una recente udienza concessa a Margulies. Il 20 novembre San Giuliano trasmise a Salvago Raggi la richiesta di Margulies, limitata adesso alla concessione del terreno, senza far più parola di un sussidio. San Giuliano si diceva d'accordo con quanto avevano prima sostenuto Martini e lo stesso Salvago Raggi sulla inopportunità di dare un sussidio, poiché l'iniziativa, se sostenuta da una contributo  del governo, non sarebbe più stata opera di privati. In definitiva, San Giuliano non vedeva  inconvenienti nel creare fuori dall'Asmara una scuola per i Falascia; anche Giolitti si era mostrato disponibile nel corso di un incontro avuto con Margulies.

Il ministro lasciava al governatore la decisione sulle modalità opportune per soddisfare le richieste del Comitato, che Faitlovitch  in partenza per l'Etiopia avrebbe potuto esporgli di persona ed in modo più dettagliato.

Ma sopravvenne un freno alle concessioni da farsi a Faitlovitch, posto da Giuseppe Ostini, un ex deputato che aveva partecipato alla missione svolta al lago Tana dall'aprile al luglio 1908 sotto la guida del capitano Tancredi per conto della Società geografica italiana e che poi era divenuto agente commerciale italiano a Gondar.

Ostini da Roma dove si trovava  in quel momento scrisse il 23 novembre 1912Salvago Raggidicendo di aver  appreso da Faitlovitch   del suo imminente viaggio in Etiopia, per cui il polacco contava di rivedersi a Gondar nell'aprile 1913.  

 Faitlovitch aveva accennato vagamente al proposito di raccogliere durante quel viaggio materiale per i suoi studi di linguistica; ma  Ostini supponeva che fosse mandato come nel 1908  dall’Alliance Israélite Universelle  per stringere rapporti con i Falascia: ancora una volta risaltava l’ignoranza di alcuni burocrati italiani circa i reali rapporti di Faitlovitch  con quell'organizzazione a lui tanto ostile. Ostini dichiarava di essere amico di Faitlovitch e di non volergli creare difficoltà, ma considerava suo dovere mettere in guardia il governatore contro una troppo diretta partecipazione dell'amministrazione italiana all'impresa di Faitlovitch, da considerarsi contraria agli interessi italiani, per cui era consigliabile mantenere lo stesso atteggiamento neutrale adottato per le missioni cattoliche; del resto, gli stessi Falascia si dimostravano poco favorevoli alle iniziative degli Ebrei d'Europa, cui attribuivano una religione diversa dalla loro.

 

- 117 -L'intervento di Ostini non sembrò comunque aver influenzato Salvago Raggi, il governatore difatti il 7 dicembre 1912 comunicò a Martini, ministro delle Colonie, di aver ricevuto il dispaccio con cui San Giuliano aveva annunciato l'arrivo di Faitlovitch e di non esser contrario, esaminati i precedenti, a concedere un'area edilizia per la scuola dei Falascia, preferendo però che questa sorgesse ad Asmara per poterne meglio controllare l'attività; inoltre una troppo diretta presenza della scuola sul territorio avrebbe potuto urtare la suscettibilità degli indigeni.32

Le proposte di Margulies alle autorità italiane erano realistiche; si limitava infatti a chiedere l'apertura di una missione per i Falascia in Eritrea,  da affidarsi a Faitlovitch coadiuvato da un rabbino, ma furono ben diverse le richieste fatte a Salvago Raggi da Faitlovitch al suo arrivo in Eritrea. Il governatore comunicò a Martini l'11 gennaio 1913 di aver assicurato al polacco di essere "dispostissimo"   a concedere un terreno edificabile a titolo gratuito fuori dall'Asmara per costruirvi la scuola. La risposta di Faitlovitch fu che l'apertura della scuola sarebbe avvenuta in un secondo momento, poiché il Comitato non disponeva ancora di fondi sufficienti per la sua costruzione.   Era invece immediata la richiesta di un terreno agricolo a Tucul ( deformazione di Tekul), da assegnarsi ai Falascia fatti venire dall’Etiopia rinviando la costruzione della scuola fino a quando si sarebbe formato un adeguato bacino di utenza a seguito dell'immigrazione dei Falascia dall'Etiopia. Salvago Raggi era malcontento delle nuove richieste, molto diverse da quelle di Margulies, che non aveva parlato  di un'azienda agricola ma di una "scuola di religione", assicurando la disponibilità di fondi sufficienti per costruirla. Disponibilità negata invece da Faitlovitch, che si era inoltre presentato a nome di un Comitato italiano, mentre Margulies aveva affermato di agire per conto di un Comitato internazionale.

In ogni caso, a parte le evidenti contraddizioni fra quanto Margulies aveva detto e le richieste fatte da Faitlovitch, Salvago Raggi si diceva contrario a sottrarre terra agli eritrei che già la coltivavano per darla ai Falascia, generalmente malvisti. Inoltre i Falascia erano ostili ad iniziative del tipo di quella proposta da Faitlovitch, sospettando si volesse convertirli offrendo loro un'esca appetitosa; il governatore ricordava al riguardo quanto aveva scritto Ostini circa la diffidenza dei Falascia verso gli Ebrei d'Europa, ritenendo essi diversa la propria religione da quella degli altri Ebrei

Il sottosegretario del Ministero delle Colonie comunicò subito a Margulies le nuove richieste di Faitlovitch. Non era la prima volta che Faitlovitch metteva in imbarazzo il rabbino con le sue iniziative estemporanee fatte senza averle prima concordate. Già in occasione del secondo viaggio, nel 1908, aveva chiesto un terreno agricolo e Margulies l'aveva giustificato, attribuendo la richiesta all'imperizia linguistica del polacco, che non conoscendo bene la lingua italiana aveva equivocato sui reali propositi del Comitato. Anche in quella nuova occasione Margulies  parlò di un malinteso, confermando di non voler creare una "colonia agricola", ma una "scuola di religione", come desiderato dai Falascia.   

Faceva poi il rabbino acrobazie logiche per sanare la contraddizione fra un Comitato italiano, a nome del quale si era presentato il polacco, ed il Comitato internazionale per conto del quale lo stesso Margulies agiva in qualità di presidente; il comitato definito italiano da Faitlovitch sarebbe stato in realtà una sezione del Comitato internazionale.

- 118 -Assicurava ancora Margulies la disponibilità di risorse sufficienti per creare una piccola scuola a Tucul (Tekul), ma non una costosa all'Asmara. Inoltre un piccolo centro come Tekul sembrava più adatto all'insediamento dei Falascia; una città come Asmara avrebbe invece offerto molte occasioni per distrarsi dallo studio. Per tali ragioni Margulies insisteva nel chiedere un terreno edilizioTekul, secondo l'incarico del Comitato a Faitlovitch. Questi - ripeteva il rabbino - aveva chiesto di propria iniziativa  un terreno coltivabile; aggiungeva Margulies a questo punto che la richiesta non era stata fatta per fini di speculazione economica, ma per il principio educativo basato sull'unione del lavoro manuale allo studio. Tale spiegazione non corrispondeva alla scusa del malinteso, prospettata nella stessa lettera; il riferimento al valore pedagogico del lavoro, fatto da Margulies, sembrava ispirato dai principi del Sionismo attuati  nei Kibbutz:  il lavoro inteso non soltanto come mezzo di rigenerazione dell'Ebraismo, ma anche come attività utile per far valere i diritti degli Ebrei sulla terra di Palestina, contesa dalle locali popolazioni arabe; per legittimare il ritorno degli Ebrei alla terra d'origine il lavoro era da considerarsi un argomento più efficace del riferimento alle tradizioni storiche e religiose.   

In definitiva, Margulies nella sua risposta al sottosegretario Colosimo confermava la richiesta di un'area edilizia a Tekul per la scuola e, con un ultimo tentativo di armonizzare la sua richiesta con quella di Faitlovitch, chiedeva di unire alla scuola un giardino per consentire ai futuri allievi di passeggiarvi e farvi ginnastica.

Margulies doveva attendersi folle oceaniche di allievi, se in una successiva lettera a Salvago Raggi del 13 febbraio 1914, a missione Faitlovitch ormai conclusa, chiese 30 ettari di terreno. Richiesta ancora una volta respinta; non c'erano terreni disponibili vicino ad Asmara, affermava il governatore ed invitava il comitato a trattare direttamente con qualche concessionario di un terreno perché lo cedesse totalmente o almeno in parte: la eventuale cessione avrebbe avuto il consenso delle autorità italiane.33

Va ricordato che le concessioni di terreni agricoli a coloni privati e ad enti non erano per lo più di notevole estensione. Al novembre 1902 la concessione perpetua più estesa a privati era quella di 95,17 ettari fatta a Gandolfi e soci; a titolo di affitto il colono Rapisardi aveva avuto 200 ettari e sempre allo stesso titolo 200  ne aveva pure avuti  il colono Laudani.

Le maggiori analogie con l'eventuale concessione al Comitato Pro  Falascia le presentava quella di 41,85 ettari fatta nella zona di Gheleb  alla Missione Evangelica Svedese, da destinarsi alla costruzione della scuola ed alla coltivazione. Nella zona di  Cheren le missioni cattoliche avevano ottenuto in affitto terreni coltivabili: 35,958 ettari vicino al fiume  Canacabà, 99,892 vicino al fiume Dari ed appena 4,600 ettari in località Scinara e Modacca. In totale fino al 1902 erano stati assegnati a coloni europei 1180 ettari, di cui 397 per un periodo più o meno lungo, 167 in concessione perpetua; il resto affittato a canoni modestissimi.34

In precedenza, all'inizio dell'anno 1896, c'era stato un tentativo di colonizzazione in Eritrea, previsto su scala più vasta, patrocinato dal senatore Alessandro Rossi, il pioniere dell'industria laniera di Schio. L'iniziativa era curata dall’Associazione nazionale per soccorrere i missionari cattolici, di cui il senatore Rossi era socio onorario; presidente ne era il senatore Fedele Lampertico ed il signor E. Schiaparelli segretario.

- 119 -Sarebbero dovuti partire 125 contadini veneti, donne e bambini compresi, scelti in base alla loro religiosità e buona condotta, per stabilirsi su di un terreno di 500 ettari, divisi in blocchi individuali di 16 ettari, posti a  circa 200 km da Cheren, promessi dal governatore militare dell'epoca, generale Oreste Baratieri. Si sarebbero occupate dell'assistenza spirituale dei coloni tre suore dell'ordine delle figlie di Sant'Anna, fornite di doti di prudenza e di carità più che di cultura.

Gli aspetti burocratici dell'iniziativa li avrebbe curati l'Ufficio Coloniale per l'Eritrea ed i Protettorati del Ministero Affari Esteri (capo dell'ufficio era un funzionario dal nome inequivocabilmente ebraico, Primo Levi).

Ma l'iniziativa fu bloccata dalla sconfitta di Adua; il senatore Lampertico tentò di riprendere l'iniziativa, offrendo al Ministro degli Esteri, Caetani di Sermoneta, la collaborazione dell'Associazione per soccorrere i missionari cattolici, ma il ministro  declinò l'offerta, dichiarando che avrebbe potuto essere esaminata in un momento più opportuno.35

Tutta l'attività del governo italiano in Eritrea si svolgeva tra ristrettezze economiche; emblematico al riguardo il rifiuto di costruire all’Asmara una chiesa copta, in memoria degli ascari eritrei caduti  nella guerra di Libia, opposto a Martini nel 1914, quando era divenuto ministro delle Colonie nel primo governo Salandra;  questi obiettò non esservi un capitolo di spesa relativo a richieste di quel tipo nel bilancio delle Ministero dell'Interno, competente per le questioni del culto.       

Tale rifiuto non teneva conto del fatto, ricordato da Martini nella sua proposta, che in tutta l'Eritrea non esisteva una chiesa copta decorosa; lo stesso Martini aveva in precedenza così descritto quella dell'Asmara: "La Chiesa è di forma circolare, come le altre ch'io vidi, ed alle quali somiglia in tutto  nella struttura, nell'oscurità, nel luridume. Per un'apertura di un metro di altezza s’entra nel vestibolo, nell'atrio, nel pronao, come meglio vi piace; il nome importa poco, la cosa eccola: una corte folta di gramigne, sozza di erbe vizze, di paglia marcita, di muffe, di letame, di ogni specie di sudicerie. Un pollaio a cui dia adito l'uscio di un porcile".

Al degrado dovuto all'assenza di pulizia contribuivano il materiale usato ed i criteri della costruzione; fornita di un "…tetto di paglia e di rami contesti, mura di pietre squadrate alla peggio ed intonacate con sterco di bue".36

Per quanto era stato accidentato l’iter per ottenere dal governo in Eritrea un suolo edificabile destinato alla costruzione della scuola per i Falascia, conclusosi  alla fine con un nulla di fatto; altrettanto rapida fu invece la concessione di un'area all'Asmara destinata alla costruzione della sinagoga della comunità ebraica locale, confermandosi così l'assenza di pregiudizi antisemiti.

L'utilizzo di un suolo pubblico per costruirvi un edificio privato era stato disciplinato dal regolamento del generale Baldissera, governatore militare dell'Eritrea, in data giugno 1888 successivamente modificato con il Regio Decreto 411 del 26 giugno 1904.

In base a tale disposizione legislativa fu concesso in tempi rapidissimi il 27 aprile 1906 un terreno di 387,85 metri quadrati alla comunità israelitica dell'Asmara, che ne aveva fatto richiesta il giorno 11 dello stesso mese.

- 120 -L'atto di concessione, a firma Pecori-Giraldi reggente il governo della Colonia in assenza di Martini, stabiliva: "... ritenuto che il terreno richiesto è destinato alla costruzione di un edificio per culto... secondo la consuetudine, può esser concesso gratuitamente".37

Faitlovitch nel corso del suo terzo viaggio incontrò invece difficoltà oppostegli  da più parti.

I missionari protestanti, anzitutto, seguivano con preoccupata attenzione le sue mosse; l’ "ebreo  francese", come era da essi chiamato, era ritenuto responsabile delle loro difficoltà con i Falascia ed accusato di acquistare le adesioni pagandole in contanti: l'accusa derivava forse dalla richiesta dei Falascia a Faitlovitch perché sovvenzionasse la ricostruzione di una sinagoga del XV secolo posta sul monte Hoarna, distrutta da un incendio, visitata dal polacco nel corso del precedente viaggio del 1908; in una lettera del 16 marzo 1913, indirizzata ad una "eccellenza" da identificarsi probabilmente con il sottosegretario alle Colonie, Colosimo, Ottolenghi attribuì il rifiuto di Salvago Raggi a concedere un terreno per la scuola ad un intervento dei missionari protestanti che, a suo giudizio, avrebbero raggirato il governatore.

Ma, per la gioia dei protestanti, neanche filava tutto liscio tra Faitlovitch ed i Falascia.

Daniel P. Summerfield ha illustrato quali fossero le ragioni che rendevano difficili i rapporti del polacco con i Falascia; questi l'avevano accolto con diffidenza ed incredulità in occasione del primo viaggio, nel 1904, non prestando fede alla sua affermazione di essere un ebreo al pari di essi. L'esploratore alla fine era riuscito a conquistare la fiducia dei Falascia, ma i tre anni d’intervallo tra la  prima  e la seconda missione, trascorsi senza ricevere notizie, li spinsero a considerare Faitlovitch un mistificatore, simile a tutti gli altri europei, e gli fu perciò riservata ancora una volta un'accoglienza poco amichevole. Ma Faitlovitch riuscì a dissipare i dubbi ed i sospetti grazie alla presenza di Ghettiè Yirmiahu, che testimoniava l'autenticità dell'Ebraismo dell'esploratore e sfatò la leggenda che fossero uccisi quanti non accettavano gli insegnamenti degli Ebrei d'Europa.

Fu pure preziosa la collaborazione del detbara Barak, un Falascia colto ed illuminato, capo religioso della comunità di Adenkato nel Tigrai; Faitlovitch si guadagnò una reputazione, variante di volta in volta da quella di rabbino, di ufficiale dell'esercito del re d'Israele o di creatura celeste, se non addirittura del tanto atteso Messia, accolto da calorose manifestazioni di giubilo. Faitlovitch spianò così il terreno alla sua attività rivolta a rinnovare le consuetudini religiose dei Falascia secondo i canoni dell'Ebraismo occidentale. Non tutti i Falascia si dimostrarono però favorevoli a questa attività missionaria di Faitlovitch, per cui ci furono ancora contrasti a causa dei suoi tentativi di convincerli a non praticare più i sacrifici ed a rinunciare alla vita monastica, estranea alle tradizioni ebraiche e diffusa tra i Falascia per influenze cristiane esercitate dai monaci copti.

Queste resistenze ostacolarono l’opera di Faitlovitch e le abitudini da lui contestate (i sacrifici, il monachesimo, l'isolamento degli individui ritenuti impuri) durarono ancora a lungo.

Summerfield ricorda come in alcuni casi i Falascia avessero addirittura proibito a Faitlovitch l'ingresso nelle loro case e nelle sinagoghe; divieto esteso agli allievi di Faitlovitch al loro rientro dall'Europa e da cui fu in particolare colpito Ghettiè, dimostratosi impaziente e privo di tatto nei suoi tentativi di convincere i Falascia ad abbandonare le antiche abitudini tanto care ad essi.

In molti casi inoltre il sostegno dei Falascia all'opera di Faitlovitch si rivelò interessato; ad essi premeva soprattutto potersi istruire, avere copie della Bibbia e di altri testi sacri, ottenere l'assistenza medica: erano le stesse ragioni per cui i missionari protestanti avevano ottenuto risultati soddisfacenti solo in apparenza.38

- 121 -Ma  provennero dalle autorità coloniali italiane le maggiori difficoltà per Faitlovitch, preceduto ancor prima del suo arrivo in Eritrea dalla lettera inviata da Ostini a Salvago Raggi per metterlo in guardia dall'attività dell'esploratore.

Ostini si rivolse ancora al governatore con il rapporto del 27 aprile 1913, successivo al suo incontro con Faitlovitch a Gondar, commentando le lamentele del polacco per avere ottenuto da lui una lettera di raccomandazione per ras Uolde Ghiorgis solo dopo molte insistenze ed il rammarico di non averne avute analoghe da Salvago Raggi: i fatti attestavano l'ostilità italiana alla sua missione, aveva concluso l'esploratore.

Ostini gli aveva replicato che il trattamento ricevuto era lo stesso usato con tutti i viaggiatori stranieri; aveva pure fatto presente l'opportunità per le autorità coloniali italiane di non partecipare ad opere di propaganda religiosa per ragioni di necessità politica; per quel motivo a volte si erano pure ostacolate le missioni cattoliche. Al che Faitlovitch aveva obiettato di non essere un missionario, non mirava infatti a convertire i Falascia ad una fede diversa, anzi voleva rinsaldarli nella loro. Ostini si dimostrò poco convinto da tali argomenti, facendo presente la contrarietà dei Falascia all'attività di Faitlovitch, in quanto essi ritenevano diversa dalla propria la religiosità degli Ebrei d'Europa. Inoltre, la creazione di una scuola a Tekul, prossima alla frontiera con l'Etiopia, avrebbe da attirato in Eritrea gli artigiani Falascia, privando così della loro preziosa opera l'impero del negus.

Seccamente indispettita fu la risposta di Faitlovitch: se il governo italiano rifiutava di appoggiare i suoi piani, l'avrebbero fatto altri, consapevoli dell'importanza di procurarsi l'amicizia dei Falascia. L'allusione, secondo Ostini, poteva riferirsi al nuovo console britannico a Gondar, Armbuster, ovvero all’Alliance Israélite Universelle, l'organizzazione filo francese ritenuta da Faitlovitch fino ad allora a lui ostile perché considerava la sua missione utile all'Italia.

Ostini in conclusione riteneva una scuola per i Falascia ubicata a Gibuti o nel Sudan parimenti sgradita all’Etiopia, ma non avrebbe compromesso gli interessi italiani in quel paese; per salvaguardarli, nella lettera di raccomandazione per ras Uolde Ghiorgis aveva precisato di avere il governo italiano riservato a Faitlovitch le stesse cortesie destinate agli altri viaggiatori stranieri, non godendo quindi il polacco di alcun particolare privilegio poiché l'Italia era del tutto estranea alla sua missione.

Il reggente il governo dell'Eritrea inviò il 6 giugno 1913 questo rapporto di Ostini al Ministro delle Colonie, approvandone la condotta ed aggiungendo che nella zona di Tekul vivevano soltanto due famiglie Falascia, appena tollerate dalla popolazione locale; inoltre, non vi erano disponibili terreni demaniali da dare in concessione. Faitlovitch si era lamentato di non aver ricevuto dal governo di Asmara lettere di presentazione per i capi etiopici; in realtà Salvago Raggi prima di partire aveva lasciato già firmate quelle lettere, non consegnate poi al viaggiatore polacco perché non risultava approvato dal governo etiopico il suo viaggio.

In seguito Ostini, rientrato a Gondar dopo un periodo di lontananza, aveva appreso di essere stato accusato da Faitlovitch di essergli stato ostile; essendosi dimostrata inutile la lettera per ras Uolde Ghiorgis  ottenuta con  tanta difficoltà (probabilmente il ras  non si  era  prodigato in suo aiuto a

- 122 -causa della precisazione di Ostini circa il disinteresse italiano per quella missione); inoltre Faitlovitch aveva rimproverato ad Ostini di aver diffuso giudizi negativi sul suo conto espressi dal Falascia Sehalù e di aver dissuaso un altro Falascia, di cui non era indicato il nome, dall'affidargli il figlio per condurlo in Europa. Oggetto del risentimento di Faitlovitch era anche un ebreo di Pisa, il medico militare Vittorio Calò e la diffidenza da lui nutrita verso Ostini lo indusse a non affidare più all'agenzia di Gondar le lettere da inviare in Italia.

Ostini si difese da queste accuse in una lettera a Faitlovitch del 3 giugno 1913, facendo presente di avere lo stesso Faitlovitch definito "buonissima" la lettera per ras Uolde Ghiorgis in un biglietto di ringraziamento del 28 aprile e di avere il Falascia Sahalù giurato di non aver mai dato giudizi negativi su Faitlovitch; chiedeva inoltre l'agente commerciale italiano che fosse precisato il nome del Falascia cui, secondo il polacco, avrebbe sconsigliato di affidarli un figlio per condurlo in Europa.

Ostini affermava di seguire con simpatia l'attività di Faitlovitch, come qualsiasi altra opera civilizzatrice, ma di ritenere comunque incompatibile con gli interessi del governo italiano in Etiopia coinvolgerlo ufficialmente in qualsiasi forma di propaganda religiosa; pertanto definiva "poco equanime e corretto" il giudizio negativo di Faitlovitch sul suo comportamento.

