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Nel suo calessino inglese, che guidava da sè, Miss Bell aveva condotto dalla stazione di Firenze, per i pendii della collina, la contessa Martin-Bellème e la signora Marmet, alla sua casa di Fiesole che, rosea e cinta da una corona di balaustre, guardava la città incomparabile. La cameriera veniva dietro coi bagagli. Choulette, alloggiato, per cura di Miss Bell, presso la vedova d'un sagrestano, nell'ombra del duomo di Firenze, era aspettato soltanto per colazione. Brutta ma simpatica, coi capelli corti, in vestaglia, con una camicia da uomo sul suo petto maschio, quasi graziosa, coi fianchi poco sporgenti, la poetessa faceva alle sue amiche francesi gli onori della casa che rifletteva le delicatezze ardenti del suo gusto. Alle pareti del salotto, delle Vergini senesi, pallide, colle mani affusolate, regnavano pacificamente, in mezzo ad angeli, a patriarchi, a santi, nelle belle cornici dorate dei trittici. Sopra un piedistallo si ergeva una Maddalena, avvolta nei suoi capelli, impressionante di magrezza e di vecchiaia, qualche mendicante della strada di Pistoia, arsa dal sole e dalle nevi, che aveva copiato nell'argilla, con una fedeltà orribile e commovente, un ignoto precursore di Donatello. E dappertutto le armi gentilizie di Miss Bell: delle campane e dei campanelli. Le più grandi elevavano la loro cupola di bronzo agli angoli della camera; altre, toccandosi, formavano una catena a piede dei muri. Delle più piccole correvano lungo le cornici. Ce n'erano sulla stufa, sui cofani e sui cassettoni. Le vetrine erano piene di campane d'argento o dorate. Grosse campane di bronzo, segnate col giglio fiorentino, campanelle del XVI° secolo, formate da una dama che indossava un largo guardinfante, campanelle di trapassati, decorate di lagrime e d'ossa, campanelle traforate, coperte d'animali simbolici, e di fogliami, che suonavano nelle chiese al tempo di San Luigi, campanelle da tavola del XVII° secolo, che avevano una statuetta per manico, campanelle piatte e chiare delle mucche nelle vallate del Rutli, campane indiane che si fanno risuonare dolcemente con un corno di cervo, campane cinesi in forma cilindrica: erano venute là da tutti i paesi e da tutti i tempi, all'appello magico di quella piccola Miss Bell.
– Voi guardate le mie armi parlanti – disse alla signora Martin. – Credo che tutte queste signorine Bell2 stieno volentieri qui, e non mi meraviglierei se un giorno