Ostini allegò copia di questa lettera al rapporto inviato al governo di Asmara il 30 giugno 1913; nel comunicare l'insoddisfazione di Faitlovitch per i risultati raggiunti, il funzionario avanzava il sospetto che il viaggiatore volesse attribuire al governo italiano la responsabilità di quel fallimento; affermava inoltre di avere agevolato la missione, pur avendo dichiarato l'estraneità del governo italiano al suo svolgimento.

Queste difficoltà con le autorità italiane lamentate da Faitlovitch non lo dissuasero comunque dall'insistere ancora con Salvago Raggi, quando, ormai sulla via del ritorno, lo incontrò ad Asmara, chiedendogli di poter stabilire a Tekul (o nella regione circostante) quello che il governatore nel rapporto a Martini del 12 novembre 1913 definiva "una specie di ospizio per i Falascia".

Salvago Raggi aveva risposto di autorizzare una scuola soltanto se fosse stata aperta ad Asmara; Faitlovitch, contrario a far stabilire i Falascia in un ambiente urbano, aveva rilanciato chiedendo se sarebbe stato possibile fondarla non in città, ma nelle vicinanze.

In questo rimpallo di proposte e contro proposte Salvago Raggi rispose affermativamente, purché si fosse trattato delle immediate vicinanze, cioè di una località posta a non più di quattro o cinque chilometri di distanza dalla città; in tal caso il governatore si diceva disponibile a favorire la cessione totale o parziale di un terreno edilizio già ottenuto da un altro assegnatario perché vi sorgesse la scuola.

Il governatore annunciava poi che Faitlovitch era prossimo "finalmente" (era un sospiro di liberazione) a rientrare in Italia per riferire al Comitato pro Falascia, destinato forse ad essere di nuovo italiano e non più internazionale, nella speranza di poter così ottenere maggiori aiuti dal governo di Roma.

- 123 -Salvago Raggi inoltre non si diceva contrario a concedere finanziamenti alla missione ebraica per i Falascia, come a qualsiasi iniziativa di altro segno religioso; metteva però in guardia dal consentire a Faitlovitch "... di mischiarsi fra la popolazione indigena, già afflitta da altre tre missioni...", riferendosi sia a quelle cattoliche che a quella evangelica svedese; definire la popolazione indigena " afflitta" dai missionari, la diceva lunga sulla scarsa simpatia del governatore per la loro attività.

Era infine ribadita l'inopportunità di un appoggio troppo esplicito alla missione di Faitlovitch, iniziativa di per sé rispettabilissima, ma tale da "... attirare sospetti ed antipatie al Governo...", specie in Etiopia, "... se si potesse credere che essa agisca d'accordo con noi o peggio per conto nostro".39

Nel rapporto  a Salvago Raggi del 27 aprile 1913 Ostini aveva riferito di aver tentato di rabbonire Faitlovitch facendo presenti gli ostacoli opposti dalle autorità italiane alle missioni cattoliche quando si era temuto che potessero urtare la suscettibilità degli indigeni, compromettendo perciò gli interessi italiani; la prudente riservatezza nei confronti di Faitlovitch - aveva affermato il funzionario - derivava dalla stessa ragione  e non era dovuta ad un'ostilità particolare agli Ebrei.

 Non si trattava di una scusa escogitata per calmare le furie di Faitlovitch. Il complesso e difficile rapporto tra politica e religione fu infatti regolato dal governo italiano sempre in base all'utilità politica che poteva derivarne, a prescindere dal credo religioso dei missionari venuti ad operare nella colonia eritrea.

Quel comportamento aveva radici lontane nel tempo e aveva riguardato logicamente tutte le Potenze coloniali, a partire dal “padronadospagnolo e portoghese: il papa Alessandro VI nel 1453 aveva affidato al re di Spagna il compito di favorire la diffusione del Cattolicesimo, riconoscendogli in cambio la sovranità sui territori posti ad ovest delle isole Azzorre; analogo accordo con il re del Portogallo era stato stabilito per l’Africa e per le Indie orientali.

La Francia con le capitolazioni concordate con l'impero Ottomano aveva fatto della protezione dei Cattolici e dei Luoghi Santi un importante mezzo per affermare la sua influenza in Medio Oriente, in concorrenza con la politica zarista di protezione degli ortodossi

Era stato chiaro alla Chiesa di Roma come quella tendenza politica stabilisse una sua dipendenza dagli Stati e quindi per sottrarsi a tale subordinazione ed affermare la propria funzione spirituale e sovranazionale fu istituita con la bolla papale "Inscrutabili" del 22 giugno 1622 la congregazione "De Propaganda Fide", mirando a sottrarre alle Chiese nazionali il controllo delle missioni per affidarlo a quel nuovo organismo; già nel 1659 la congregazione con le istruzioni date ai vicari apostolici per l'Estremo Oriente assegnava finalità soltanto religiose alle missioni, vietando loro ogni interessamento a questioni politiche e nazionali.

Quei principi furono riaffermati dalla Chiesa cattolica all'indomani della prima guerra mondiale, quasi per contrastare l'acceso nazionalismo che l'aveva scatenata. L'enciclica "Maximum Illud” del 30 novembre 1919 assegnava ai missionari il compito di propagare il regno di Cristo, non quello degli uomini e di procurare nuovi cittadini alla patria celeste, non a quella terrena. Sarebbe risultata compromessa la conversione degli indigeni alla fede cattolica, se questa fosse sembrata una religione propria delle Potenze colonizzatrici, per cui convertirsi avrebbe significato rinnegare la propria patria per quella dei colonizzatori. Principio confermato dalle istruzioni impartite il 6 gennaio 1920 da "Propaganda Fide" ai missionari: essi dovevano nella loro attività evitare ogni inopportuna infiltrazione degli interessi nazionali ed astenersi in ogni modo dal favorirli.

- 124 -Pio XI nell'udienza accordata nel dicembre 1929 ai Procuratori generali ed ai delegati degli Ordini e delle Congregazioni dei missionari arrivò a definire il nazionalismo un flagello, anzi addirittura una maledizione per le missioni; anche se a volte sembrava aver procurato vantaggi, il nazionalismo si era alla fine rivelato dannoso per l'opera missionaria.40

Queste prese di distanza da parte della Chiesa cattolica non valsero però ad impedire in molti casi l'uso strumentale della religione da parte dei politici.

Per quanto riguarda la colonia eritrea è documentato come la religione fosse considerata dalle autorità italiane "instrumentum regni” e quindi le scelte, favorevoli o contrarie che fossero all'attività missionaria, risposero ad interessi politici, ancor prima dell'avvento del regime fascista, quando si ebbero affermazioni del tipo "... dove le Potenze d'Europa hanno già mandato i cannoni delle flotte e i soldati di sbarco per far strada ai loro mercanti" Italia già nella fase preunitaria aveva mandato “… audaci drappelli di uomini, che non hanno altra arma che il Crocifisso... saranno proprio questi uomini a preparare e ad  indicare la strada alle nostre armi vittoriose".

Come protagonista del conflitto italo-etiopico del 1935-36 veniva esaltato padre Reginaldo Giuliani, medaglia d'oro al valor militare, “… soldato di Dio e della Patria, costruttore di chiese sotto il fuoco del nemico e in terra di missione, fante tra i fanti, ardito con gli arditi, legionario di Mussolini, caduto alle Termopili di Passo Uarien…”.

Con lui veniva ricordato padre Borello, pure insignito di medaglia d'oro per i servizi resi: aveva infatti tenuti "miracolosamente i contatti con il comando italiano", preparando "... accortamente la penetrazione delle nostre truppe in quell'angolo tormentato dell'impero africano”. In definitiva, durante la guerra etiopica ogni cappellano militare italiano si era "... venuto trasformando, quasi automaticamente in missionario, missionario di Cristo e dell'Italia".41

Nel periodo prefascista non si arrivò ad esaltare l'utilità bellica della religione. Ma in forma larvata, sotto l'apparente equidistanza  fra le varie religioni, cui si diceva riconoscere pari dignità e pari diritti, in realtà si operava per ricavarne un utile sostegno per l'occupazione coloniale.42 

Già nel 1884, cioè non appena trasformata l’Eritrea in una colonia dello Stato italiano da proprietà privata della società Rubattino, miravano a questo le autorità coloniali italiane.

Il commissario facente funzione per il territorio di Assab, Pestalozzi, faceva presente al ministro degli Esteri Mancini, dopo una precedente analoga richiesta, la necessità di costruire una chiesa con un'annessa scuola, dove "... un buono e scelto prete, oltre ad occuparsi del culto, potesse insegnare a tanti giovinetti abbandonati i primi elementi della nostra lingua e dell'educazione civile". In tal modo si sarebbe acquistata la simpatia dei copti abissini, stupiti che dopo quattro anni dalla formazione della colonia non si fosse ancora provveduto a soddisfare le esigenze religiose: anche i musulmani erano "poco edificati" da quella trascuratezza.

Ed "... un buono e scelto prete" si dimostrò Don Sanna, rientrato da Assab in Italia per ragioni di salute nel 1886; il comandante superiore delle truppe italiane, Genè, ne lodava, nel rapporto del 31 aprile 1886, l'impegno ed i risultati raggiunti nell'insegnare l'italiano ai giovani indigeni, unendo l'impegno didattico e civile al magistero  religioso.

- 125 -Dell'opera svolta da don Sanna si compiacque pure il Ministero degli Esteri, affermando nel dispaccio dell'11 maggio 1886 in risposta al rapporto di Genè: "La diffusione della lingua, mezzo potentissimo di influenza, è una delle prime necessità quando si tratta di una colonia". Si esprimeva quindi approvazione per la proposta fatta da Genè per istituire nella colonia scuole italiane, assicurando: "Ogni cura sarà ben spesa per diffondere i germi della nostra lingua in un terreno così propizio ad accoglierla".

Ma si aspirava a non affidare in esclusiva ai religiosi quel compito; in calce ad un rapporto in data 2 giugno 1887 del console Maissa, inviato in missione a Massaua, che sosteneva l'utilità di scuole italiane nella colonia, fu infatti apposta questa nota, firmata M. (forse Malvano): "Scrivere al prof. Guidi della R. Università di Roma per la proposta di parecchi nomi di Professori d’Italiano che conoscano l’Arabo e siano in grado di ben parlarlo”.

Progetto rimasto però inattuato, tanto da essere all'ordine del giorno ancora nel 1891, quando l'Ufficio Coloniale del Ministero Affari Esteri sosteneva la necessità di aprire una scuola elementare maschile statale a Massaua in un dispaccio al governatore dell'Eritrea. La scuola doveva essere laica, per non sottostare all'influenza dei Lazzaristi francesi, che detenevano la supremazia nel campo delle missioni; si escludeva comunque ogni orientamento ateo ed antireligioso, dovendosi insegnare in quella scuola il rispetto di tutte le fedi, in particolare di quella cattolica; ma la funzione educativa tanto spesso riconosciuta ai religiosi era in quell'occasione messa da parte, se ad esercitarla erano i Lazzaristi, ritenuti un docile strumento della politica francese, per cui si registrava quel sussulto di laicismo del Ministero.

I progetti scolastici in Eritrea stentavano a decollare: nel 1901 Ferdinando Martini nel rapporto al Ministro degli Esteri Prinetti, constatava la mancanza di scuole statali in Eritrea; era stata infatti chiusa quella di Massaua, l'unica esistente, perché troppo costosa in rapporto al numero degli alunni; la popolazione di Massaua veniva sempre più decrescendo, a favore di Asmara dove invece si aveva un incremento demografico e dove tuttavia esisteva solo una scuola elementare maschile religiosa, diretta da padre Bonanni, oltre ad una scuola privata laica per europei gestita dalla signora Ida Locatelli; ed all'Asmara appunto  Martini provvide ad istituire una scuola elementare statale.

Martini, il più illuminato tra gli amministratori della colonia Eritrea, di cui fu governatore dal 1898 al 1907, si occupò non soltanto delle attività scolastiche svolte da religiosi, ma delle conseguenze politiche generali derivanti dall'azione religiosa delle chiese locali e delle missioni europee di orientamento cattolico o protestante.

Si adoperò infatti per accattivarsi la simpatia e l'appoggio dei copti, rinunciando, per non urtarne la sensibilità, a modificare l'ordinamento della loro Chiesa, che, oltre all’Abuna supremo, ne prevedeva altri quattro in rappresentanza dei quattro Evangelisti, tutti nominati dal Patriarca copto di Alessandria e residenti in Etiopia, estendendo all'Eritrea alla loro competenza.

Martini avrebbe voluto evitare tale dipendenza da un'autorità religiosa di oltreconfine ed aveva quindi pensato all'istituzione di un Abuna specifico per l'Eritrea. Ma si rese conto che l'innovazione sarebbe riuscita sgradita al clero copto, il cui appoggio riteneva utile per una"... pacifica penetrazione commerciale dell'Italia in Etiopia".

- 126 -Rinunciò quindi a quel progetto, spiegando così il suo ripensamento: "Era quindi opportuno conservare l'amicizia degli ecclesiastici e siccome la nomina di un Abuna speciale dipendente dall'Italia poteva esser riguardata come un'azione non amichevole dal clero tigrino; parve utile astenersi dall’ addivenirvi; mentre lo estendere della giurisdizione dello Abuna tigrino in Eritrea -specialmente nel caso dello Abuna Petris - poteva dare speranza di contare sull'amicizia di un personaggio molto influente e del clero da lui dipendente".

Analogamente Martini cercò l'appoggio degli islamici, sfruttando l'influenza di un santone della famiglia Morgani, residente in Eritrea, ritenuto discendente di Maometto e di cui Martini asseriva: "Era molto venerato dalle popolazioni musulmane e giova dichiarare che fu ripetutamente assai utile al Governo Italiano".

Morto quel personaggio, i Musulmani dell'Eritrea presero a recarsi a Cassala, in territorio britannico, ove "... risiedeva un altro della famiglia Morgani già domiciliato a Suachin e che il Governo Anglo-Egiziano - scriveva Martini - aveva avuto cura di chiamare a Cassala, ove veniva trattato con grandi riguardi". Quella consuetudine poteva riuscire dannosa agli interessi italiani, se i pellegrini avessero preso a Cassala fissa dimora. Per evitarlo fu costruita a Cheren una moschea ed  in quella stessa località fu chiamato Sidi Giafar El Morgani, anche lui discendente di Maometto, secondo la voce popolare, che in Eritrea poteva vantare"... cospicue parentele" e "... largo seguito di simpatie e di aderenze". Cessarono pertanto i pellegrinaggi a Cassala; se fossero ripresi, sarebbe bastata una sola parola del santone di Cheren per impedire "... l'esodo oltreconfine di intere tribù con le loro mandrie".

Ma non solo copti e musulmani potevano riuscire utili agli interessi coloniali italiani; un ruolo importante potevano averlo anche i cattolici.

Il Bollettino della Società Africana d'Italia nell'anno 1900 commentava così la notizia dell'arrivo in Kenia di missionari italiani dell'Istituto della Consolata di Torino: " Per vero avremmo preferito che dei missionari italiani avessero scelto come campo delle loro azioni regioni che potevano avere più direttamente attinenza con gli interessi nostri, e vasto campo sarebbe stato il paese degli Arussi in Borana; ma è destino che non solo gli incolti emigranti debbano essere inconsci fattori della prosperità altrui".

Per contro, lo stesso Bollettino aveva nel 1898 dimostrato una grande avversione per i Lazzaristi francesi, considerando un grande successo diplomatico per l'Italia la loro sostituzione in Eritrea con i Cappuccini di cui tesseva le lodi.

Scriveva dei Cappuccini: "Istituiti per scalzare la deleteria influenza dei francofili Lazzaristi, essi mostrarono sin dall'inizio vigorosi propositi che senza dubbio avrebbero condotto ad eternare l'italianità in quelle vaste  plaghe. Nella succeduta rilassatezza del paese e del governo, opera tanto bella e santa fu quasi costretta a soccombere, ed in ciò e perciò, oggi sta per essere scalzata da francofili desideri".

La nota si concludeva con l'elogio al presidente del Consiglio, Di Rudinì, perché aveva vietato ai Lazzaristi di transitare per l'Eritrea per recarsi in Etiopia.

- 127 -Nel numero successivo il Bollettino tornava ad occuparsi del ritorno dei Lazzaristi, consentito da Menelik, commentando così la notizia : "Questi Lazzaristi, che, come disse il governo, ci hanno più volte creati seri imbarazzi (Libro Verde 15 luglio 1895. Amministrazione civile Colonia Eritrea) non dovrebbero tornare. Eppure son tornati. Siamo ancora in tempo a provvedere, e provvediamo adunque una buona volta".

Molti anni dopo, nel 1921, l'opera del vicario apostolico Monsignor Carrara e dei Cappuccini subentrati ai Lazzaristi, era così ricordata da "L'Esploratore commerciale": "Opera di patriottismo hanno compiuto i Cappuccini nelle or liete, or tristi campagne d'Africa, opera di civiltà compiono sotto la vigile e sapiente direzione di Monsignor Carrara". Accanto ai Cappuccini avevano operato le suore di Sant'Anna, alle cui cure era affidata l'istruzione dei bambini indigeni: "Le buone suore fanno il sacrificio della fiorente loro giovinezza per accendere nei piccoli cuori una fiamma di purissimo amore per la religione e la patria". Di quell'educazione dei bambini alla civiltà si erano visti i frutti quando essi erano divenuti adulti: "Per questa civiltà i nostri ascari educati dalla Missione hanno versato generosamente il loro sangue".

Alcuni anni prima, nel 1907, Giuseppe De Luigi aveva pubblicato sulla stessa rivista il saggio "Missioni apostoliche e penetrazione commerciale", analizzando la funzione svolta dalle missioni cattoliche e protestanti in Cina a vantaggio degli interessi britannici e tedeschi: era un fenomeno planetario, non limitato al continente africano, l'alleanza stabilitasi fra missionari e colonizzatori europei.43

I mezzi messi a disposizione dei missionari cattolici in Eritrea furono per lo più scarsi, nonostante i vantaggi che potevano venire dalla loro attività.

All'inizio della formazione della colonia, per costruire una chiesa a Massaua si fece ricorso alla generosità dei privati con una sottoscrizione fra gli italiani nel mondo, indetta dall'Associazione nazionale per soccorrere i missionari cattolici e posta sotto il patronato della regina Margherita, che contribuì con 2000 lire sul totale di 4887, 95, frutto della prima raccolta alla data dell'aprile 1890. L'intervento pubblico si limitò, poco tempo dopo, alle 1000 lire inviate dal Fondo Culto del Ministero di Grazia e Giustizia, ed alla direttiva data alle rappresentanze diplomatiche italiane dal Ministero degli Esteri perché facilitassero la raccolta delle offerte. Il successo non fu travolgente: il console a Rangoon, Gianni Corsi, inviò prima 36 e poi 50 lire (di cui 30 dovevano servire per erigere un monumento ai caduti di Dogali); si attivò pure il console generale a Calcutta; da Cadice il console d'Italia fece pervenire 75,84 lire, raccolte dalla principessa Corsini.

Erano gocce d'acqua nel deserto: il generale Baratieri, governatore dell'Eritrea, comunicava al Ministero Affari Esteri il 3 gennaio 1893 che occorrevano 160.000 lire per la costruzione della Chiesa. Fu accantonata l'idea di costruire a Massaua la Chiesa, preferendo di erigerla ad Asmara.

Si trattò di una costruzione modesta: era prevista per essa una spesa di 27.000 lire, molto inferiore alle 160.000 da Baratieri ritenute necessarie per la Chiesa a Massaua.

La somma fu raccolta dall'Associazione nazionale per soccorrere i missionari cattolici e poi versata al Ministero Affari Esteri. La chiesetta rimase in attività fino alla sua demolizione, venendo sostituita nel 1922 da un edificio più imponente sorto al suo posto, la cattedrale costruita su progetto dell'architetto Scanavini; nell’abside fu posto un quadro di Carlo Maratta, "L’Assunzione", dono di Vittorio Emanuele III e le campane furono fuse con il bronzo ricavato dai cannoni austriaci presi a Vittorio Veneto.

- 128 -La chiesa ospitò la tomba di monsignor Camillo Carrara, vicario apostolico per l'Eritrea dal 1911 al 1922, la cui opera era stata lodata dal Bollettino della Società Africana d'Italia; sulla stessa pubblicazione nel 1922 era stato riportato l'appello lanciato agli Italiani proprio da monsignor Carrara, ormai alla vigilia della sua morte, con toni di un nazionalismo trionfalista, perché Asmara avesse una cattedrale degna delle tradizioni religiose ed artistiche dell'Italia: " Una cattedrale d’Eritrea ci vuole. Ma deve essere l'espressione del genio italico, della gentilezza italica, dell'italica grandezza". La cattedrale, pronosticava il prelato, "... renderà sempre più attraente la capitale della nostra colonia, e parlerà al cuore dell'italiano e dell'indigeno nel doppio linguaggio dell'arte e della fede, della dolce nostra Patria a stimolo di sempre nuovi trionfi".

L'insofferenza del governo italiano alla fine del secolo XIX per le complicazioni create dall'attività missionaria non dipese soltanto dall'azione dei Lazzaristi francesi; contribuì a suscitarla il controllo sulle missioni esercitato dalla congregazione "De Propaganda Fide". Il segretario dell'Associazione nazionale per soccorrere i missionari cattolici, Schiaparellipropose pertanto nel 1891 al marchese Di Rudinì, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, un piano per militarizzare la Chiesa cattolica in Eritrea, nominandovi parroci  25 giovani religiosi che stavano prestando il servizio militare, essendo all'epoca in vigore tale obbligo anche per i sacerdoti. I giovani parroci, appartenenti a vari Ordini, avrebbero dovuto vestire l'abito religioso, svolgendo le loro funzioni per tre anni, periodo di tempo pari a quello prescritto per il servizio militare.

Con gradualità i parroci avrebbero sostituito i missionari anche nelle attività scolastiche e, mantenendo la qualità di militari, sarebbero stati sottratti al controllo di “Propaganda Fide" ed avrebbero posto fine al predominio dei Lazzaristi francesi.

Il governo si dimostrò interessato alla proposta, ringraziando Schiaparelli; ma rinviò ogni decisione al momento in cui si sarebbero conosciute le conclusioni della Commissione Reale d’inchiesta in Eritrea.

Non se ne fece nulla, come spesso accadeva. Ma permaneva l'interesse del Ministero degli Esteri per la situazione religiosa e scolastica in Eritrea, tra loro strettamente connesse.

In un appunto anonimo e non protocollato del Ministero Esteri, recante la data del 24 agosto 1894, si affermava di fatti: "La questione delle scuole nella Colonia e Eritrea è una questione di italianità. Non si può e non si deve tollerare che in casa nostra una missione «francese», pur non facendo contro di noi aperta propaganda, educhi nel suo seno un elemento che ci diventa ostile.  È deplorevole che in una nostra colonia territoriale, una missione religiosa non curi l'insegnamento della lingua italiana".

Per sbarazzarsi dei Lazzaristi francesi si preferì render loro la vita impossibile sì da costringerli ad andarsene, piuttosto che allontanarli bruscamente con un atto di forza.

In attuazione di questo programma, il 26 agosto successivo il Ministro degli Esteri Blanc comunicò al generale Baratieri l'intenzione di sostituire i missionari italiani ai Lazzaristi francesi; si sarebbero inoltre dovute istituire scuole statali a Cheren, centro dell’azione dei Lazzaristi.

 

- 129 -La situazione si risolse in altro modo; Baratieri comunicò difatti a Blanc il 12 settembre 1894 che non era più necessario intervenire, dal momento che il Papa aveva disposto la sostituzione di missionari italiani a quelli francesi; inoltre proprio a Cheren, ad opera del capitano Boeri, era stato aperto un istituto privato laico per bambini orfani o abbandonati.

Il Ministero degli Esteri fu d'accordo con le osservazioni del generale Baratieri e quindi furono abbandonate le disposizioni date il 26 agosto per l'apertura di scuole statali in Eritrea, che rimase ancora per anni dotata soltanto di scuole religiose. Nel rapporto al Ministero degli Esteri del 23 giugno 1901, già citato, Martini lamentava quella situazione, ricordando l'esistenza delle scuole della missione protestante svedese ad Asmara, Belesa e Ghelet, accanto alle scuole dei missionari cattolici. Ai missionari svedesi il governatore muoveva questa critica: "Sembra però che la missione evangelica sia troppo assorbita da’ suoi intenti religiosi. L'italiano dovrebbe essere obbligatorio: ma gli stessi maestri lo conoscono male".44

La missione evangelica svedese risaliva ai primi anni della colonia Eritrea. Il Ministero della Marina dava notizia il 28 febbraio 1885 al Ministero degli Esteri di un telegramma inviato dall'ammiraglio Caimi di stanza nel Mar Rosso per comunicare l'arrivo della corvetta svedese "Vanadis” con a bordo S.A.  il principe Oscar e la richiesta di protezione per i missionari svedesi. Lo stesso giorno il segretario generale del Ministero Affari Esteri, Giacomo Malvanotelegrafò al Ministero della Marina perché l'ammiraglio Caimi prendesse accordi con il colonnello Saletta, comandante delle truppe di terra, al fine di assicurare  ai missionari svedesi la protezione richiesta

Il principe Oscar espose poi a Massaua gli scopi della missione al console Felice Maissa, distaccato temporaneamente in Eritrea, dal cui rapporto al Ministro degli Esteri, Mancini, risultava la richiesta svedese, oltre che di protezione per i missionari, di collaborazione per la lotta allo schiavismo, cui si opponevano gli egiziani interessati invece a quella pratica inumana.

Maissa assicurò una protezione per la missione svedese pari a quella data agli italiani; in quanto alla lotta  allo schiavismo - aggiungeva il console - essa corrispondeva senz’altro agli ideali umanitari italiani, ma non poteva assumere impegni al riguardo prima di avere studiato il problema

La prudente risposta derivava forse dal fatto che l'Egitto era più vicino all’Eritrea della Svezia ed il diplomatico non voleva esporre a cuor leggero l'Italia ai possibili rischi derivanti da un'azione antischiavista tale da compromettere ulteriormente i rapporti già difficili con gli Egiziani, a causa della loro rivendicazione di territori occupati dall'Italia e da essi considerati appartenenti in passato all'impero ottomano e quindi trasferiti dal sultano al Kedivè assieme al riconoscimento della sua sovranità.     

I rapporti delle autorità italiane in Eritrea con la missione evangelica svedese erano comunque definiti ottimi dal generale Genè, subentrato a Saletta nel comando delle truppe di stanza in Eritrea, nel rapporto inviato il 3 gennaio 1886 al ministro degli Esteri, Di Robilant.

Si era instaurata una collaborazione con i missionari, ai quali, superando la prudenza dimostrata dal console Maissa erano affidati i bambini liberati dalla schiavitù. In un successivo rapporto del 9 ottobre 1886 Genè illustrava così la visita compiuta presso la missione svedese di Otumbo: “ Essendo giorno di lavaggio, vi trovammo gli schiavetti che loro affidammo, tanto maschi che femmine, rispettivamente ai loro lavatoi, tutti attivi e ben pasciuti”.

- 130 -Il generale si rallegrava dell'ordine e della pulizia regnanti in tutti i locali; attorno al "... bellissimo e ridente fabbricato" della missione, sorgevano le capanne degli ex allievi, che "... messa su famiglia" erano divenuti "... buoni operai od industriali" (cioè artigiani). Un particolare interessò soprattutto Genè: i bambini di 9 o 10 anni parlavano benissimo l'italiano e facevano da interpreti ai carabinieri.

Non ebbe in seguito la stessa favorevole impressione Martini, lamentatosi nel 1901 della scarsa conoscenza dell'italiano dimostrata non solo dagli allievi indigeni, ma anche dagli stessi insegnanti svedesi!

Le notizie date da Genè furono accolte con soddisfazione dal ministro di Robilant, tanto da proporre di elargire una sovvenzione ai missionari svedesi, in segno di apprezzamento per la loro opera; ma il generale non lo ritenne opportuno, poiché la missione disponeva di molti mezzi economici e non aveva quindi bisogno di un sussidio italiano; si erano comunque date ad essa agevolazioni di vario tipo, rappresentanti un finanziamento indiretto (passaggi gratuiti sulle navi italiane, esenzioni doganali, fornitura di libri come la grammatica latino-amarica del Massaia).  

Quali fossero le disponibilità economiche della missione svedese può desumersi da un appunto del Ministero Affari Esteri in data 5 gennaio 1892, relativo ai versamenti effettuati nell'anno 1891 a favore della missione stessa (il denaro arrivava dalla Svezia al Ministero Affari Esteri italiano, veniva poi accreditato sul bilancio della colonia Eritrea ed infine versato in oro alla missione); la somma versata nel 1891 era notevole per quell'epoca: 2940 lire sterline inglesi pari a 74.803  lire italiane.  

L'attività della missione contribuì a stabilire rapporti di cordialità tra i governi di Roma e di Stoccolma; nel dicembre 1895 il rappresentante diplomatico italiano presso la corte svedese, Zannini, fece omaggio al sovrano di Svezia del "Libro Verde" sull'Eritrea, in cui si era "tenuto conto" - annotava il diplomatico - "... dell'opera filantropica e della propaganda ispirata a sentimenti di devozione all'Italia della Missione Svedese".

Nell'aprile dello stesso anno era affiorata tra Roma ed Asmara l'idea di conferire un'onorificenza al capo della missione evangelica svedese, Andrea Svenson, meritevole - scriveva Baratieri - di essere insignito del titolo di Cavaliere ufficiale della Corona d'Italia per le benemerenze acquistate "... col continuo ossequio alle leggi, col tatto, colla prudenza  e collo zelo a diffondere la lingua italiana".

Proposito non realizzato, poiché - comunicava la legazione italiana a Stoccolma - il Ministero degli Esteri svedese aveva ringraziato, ma declinato l'offerta in quanto la Direzione delle Missioni Svedesi preferiva non fossero decorati i missionari.

Baratieri  nell'accettare la proposta di un'onorificenza per il capo della missione svedese ne aveva lodato lo zelo e la prudenza oltre che l'opera svolta per diffondere la lingua italiana. Ma qualche anno dopo sembrava esser scomparsa la prudenza nella predicazione religiosa degli svedesi: era rimasto solo lo zelo, eccessivo a parere del nuovo governatore dell'Eritrea, Martini.

Nel suo rapporto del 26 aprile 1901 al ministro degli Esteri, Prinetti, Martini infatti criticava l’azione aggressiva dei missionari, sia cattolici che evangelici, per cui aveva dovuto rassicurare i capi indigeni sulla volontà del governo italiano di rispettare la libertà religiosa, senza imporre alcuna conversione.

- 131 -A proposito dei missionari evangelici il governatore lamentava soprattutto il comportamento degli indigeni convertiti alla fede luterana, poiché essi avevano fatto sfoggio dello zelo proprio dei neofiti, suscitando pertanto malumore.

Ma aggiungeva altro Martini, dimostrando sentimenti razzistici, propri della mentalità dell'epoca, nello scrivere: "È necessità assoluta di governo l'affermare nel modo più aperto la superiorità della razza bianca sulla nera". Pertanto erano inammissibili i matrimoni di donne bianche con gli indigeni; "... il divieto di siffatte unioniaffermava il governatore - deve costituire una insuperabile barriera a tutela e a guarentigia del prestigio della nostra razza. Ma la missione svedese ha mostrato di non avere il necessario sentimento di tale dignità". Una donna svedese, infatti, con il consenso del capo-missione - si indignava Martini - "... scese sino ad unirsi in regolare matrimonio con un indigeno".

Il governatore aveva protestato poiché il fatto era "... oggetto di giusto scandalo fra gli europei, di mordaci comenti (sic) fra gli indigeni". Se si fossero ripetuti episodi simili, avrebbe proibito" il soggiorno in Eritrea a coniugi di tal genere".

Sollecitava infine un immediato intervento del ministero Affari Esteri  presso il rappresentante della Svezia a Roma, Bildt, "... invitandolo a far pervenire a questi suoi  connazionali consigli di moderazione e di prudenza".

Richiesta prontamente accolta: allegato al rapporto di Martini si trova infatti questo appunto anonimo: "Deploriamo. Presenteremo un memorandum a Bildt”.

Puntualmente il 19 maggio 1901 fu consegnata al diplomatico svedese una nota di protesta del segretario generale del Ministero Affari Esteri, Malvano (israelita, ma convinto anche lui della necessità di tutelare la superiorità della razza bianca sulle altre).    

La nota era quasi una parafrasi del rapporto di Martini: "Le gouvernement de l’Erythrée se trouve dans la nécessité absolue d’affirmer la superiorité de la race blanche sur la nègre. En hommage à ce principe d’ordre public les unions d’un noir avec une blanche sont défendues. Or, une femme suédoise d’Asmara, avec le consentement de la Mission dont elle fait partie vient de se marier avec un indigène. Le Commissaire civil eut connaissance de ce fait trop tard pour l’empêcher, et ce mariage est devenu à l’heure actuelle un sujet de scandale pour les Européens et d’ironiques commentaires par les indigènes…”. Come richiesto da Martini, Malvano invitava Bildt a far pervenire ai missionari svedesi"...des conseils de modération et de prudence”, al fine di conservare buoni rapporti fra le autorità italiane in Eritrea e la missione evangelica svedese.

Bildt prese tempo nel rispondere; solo il luglio, da Viareggio dove si trovava in vacanza, rispose a Malvano con una lettera privata, annunciando le successive tappe delle sue vacanze, prima a Parigi, poi a Marienbad, rientrando a Roma solo il ottobre; proponeva quindi di trattare l'argomento al suo rientro e concludeva augurando con diplomatica e forse ironica cortesia a Malvano "un été frais et paisible”; augurio accompagnato da una cordiale stretta di mano.

Da notare come sia Martini che Malvano considerassero scandalosa l'unione fra un uomo di colore ed una donna bianca; non sembrava destare scandalo il caso inverso dell'unione di una donna di colore con un bianco; eppure, fra gli italiani residenti nella colonia, era diffusa l'abitudine di allietare la loro solitudine accompagnandosi alle "madame", senza contrarre però vincoli matrimoniali, limitandosi ad unioni di fatto allietate in molti casi da una prole più o meno numerosa, destinata all'abbandono assieme alla madre.

- 132 -Pratica destinata a durare anche in epoca fascista, malgrado i divieti mussoliniani ad avere rapporti con le "faccette nere".

Il ritardo svedese nel rispondere a Malvano sembra denotare un certo disagio e fastidio dei più disinibiti nordici nel doversi occupare di una storia sentimentale, divenuta affare di Stato da semplice vicenda privata.

Ma alla fine la risposta arrivò con il promemoria notificato dal barone Bildt al ministro degli Esteri, Prinetti, il 18 ottobre 1901, cioè cinque mesi dopo la nota di Malvano Si comunicava che la "Evangeliska Fösterlands Stiftelsen”, società da cui dipendeva la missione in Eritrea, si era impegnata a far dimettere in futuro chi avesse contratto un matrimonio misto (non si precisava se tale misura sarebbe stata applicata anche nel caso di nozze tra uno svedese ed una donna indigena; né si faceva cenno a quale sorte sarebbe andata incontro la coppia oggetto dello scandalo). Inoltre, per mantenere le distanze con gli indigeni, si sarebbe rinunciato al progetto di istruire in Svezia predicatori luterani (esistevano al riguardo numerosi precedenti di indigeni divenuti missionari dopo esser stati istruiti in Europa). Si sarebbe inoltre raccomandato ai missionari svedesi ed agli indigeni convertiti di evitare comportamenti tali da suscitare disordini.

Malgrado questa raccomandazione, i temuti disordini si verificarono in alcune località, dove la popolazione copta era insorta contro i troppo zelanti predicatori evangelici. Il commissario civile facente funzione, Giachetti, comunicò infatti nel settembre 1902 a Prinetti di aver invitato i missionari svedesi a desistere dalla loro attività dove essa risultasse sgradita. Giachetti ridimensionava la gravità dei fatti, precisando che in base alle indagini svolte non risultavano atti di violenza da parte della popolazionetoni offensivi per i copti nella predicazione dei missionari svedesi.45

Ci fu successivamente, nel 1911, una complicazione per la missione svedese in Eritrea, a causa di una scissione in seno alla società da cui i missionari dipendevano, conseguenza di divergenze sorte per l'interpretazione di alcuni passi della Bibbia. Si staccò dalla maggioranza un gruppo di intransigenti, dando vita ad una nuova organizzazione, la "Bibeltrogna Vänner" ("Amici fedeli della Bibbia"). Ne diede notizia al Ministero Affari Esteri  un promemoria della legazione svedese a Roma, in data 8 dicembre 1913, comunicando  che alcuni dei missionari operanti in Eritrea erano tra gli scissionisti. Uno di essi, il pastore Karl Myström, aveva acquistato per 25.00 lire un podere posto a 35 km da Asmara per aprirvi una scuola. Si era opposto il governo coloniale italiano, comunicando oralmente nel maggio 1912 a Myströn che non si autorizzava l'attività di rappresentanti di nuove religioni in Eritrea.

La legazione svedese chiedeva conto di quel divieto, facendo presente che Myström restava pur sempre luterano e quindi non poteva dirsi operasse per una nuova religione.

Dalla minuta del promemoria del Ministero Affari Esteri (priva di data e firma) risulta che il divieto era stato opposto a Myström per "... infrenare i trapianti in Colonia di confessioni religiose che possano in qualche modo alterare le pacifiche condizioni pubbliche nei riguardi delle popolazioni soggette fra cui si esplicano le varie e continue propagande religiose".

Al pastore svedese era stata consentita solo un'attività agricola; appreso che faceva pure propaganda religiosa, nel 1912 il Commissario regionale del Senè l'aveva richiamato all'ordine.

- 133 -Lealmente Myström aveva comunicato nel gennaio 1913 di non poter rinunciare a svolgere attività religiosa e di voler pertanto trasferirsi fuori dall'Eritrea per poterla continuare; nessuna proibizione era stata fatta per il trasferimento progettato.

La minuta del promemoria in questione è priva di data; ma ad esso può esserne attribuita una successiva al 10 giugno 1914, data di un rapporto del governatore dell'Eritrea Salvago Raggi, basandosi sul quale e sul precedente del 15 aprile dello stesso anno fu redatto quel promemoria.

Nel primo rapporto, quello datato 15 aprile 1914, Salvago Raggi aveva precisato di aver proibito l'attività di Myström non perché scissionista, ma per "... considerazioni d'ordine generale", tenute presenti anche quando avevano cercato di stabilirsi in Eritrea "... le missioni degli Avventisti del Settimo Giorno e quella della Società Pro Falascia".

Quelle "considerazioni d'ordine generale" per Salvago Raggi si riassumevano "... nel criterio di favorire solo le religioni seguite da considerevole numero di sudditi”.

Era questo un nuovo argomento, mai prima addotto per spiegare la mancata concessione del terreno chiesto da Faitlovitch a nome del Comitato pro Falascia per costruirvi una scuola; con buona pace del rispetto dovuto alle minoranze religiose il governatore riconosceva il diritto alla libertà di coscienza solo in base al numero dei fedeli.

Criterio quanto mai illegale ed oltretutto, per quanto riguardava gli Ebrei, non osservato quando senza alcuna difficoltà era stato dato loro ad Asmara il terreno da adibire alla costruzione della sinagoga; e difatti il Ministro delle Colonie, Martini, obiettò di non sembrargli consigliabile adottare come "norma assoluta" di consentire o meno un'attività religiosa a seconda del numero dei fedeli. Riteneva comunque opportuno il ministro frenare la presenza di sette religiose atte a turbare la quiete politica. Affermava inoltre Martini che le divisioni dottrinarie dei luterani, risultando incomprensibili agli indigeni, avrebbero potuto turbarli, e chiedeva poi se, oltre alle ragioni di carattere generale citate dal governatore, ne esistessero di specifiche per cui era stata vietata l'attività di Myströn; precisazione ritenuta necessaria perché la legazione svedese avrebbe potuto ritenere quel divieto dovuto ad intolleranza religiosa.

Nel secondo rapporto, inviato il 10 giugno 1914, Salvago Raggi si mostrava insofferente delle varie ed a volte contrastanti attività missionarie: " Sono già troppe - scriveva - le sedi delle missioni stabilite in questa colonia con un consenso più o meno tacito del governo, e cominciano ad essere notevoli i dissensi tra le popolazioni soggette fra cui si esplicano le varie e contrastanti propagande religiose".

Del resto, osservava con una punta di stizza il governatore, anche Martini sembrava essere della stessa opinione, avendo sostenuto l'opportunità di "... frenare i trapianti di sette religiose".

Quando aveva parlato di "religioni seguite da un considerevole numero di sudditi", precisava infine  il governatore, intendeva riferirsi a quella cattolica, alla copta, alla musulmana.46

I rapporti dei missionari svedesi con le autorità italiane si complicarono ulteriormente con lo scoppio della prima guerra Mondiale; ancor prima dell'intervento italiano, essi si dedicarono ad una propaganda filo-germanica, destando ovviamente le reazioni del governo di Roma.

- 134 -Di quell'attività dei missionari si diceva stupito e dolente il barone Axel Rappe, direttore della Società evangelica patriottica di Stoccolma, in una lettera del 4 marzo 1915 al ministro svedese degli Affari Esteri; trasmessa il 16 dello stesso mese dalla legazione svedese a Roma al ministro Martini.

Rappe ricordava con riconoscenza la protezione italiana sempre accordata ai missionari evangelici e prometteva di svolgere un'inchiesta oltre a raccomandare ai missionari di astenersi da ogni attività politica; avrebbe inoltre disposto che il presidente della conferenza delle missioni svedesi in Africa Orientale facesse visita al governatore dell'Eritrea per eliminare ogni malinteso e garantire la reale neutralità dei missionari nei confronti del governo italiano.

La lettera di Rappe fu inviata a Salvago Raggi e questi ne fece avere copia al direttore della missione in Eritrea, Iwarson, che si premurò a negare di aver svolto una qualsiasi attività antitaliana, facendo insinuazioni sul pastore secessionista Myström, sospetto per i suoi rapporti con il ras del Tigrai; il governatore affermò di non aver rilievi da muovere a Iwarson, ma di avere dubbi sulla condotta di Myström

Nonostante le assicurazioni del pastore Iwarson continuarono a circolare voci di azioni antitaliane da parte dei missionari svedesi: due di essi, comunicava a Martini il reggente del governo dell'Eritrea, Cerrina, con telegramma del 19 settembre 1915, avevano diffuso notizie circa vittorie austriache sugli Italiani. Cerrina avrebbe voluto denunciarli al Procuratore del Re ma si chiedeva se non convenisse invece espellere tutti i missionari svedesi; prima di agire chiedeva però istruzioni.

Con telegramma del 22 settembre Martini rispose di ritenere preferibile l'espulsione soltanto dei due missionari incriminati, ammonendo gli altri che avrebbero subito la stessa pena se avessero abusato "... della concessa larga e protetta ospitalità".

Il 30 dello stesso mese Cerrina dichiarava di disporre già di sufficienti prove contro i due missionari (di cui continuava a tacere i nomi); ma prima di procedere alla loro espulsione preferiva attendere i risultati delle ulteriori indagini disposte sul loro conto.

Non tardò l'esito di queste indagini: Martini informò difatti il 19 novembre 1915 il barone Bildt, ministro di Svezia a Roma, di aver ricevuto da Cerrina un dispaccio in data 8 novembre in cui si affermava esser gravi, ma non determinanti, le prove raccolte a carico dei due missionari Erixon e Anderson (di cui alfine erano fatti i nomi). Pertanto era stato convocato il capo delle missioni evangeliche svedesi per esaminare il caso; questi aveva cercato di scusare il due, affermando che essi avevano parlato senza riflettere, ma aveva comunque convenuto sull'opportunità di una loro spontanea partenza, avvenuta il 5 novembre, e di chiudere la loro missione.

Andò meno bene successivamente ad altri missionari, colpiti da provvedimenti di espulsione; Cerrina con dispaccio del 13 dicembre 1915 informò di avere emesso due decreti contro missionari stranieri di varia nazionalità e appartenenti a varie chiese.

Dal primo provvedimento furono colpiti il norvegese Lorentz Emery e lo svizzero Karl Steiner, dirigenti della missione a Gaggiret della Chiesa degli Avventisti del Settimo Giorno di Washington, perché la loro corrispondenza aveva rivelato propositi sospetti.

Il secondo decreto di espulsione riguardava invece il pastore Karl Myström ed altri due svedesi di cui era taciuto il nome, tutti appartenenti della missione a Debaroa dell'organizzazione scissionista svedese "Bibeltrogna Vänner”; anche nel loro caso le accuse erano generiche: dalla corrispondenza loro sequestrata erano emerse "relazioni dubbie oltre confine" ed essi avevano "manifestato tendenze e propositi sospetti".

- 135 -Cadde pertanto nel vuoto la richiesta di poter inviare in Eritrea altri quattro missionari svedesi, avanzata dal barone Bildt a Martini il 3 ottobre 1915, quando non erano ancora stati espulsi i missionari, ma l'aria si era comunque già fatta pesante. Il ministro delle Colonie si era affrettato a consultare Cerrina con telegramma del 5 ottobre ed il funzionario rispose con altrettanta celerità il giorno 7, esprimendo parere negativo, considerato anche che per ragioni economiche era stata disposta la chiusura per alcuni mesi delle scuole delle missioni evangeliche svedesi, per cui non era giustificato l'arrivo di nuovi missionari. In base a tali considerazioni Martini spiegò a de Bildt il rifiuto opposto alla sua richiesta.47

Nonostante questi episodi il bilancio dell'attività della missione svedese evangelica in Eritrea è da considerarsi positivo; ospitò molti ragazzi eritrei ed etiopici nelle sue scuole e, dando prova di una tollerante larghezza di vedute, non era per essi obbligatorio convertirsi. Tra quanti frequentarono la scuola evangelica di Asmara fu, lo si è già ricordato, il giovane Falascia Taamrat Emmanuel, la cui adesione alla fede luterana resta dubbia, anche se i suoi genitori sicuramente si convertirono.

I missionari, oltre all'attività scolastica, svolsero anche un'importante funzione culturale: l'unica tipografia esistente nella zona fu a lungo quella della missione evangelica di Asmara, oltre a quella governativa italiana utilizzata per gli atti e le pubblicazioni ufficiali.

Ma le difficoltà per il governo italiano non vennero soltanto dai missionari evangelici; anche quelli cattolici in più occasioni crearono problemi con il loro zelo eccessivo non meno di quello dei luterani e altrettanto sgradito quindi per gli indigeni; oltretutto si avvertivano in colonia i riflessi delle tensioni esistenti in Italia fra Stato e Chiesa Cattolica.

L'ammiraglio Canevaro, ministro degli Affari Esteri nel governo Pelloux, si era illuso che l'Eritrea fosse un'isola felice, immune da quelle tensioni, ed esortò perciò Martini, da poco nominato commissario civile della Colonia, a coltivare buoni rapporti con le autorità religiose. Scriveva il ministro nel suo dispaccio al governatore del 19 novembre 1898: " È ventura che nella nostra colonia vengano assolutamente a mancare quelle particolari ragioni, per cui, in Italia, il clero ed i suoi aderenti si erigono spesso ad avversari delle istituzioni nazionali". Bisognava quindi approfittare di ... così felice stato di cose "per rendere sempre più cordiali i rapporti con il clero, giovandosi di esso... come di elemento opportunissimo di influenza italiana sulle popolazioni indigene", cui non si doveva far credere che lo Stato italiano fosse un nemico della religione.

Il ministro pertanto esortava a mostrarsi deferenti verso il Prefetto Apostolico ed il clero tutto, poiché gli indigeni avrebbero apprezzato il rispetto dimostrato "... verso l'abito talare".

Martini si affrettò a disilludere il ministro sulla supposta tregua esistente in Eritrea nel conflitto Stato-Chiesa.

Con il rapporto del 3 dicembre 1898 comunicò che nella chiesa di Asmara non si recitava la preghiera per il re, "oremus pro rege nostro”, introdotta poi nei riti religiosi soltanto per un suo intervento. Inoltre, il 20 settembre su tutte le case italiane di Asmara sventolava il tricolore per festeggiare Roma Capitale: solo nell'istituto delle suore di Sant'Anna non era presente il vessillo nazionale.

- 136 -Il governatore dava atto al Vicario Apostolico, padre Michele da Carbonara, di essersi sempre mostrato fedele all'Italia ed al Re, ma gli rivolgeva altre accuse: un caporale avrebbe voluto denunciare il Vicario Apostolico per ingiurie e minacce (poco evangelicamente il monsignore aveva detto al militare "T’empio il muso di cazzotti”); per evitare lo scandalo si era disposto il rimpatrio del caporale. I religiosi dovevano guadagnarsi la deferenza consigliata dal Ministro mantenendo una condotta corretta; invece - denunciava il governatore - i cappuccini destavano scandalo, rivolgendo alle donne degli ascari"... parole sconvenienti ed inviti oltraggiosi".

Rimasero pertanto difficili i rapporti delle autorità italiane con il clero e risultò sgradita al governatore l'onorificenza per il Vicario Apostolico proposta al Re dal governo; se ne dolse Canevaro, affermando che quel riconoscimento doveva essere inteso come un premio all'attività personale del padre Carbonara e non erano in esso sottintesi altri significati.

A parte gli impulsi boccacceschi dei Cappuccini, riferiti da Martini, esistevano altri motivi di malcontento verso i religiosi, esposti in più occasioni ancor prima dell'arrivo di Martini nel gennaio 1898.

Un suo predecessore, il vicegovernatore Caneva, nel dicembre 1897 aveva lamentato l'ignoranza delle suore di Sant'Anna, buone infermiere ma cattive insegnanti e sulla cui moralità  il funzionario aveva qualche dubbio. Le ragazze indigene affidate alle loro cure non ricevevano un'istruzione adeguata neanche sul piano pratico, come si era visto quando alcune di esse erano state assunte per i lavori domestici presso famiglie italiane.

Le ripetute lamentele sul basso livello culturale dei Cappuccini e delle suore di Sant'Anna indussero il ministro Canevaro a progettarne la sostituzione rispettivamente con i Salesiani e le suore di Carità (dispaccio del 22 dicembre 1898); ma fu lo stesso Martini a frenare quel proposito del Ministro, perché pur considerandolo opportuno, riteneva poco adatto il momento per attuarlo (rapporto del 9 gennaio 1899).

Intervenne nella questione il senatore Lampertico, presidente dell'Associazione nazionale per soccorrere i missionari cattolici italiani; nella sua lettera a Canevaro del 20 febbraio 1899 riconosceva la scarsa cultura dei Cappuccini e delle suore di Sant'Anna, di cui però difendeva strenuamente la moralità, definendo calunnie le voci corse sul loro conto.

Le suore inoltre sapevano dare alle ragazze indigene una buona formazione pratica (Martini invece l'aveva negato). Dato però il livello culturale indubbiamente basso di quelle suore, il senatore si diceva contrario a classi miste di ragazze indigene ed europee, poiché alle seconde doveva esser data un'istruzione più approfondita, che le suore di Sant'Anna non erano in grado di fornire. Il senatore avrebbe comunque proposto alla congregazione "De Propaganda Fide" di sostituire le suore di Sant'Anna; ma la congregazione avrebbe condotto una propria indagine e deciso autonomamente.

I Cappuccini stessi - aggiungeva Lampertico - riconoscevano di essere poco adatti a compiti culturali; quando nel 1894 avevano sostituito i Lazzaristi si erano trovati in difficoltà, perché non avevano la stessa conoscenza delle lingue e delle tradizioni locali posseduta  dai missionari francesi;

- 137 -durante la guerra con l'Etiopia del 1896 avevano però svolto in modo soddisfacente attività assistenziali per i militari. Il senatore si diceva contrario a scuole laicheritenendo cattivi i risultati da esse  raggiunti; proponeva quindi che Barnabiti e Scolopi curassero le scuole maschili, le suore della Carità di Ivrea quelle femminili e, a conclusione della sua lettera, lamentava lo scarso sostegno morale e materiale fornito alle missioni dal governo dell'Eritrea, fatte salve alcune eccezioni individuali.

Il ministro mise al corrente Martini di questa lettera e gli fece richiesta di un parere sull'opportunità di ricorrere agli Ordini religiosi, affiancandoli ai Cappuccini ed alle suore di Sant'Anna che avrebbero pertanto continuato la loro attività in attesa di tale parere, Canevaro aveva scritto a Lampertico di sospendere  ogni iniziativa.

Nel rispondere al ministro, Martini ci tenne anzitutto a precisare che le accuse di scarsa moralità riguardavano soltanto una delle suore di Sant’Anna, si basavano su "prove irrefutabili", ma non andavano generalizzate. Si diceva d'accordo per l'arrivo degli Scolopi e delle suore della Carità, a condizione però che venissero in piccolo numero e sostituissero i Cappuccini e le suore di Sant'Anna gradualmente e "... con i debiti riguardi e cautele".

Sopraggiunsero però preoccupazioni e difficoltà maggiori a bloccare i progetti di sostituzione. Più che della inadeguata preparazione culturale dei missionari cattolici, Martini si preoccupava dello zelo a volte eccessivo con cui essi svolgevano la loro propaganda religiosa. Scriveva il governatore al Vicario Apostolico l'8 febbraio 1901 di trovare certamente incivile l'usanza dei Bogos di celebrare le nozze di fanciulli, stabilite in seguito ad accordi tra le famiglie; ma bisognava intervenire con tatto e prudenza, con una progressiva opera che convinzione, evitando interventi del tipo di quelli messi in atto da alcuni missionari, che avevano esortato le fanciulle ad opporsi al matrimonio proclamandosi "figlie di Maria".

Quel comportamento rischiava di fomentare l'odio e la vendetta degli interessati e di turbare l'ordine pubblico, alienando le simpatie popolari per il governo. Chiedeva pertanto di impedire "... l'intempestiva propaganda" e di non creare "... nuovi imbarazzi, nuove difficoltà".

Senza frapporre troppo tempo in mezzo, il giorno successivo, 9 febbraio 1901, Martini inviò un rapporto al ministro degli Esteri, Visconti Venosta, denunciando l'imbarazzo creato al governo da una propaganda cattolica non sempre prudente ed avveduta; i missionari si erano giovati delle divisioni tribali esistenti per spingere alle conversioni, con gravi conseguenze politiche.

Si era agito imprudentemente per le consuetudini matrimoniali dei Bogos ed il governatore allegava al rapporto copia della lettera inviata il giorno precedente al Vicario Apostolico.

Visconti Venosta fu d'accordo con Martini, come risulta da questo appunto senza firma spillato al rapporto: "Approviamo: speriamo che il richiamo giovi".48

 E un severo richiamo fu rivolto da Martini anni dopo, nel 1906, ad un religioso italiano, padre Angelo Colombaroli, a causa dei suoi progetti da cui potevano derivare complicazioni internazionali.

 

- 138 -Il padre Colombaroli, superiore generale delle missioni comboniane in Africa centrale, aveva avuta notizia della richiesta del Vicario Apostolico di Kartum al governatore del Sudan, sir Reginald Wingate,  di istituire con il suo appoggio e con il consenso di Menelik una missione in territorio etiopico, a sud del Setit, probabilmente nello Uolcait.

Il governatore britannico si dimostrò entusiasta della proposta, contandoaffermava Colombaroli - di fare della missione un centro di informazioni. Il progetto non si era ancora realizzato ed il religioso italiano aveva quindi proposto a Martini di prendere l'iniziativa di creare in Etiopia una missione cattolica appoggiata dal governo di Asmara.

Un funzionario dell'ufficio coloniale del Ministero Affari Esteri diede notizia dei propositi del padre Colombaroli al direttore dello stesso Ufficio, Agnesa, con un promemoria del 15 ottobre 1906. Successivamente, il 17 novembre dello stesso anno, il ministro degli Esteri, Tittoni, inviò a Martini istruzioni al riguardo, dicendosi d'accordo con il governatore nel ritenere inopportuna l'iniziativa proposta da Colombaroli per cui non era il caso di chiedere a Menelik l'autorizzazione a creare la missione. Il ministro era inoltre preoccupato dell'eventualità che Colombaroli potesse ottenere l'appoggio del governatore del Sudan, venendosi così ad accrescere l'influenza britannica in Etiopia; sollecitava quindi Martini, in quel momento in Italia, a dissuadere dai suoi propositi il missionario, già prossimo a partire per l'Africa; l'intervento di Martini doveva quindi avvenire al più presto.

Ma padre Colombaroli era già partito per l'Africa il 15 novembre, due giorni prima del dispaccio di Tittoni a Martini, e quindi il governatore non poté incontrare il religioso in Italia.

Tittoni fu costretto pertanto ad inseguire il missionario fino in Africa, telegrafando il 25 novembre 1906 all’agente diplomatico italiano in Egitto, Gaetano Manzoni, perché intercettasse il padre Colombaroli al suo passaggio al Cairo, per informarlo che il governo di Roma e quello dell'Eritrea stavano esaminando il progetto di una missione in Etiopia e l'avrebbero poi informato delle decisioni prese. In via confidenziale, Tittoni rendeva nota a Manzoni la contrarietà italiana a trattative di Colombaroli con le autorità britanniche in Sudan perché ottenessero il consenso di Menelik per la missione da istituire. Manzoni agì con sollecitudine; il 26 novembre difatti telegrafò a Roma di aver comunicato al padre Colombaroli il messaggio del Ministro; il missionario aveva ringraziato e, ignaro dell'orientamento negativo del governo italiano, si era detto pronto a concordare con Martini la località etiopica da scegliere per la missione.

Ma il gioco diplomatico si faceva sempre più complicato, Manzoni di fatti con il rapporto del 27 novembre 1906 informava Tittoni che la casa generalizia dei Comboniani, da cui Colombaroli dipendeva, con sede a Verona, godeva in Egitto della protezione dell'Austria, coinvolta quindi nell'operazione progettata dal missionario.

In risposta a questo rapporto di Manzoni, Tittoni rettificò in parte la sua posizione con il dispaccio a Martini del 4 gennaio 1907.  Il ministro attenuava difatti la sua opposizione al progetto della missione in Etiopia, purché questa sorgesse per iniziativa italiana e fosse assicurata l'influenza su di essa del governo dell'Eritrea.

 

- 139 -Riteneva però difficile ottenere il consenso di Menelik; esprimeva inoltre il timore che i legami del governo austriaco con l’ordine missionario dei Comboniani potessero aprire il varco ad una influenza di Vienna in Etiopia.

C'erano pure da mettere in conto le gelosie che avrebbero destato nei Lazzaristi francesi e nella Prefettura Apostolica dell'Eritrea l'iniziativa di Colombaroli in grado di fare concorrenza alle loro attività.

Martini, a differenza del ministro, continuò a mostrarsi del tutto contrario al progetto di Colombaroli; il 3 gennaio 1907 scriveva infatti a Tittoni da Roma, dove continuava a trattenersi: "... l'andata dei missionari italiani in quelle regioni non soltanto non devesi aiutare, ma è necessario assolutamente impedirla". Il governatore ricordava l'avversione di Menelik e quella ancora maggiore dell'imperatrice Taitù alle missioni cattoliche; inoltre nelle regioni in cui avrebbe dovuto operare la missione progettata (Tigrai, Uolcait, Semien) il clero copto era particolarmente potente ed influenzava i capi locali. Un’azione cattolica patrocinata dall'Italia avrebbe destato la loro opposizione e compromesso i rapporti con quelle popolazioni poste ai confini dell'Eritrea. Secca e perentoria la conclusione di Martini: "Il padre Colombaroli renderà un segnalato servigio al suo paese se desisterà dal proprio disegno".

Nella successiva lettera a Tittoni del 7 gennaio 1907 Martini ribadiva la sua opposizione al progetto Colombaroli ed arrivava ad ipotizzare un danno minore per l'Italia se la missione fosse sorta con l'aiuto del governo del Sudan. Riteneva poi non difficile far intendere al governo di Vienna le ragioni per cui il governo italiano si era opposto al progetto di quella missione.

Tittoni fece suo il punto di vista di Martini e gliene diede comunicazione il 27 gennaio, precisando pure di aver dato disposizione all'agente diplomatico al Cairo di convincere il padre Colombaroli a desistere dal suo proposito. Copia delle lettere di Martini in data  3 e 7 gennaio Tittoni le inviò il 31 dello stesso mese all'agente diplomatico al Cairo, Manzoni, ed all'incaricato d'affari in Etiopia, il conte Colli di Felisano, comunicando loro la sua assoluta contrarietà al progetto di una missione cattolica nell'Etiopia settentrionale, conformemente alla posizione negativa di Martini.

Colli di Felisano rispose il 21 marzo di concordare pienamente sulla inopportunità di una missione in Etiopia patrocinata dall'Italia, poiché Menelik tollerava i missionari soltanto nell’Harrar e perseguitava gli abissini convertiti al Cattolicesimo. Manzoni non poté invece incontrare Colombaroli e dissuaderlo dall'insistere, perché il religioso, in perenne movimento, era già partito per l'Italia quando era pervenuto al Cairo il dispaccio inviato il 31 gennaio da Tittoni.49

Soltanto il suo arrivo in Italia il religioso poté quindi essere informato della contrarietà del governo italiano al progetto e, disciplinatamente, si adeguò rinunciando ad ogni ulteriore tentativo.

Ostini, l'agente commerciale a Gondar, diceva dunque il vero, quando aveva assicurato a Faitlovitch che non esistevano particolari preclusioni alla missione per i Falascia; le difficoltà indubbiamente da lui incontrate derivavano da una prudenza politica di cui avevano fatto le spese anche le missioni cristiane, le cattoliche non meno delle evangeliche, quando la loro attività poteva risultare dannosa agli interessi italiani.

Esisteva poi  un limite obiettivo alle iniziative pro Falascia, costituito dalle ristrettezze del bilancio previsto per le attività culturali e religiose in Eritrea.

- 140 -Malgrado le ripetute dichiarazioni sull'importanza della diffusione della lingua italiana, molti progetti scolastici rimasero sulla carta o furono realizzati in modo risicato, facendo appello alla generosità dei privati.

Generosità dubbia: già al suo arrivo in Eritrea come governatore, il 6 marzo 1898, Martini scriveva all’amica Matilde Gioli Bartolommei lamentando le difficoltà economiche incontrate; il governo - scriveva con amarezza - considerava "...l’Eritrea un fastidio” ed il paese era contrario "... segnatamente nelle regioni più facoltose e che esercitano un'azione maggiore come il Piemonte e la Lombardia”. Se l'opinione pubblica della madrepatria non assicurava un sostegno adeguato, non andavano meglio le cose nella colonia; ancora una volta il governatore si sfogava con un'altra amica, Amalia Depretis, cui scriveva nel 1905: " Ho vissuto bene in Africa, ma non vorrei né morirvivivervi più lungamente. Se si trattasse di aver soltanto a fare con gli indigeni, le cose andrebbero diversamente, o, a meglio dire, farei proposi diversi; ma ci sono i cosiddetti coloni, non tutti fastidiosi del pari; ma fastidiosissimi i rappresentanti dell'ignoranza, della presunzione, dell'avidità poltrona, della chiacchiera improduttiva, difetti che la madrepatria non ignora".50

Non sembrano quindi frutto di un antisemitismo eretto a sistema di governo le difficoltà opposte a Faitlovitch dalle autorità italiane, né in particolare può essere considerato un antisemita Ostini, come lamentava Faitlovitchcoinvolgendo in tale accusa anche un ebreo, il medico militare Vittorio Calò, come Ostini  residente a Gondar.

Faitlovitch fu certo oggetto di antipatie venate da sentimenti razzistici, come nel caso del rappresentante diplomatico dell'Italia in Etiopia, Piacentini, incontrato nel successivo quarto viaggio degli anni 1920-21. Il diplomatico aveva motivo di criticare la condotta tenuta da Faitlovitch durante quel viaggio, turbato dalle liti furiose con il fratello Haim ed il dr. Entin, suoi compagni di viaggio ( anche se le responsabilità erano comuni a tutti e tre); ma faceva quelle critiche con un livore viscerale ed offensivo, quando affermava che per trattare con il polacco occorreva “... sforzarsi a non dar libero corso all'istintiva ripugnanza ed antipatia che il suo fisico e il suo modo di fare destano nell'interlocutore".     

Non c'era in quelle parole un chiaro riferimento al fatto che Faitlovitch fosse ebreo; ma come non vedere nella "istintiva ripugnanza ed antipatia" destate dall'aspetto di Faitlovitch un riflesso di quell'antisemitismo ispirato dalle caratteristiche fisiche attribuite agli Ebrei, come il naso adunco, i cernecchi dei tradizionalisti, l'abbigliamento trasandato?  

Ma quali che fossero le ragioni dello scarso appoggio dato a Faitlovitch dalle autorità italiane, il Comitato pro Falascia non ne fu certo lieto. Ottolenghi in una sua lettera a Martini, ministro delle Colonie, nel settembre 1914 lamentava che il progetto della scuola per i Falascia in Eritrea aveva trovato "... molta tiepidità e qualche opposizione in S.E. il Governatore".

Ottolenghi ricordava le ristrettezze economiche da cui era angustiato il Comitato, divenuto per tale motivo internazionale e successivamente trasferito a Francoforte, poiché dalla Germania provenivano i maggiori finanziamenti.  Ma tale risorsa era venuta meno con lo scoppio della guerra. Chiedeva pertanto Ottolenghi l'assunzione di Faitlovitch da parte del governo italiano, definendo lo studioso il miglior conoscitore in Europa delle lingue etiopiche, oltre a parlare l'arabo e le maggiori  lingue europee.

- 141 -Per ottenere quella assunzione Faitlovitch era disposto a prendere la cittadinanza italiana; sarebbe stata utile la sua opera come interprete della legazione italiana ad Addis Abeba o come traduttore al Ministero delle Colonie ovvero come insegnante.

La proposta fu accolta con una certa diffidenza dal Ministero delle Colonie; Agnesa (divenuto direttore generale degli Affari Politici di quel ministero dopo aver diretto l'Ufficio coloniale degli Esteri, le cui competenze erano passate al nuovo dicastero) chiese al governatore dell'Eritrea  informazioni sulle conoscenze linguistiche, sulla cultura generale e nulle "tendenze morali e politiche" di Faitlovitch.

Al tempo stesso si rispondeva in modo interlocutorio a Ottolenghi; già questa risposta lasciava poche speranze affermando che la pratica era stata avviata, ma occorreva cautela nell'assumere interpreti, specialmente se stranieri.

In ogni caso, continuava la lettera, l'assunzione di un'interprete per la legazione in Etiopia era competenza del Ministero Affari Esteri e il reclutamento degli insegnanti era materia del Ministero dell'Istruzione. Ed infine, non c'era bisogno di traduttori al Ministero delle Colonie.

La risposta del governatore dell'Eritrea alla richiesta di informazioni sul conto di Faitlovitch tardò ad arrivare e fu per alcuni aspetti reticente, per altri negativa. Nel suo rapporto del 29 aprile 1915 Salvago Raggi affermava di non avere molto da dire su Faitlovitch, poiché il suo soggiorno in Eritrea era stato breve. Poteva dire qualcosa su di lui soltanto in base ai diretti contatti avuti per la questione dei Falascia.

Riteneva sufficienti le conoscenze del polacco sull'Etiopia, ma non lo credeva il maggiore esperto europeo in quel campo, né poteva affermare se fosse un orientalista "nel preciso senso della parola". Non poteva pronunciarsi sulle tendenze politiche e morali, ma era molto eloquente nella sua crudezza il giudizio conclusivo: "Mi sembra però che colla sua tentata missione pro Falascia abbia tentato vendere del fumo".

Le affermazioni del governatore non lasciavano spazio per una conclusione positiva e difatti Agnesa si affrettò ad inviare il 20 maggio al gabinetto del ministro copia del rapporto di Salvago Raggi, accompagnato da una ulteriore stroncatura dell'opera di Faitlovitch: dall'analisi delle sue missioni risultava"... a sufficienza che esse non ebbero carattere seriopratico e ancora meno determinato". Inoltre la nazionalità straniera di Faitlovitch rappresentava un ulteriore ostacolo all'assunzione (Agnesa sorvolava sul proposito di prendere la cittadinanza italiana, come aveva assicurato Ottolenghi nella lettera a Martini del settembre 1914); "ad abundantiamAgnesa affermava pure non esserci al momento bisogno di interpreti né di traduttori né di professori di amarico e, tocco finale per scaricarsi di ogni responsabilità, lasciava al Ministro la decisione finale: decisione scontata con quelle premesse.51

Né ebbe sorte migliore il tentativo compiuto in quello stesso periodo per far assumere Taamrat Emmanuel dall'amministrazione coloniale italiana.    

 

- 142 -Con lettera del 30 maggio 1913 Agnesa aveva chiesto al governo dell'Eritrea se fosse possibile trovare al giovane, raccomandato dall'onorevole Micheli, un impiego. Il reggente il governo dell'Eritrea, Rubiola, rispose il 28 giugno che non vi erano posti disponibili e nel caso se ne fossero creati, la precedenza sarebbe spettata a qualcuno dei tanti giovani sudditi coloniali in cerca di lavoro.

Memore forse di questo episodio, Taamrat Emmanuel, si rivolse con una lettera del 26 novembre 1919 all'avvocato Angelo Sereni, presidente del Comitato delle Comunità Israelitiche Italiane, chiedendogli di appoggiare la sua richiesta per ottenere la cittadinanza italiana, prima del suo prossimo rientro in Abissinia, facendo presente di essere vissuto in Italia "per più di dieci anni, studiando e lavorando". Aggiungeva speranzoso il giovane Falascia: " Ora che la guerra è terminata credo che si possa ottenere facilmente la tanto desiderata cittadinanza”. Speranza andata delusa: nell'Archivio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiana, dove è custodita questa lettera di Taamrat Emmanuel, non c'è traccia di una risposta di Sereni all'accorato appello di un giovane che considerò sempre l'Italia come una sua seconda patria, anche se difese strenuamente le ragioni dell’Abissinia contro l'occupazione fascista.

Emanuela Trevisan Semi ha illustrato i numerosi legami di Taamrat con l'Italia e le ripetute manifestazioni del suo attaccamento ad essa. Nel 1920 a Firenze il giovane si era innamorato di una ragazza ebrea italianaricordi sentimentali a parte, il soggiorno in Italia e la formazione culturale ad esso collegata lo segnarono in modo indelebile.

Nel 1931, in occasione di un viaggio negli Stati Uniti, tenne in italiano il suo discorso all’“American pro Falascia Committeé”; ancora più significativo un episodio del 1937, quando rivendicò con orgoglio la sua formazione culturale e politica basata sui grandi italiani del Risorgimento, Mazzini e Cattaneo, nel corso di un tempestoso colloquio con il console italiano ad Aden, tappa della sua fuga dall'Etiopia verso l'Egitto, essendo a rischio la sua vita a causa dell'avversione all'occupazione fascista da lui manifestata.

Al console italiano Taamrat Emmanuel rinfacciò il tradimento degli ideali risorgimentali per il perpetrato dal fascismo; ma generosamente cercò di trovare delle attenuanti, se non proprio delle giustificazioni, alla fucilazione di 32 Falascia avvenuta a Gondar ad opera degli occupanti, affermando: "... io non attribuisco tale massacro alla cattiveria degli italiani, bensì alla situazione creata dalla guerra. Qualunque nazione forse sarebbe caduta a commettere gli stessi errori che avete commesso contro i miei innocenti fratelli". 52

Anche se deludente per la mancata concessione del terreno per la scuola Falascia in Eritrea e  per il rifiuto opposto all'assunzione di Faitlovitch e di  Taamrat Emmanuel, il bilancio degli anni 1913-1914 non fu del tutto negativo. Il sogno con tanta tenacia nutrito di una scuola per i Falascia si concretizzò alfine in una seppur modesta realtà: a Dembea, località etiopica posta al confine con il Sudan, fu difatti aperta una scuola con l'aiuto economico dell'Hilfsverein, al cui presidentePaul Nathan, Faitlovitch chiariva come la scelta della località rispondesse alla necessità di far uscire i Falascia dal loro isolamento; rispondevano meglio a tale scopo le zone al confine con il Sudan o con l'Eritrea, che rendevano possibili con il resto del mondo comunicazioni più facili rispetto alle regioni interne, per cui i Falascia sarebbero usciti da un letargo culturale comune, secondo le concezioni dell'epoca,  a tutti gli africani.

- 143 -La scuola sarebbe stata destinata ad allievi di ambo i sessi e non era prevista una limitazione del loro numero, accogliendo anche quelli convertiti dai missionari protestanti sì da facilitare il loro recupero alla fede ebraica; per rendere possibile la frequenza anche agli allievi provenienti da regioni lontane doveva sorgere annesso alla scuola un pensionato per 20 o 30 persone.

La direzione della scuola fu affidata a Ghettiè Yirmiahu e l'attività dell'istituto riuscì a sopravvivere all'isolamento dovuto alla prima guerra mondiale, nel corso della quale restarono interrotte le comunicazioni con il resto del mondo.

Ancor prima di recarsi in Etiopia per la sua terza missione Faitlovitch aveva dichiarato di volersi giovare della collaborazione dei due giovani Falascia educati in Italia. "Il Vessillo Israelitico"  in un articolo firmato con le iniziali F. S. (da identificarsi con il direttore Ferruccio Servi) aveva nel 1912 (p. 108) riportato questa affermazione dello studioso polacco, rispondendo ad una domanda dello "Jewish Chronicle” del 2 febbraio 1912, postagli nel corso di un soggiorno a Londra dove si era recato per raccogliere fondi. In quell'occasione Faitlovitch aveva definito i due giovani "maestri efficaci "per salvare l'identità di Falascia sottoposta ad una continua erosione; con evidente esagerazione Servi riportava la notizia che ben 30.000 sui 50.000 Falascia esistenti erano stati convertiti dai protestanti; secondo Faitlovitch si poteva pure ricorrere al reclutamento come insegnanti di ebrei Yemeniti, assuefatti ad un clima analogo a quello etiopico. "Il Vessillo Israelitico", (15 aprile 1912, pp. 224-225Varia. Ancora pro Falascia") tornò sulla necessità di aiutare i Falascia mentre erano ancora in corso i preparativi del terzo viaggio, curati anche dal Comitato pro Falascia di Londra, dove il rabbino Isidoro Harris nel corso di un sermone tenuto nel Tempio di Berkley street aveva deprecato  le persecuzioni a causa delle quali i Falascia da 200.000 si erano ridotti a 50.000. Quella enorme riduzione secondo il rabbino era dovuta alla propaganda menzognera dei missionari protestanti, che per indurre i Falascia a convertirsi avevano asserito essersi in Europa convertiti al Cristianesimo tutti gli Ebrei.

Rodolfo Lupu, corrispondente da Firenze de "Il Vessillo Israelitico", fece su quel giornale un bilancio delle notizie sulla missione di Faitlovitch apparse sulla stampa (30 novembre 1913, p. 640 "Lettere di Falascià"). Il giornalista lamentava gli scarsi aiuti economici avuti per aiutare i Falascia: "Pochi vollero credere all'apostolato di Faitlovitch e quei pochi stentarono ad aprire la borsa", scriveva Lupu, mettendo sul banco degli imputati l’Alliance Israélite Universelle, colpevole di una persistente diffidenza nei confronti dello studioso polacco.

Fra le pubblicazioni ricordate nella rassegna stampa curata da Lupu era ricordato un opuscolo dello stesso Faitlovitch, "Falascha Briefen”, edito a Berlino nel 1913. Si trattava di sette lettere di Falascia, inviate da capi e sacerdoti allo studioso polacco, chiamato "figlio di Mosè", inviategli nel 1908, durante il suo secondo viaggio, mentre si trovava ad Amba Geralit, nella provincia di Dembea.

Le lettere non erano state comprese da Faitlovitch nella sua opera "Quer durch Alessinien” del 1910 per il loro carattere personale, ma, cedendo alle insistenze di amici, il viaggiatore polacco si era poi deciso a pubblicarle.

- 144 -Nella loro ingenuità quelle lettere erano giudicate da Lupu più efficaci di qualsiasi scritto di chi l’ingenuità l'aveva perduta, erano "pure ed ebraiche voci" che l’Alliance Israélite Universelle avrebbe dovuto ascoltare: "Ma - concludeva pessimista Lupu - è assai dubbio che questi documenti possano insegnare qualche cosa a chi non vuole imparare niente".

Lo stesso Lupu si occupò ancora dei Falascia l'anno successivo sempre su "Il Vessillo Israelitico"  (15 aprile 1904, pp. 181-183 "Per i Falascia”). L'articolo era preceduto da una premessa della redazione in cui si ricordava l'adunanza generale del Comitato internazionale pro Falascia, svoltosi l'8 marzo 1914 a Francoforte sul Meno, con la partecipazione di Faitlovitch, di Margulies (rimasto presidente del comitato fino a quella data), di rappresentanti del Comitato sionista, dell’Agudàth Israel, delle associazioni ebraiche tedesche. In quell'occasione fu deciso di trasferire da Firenze a Francoforte la sede del comitato e di eleggerne presidente Julius Goldschmidt, al posto di Margulies. La decisione era così commentata. "Noi siamo dolenti che l'Italia abbia dovuto rinunciare alla direzione del movimento che in sommo grado ci interessava e per il quale abbiamo sempre riconosciuto le indiscusse benemerenze dell’eccellentissimo Margulies”.

A questa premessa della redazione seguiva l'intervista concessa da Faitlovitch a Lupu dopo il suo ritorno dalla terza missione per chiarirne le finalità: ai Falascia si era voluto dare un aiuto spirituale e non materiale volendo mantenerli nella loro fede ebraica. Non era stata fondata la scuola in Eritrea, a Tekul nei pressi della frontiera etiopica, perché si erano opposte le autorità italiane, temendo queste che un afflusso massiccio di Falascia attirati dalla scuola avrebbe suscitato il malcontento dell'Etiopia, considerando quel fatto un tentativo dell'Italia per esercitare la sua influenza a spese dell'autorità del negus.

Faitlovitch protestava di non essere un agente dell'Italia, a differenza dell’Alliance Israélite Universelle divenuta invece uno strumento del governo francese; voleva comunque mantenere buoni rapporti con l'Italia e la lingua italiana sarebbe stata insegnata nella scuola dei Falascia, ma nella misura strettamente necessaria.

"Noi vogliamo fare soltanto opera ebraica, nazionale e religiosa. Nelle nostre scuole l'insegnamento della lingua e della religione ebraica formerà l'oggetto principale e il resto una specie di contorno": era questa l'orgogliosa affermazione di indipendenza espressa da Faitlovitch; tuttavia, pur avendo declassato ad "una specie di contorno" l'italianità tante volte proclamata, egli non rinunciava al progetto di aprire anche in Eritrea una scuola per i Falascia ed insisteva quindi per avere l'area edificabile da destinare alla sua costruzione. Accantonata  la richiesta di un terreno a Tekul, bloccata dal veto del governatore Salvago Raggi, Faitlovitch accettava di realizzare ad Asmara l’istituto, prevedendo però che dovesse essere una scuola normale di formazione per insegnanti falascia, sì da avere il personale necessario per aprire altre scuole simili a quella di Dembea. L'iniziativa richiedeva nuovi capitali e quindi Faitlovitch si disponeva a recarsi in vari paesi europei e negli Stati Uniti per trovare dei finanziatori.

Si recò quindi in compagnia di Taamrat Emmanuel a Londra, dove, giocando su più tavoli, oltre ai finanziamenti sperava di trovare l'appoggio politico rifiutato dall'Italia; a tale fine aveva chiesto a Margulies di intervenire presso il gran rabbino d'Inghilterra.

- 145 -Ma la guerra mondiale pose fine a quei tentativi e impedì pure un ritorno in Etiopia, per cui Faitlovitch dovette rassegnarsi ad una forzata inattività, trascorrendo gli anni della guerra a Lucerna, dove fino al 1920 insegnò il geez  all'Università, mentre Taamrat rimase a vivere in Italia; furono anni difficili per il giovane Falascia, poiché stentò a trovare un lavoro a causa del suo scrupolo religioso per cui rifiutava di lavorare nel giorno sacro del sabato. Riuscì alla fine a trovare un impiego di contabile prima a Casale e poi a Soresina.

Margulies aveva insistito perché si stabilisse a Firenze, senza però potergli assicurare i mezzi per vivere; anche il rabbino attraversava un periodo di difficoltà; si era gravemente ammalato e non trovava conforto ed assistenza. Taamrat  in una lettera a Faitlovitch del 21 febbraio 1918 scriveva amaramente di Margulies: " Fa veramente pietà il suo stato: non ha che o dei nemici o degli indifferenti: nessun amico".

È comprensibile come Taamrat, oppresso   da tante angustie, non potesse condividere gli ambiziosi piani di Faitlovitch per una diffusione universale dell'Ebraismo e fosse animato da un più ragionevole realismo.

Scriveva infatti da Soresina a quello che, malgrado tutto, continuava a considerare il suo maestro: " In quanto alle Sue idee riguardo al giudaismo sono convinto che occorre una assidua propaganda se si vuol che sia compreso e magari accettato dagli altri; a me però manca la forza animatrice, forse anche la fede per seguire i Suoi passi giganteschi; mi sembra già superiore alle mie forze di intraprendere le cose dei Falascia; figuriamoci i Suoi titanici progetti; almeno per ora sto pensando così; cosa succederà in seguito non lo so".

La conclusione possibilista di Taamrat non era però convinta, espressa più che altro per non irritare il maestro non escludendo di potere in futuro condividere quelli che, con ironia, erano definiti "titanici progetti"; scriveva difatti il giovane Falascia: "Ne parleremo dopo la guerra; per ora cerchiamo di vivere. È un atto di eroismo, come disse un idealista dei tempi della Rivoluzione; anche oggi possiamo ripetere che vivere  in questi tempi è un atto d’eroismo".

Ma il dissidio tra il maestro e l'allievo era destinato a perdurare, poiché non dipendeva da un momentaneo scoraggiamento di Taamrat; il suo rifiuto di condividere gli ambiziosi progetti di Faitlovitch nasceva da una diversa visione della vita e dell'azione da svolgere per i Falascia.

Molti anni dopo, nel 1949, da Parigi dove era consigliere dell'ambasciata d'EtiopiaTaamrat  si difendeva dall'accusa mossagli dal maestro di essere almeno in parte responsabile del fallimento dei progetti per i Falascia, avendone rifiutato la direzione: " Le dico francamente che non ho mai schivato tale responsabilità e che ho sempre lavorato secondo i limiti della mia posizione e capacità", affermava un ormai maturo Taamrat che, giunto ai limiti dell’esasperazione, polemicamente  proseguiva così: " È deplorevole che Lei - malgrado la Sua posizione e malgrado la simpatia di cui godono e hanno goduto i Falascia nel mondo, non sia riuscito ad avere persone attorno a sé che mettano in azione le Sue idee. Deve ammettere che il Suo dinamico carattere allontana i collaboratori. Persino io non ho potuto collaborare con Lei!".53

- 146 -Definire "dinamico" il carattere di Faitlovitch era un eufemismo adoperato da Taamrat per non dire cocciutamente accentratore: come tutti i visionari, Faitlovitch nella sua dedizione assoluta era condannato l'isolamento.

In attesa di realizzare i suoi "titanici progetti", finita la guerra Faitlovitch tornò ad occuparsi dei Falascia, rivolgendo la sua attenzione agli Stati Uniti per raccogliervi le offerte necessarie per proseguire la sua attività.

In America Faitlovitch era già stato nel 1911, accompagnato da Taamrat Emmanuel, ed aveva trovato adesioni tra gli Ebrei americani, destinati a divenire i principali finanziatori dei futuri viaggi in Etiopia, successivi alla conclusione della prima guerra mondiale. Pertanto nel 1919 Faitlovitch, anziché recarsi in Etiopia, partì per gli Stati Uniti; divenne una sua abitudine costante recarsi prima di ogni viaggio in Etiopia a cercare l'aiuto dei generosi Ebrei americani, rappresentati dall' “American Jewish Commitéefino al 1922, quando fu fondato il Comitato americano pro Falascia.

I rapporti di Faitlovitch con gli Ebrei degli Stati Uniti non furono sempre sereni, a causa dell'abitudine del polacco di adoperare le loro donazioni in modo disinvolto, finanziando i suoi viaggi e soggiorni compiuti anche al di fuori dell'Etiopia: viaggi non sempre giustificati dalla necessità di trovare adesioni e finanziamenti per i Falascia, come avveniva per i soggiorni ad Aden, abituali dopo ogni viaggio in Etiopia, o per le lunghe attese prima di raggiungere i Falascia, trascorse in lussuosi alberghi di varie città europee o americane.

Per il suo quarto viaggio Faitlovitch ottenne  12.000 dollari dall' “American Jewish Joint Distribution Commitee”, organizzazione sorta nel 1914 per aiutare le vittime ebree della prima guerra mondiale, non esitando ad affermare che i Falascia rientravano fra quelle vittime. Sui 12.000 dollari così ottenuti, ben 10.000 furono usati per le spese di viaggio di Faitlovitch e dei suoi accompagnatori, il fratello Haim, il dr. Entin, medico dell'ospedale di Gerusalemme ed il giovane Falascia Solomon Isaac, inviato nel 1909 in Palestina per studiare nella scuola dell'Hilfsverein.

Oltre al contributo furono date a Faitlovitch 24 casse di medicinali, destinate all'apertura di un piccolo ambulatorio per l'assistenza medica ai Falascia Il progetto non fu però realizzato perché i medicinali arrivarono avariati a Massaua, dove erano stati spediti direttamente dall'America; il viaggio iniziò quindi sotto un cattivo auspicio ed ebbe il risultato più infelice tra quelli ottenuti da Faitlovitch nelle sue varie missioni.

Il viaggiatore polacco aveva trovato in America i finanziamenti necessari per la spedizione, ma cercò in Italia la copertura politica per la sua iniziativa, rivolgendosi all'onorevole Colonna di Cesarò, presidente dell'Associazione "Pro Israele" formata da non ebrei, per ottenere un appoggio presso le autorità italiane.

Colonna di Cesarò raccomandò allora Faitlovitch al Direttore generale Affari Politici del Ministero degli Esteri, Mario Lago, facendole presente l'aiuto già prestato dalle autorità coloniali a Faitlovitch nei viaggi precedenti, svoltisi con l'approvazione del negus. Questo nuovo viaggio - assicurava il parlamentare - non aveva "... alcun retropensiero politico", proponendosi solo scopi culturali ed umanitari, come la creazione per i Falascia di una scuola in Eritrea o di un ospedale ad Addis Abeba, da porre sotto il patrocinio dell'Italia, ricercato da Faitlovitch perché la riteneva il Paese più sincero nel tutelare gli Ebrei.

- 147 -Inoltre la missione poteva riuscire utile agli interessi italiani in Etiopia grazie all'attività dei Falascia educati a Firenze (quest'ultimi - dobbiamo osservare - in realtà non presero parte al viaggio). Colonna di Cesarò, temendo che altre potenze (Francia, Inghilterra, Stati Uniti) potessero sostituirsi all'Italia nel patrocinio per la missione, aveva già presentato Faitlovitch al sottosegretario agli Esteri (era il conte Sforza) e ad  un altro funzionario dello stesso Ministero, il commendatore Baccari; entrambi avevano accolto gentilmente Faitlovitch, ma esitavano ad agire per il timore di possibili complicazioni politiche con l'Etiopia. Timore da considerarsi infondato -assicurava Colonna di Cesarò a Lago -, considerata la tolleranza religiosa propria di quel paese; ed inoltre Faitlovitch non intendeva operare conversioni, al contrario mirava a rinsaldare una fede già esistente, quella dei Falascia. Colonna di Cesarò oltre ad operare questi interventi a livello ministeriale, si premurò di dare a Faitlovitch una lettera di presentazione per il rappresentante italiano in Etiopia, Piacentini, confidando nel suo appoggio alla missione poiché lo riteneva - come si esprimeva nella lettera a Lago -"... dotato di maggior senso politico" di quanti, come Sforza e Baccari, erano stati condizionati da infondati timori.

Lago accolse la richiesta di Colonna di Cesarò ed espresse un parere favorevole alla missione, scrivendo il 16 giugno 1920 sia al Ministero delle Colonie che alla legazione italiana ad Addis Abeba di ritenerla utile per il prestigio italiano non soltanto in Etiopia, rinsaldando "... le simpatie ebraiche che in specie nel bacino mediterraneo si rivolgono spontaneamente all'Italia". Doveva evitarsi che altri paesi si appropriassero del ruolo di protettori dell'iniziativa di Faitlovitch; al Ministero delle Colonie ed alla legazione in Etiopia Lago lasciava la scelta del modo migliore di intervento.

Il Ministero delle Colonie comunicò al 23 giugno a Lago di aver chiesto al governo dell'Eritrea chiarimenti sugli interventi più opportuni per favorire l'azione di Faitlovitch.

Fu meno sollecita la risposta della legazione italiana in Etiopia; soltanto il 28 luglio infatti Piacentini rispose, affermando di aver ricevuto il dispaccio di Lago in data 16 giugno in ritardo, quando Faitlovitch era ormai giunto in Africa. L'arrivo di Faitlovitch gli era comunque stato segnalato dal governo dell'Eritrea con un telegramma del 24 maggio, chiedendo di ottenere dal negus il permesso perché la missione potesse entrare in Etiopia. Sebbene fosse favorevole ras Tafari, era contraria a concedere tale permesso l'imperatrice, ai cui occhi i Falascia erano una piccola minoranza di basso livello sociale e quindi indegna di essere oggetto di studio; inoltre, secondo il diplomaticoFaitlovitch aveva avuto modo di studiarli già nelle sue precedenti missioni, in realtà dedicate a svolgere una propaganda politica e religiosa per conto dell’Alliance Israélite Universelle più che a compiere studi etnici e linguistici.

Era un chiodo fisso, comune ad altri funzionari italiani, vedere in Faitlovitch un emissario della Alliance Israélite Universelle; di suo Piacentini ci aggiungeva una sorda ostilità a Faitlovitch, accusato di svolgere una propaganda subdola di natura politica, mascherandola sotto l'aspetto di una ricerca etnologica e linguistica; inoltre Piacentini ostentava un assoluto disprezzo per gli Ebrei d'Etiopia affermando di ritenere "... innegabile che il misero e miserabile gruppo dei Falascia" non meritasse l'interesse di un governo europeo e del mondo della cultura.

- 148 -Esistevano inoltre a parere di Piacentini  precedenti pericolosamente negativi: già in occasione del primo viaggio, nel 1904, Faitlovitch si era salvato da severe misure abissine solo per il provvidenziale intervento del conte Colli, in quel tempo responsabile della legazione italiana.

Nonostante tutte le difficoltà e le riserve da lui stesso prospettate, Piacentini prometteva comunque di adoperarsi perché Faitlovitch ottenesse il permesso di entrare in Etiopia, non potendosi ignorare le lettere di presentazione fornitegli dal Ministero Affari Esteri.

L'acrimonia di Piacentini poteva spiegarsi anche col risentimento da lui espresso sempre nel rapporto del 28 luglio 1930 al Ministero degli Esteri per essere stato informato in ritardo della missione di Faitlovitch; secondo il diplomatico il governo di Roma oltre tutto non si rendeva esatto conto di quanto negativo fosse il giudizio dato in Etiopia sull'iniziativa del viaggiatore polacco. Piacentini confutava poi l'opinione di Colonna di Cesarò sull'esistenza della tolleranza religiosa in Etiopia; né esisteva un movimento organico dei Falascia che potesse risultare utile all'Italia: si trattava infatti di "... un agglomerato di qualche centinaio di indigeni rimasti ebrei", circondati dal disprezzo generale e rimasti primitivi.

Interessarsi ad essi era quindi lesivo del prestigio italiano ed era fondato il timore espresso da Sforza e Baccari per le possibili complicazioni politiche con l'Etiopia; quasi a prevenire le accuse Piacentini affermava di non essere antisemita, ma l'interesse italiano esigeva di non occuparsi dei Falascia: una volta di più poteva valere l'antico adagio "excusatio non petita, accusatio manifesta”.

Qualcosa comunque, a giudizio di Piacentini, poteva esser fatta per i Falascia, destinando loro  iniziative culturali ed umanitarie in Eritrea, dove si potevano far venire i pochi elementi"... degni di interessamento e di elevazione".

Era questa l'accoglienza che si preparava a Faitlovitch ancor prima del suo arrivo in Etiopia.54

Ma le avversità non furono create soltanto dalla diffidenza delle autorità italiane;   la missione fu funestata dalla morte del giovane Salomon Isaacspentosi nei pressi di Gondar, privo di una adeguata assistenza nonostante facesse parte dei viaggiatori un medico, il dottor  Entin;  questi, in rotta con Faitlovitch, si era ritirato a vivere per conto suo e non intervenne a prestare soccorso, come segnalava l'agente italiano, Paulicelli, succeduto ad Ostini; nel telegramma inviato il 4 settembre del 1920. Paulicelli aggiungeva che Haim Faitlovitch era in "continuo litigio" con il fratello Jacques e che questi si spacciava per cittadino italiano, incaricato dal governo di Roma di quella missione.

I viaggiatori vivevano"... poveramente, anzi indecorosamente", offendendo il prestigio dell'Italia; Faitlovitch faceva soltanto propaganda politico-religiosa e, secondo l'agente italiano, occorreva richiamare l'attenzione "sulla poca rettitudine”della sua condotta. In un precedente telegramma alla legazione italiana di Addis Abeba (18 agosto 1920) Paulicelli si era già occupato della litigiosità esistente fra i componenti della spedizione, per cui non aveva dato a Faitlovitch lettere di presentazione per i capi della zona, da cui il polacco era malvisto.

 

- 149 -Piacentini trasmise a Roma il telegramma di Paulicelli, aggiungendo di ritenere giustificata la contrarietà abissina alla missione, poiché Faitlovitch non si era neanche curato di salvare le apparenze e si era subito dedicato alla propaganda politico-religiosa, trascurando gli studi linguistici indicati come scopo del viaggio.

Quella condotta poteva causare seri problemi alla legazione italiana e Piacentini dichiarava di non volere perciò "... neanche lontanamente aver aria prestarsi a simile giuoco". Se il polacco avesse persistito a comportarsi così scorrettamente, il diplomatico affermava che avrebbe richiesto la sua espulsione.

Questa situazione mise in imbarazzo il Ministero degli Esteri, che si affrettò a passare la patata bollente al Ministero delle Colonie trasmettendogli il 23 settembre il telegramma di Piacentini e riservandosi di informare l'onorevole Colonna di Cesarò delle difficoltà create dal suo protetto; compito sgradevole, che in una nota apposta in calce alla minuta della comunicazione fatta al Ministero delle Colonie, Guariglia, capo sezione al Ministero degli Esteri, proponeva di riservare al direttore generale degli Affari Politici, Mario Lago, il primo ad essersi interessato alla missione di Faitlovitch e ad averla appoggiata.

Continuavano ad affluire a Roma notizie su Faitlovitch, susseguendosi i telegrammi delle autorità coloniali. La legazione italiana aveva già  provveduto a telegrafare a Roma il 21 settembre le informazioni avute da Paulicelli; lo stesso fece il 29 seguente il reggente il governo dell'Eritrea, De Camilli, comunicando pure il proposito di  Piacentini di chiedere l'espulsione di Faitlovitchmisura giustificata con la scusa della conclusione delle ricerche. Al fine di chiarire con il governo etiopico l'estraneità del governo italiano alla missione del polacco, De Camilli, riteneva preferibile farlo rientrare passando dalla capitale etiopica, anziché direttamente attraverso l’Eritrea.

Il sottosegretario agli Esteri, Saluzzo, dava via libera all'espulsione proposta da Piacentini, telegrafandogli il 12 novembre 1920: "Nulla in contrario allontanamento Faitlovitch. Lascio suo tatto procedere nel miglior modo".  Il sottosegretario si diceva pure d'accordo per far rientrare Faitlovitch attraverso Addis Abeba per convincere il governo etiopico che quello italiano era "... assolutamente estraneo azione predetto signore". 

Nel frattempo le accuse contro Faitlovitch continuavano ad accumularsi Ancora Paulicelli inviava il 3 ottobre 1920 un rapporto alla legazione in Etiopia per segnalare il grande interesse dei Falascia per la missione del polacco; in precedenza, con il telegramma del 18 agosto, l'agente italiano aveva invece parlato dell’avversione generale suscitata -a suo giudizio -da Faitlovitch; ma in questo rapporto attestava un grande favore popolare: "Dal  Uogherà, dal Dembea e da altre regioni limitrofe accorrono numerosi i Falascia, che si recano ad ascoltare il verbo del propagandista, che spiega, illustra le dottrine della religione ebraica". Per impressionare gli uditori  Faitlovitch ed il fratello indossavano"... nelle riunioni solenni, bianche vesti talari, pantaloni larghi bianchi e piccolo berretto nero, assumendo mistico contegno".

Tutti i Falascia ne erano colpiti e si dicevano "... lieti di avere qui il loro Abuna, e gli ebrei indigeni, che si erano convertiti alla religione ebrea copta (sic) erano tornati all’ebraica”.

- 150 -Già nel corso del terzo viaggio Faitlovitch era stato considerato dai Falascia un "goel",un redentore; e, pur mostrandosi infastidito per l'insistente richiesta di chiarimenti sull'arrivo del Messia e su altri principi della dottrina ebraica, se ne era in fondo compiaciuto. La sua fama di santone era stata confermata da un episodio avvenuto a Qouzela, dove, tra l'entusiasmo dei Falascia, aveva convinto un giovane convertito dai protestanti a tornare all'Ebraismo, dopo il fallimento di tutti i tentativi fatti dai genitori a tale scopo.

Nel suo rapporto del 3 ottobre Paulicelli attribuiva alla distribuzione di armi il successo di Faitlovitch, ritenuto in possesso di notevoli possibilità economiche, anche se viveva "... assai modestamente, mangiando all'uso indigeno e dormendo sotto meschine tende"; ne era meravigliata la popolazione e non mancavano le critiche: un capo indigeno aveva definito lo studioso più bugiardo di un abissino,"... senza decoro e rettitudine nelle parole e nei fatti".

L'agente italiano riportava pure le lamentele del dottor Entin, “… oggetto di malversazioni (da) parte dell'inumano quanto astuto capo della missione"; il medico aveva scritto da Uolerà per denunciare di esser tenuto in prigionia; i fratelli Faitlovitch gli avevano messo contro i Falascia e proibito di mettersi in contatto con gli europei residenti a Gondar.

Anche Haim Faitlovitch era vittima di maltrattamenti inflittigli dal fratello; questi nel viaggio da Adua a Gondar aveva minacciato di legarlo alla coda di un muletto e in altra occasione avrebbe voluto metterlo ai ferri, perché si lamentava del trattamento subito. Paulicelli asseriva di non essere intervenuto poiché non si trattava di un cittadino italiano.

Il 19 ottobre Paulicelli telegrafò ancora una volta alla legazione di Addis Abeba ed al governo dell'Eritrea per segnalare la richiesta di protezione rivolta al console inglese a Gondar, Home, da Faitlovitch, malcontento per lo scarso aiuto fornitogli dalle autorità italiane; Home aveva risposto di rivolgersi alla legazione britannica ad Addis Abeba.

Non erano invenzioni malevole di Paulicelli i furiosi contrasti tra i fratelli Faitlovitch: Jacques nel suo diario di viaggio annotò le liti sempre più frequenti e violente con Haim e con il dottor Entin, scoppiate già alla partenza da Suez per Massaua. Entrambi esigevano più denaro di quanto pattuito, minacciando di rivolgersi a ras Tafari, alle organizzazioni ebraiche americane, ai consolati europei in Etiopia se non avessero avuto soddisfazione.

Faitlovitch accusava il fratello di aver preteso  3000 dollari il 10 giugno, mentre si trovavano ad Addi Ugri, dicendosi pronto a prenderne 6000 con la forza se non li avesse ricevuti. Ed alla forza voleva far ricorso anche Entin, proponendo ad Haim di mettersi d'accordo per rompere le ossa a Jacques. Tra i due fratelli sorsero diverbi anche a proposito dell’itinerario da seguire. Haim, pur conoscendo i luoghi meno di Jacques, pretendeva di guidare la spedizione attraverso strade diverse da quelle scelte dal fratello; questi, giunto ad Addis Abeba, fu costretto a dare ad Haim un assegno per tacitarlo. Entin dal canto suo aveva continuato ad isolarsi, andando a vivere presso il dottor Landau ed aveva screditato con Piacentini l’odiato capo-missione, definendolo un volgare avventuriero ed un ciarlatano opportunista, disposto a sfruttare la causa dei Falascia per i suoi interessi personali.

- 151 -Su questa vicenda fornirono versioni diverse Jacques Faitlovitch da una parte, suo fratello Haim ed il dottor Entin dall’altra. Sono pure contraddittorie le affermazioni contenute nel diario di viaggio dello studioso polacco rispetto alle sue lettere successive al 1920 a proposito dell’assistenza medica ai Falascia. Il diario infatti riporta che le medicine, giunte avariate a Massaua, risultarono inutilizzabili; nella lettera del 31 gennaio 1921 inviata all’American Jewish Joint Distribution Commitee, Faitlovitch affermò invece di non aver potuto attuare il progetto sanitario per la mancanza di una persona adatta (eppure della missione faceva parte un medico, il dottor Entin) e di avere comunque distribuito durante una sosta a Woletia, durata alcuni mesi, i medicinali arrivati dall’America ed altri acquistati a Massaua.

Summerfield ha ritenuto l’affermazione di aver distribuito medicine una trovata propagandistica per dimostrare alle organizzazioni ebraiche americane di aver conseguito un risultato almeno in parte positivo con la missione da esse finanziata.

Sulle rispettive responsabilità dei membri della spedizione per i gravi contrasti che la segnarono, la Trevisan Semi non ha espresso un netto giudizio; ma è significativo il riferimento a quanto affermato nel suo diario da Bronislaw Malinowsti sulla brutalità e violenza dimostrate da Faitlovitch nel corso delle sue spedizioni.

A prescindere comunque dall’accertamento delle responsabilità di ognuno, le accuse di Haim Faitlovitch e del dottor Entin rafforzarono l’ostilità delle autorità italiane per la infelice missione.55

E di quella ostilità è testimone eloquente il rapporto inviato il 18 dicembre 1920 da Piacentini al Ministero Affari Esteri.

Il diplomatico informava della partenza di Faitlovitch per l'Europa e, come prova della sua imparzialità,ricordava di aver voluto ascoltare separatamente le parti in causa perché esponessero la loro versione dei fatti e le proprie ragioni.   

Fatta la dovuta tara delle reciproche accuse e difese, Piacentini si diceva convinto alfine della fondatezza dei giudizi espressi da Paulicelli su Jacques Faitlovitch e sulla sua missione. Il dottor Entin veniva descritto come un giovane palestinese laureato in medicina a Parigi e poi stabilito a Ginevra per esercitarvi la professione. Sia Entin  che Haim Faitlovitch avevano chiesto, una volta arrivati a Gondar, di poter tornare in Europa, convinti del fallimento della missione a causa del "... carattere mentitore e brutale del suo capo". Ne era seguita “…una serie ininterrotta di incidenti, litigi, scene disgustose fra i tre membri della missione con grave scandalo degli indigeni e grave scapito del prestigio europeo”.

Le accuse di Paulicelli avevano avuto conferma dalla definizione "volgare avventuriero" data a Faitlovitch da Entin; riteneva quindi Piacentini essere inconfutabile"... la condotta crudele, inumana del Faitlovitch".

Entin inoltre aveva smentito l’esistenza di una questione falascia: in tutto si trattava di due o tre mila persone, distribuite in piccoli gruppi nella regione degli Amara, non diverse etnicamente dagli altri abissini; la loro religiosità ebraica era puramente formale ed appena modesto il loro livello intellettuale e sociale. Erano dediti ad attività artigianali, come quella di falegname o fabbro, particolarmente disprezzata dagli abissini la seconda; era comunque rispettata la libertà religiosa dei Falascia.

- 152 -Entin riteneva opportune le spedizioni ebraiche per dare assistenza sanitaria ai Falascia e favorire i loro rapporti con gli Ebrei del mondo civile; ma non giustificava "... l'invio di missioni con programmi più vasti e più vaghi come quelli del Faitlovitch”, ritenuto dal medico - puntualizzava Piacentini - un "... ciarlatano che per il suo interesse personale ha prospettato agli ebrei d'Europa e specialmente d'America la vita dei Falascia come una vita di schiavitù e di dolore".

Il diplomatico attribuiva particolare valore alle affermazioni di Entin in quanto questi era “…un israelita militante”: lo stesso Faitlovitch, messo alle strette, aveva alla fine dovuto ammettere che i Falascia in Etiopia godevano di "... assoluta libertà di vita e di pensiero"; rimaneva con Entin solo il dissenso sul numero dei Falascia, stimato dal polacco in 50.000 circa a fronte dei 2000 attestati dal medico; secondo Piacentini essi erano ancor meno numerosi, non arrivando neanche ai 2000 ipotizzati da Entin.

Faitlovitch aveva dato una poco credibile spiegazione dell'animosità dimostrata contro di lui dal fratello Haim e da Entin, attribuendola ad "una potenza occulta", ad “una mano nera”.

Il diplomatico aveva accolto con scetticismo quella spiegazione ed aveva difeso Paulicelli dall’accusa di non aver dato l’assistenza dovuta, rivoltagli da Faitlovitch. L’agente a Gondar – aveva ribattuto Piacentini – aveva seguito le disposizioni della legazione ed inoltre Faitlovitch aveva agito scorrettamente, svolgendo un’azione “…non conforme ai limiti ed agli scopi” da lui stesso indicati inizialmente.

Piacentini concludeva il rapporto sostenendo l’inutilità delle missioni di Faitlovitch; pur riconoscendone il carattere umanitario era preferibile evitarne altre in futuro, se esse dovevano “…dar luogo ad incidenti così vergognosi e deplorevoli come quelli recentemente verificatisi”, tali da compromettere i rapporti dell’Italia con l'Etiopia.

Seguiva il passo più violento contro Faitlovitch, già citato, in cui il diplomatico affermava che per trattare con Faitlovitch occorreva"... forzarsi a non dar libero corso all'istintiva ripugnanza ed antipatia che il suo fisico ed il suo modo di fare destano nell'interlocutore".

Dopo questo pistolotto finale Piacentini non poteva esimersi dal riportare quali fossero gli scopi prefissati da Faitlovitch per la sua missione: "1) istituire una scuola di cultura ebraico-italiana in Eritrea 2) istituire una missione-scuola ebraica in Addis Abeba per i Falascia”.

Per il primo punto la competenza spettava al governo di Asmara; Piacentini si diceva però disposto ad agire presso le autorità etiopiche perché consentissero la partenza per l'Eritrea dei Falascia"... ritenuti meritevoli di entrare nella scuola suddetta".

Sul secondo punto aveva evitato di prendere un qualsiasi impegno, in attesa di conoscere gli orientamenti del governo italiano e di quello etiopico. Se il governo di Roma si fosse detto favorevole, restava in attesa di istruzioni sulla opportunità di sostenere l'azione di Faitlovitch, per evitare che questi ottenesse il patrocinio britannico.

Il sottosegretario agli Esteri, Saluzzo, con telegramma del 4 febbraio 1921 diede un prudente assenso a sostenere l’iniziativa in Etiopia di Faitlovitch, senza però caldeggiarla eccessivamente presso il governo etiopico.

- 153 -L’incaricato d’affari italiano ad Addis Abeba con il rapporto del 21 giugno 1921 comunicò al Ministero Affari Esteri la partenza di Faitlovitch, dopo essersi trattenuto nella capitale etiopica fino al marzo 1921. Nel partire Faitlovitch aveva espresso il proposito di tornare in Etiopia, prima di far rientro in Europa, per insistere sull'apertura di una scuola per i Falascia ad Addis Abeba, oppure di recarsi in Eritrea per istituirvi una scuola ebraico-italiana.

Come consigliato dal sottosegretario Saluzzo, assicurava il rapporto, non era stato fatto alcun passo presso il governo etiopico a sostegno del progetto di Faitlovitch.

Faitlovitch, concludeva il rapporto, non aveva però fatto ritorno in Etiopia.56

Si concluse così la quarta missione di Faitlovitch, la meno riuscita e la più tormentata fra quelle da lui compiute.

Le difficoltà con le autorità italiane non sembrano però imputabili ad un antisemitismo eretto a sistema; ne sono prova eloquente le parole già ricordate del governatore dell’Eritrea, Ferdinando Martini, 57 fatte proprie dal suo successore Salvago Raggi e dal ministro degli Esteri, Antonino di San Giuliano, concordi nel ritenere odioso impedire la creazione di una scuola  per  i Falascia dopo aver autorizzato quelle di altra ispirazione religiosa, poiché quel divieto sarebbe stato una discriminazione antiebraica.

Era il riconoscimento esplicito del principio della parità dei diritti, affermato anche in quella occasione, anche se ci furono singoli episodi di intolleranza, gravi in alcuni casi come in quello clamoroso di Piacentini e delle sue intemperanze verbali, che poco avevano della cautela propria dei diplomatici.

La mancata realizzazione del progetto di Faitlovitch in Eritrea, lo ripetiamo, dipese da ragioni di convenienza politica di carattere generale, ritenute valide nei confronti di tutte le religioni e non rivolte contro gli Ebrei in quanto tali; il rispetto dei loro diritti è confermato dalla concessione del terreno per costruire la sinagoga ad Asmara, contro cui non fu mossa alcuna obiezione. Per contro le accuse di omicidio rituale rivolte agli Ebrei di Asmara da alcuni greci per motivi di gelosia commerciale furono subito messe a tacere da un energico intervento del governatore Martini; successivamente, nel 1913, il procuratore del re definì una “…turpe e bugiarda leggenda58 l’analoga accusa per cui la sinagoga di Asmara era stata perquisita dal brigadiere dei carabinieri Scanu, scampato ad una condanna penale per abuso di potere, ma criticato dalle autorità civili e militari per la sua credulità.

Questa nostra affermazione trova conferma nel giudizio di Bruno Di Porto, che ha negato esistere l’antisemitismo nell’Italia post-risorgimentale, circoscrivendo e minimizzando così gli episodi che potevano farne supporre la presenza: “Le antipatie e le riserve erano relativamente di pochi, che, favoriti da residui di antiche discriminazioni, seminavano dubbi ed insinuazioni. Ma non arrivavano ad incidere sul buon diritto e sulle condizioni degli ebrei, perché si stemperavano nel civile clima generale”.

A sostegno del suo giudizio Di Porto citava poi Prezzolini, a cui parere “…l’antisemitismo, che si tenta di radicare non trova terreno. È dell’ebreo come del prete: qualcuno se ne burla e ne scherza, ma non pensa neppure per un momento a escluderlo dalla casa, dalla cattedra o dall’esercito. Le minoranze religiose si sentono tutelate più che dalla legge dalla consuetudine”.59

- 154 -

Al fallimento del progetto di una scuola per i Falascia non fu inoltre estranea la politica della lesina adottata anche per iniziative aventi una diversa matrice religiosa, come nel caso già citato della mancata costruzione di una chiesa copta in memoria degli ascari caduti nella guerra di Libia, pur essendo stata la proposta avanzata da Ferdinando Martini, divenuto ministro delle Colonie.60

Faitlovitch dovette comunque risentire delle difficoltà incontrate in Eritrea: non a caso il suo successivo viaggio degli anni 1923-24 ebbe inizio a Gibuti e non a Massaua, come era sempre avvenuto in precedenza.

Ben altri problemi attendevano però Faitlovitch ed i Falascia nella successiva epoca fascista, quando gli Ebrei d’Etiopia furono coinvolti in un antisemitismo di Stato, stabilito con le leggi del 1938, dopo un’iniziale e strumentale benevolenza del regime, che aveva consentito la missione compiuta presso di essi da Carlo Alberto Viterbo per conto del governo e dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, al fine di promuovere iniziative a loro favore.





p. 67
1 ASMAI Eritreapos. 54/1 Variefascicolo 2 1897 Eritrea. Scuole dell’Alleanza Israelitica

Rapporto 2716/396 dell’agente diplomatico a Tunisi, G.B. Machiavelli, al ministro Affari EsteriTunisi, 11 settembre 1897.

Dispaccio 35384/361 riservato di Visconti Venosta a MachiavelliRoma, 21 settembre 1897.

Dispaccio 35343/1296 riservato di Visconti Venosta al capitano Ciccodicola, R. Rappresentante ad Addis AbebaRoma, 21 settembre 1897.

Dispaccio 35344/462 riservato di Visconti Venosta al governo dell’EritreaRoma, 21 settembre 1897.



p. 68
2 Sull'ambiente culturale e politico di Parigi, dove tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo vissero Faitlovitch e Slouschz, cfr. Emanuela Trevisan SemiJacques Faitlovitch and the Jews of Ethiopia”, London 2007, capitoli I e II.



p. 70
3 Carlo Conti Rossini "I Falascia"-conferenza tenuta al Convegno di Studi Ebraici di Roma il giorno 16 dicembre 1935.

Estratto da "La Rassegna mensile di Israel"-anno X, seconda serie, gennaio-febbraio 1936. Città di Castello 1936, p. 16.



4 G. BergerJews in America. A. Documentary with Commentary."-New York 1978.



5 George Zemin "The Falashas: a  Report concerning the Advisability of  Establishing a School for Hebrew among the Falashas of  Abyssinia”– Cincinnati 1912.



p. 71
6 Si deve ad Emanuela Trevisan Semi l'attenta ricostruzione della formazione culturale di Faitlovitch e della sua attività missionaria.

Cfr "Allo specchio dei Falascia. Ebrei ed etnologi durante il colonialismo fascista". Firenze 1987.

The ideology of «Regeneration» and the Beta Israel at the beginning of the XX Century” – Revue européenne des Études Hebraiques”, n. 2 1997, pp. 141-154.

Universalisme juif et prosélitisme. L’action de Jacques Faitlovitch, «père» des Beta Israel (Falashas)”. Revue de l’histoire des religions”, tome 216, 2, april-juin 1999, pp. 193-211.

“De Lodz à Addis Abeba, Faitlovitch et les juifs d’Ethiopie”. Les Cahiers du judaisme, n. 10, 2001, pp. 60-71.

Ebrei per scelta. Movimenti di conversione all'Ebraismo" (in collaborazione con Tudor Parfitt). Milano 2004.

"Jacques Faitlovitch and the jews of Ethiopia”. London 2007 (è lo studio d’insieme conclusivo per ora di una fatica durata decenni).



7 ASMAI pos. 54/1 fascicolo 23 (1904-1909Etiopia. Azione pro Falascia (ebrei abissini).

Lettera dell'on. Leone Romanin Jacur al sottosegretario Guido Fusinato. Roma,18 febbraio 1904.

Dispaccio 8632/114 di Fusinato al governo dell'Eritrea (cancellata l'altra indicazione per la legazione italiana ad Addis Abeba ), Roma 20 febbraio 1904.

Rapporto 2461/2 di Pecori Giraldi al Ministro degli Esteri. Asmara 6 marzo 1904.



p. 72
8 ASMAI pos. 54/1 fascicolo 23 (1904-1909) Etiopia. Azione pro Falasha (ebrei abissini)

Cartolina di Halévy a Conti Rossini - Parigi 12 giugno 1905

Lettera di Conti Rossini ad un "signor Commendatore"- Roma 16 giugno 1905

Lettera n. 31.866/765 di Agnesa (ufficio coloniale del Ministero Esteri) a Conti Rossini. Roma 23 giugno 1905

Dispaccio n. 3232/1418 di Malvano, segretario generale del Ministero Esteri, a Martini - Roma 26 giugno 1905

Rapporto n. 174 di Martini al Ministero Esteri. Asmara 28 luglio 1905.



p. 73
9 Su questo primo viaggio di Faitlovitch cfr. E. Trevisan Semi  “Jacques Faitlovitch and the jews of Ethiopia”, già citato, capitolo II.



p. 74
10 ASMAI Eritrea pos. 54/1, fascicolo 23 (1904-1909Etiopia. Azione pro Falascia (ebrei abissini)

Lettera di Faitlovitch al Ministro degli Esteri. Parigi,29 novembre 1905.

"... un paese misterioso e da favola..."

"In Abissinia, come presso gli altri semiti attaccati ai costumi degli antenati, l'intolleranza poteva suscitare soltanto l'odio contro il persecutore, odio che colpì quanto portava un nome europeo".

"Gli indigeni di questa ultima regione sono pervasi dalle idee ispirate dall'Italia con la sua amministrazione, ed essi si attaccano sempre più agli Italiani, di cui conoscono la superiorità."

"Fra gli Abissini si trova d'altronde un elemento tanto attivo quanto intelligente e laborioso, che sarà di un potente e prezioso aiuto per l'attuazione di quest'opera umanitaria: sono i Falascia...".

"Essi gioveranno da leva per spingere tutta l’Abissinia ad adottare costumi conformi al progresso".

"Sarà una missione di alta politica per l'Italia non lasciar disperdere i semi da essa sparsi a costo dei più sanguinosi sacrifici".

Lettera n. 61.542/1556 del sottosegretario Fusinato a Faitlovitch - Roma,13 dicembre 1905.



p. 76
11 ASMAI pos. 54/1 fascicolo 23

Rapporto 159, prot. gen. 793, dell'ambasciatore a Parigi, Tornielli, al ministro degli Esteri, Guicciardini - Parigi 23 marzo 1906.

Dispaccio 22.441, riservato, di Malvano, segretario generale del Ministero Affari Esteri, all'ambasciatore a Parigi - Roma 21 aprile 1906.

Dispaccio riservato 22.521/270 di Malvano al governatore dell'Eritrea, Martini - Roma 25 aprile 1906.

Dispaccio 69.730/682 di Malvano a Martini (inviatogli a Roma dove si trovava) - Roma 13 novembre 1906

Rapporto n. 14 di Martini al Ministro degli Esteri - Roma 16 novembre 1906.

Dispaccio 75.505/1388 del Ministro degli Esteri, Tittoni, a Tornielli, ambasciatore a Parigi - Roma 14 dicembre 1906.

Lettera di Giannino Antona Traversi a "Carissimo Tommaso" (Tittoni)- Milano 17 ottobre 1906.



p. 77
12 ASMAI pos. 54/1 fascicolo 23

Lettera del rabbino Hirschler al Ministro degli Esteri - Marsiglia 20 agosto 1907.

Rapporto 6578/287 del console generale a Marsiglia al Ministro degli Esteri - Marsiglia 24 agosto 1907.

Dispaccio 53.453/396 del ministro Tittoni al console generale a Marsiglia - Roma 4 ottobre 1907.

Dispaccio 53.190/645 di Tittoni al governatore dell'Eritrea - Roma 4 ottobre 1907.

Rapporto 8173/361 del console generale a Marsiglia a Tittoni - Marsiglia 21 ottobre 1907.



p. 79
13 ASMAI pos. 54/1 fascicolo 23

Lettera a Tittoni di Raffaele Ottolenghi, a nome del Comitato Israelitico italiano pro Falascia - 8 dicembre 1907.

Telegramma 2200 di Tittoni al governo dell'Eritrea, da trasmettere al conte Colli - Roma 20 dicembre 1907.

Lettera di Margulies a Ottolenghi - Firenze 10 dicembre 1907.



p. 80
14 Raffaele Ottolenghi "I Falascia" - Nuova Antologia, aprile 1907, pp. 502-508.

ASMAI   Eritrea pos. 54/1 Varie. Fascicolo 24 (1912-1916) Scuola per Falascia.

Lettera di Ottolenghi al sottosegretario del Ministero delle Colonie - 15 febbraio 1913.



p. 82
15 Su Margulies cfr. Lionella Viterbo “ La nomina del rabbino Margulies: un excursus nella Firenze ebraica di fine800" - La Rassegna mensile di Israel 1993, n. 3, pp. 67-89.

"Cronache del passato fiorentino: la difficile successione del rabbino Margulies (1920-1926)" - La Rassegna mensile di Israel, 1994, n. 3, pp. 148-178



p. 83
16 Margulies "Per gli Ebrei Abissini (Falascia)"-Rivista Israelitica n. 5 (settembre-ottobre) 1905, pp. 208-212.

"La solidarietà israelitica ed i Falascia. Discorso tenuto nel Tempio maggiore di Firenze il giorno di Pessach 5667"-Rivista Israelitica n. 2 (marzo-aprile) 1907, pp. 45-51.



p. 84
17Bulletin de l’Alliance Israélite Universelle”, 1904 p. 86 "Écoles”; 1906, p. 110 "Écoles” ; 1908, p. 138 "Écoles” ; 1909, pp. 108-109 "Tableau progressif de l’œuvre scolaire” ; 1916, p. 106"Écoles”.



18 Sui rapporti di Faitlovitch e Margulies con l'Alliance Israélite Universelle in quegli anni cfr. E. Trevisan SemiFaitlovitch, Margulies and the Alliance Israélite Universelle. Which Education Policy for the Ethiopian jews in 1907?" –sta in “Noblesse oblige. Essays in Honour of David Kessler O.B.E. – Edited by Alan D. Crown A.M.”  London, 1998pp. 145-158.

E. Trevisan Semi “ La solidarietà ebraica e i Beta Israel nella corrispondenza Faitlovitch-Margulies" – Hebraica, Miscellanea di Studi in onore di Sergio J. Sierra per il suo 75° compleanno, a cura di F. Israel - Torino 1998.

E. Trevisan SemiJacques Faitlovitch and the jews of EthiopiaLondon, 2007 (già citato), pp. 20,24,26-37.



p. 88
19Notes d’un voyage chez les Falachas (juifs d’Abyssinie) – Rapport présenté à M. le Baron de Rotschild par Jacques Faitlovitch" – Paris, Ernest Leroux Editeur 1905pp. 26-27 "L'ardore con cui cercano di rigenerarsi, di uscire da quella barbarie africana che li circonda e li soffoca, prova che in essi perdura il carattere distintivo della razza”.



20Bulletin de l'Alliance Israélite Universelle”. terza serie, n. 30, anno 1905; pp. 96-104 "VIII Israélites Falachas de Jacques Faitlovitch". "Sebbene neri di colore, essi non hanno la maschera schiacciata del negro d'Africa, i loro lineamenti sono fini, gli occhi attenti e svegli, il corpo robusto e snello; somigliano molto ai neri delle Indie Britanniche".



p. 89
21 Jacques Faitlovitch "Gli Ebrei d’Abissinia (Falascia). Impressioni dal vero". Pubblicato a cura del Comitato pro Falascia. Acqui 1907, pp. 3,6,7,10,14,16.



p. 90
22 Jacques FaitlovitchLes Falachas d’après les explorateurs. Notes apologétiques. (Risposta ad una lettera contro i Falascia  inviata ad un distinto rabbino tedesco che per calunniarli e criticare la mia campagna a loro favore, si è basato sugli scritti di alcuni missionari)". Rivista Israelitica, n. 3 maggio-giugno 1907, anno IV, pp. 92-101.

p.  100  "I Falascia sono ebrei  sotto ogni punto di vista, ed è grazie alla loro religione come alla loro origine che sono rimasti sempre superiori agli Abissini ed hanno potuto affrontare tutti i pericoli del passato".

p. 101 "Superiori agli abitanti dell’ Abissinia per i costumi e per il carattere, ad essi manca soltanto un po' d'istruzione per risplendere tra le tenebre del loro paese... Sono i futuri pionieri  del progresso in Etiopia, poiché essi possiedono la religione più pura ed il carattere più adatto al miglioramento".



p. 94
23 ASMAI pos. 54/1 fascicolo 23

Lettera del presidente dell’Hilfsverein, Nathan, a Margulies. Berlino,21 gennaio 1908.



p. 97
24 ASMAI pos. 54/1 fascicolo 23

Lettera di Ottolenghi, a nome del Comitato Israelitico Italiano "Pro Falasha” al Ministro Tittoni - Acqui 26 gennaio 1908

Lettera di Margulies ad Agnesa, direttore dell'Ufficio coloniale del Ministero Affari Esteri - Firenze 3 febbraio 1908

Telegramma n. 329 di Tittoni al governo dell'Eritrea, da inoltrare a Colli, rappresentante italiano in Etiopia  - Roma 9 febbraio 1908

Rapporto di Salvago Raggi a Tittoni, prot. gen. 1532, speciale 624/73 - Asmara 30 gennaio 1908

Telegramma di Salvago Raggi (n. in arrivo del Ministero Esteri 453) a Tittoni - Asmara 19 febbraio 1908 (trasmette il telegramma di Colli del 17 febbraio da Addis Abeba)

Lettera di Margulies a Tittoni - Firenze 25 febbraio 1908

Promemoria del direttore dell'Ufficio coloniale del Ministero Esteri, Agnesa, al Ministro Tittoni - Roma 13 marzo 1908

Lettera di Ottolenghi a Tittoni - Acqui 12 marzo 1908

Lettera 16.068/409 di Tittoni ad Ottolenghi - Roma 21 marzo 1908

Lettera 16.055/395 di Tittoni a Luzzatti - Roma 21 marzo 1908

Lettera di Margulies ad Agnesa - Firenze 2 aprile 1908

Lettera 19.459/98 di Tittoni a Margulies - Roma 5 aprile 1908

Dispaccio 22.030/49 di Tittoni alla legazione italiana in Etiopia - Roma 18 aprile 1908

Dispaccio 22.038/144 di Tittoni all'agenzia diplomatica italiana in Egitto - Roma 18 aprile 1208

Dispaccio 21.978/248 di Tittoni al governo dell'Eritrea - Roma 18 aprile 1908.



25 Max NordauBriefen an die juden Italiens (1908)" in "Zionistiche Schriften“ - Colonia-Lipsia 1909, pp. 371-373

Anatole Leroy BeaulienIsraël chez les Nations“ – Paris 1893, p. 383.

Sulle posizioni degli Ebrei italiani in quel periodo, cfr. Andrew M. CanepaEmancipazione, integrazione ed antisemitismo liberale in Italia. Il caso Pasqualigo" – Comunità n. 174, giugno 1975, anno XXIX, pp. 168-203.



p. 99
26 ASMAI pos. 54/1 fascicolo 23 (1904-1909)

Rapporto di Salvago Raggi a Tittoni prot. gen. 693, speciale 257/73 - Asmara 16 maggio 1908

Dispaccio  35.022 /543 di Tittoni al governo dell'Eritrea - Roma 20 giugno 1908

Lettera  35.016/880 di Tittoni a Margulies - Roma 20 giugno 1908

Lettera di Margulies a Tittoni  - Firenze 26 giugno 1908.



p. 103
27 Sul secondo viaggio di Faitlovitch cfr. E. Trevisan SemiJacques Faitlovitch and the jews of Ethiopia", già citato, capitoli , e ; per i rapporti con i giovani Falascia condotti in Europa, capitolo .

Sulla vicenda di Hizkiahu Finka, in particolare, cfr. From Wollwka to Florence: the tragic story of Faitlovitchs pupil Hizkiahu Finka” di E. Trevisan Semi, in “The Beta Israel in Ethiopia and Israel. Studies on the Ethiopian jews”, in collaborazione con T. Parfitt. Londra 1999.



p. 109
28 Cfr. E. Trevisan SemiJacques Faitlovitch and the jews of Ethiopia », già citato, p. 49.



p. 114
29 ASMAI Eritrea pos. 54/1 – fascicolo 23 (1904-1909)

Rapporto dell’incaricato d’affari in Etiopia, Miniscalchi, al Ministro TittoniAddis Abeba 6 gennaio 1909

Rapporto riservato n. 772 prot. gen. di Salvago Raggi a TittoniAsmara 5 marzo 1909

Lettera di Tittoni a Margulies (manca il numero) – Roma 2 aprile 1909

Lettera di Margulies a TittoniFirenze 5 aprile 1909

Dispaccio 63 del Ministero Affari Esteri alla legazione in EtiopiaRoma 27 aprile 1909

Dispaccio prot. speciale 787 del Ministero Affari Esteri al governo dell’EritreaRoma 27 aprile 1909.



30 ASMAI Eritrea pos. 11/11-1906-1916; fascicolo 130-1911 Eritrea. Trattamento degli Israeliti in Colonia.

Promemoria degli ebrei dimoranti in Asmara al Ministro degli Esteri. Pervenuto al gabinetto l'11 maggio 1911

Dispaccio 476 della Direzione centrale Affari Coloniali del Ministero Esteri al Governo dell'Eritrea. Roma 29 maggio 1911

Rapporto riservato 9369 di Salvago Raggi, governatore dell'Eritrea, al Ministro degli Esteri. Asmara,14 luglio 1911.



p. 115
31 ASMAI Eritrea pos. 34/3 - 1904-1923. Fascicolo 72 Eritrea 1913. Sinagoga in Asmara. Perquisizione abusiva.

Nota riassuntiva anonima e priva di data

Archivio storico dell’UCEI: (fino al 1924)-Busta 6, fascicolo 33. Comunità dell’ Asmara

Appunto anonimo e senza data

Copia dell'esposto al Procuratore del Re di Asmara a firma di Elia Behár ed altri, in data 21 aprile 1913

Copia della denuncia contro il brigadiere Scanu presentata al Procuratore del Re dagli Israeliti di Asmara - maggio 1913

Lettera della comunità ebraica dell’Asmara ed Angelo SereniAsmara 20 giugno 1913

Lettera di Angelo Sereni Presidente del Comitato delle Comunità Israelitiche Italiane alla Comunità Israelitica dell’Asmara - Roma 10 agosto 1913

Lettera dell'avvocato Benedetti (legale della Comunità dell’Asmara) ad Angelo Sereni 14 agosto 1913.



p. 117
32 ASMAI Eritrea pos. 54/1 fascicolo 24, 1912-1916. Scuola per i Falascia.

Lettera di Margulies al Ministro degli Esteri, San Giuliano - Firenze 11 novembre -1912

Dispaccio 86.128/1133 del Ministro S. Giuliano a Salvago Raggi - Roma 20 novembre -1912

Lettera di Giuseppe Ostini a Salvago Raggi - Roma 22 novembre 1912

Rapporto 18.621/487 di Salvago Raggi al Ministro delle Colonie, Martini. Asmara 7 dicembre 1912.



p. 118
33 ASMAI Eritrea pos. 54/1 fascicolo 24, 1912-1916. Scuola per i Falascia

Rapporto 559/35 di Salvago Raggi a Martini. Asmara 11 gennaio 1913

Lettera n. 25 del sottosegretario alle Colonie, Colosimo a Margulies. Roma 8 febbraio 1913

Lettera di Margulies a Colosimo. Firenze 11 febbraio 1913

Lettera del "Comité International Pro Falasha”, a firma Margulies, a S.E. il  Governatore della Colonia Eritrea - Firenze 13 febbraio 1914

Lettera (priva di numero) del governatore dell'Eritrea al Comitato italiano pro Falascia. Asmara 25 febbraio 1914

Cfr. Lorenzo Cremonesi "Le origini del sionismo e la nascita del kibbutz". Firenze 1985, pp. 150-167

Per la richiesta di un terreno agricolo, avanzata nel 1908 da Faitlovitch, vedere i documenti citati alla nota 26.



34 Relazione sulla Colonia Eritrea del R. Commissario Civile straordinario onorevole Ferdinando Martini (anni 1900 e 1901).  Presentata dal Ministro degli Affari Esteri (Prinelti) nella seduta del 13 dicembre 1902 (art. 4 della legge 1 luglio 1890). Atti  Parlamentari.

Legislatura XXI seconda sessione 1902. Camera dei Deputati - documenti (n. XVI) - Roma, 1902, p. 70

Allegato E Elenco delle concessioni temporanee e perpetue al   novembre 1902

Allegato F Affitti e concessioni di terreni a scopo di colonizzazione.



p. 119
35 ASMAI Eritrea pos. 31/3 (1895-1899)

Fascicolo 39 Missionari cattolici. Regolamenti, istanze. Disegno finanziario dell'ing. Rugola. Progetto di colonizzazione

Lettera n. 1002 del presidente dell'Associazione nazionale per soccorrere i missionari cattolici, Fedele Lampertico, a Primo Levi - Direttore dell'Ufficio coloniale per l'Eritrea e Protettorati - Ministero Affari Esteri. Vicenza 5 gennaio 1896

Lettera del senatore Alessandro Rossi a Primo Levi - Schio 5 gennaio 1896

Lettera del segretario dell'Associazione nazionale per soccorrere i missionari cattolici, E. Schiaparelli, alla superiora delle Figlie di Sant'Anna. Torino 20 dicembre 1895

Lettera del senatore Lampertico al Ministro Affari Esteri (Caetani di Sermoneta) - Vicenza 19 marzo 1896

Telegramma n. 389 del ministro Caetani al gen. Baldissera - Roma 21 marzo 1896

Lettera 10.724/233 del ministro Caetani al sen. Lampertico - Roma 25 marzo 1896.



36 A.C.S. - Presidenza Consiglio Ministri 1914, fascicolo 11, sottofascicolo 3 – prot. 486

Lettera di Martini al Presidente del Consiglio Salandraprot. 77 - Ufficio I - Direzione generale Affari Politici e servizi relativi alle truppe coloniali - Ministero delle Colonie. Roma 27 giugno 1914

Lettera di Salandra a Martiniprot. 486 - Gabinetto Ministero dell'Interno. Roma 14 luglio 1914

Ferdinando Martini - "Nell'Affrica italiana" - Milano 1925, pp. 123 e 125 (prima edizione nel 1891).



p. 120
37 ASMAI  Eritrea pos. 11/9 (1886-1903) fascicolo 94, 1888. Massaua

Regolamento per concessioni di suolo pubblico e per la costruzione di edifici privati - decreto giugno 1888 del maggior generale A. Baldissera

Bollettino Ufficiale della Colonia Eritrea - anno XV, n. 17. Asmara 28 aprile 1906-parte ufficiale, p. 1 – avviso 504 relativo alla concessione di un'area edilizia alla Comunità Israelitica di Asmara.



38 ASMAI  Eritrea pos. 54/1 Varie. Fascicolo 24, anni 1912-1916

Lettera di Ottolenghi ad una "eccellenza"- Roma 16 marzo 1913

Daniel P. SummerfieldFrom Falashas to Ethiopian jews. The external Influences for change c. 1860-1960

London and New York 2003; cfr.The Impact of Faitlovitchs Programmes on Falasha Society”, pp. 85-90.



p. 123
39 ASMAI  Eritrea pos. 54/1 Varie. Fascicolo 24, anni 1912-1916

Rapporto 264 dell'agente commerciale a Gondar, Ostini, al governo dell'Eritrea. 27 aprile 1913

Rapporto 9166/646 del reggente il governo dell'Eritrea, Rubiola, al Ministro delle Colonie. Asmara 6 giugno 1913

Lettera di Ostini a Faitlovitch. Gondar 3 giugno 1913

Rapporto 302 di Ostini al governo dell'Eritrea. Gondar 30 giugno 1913

Rapporto 17.487/1319 di Salvago Raggi al Ministro delle Colonie, Martini. Asmara 12 novembre 1913

Sul terzo viaggio di Faitlovitch in Etiopia, cfr. E. Trevisan SemiJacques Faitlovitch and the jews of Ethiopia”, già citato pp. 60-70.



p. 124
40 Cfr. Amor Bavay “Il nazionalismo e le missioni". Tolentino 1935.



41 "Azione di italianità missionaria in Africa" del professor Arrigo Pozzi. Napoli 1939.



42 Cfr. Gino Sottochiesa "La religione in Etiopia" - Quaderni nazionali, III serie, vol. I. Torino 1936

Cesare Marongiu BuomanitiPolitica e religioni nel colonialismo italiano” – Roma 1982

Uoldelal Chelati Dilar “ Le religioni nella politica coloniale italiana” – Africa e Mediterraneo, 1996, fascicolo I, pp. 9-14.



p. 127
43 ASMAI Eritrea pos. 33/1 Culti e scuole (1884-1903) fascicolo 1 (1884-1900) EritreaChiesa cattolica, missione in Assab, offerte

Rapporto 470 del commissario f.f. Pestalonza al Ministro degli EsteriAssab 16 dicembre 1884

ASMAI Eritrea pos. 33/1 Culti e scuole (1884-1903) fascicolo 8 (1885-1894) Eritrea - Servizio scuole

Rapporto 337 del comandante superiore delle truppe, Genè, al Ministro degli Esteri - Massaua 21 aprile 1886

Dispaccio 158/180 del Ministero Esteri a Genè - Roma 11 maggio 1886

Rapporto del cav. Maissa, console inviato in missione a Massaua, trasmesso il 20 giugno 1887 dalla direzione politica del Ministero Affari Esteri alla prima divisione, con  nota in calce

Dispaccio 7118/92 dell'Ufficio coloniale del Ministero Esteri al governo dell'EritreaRoma 28 febbraio 1891

ASMAI Eritrea pos. 33/1 Culti e scuole (1884-1903) fascicolo 9 (1895-1906) Eritrea - Servizio scuole

Rapporto 2340/1379 del governatore dell'Eritrea, Martini, al Ministro degli Esteri - Asmara 23 giugno 1901

Atti Parlamentari, legislatura XXIII - sessione 1909-1913. Camera dei Deputati, documento LXII. Relazione sulla Colonia Eritrea del R. Commissario Civile Deputato Ferdinando Martini per gli esercizi 1902-1907. Presentata dal Ministro delle Colonie (Bertolini) nella seduta del 14 giugno 1913. Roma, tipografia della Camera dei Deputati 1913; volume I. Relazione, pp. 30-31-32.

"Bollettino della Società Africana d'Italia"

Anno XXI, fascicolo 3-4, marzo-aprile 1902, p. 57. Cronaca Africana "Missionari italiani nell'Africa Orientale"

Anno XVII, fascicolo 1, gennaio-febbraio 1898, pp. 23-24. Cronaca Africana "I  Lazzaristi in Abissinia"; fascicolo 2, marzo-aprile 1898, pp. 61-62. Cronaca Africana "Lazzaristi al di qua del Mura".

"L'Esplorazione Commerciale" (già "L'Esploratore") - Giornale di viaggi e di Geografia commerciale. Bollettino della Società italiana di esplorazioni geografiche e commerciali.

Anno 1921, fascicolo 1 (gennaio), pp. 2-4 "Le Eritrea ed i Cappuccini" di padre Ezechia, Missionario Apostolico

Anno 1907, fascicolo 1-2 ( e 15 gennaio) pp. 19-22 e fascicolo 3 ( febbraio) pp. 31-43 "Missioni apostoliche e penetrazione commerciale" di Giuseppe De Luigi.



p. 129
44 ASMAI Eritrea pos. 33/1 Culti e scuole (1884-1903)

fascicolo 2 (1886-1903) Eritrea. Chiesa cattolica a Massaua. Costruzione. Sussidi.

Lettera 733/3 del professor Schiaparelli, segretario dell'Associazione nazionale per soccorrere i missionari cattolici, al sottosegretario agli Esteri, Damiani. Firenze 12 aprile 1890.

Lettera 154, prot. 31.267 del Ministero Grazia  Giustizia e Culti al Ministero Affari Esteri. Roma 7 giugno 1890.

Appunto dattiloscritto senza firma e data su carta intestata del Ministero Affari Esteri; aggiunto a penna "Divisione III, sez. 2a”.

Dispaccio 34.193/57 del Ministero Esteri al console Generale a Calcutta - Roma 22 settembre 1890.

Rapporto 358/56 del console d'Italia a Cadice al Ministero Affari EsteriCadice 22 settembre 1890

Lettera di Tito Giannini a Ministero Affari Esteri - Firenze 25 settembre 1890.

Lettera n. 2 riservata del generale Baratieri, governatore dell'Eritrea, al Ministero Affari Esteri - Asmara 3 gennaio 1893.

Bollettino Società Africana d'Italiaanno XLI, fascicolo 6 (novembre-dicembre 1922) p. 210 "Notizie ed appunti. Per la cattedrale di Asmara".

Touring Club italiano "Possedimenti e Colonie" - Milano 1929, p. 624.

Consociazione Turistica Italiana" Guida dell'Africa Orientale Italiana" - Milano 1938, p. 201.

ASMAI Eritrea pos. 33/1 Culti e scuole (1884-1903)

Fascicolo 4 (1885-1897) Eritrea. Chiesa cattolica di Asmara.

Rapporto 402 del generale Baratieri, governatore dell'Eritrea, al Ministero Affari Esteri - Massaua,16 febbraio 1895.

Lettera 1373 del senatore Lampertico, presidente dell'Associazione nazionale per soccorrere i missionari cattolici italiani, a Visconti Venosta, ministro Affari Esteri - Firenze 20 marzo 1897.

ASMAI Eritrea pos. 33/1 Culti e scuole (1884-1903).

Fascicolo 8 (1885-1894) Eritrea. Servizio scuole.

Lettera 983/4 del segretario generale dell'Associazione nazionale per soccorrere i missionari cattolici italiani, E. Schiaparelli, al marchese di Rudinì, presidente del Consiglio e ministro Affari Esteri - Firenze 20 luglio 1891.

Lettera 29.365/3 del Ministero Affari Esteri a Schiaparelli - Roma 24 luglio 1891.

Appunto anonimo e privo di numero del Ministero Affari Esteri, in data 24 agosto 1894, su scuole e presenza religiosa in Eritrea.

Dispaccio 31.906/251 del ministro Affari Esteri Blanc al governatore dell'Eritrea, Baratieri - Roma 26 agosto 1894.

Rapporto 184 del governatore dell'Eritrea Baratieri al ministro Affari Esteri Blanc - Asmara 12 settembre 1894.

Dispaccio 37.322/287 del Ministero Affari Esteri al generale Baratieri, governatore dell'Eritrea - Roma 30 ottobre 1894.

ASMAI Eritrea 33/1 Culti e scuole (1884-1903)

Fascicolo 9 (1895-1906) Servizio scuole.

Rapporto 2340/1379 del governatore dell'Eritrea Martini al ministro degli Esteri - Asmara 23 giugno 1901.



p. 132
45 ASMAI Eritrea pos. 33/2 Culti e scuole (1885-1916)

Fascicolo 14 (1885-1890) Eritrea. Missione svedese evangelica.

Telegramma 475 del Ministero della Marina al Ministero Affari Esteri - Roma 28 febbraio 1885.

Telegramma ( manca il numero) del segretario generale del Ministero Affari Esteri, Malvano, al Ministero della Marina - Roma 28 febbraio 1885.

Rapporto n. 16 serie politica del console Felice Maissa, in missione a Massaua, al Ministero Affari Esteri - Massaua 2 marzo 1885.

Rapporto 71/87 del generale Genè al ministro degli Esteri - Massaua 3 gennaio 1886.

Rapporto 679 serie politica del generale Genè al ministro degli Esteri - Massaua 9 ottobre 1886.

Dispaccio 602/17 del ministro degli Esteri di Robilant al generale Genè - Roma 2 novembre 1886.

Rapporto 753 serie politica del generale Genè al ministro degli Esteri di Robilant - Massaua 21 novembre 1886.

ASMAI Eritrea pos. 33/2 Culti e scuole (1885-1916)

Fascicolo 15 (1891-1893). Eritrea. Missione svedese evangelica.

Appunto del Ministero Affari Esteri in data 5 gennaio 1892 sui pagamenti fatti nel 1891 alla missione svedese, convertendo le cambiali incassate in lire sterline.

ASMAI Eritrea pos. 33/2 Culti e scuole (1885-1916)

Fascicolo 16 (1894-1895) Eritrea. Missione svedese evangelica.

Rapporto del ministro d'Italia a Stoccolma, Alessandro Giovanni Zannini, al ministro degli Esteri Blanc - Stoccolma 14 dicembre 1893.

Rapporto 755 del governatore dell'Eritrea, Baratieri, al ministro degli Esteri - Asmara 13 aprile 1895.

Rapporto 99/60 del segretario di prima classe Enrico Ferrara Dentice d’Accadia al ministro degli Esteri Blanc - Stoccolma 2 giugno 1895.

ASMAI Eritrea pos. 33/2 Culti e scuole (1885-1916)

Fascicolo 18 (1899-1902) Eritrea. Missione svedese evangelica.

Rapporto 1627 del governatore dell'Eritrea, Martini, al ministro degli Esteri - Asmara 26 aprile 1901.

Memorandum consegnato dal segretario generale del Ministero Affari Esteri Malvano al ministro di Svezia a Roma, Bildt - Roma 19 maggio 1901.

"Il Governo dell'Eritrea si trova nell'assoluta necessità di affermare la superiorità della razza bianca sulla razza negra. Secondo questo principio di ordine pubblico le unioni di un negro con una bianca sono proibite. Ma una svedese d’Asmara, con il consenso della Missione cui appartiene, si è recentemente sposata con un indigeno. Il commissario civile ha appreso questo fatto troppo tardi per impedirlo e questo matrimonio è attualmente argomento di scandalo per gli Europei e di ironici commenti da parte degli indigeni..." "... consigli di moderazione e prudenza".

Lettera privata del barone Bildt, ministro di Svezia a Roma, a Malvano, segretario generale del Ministero Affari Esteri - Viareggio luglio 1901.

Promemoria della legazione di Svezia comunicato dal barone Bildt al ministro Affari Esteri - Roma 18 ottobre 1901.

Rapporto 2326/94 del ff. Commissario civile dell'Eritrea, Giachetti, al ministro Affari Esteri - Asmara 23 settembre 1902.



p. 133
46 ASMAI Eritrea pos. 33/2 Culti e scuole (1885-1916)

Fascicolo 20 (1910-1916) EritreaMissione svedese evangelica.

Promemoria della legazione svedese a Roma per il Ministero Affari Esteri - Roma 8 dicembre 1913.

Minuta del promemoria del Ministero delle Colonie (senza data e firma) in risposta al promemoria svedese dell'8 dicembre 1913 (si può attribuire una data successiva al 10 giugno 1914).

Lettera n. 6952 di Salvago Raggi, governatore dell'Eritrea, a Martini, ministro delle Colonie - Asmara 15 aprile 1914.

Dispaccio n. 60 di Martini a Salvago Raggi - Roma 27 maggio 1916.

Rapporto 11.208/772 di Salvago Raggi a Martini - Asmara 10 giugno dell'anno 1914.



p. 135
47 ASMAI Eritrea pos. 33/2 Culti e scuole (1885-1916)

Fascicolo 20 (1910-1916Eritrea. Missione svedese evangelica.

Lettera del barone Axel Rappe, direttore della Società evangelica patriottica di Stoccolma, al ministro svedese degli Affari Esteri, 4 marzo 1915; trasmessa il 16 marzo 1915 dal ministro di Svezia a Roma, barone de Bildt, al ministro delle Colonie, Martini.

Rapporto 7848/611 del governatore dell'Eritrea, Salvago Raggi, a Martini - Asmara 29 aprile 1915.

Telegramma riservatissimo 17.004 del ff. Governatore dell'Eritrea, Cerrina, a Martini - Asmara 19 settembre 1915.

Telegramma riservato 5795 di Martini al governo dell'Eritrea - Roma 22 settembre 1915.

Telegramma riservato 17.732 di Cerrina al ministro delle Colonie - Asmara 30 settembre 1915.

Promemoria di Martini per il ministro di Svezia a Roma, de Bildt - Roma 19 novembre 1915.

Rapporto 22.293/1599 di Cerrina a Martini - Asmara 13 dicembre 1915.

Nota del ministro di Svezia a Roma, de Bildt, a Martini - Roma 3 ottobre 1915.

Telegramma 6196 di Martini a Cerrina - Roma 5 ottobre 1915.

Telegramma 18.275 di Cerrina a Martini - Asmara 7 ottobre 1915.

Lettera n. 13 di Martini al barone de Bildt - Roma 15 ottobre 1915.



p. 137
48 ASMAI Eritrea pos. 33/3 (1886-1917)

Fascicolo 45 Missionari cattolici italiani. Agevolazioni -appunti e rilievi sui monaci e sulle monache - sovvenzione reale.

Dispaccio 55.126/693 del ministro Affari Esteri Canevaro, al governatore Martini - Roma 19 novembre 1898.

Rapporto confidenziale gab. 560/9 di Martini a Canevaro - Asmara 3 dicembre 1898.

Dispaccio 55.103/723 riservatissimo e personale di Canevaro a Martini - Roma 3 dicembre 1898.

Rapporto 772 III/1 gab. del vicegovernatore Caneva al Ministro Affari Esteri - Massaua 17 dicembre 1897.

Dispaccio confidenziale gab. 130/9 di MartiniCanevaro - Asmara 9 gennaio 1899.

Lettera n. 2230 del senatore Lampertico, presidente dell'Associazione nazionale per soccorrere i missionari cattolici italiani  al ministro degli Esteri Canevaro - Firenze 20 febbraio 1899.

Dispaccio riservatissimo 9117/168  di Canevaro a Martini - Roma 7 marzo 1899.

Rapporto riservatissimo 1539/9 di Martini a Canevaro - Asmara 2 maggio 1899.

Lettera n. 761 prot. gen., 252 prot. speciale di Martini al Prefetto Apostolico - Asmara 8 febbraio 1901.

Rapporto 833/281 di Martini al Ministro Affari Esteri, Visconti Venosta - Asmara 9 febbraio 1901.



p. 139
49 ASMAI Eritrea pos. 53/1 Missioni cattoliche e scuole italiane (1906-1921)

Fascicolo 1 Etiopia 1906-1907. Missione cattolica a sud del Setit - padre Colombaroli.

Promemoria di Carlo Rossetti dell'ufficio coloniale del Ministero Esteri per il capufficio Agnesa - Roma 15 ottobre 1906.

Dispaccio di Tittoni a Martini n. 70.574/697, riservato urgente - Roma 17 novembre 1906.

Lettera di Martini a Tittoni - Roma 20 novembre 1906.

Telegramma 2536 riservato di Tittoni all'agente diplomatico al Cairo  Manzoni - Roma 25 novembre 1906.

Telegramma 47 riservato di Gaetano Manzoni, agente diplomatico al Cairo, a Tittoni - Cairo 26 novembre 1906.

Rapporto 973/344 riservato di Manzoni a Tittoni - Cairo 27 novembre 1906.

Dispaccio 06 141/1 di Tittoni a Manzoni - Roma 4 gennaio 1907.

Lettera di Martini a Tittoni - Roma 3 gennaio 1907.

Lettera di Martini a Tittoni - Roma 7 gennaio 1907.

Dispaccio 4994/53 di Tittoni a MartiniRoma 27 gennaio 1907.

Dispaccio 5651/45 di Tittoni a Manzoni - Roma  31 gennaio 1907.

Dispaccio 5652/17 di Tittoni alla legazione italiana in Etiopia - Roma 31 gennaio 1907.

Dispaccio 114/44 di Manzoni a Tittoni - Cairo 3 marzo 1907.

Dispaccio 25/15 dell'incaricato d’affari in Etiopia, Colli di Felisano, a Tittoni - Addis Abeba 21 marzo 1907.



p. 140
50 Ferdinando Martini "Lettere 1860- 1928". Milano 1934

p. 328 lettera 298 a Matilde Gioli Bartolommei - Massaua 6 marzo 1898

pp. 400-401 lettera 353 ad Amalia Depretis. A bordo del "Macedonia" in rotta per Aden 21 aprile 1905.



p. 141
51 ASDE Affari Politici 1919-1930. Etiopia.Busta 1019, fascicolo 2947

Rapporto 179 del regio ministro Piacentini al regio ministero degli Affari Esteri. Addis Abeba 18 dicembre 1920.

ASMAI pos. 54/1 Varie. Fascicolo 24 (1912-1916) Scuola per i Falascia.

Lettera di Ottolenghi al Ministro delle Colonie, Martini. Acqui  18 settembre 1914.

Dispaccio riservato 331 del direttore generale Affari Politici del Ministero delle Colonie, Agnesa, al governatore dell'Eritrea. Roma 23 ottobre 1914.

Lettera del ministro delle Colonie a Ottolenghi. Roma 16 novembre 1914 (mancano firmanumero di protocollo).

Rapporto riservato 7842/605 di Salvago Raggi, governatore dell'Eritrea, al Ministro delle Colonie. Asmara 29 aprile 1915.

Rapporto 723 di Agnesa al gabinetto del Ministro delle Colonie. Roma 20 maggio 1915.



p. 142
52 ASMAI pos. 54/1 Varie

Fascicolo 24 (1912-1916) Scuola per i Falascia

Lettera 480 del direttore generale Affari Politici del Ministero delle Colonie, Agnesa, al governo dell'Eritrea Roma 30 maggio 1913.

Rapporto 10.496/738 del reggente il governo dell'Eritrea, M. Rubiola, al Ministro delle Colonie. Asmara 28 giugno 1913.

Archivio storico dell’UCEI (fino al 1924). Busta 9, fascicolo 49. Lettera di Taamrat Emmanuel all'avvocato Angelo Sereni, presidente del Comitato delle Comunità Israelitiche Italiane. Acqui 26 novembre 1919.

Emanuela Trevisan Semi "L'epistolario di Taamrat Emmanuel. Un intellettuale ebreo di Etiopia nella prima metà del XX secolo". Torino 2000.

Introduzione, paragrafo 8 "L'Italia nella prima metà del XX secolo vista da Taamrat".

pp. 250-256 Lettera di Taamrat a Faitlovitch - Alessandria d'Egitto 19 settembre 1937.



p. 145
53 Cfr. E. Trevisan SemiJacques Faitlovitch and the jews of Ethiopia” più volte citato, pp. 67-69 "Returning from the third Mission”; pp. 73-79 “The fourth Mission”.

Dall'epistolario di Taamrat Emmanuel, curato dalla stessa studiosa, cfr. pp. 103-106: lettera n. 4 del 15 gennaio 1918 da Roma; pp. 107-110 lettera n. 5 del 21 febbraio 1918 da Soresina; pp. 112-113 lettera n. 7 del 4 giugno 1918 da Soresina; pp. 334-336 lettera 120 dell'11 aprile 1949 da Parigi; tutte dirette a Faitlovitch.



p. 148
54 ASDE Affari Politici. Etiopia. Serie 1919-1930

Busta 1021, fascicolo Milano 2976 (anno 1920). Missione Faitlovitch in Etiopia

Lettera dell'on. Colonna di Cesarò del 9 giugno 1920, indirizzata ad un "caro amico (da identificare nel direttore generale Affari Politici del Ministero Esteri, Mario Lago). 

Lettera di Lago al ministro delle Colonie ed alla legazione italiana ad Addis Abeba - Roma 16 giugno 1920 (il numero di protocollo 23.605 può desumersi dalla risposta del Ministero delle Colonie in data 23 giugno 1920.

Lettera 385 del Ministero delle Colonie  (direzione generale Affari Politici - ufficio II) a Lago - Roma 23 giugno 1920.

Rapporto del ministro plenipotenziario in Etiopia, Piacentini, al ministero Affari Esteri - Addis Abeba 28 luglio 1920 (manca il numero).



p. 151
55 ASDE Affari Politici. Etiopia. Serie 1919-1930

Busta 1021, fascicolo 2976 (anno 1920) Missione Faitlovitch in Etiopia.

Telegramma n. 1553 (in partenza) e n. 1015 (in arrivo) del governo dell'Eritrea (a firma De Camillis) al Ministero delle Colonie, Asmara 21 settembre 1920, di accompagnamento alla trasmissione del telegramma 368 dell’agente a Gondar, Paulicelli, del 4 settembre 1920.

Telegramma n. 402 del ministro Piacentini al Ministero degli Esteri, trasmesso dal governo di  Asmara il 14 settembre 1920, con cui si inviava il telegramma 348 di Paulicelli alla legazione italiana ad Addis Abeba, in data 18 agosto 1920.

Telegramma per posta n. 12300 del sottosegretario agli Esteri, Saluzzo, alla Direzione Generale Affari Politiciufficio II – del Ministero delle ColonieRoma 23 settembre 1920 (trasmette il telegramma 402 di Piacentini in data 14 settembre).

Telegramma n. 1598 (in partenza) e 327 (in arrivo) del governo dell’Eritrea (a firma De Camillis) al Ministero delle Colonie, Asmara 29 settembre 1920, in accompagnamento alla trasmissione del telegramma 368 dell’agente a Gondar, Paulicelli, del 4 settembre 1920.

Telegramma n. 14041 del sottosegretario del Ministero Affari Esteri, Saluzzo, alla legazione di Addis Abeba - Roma 12 novembre 1920.

Rapporto n. 411 del dottor Paulicelli, regio agente commerciale italiano a Gondar, alla R. Legazione d'Italia ad Addis Abeba - Gondar 3 ottobre 1920.

Telegramma n. 429 del 19 ottobre 1920 dell’ agente a Gondar, Paulicelli, alla legazione ad Addis Abeba ed al governo dell'Eritrea, trasmesso con telegramma 284 (in arrivo) del governo dell'Eritrea, a firma De Camillis, al Ministero delle Colonie - Asmara 8 novembre 1920.

Emanuela Trevisan SemiJacques Faitlovitch and the jews of Ethiopia”, già citato, pp. 76-77.

D. SummerfieldFrom Falashas to Ethiopian jews”, p. 89.



p. 153
56 ASDE Affari Politici. Etiopia. Serie 1919-1930

Busta 1019 Etiopia. Fascicolo 2947 (anno 1921). Missione Faitlovitch in Etiopia.

Rapporto n. 179 del ministro plenipotenziario in Etiopia, Piacentini, al Ministero Affari Esteri  - Addis Abeba 18 dicembre 1920.

Telegramma n.1074 del sottosegretario agli Esteri, Saluzzo, alla legazione italiana ad Addis Abeba  -  Roma 4 febbraio 1921.

Rapporto n. 55 dell’incaricato d’affari italiano ad Addis Abeba al Ministero Affari EsteriAddis Abeba 21 giugno 1921.



57 ASMAI pos. 54/1 fascicolo 23

Rapporto n. 14 di Martini al Ministro degli Esteri  - Roma 16 novembre 1906.



58 ASMAI Eritrea pos. 34/3 (904-1923) fascicolo 72 Eritrea 1913. Sinagoga in Asmara. Perquisizione abusiva. Nota riassuntiva anonima e priva di data.



59 Bruno Di PortoDopo il Risorgimento, al varco del novecento. Gli Ebrei e l’Ebraismo in Italia”.

Rassegna mensile d’ Israel, fascicolo 7-12 (luglio-dicembre) 1981, p. 36.



p. 154
60 ACS Presidenza Consiglio Ministri 194, fascicolo 11, sottofascicolo 3 – prot. 486.

Lettera di Martini al Presidente del Consiglio, SalandraRoma 27 giugno 194prot. 77 Direzione Affari Politici del Ministero delle Colonie.

Lettera di Salandra a Martiniprot. 486 Gabinetto Ministero InterniRoma 14 luglio 1914.



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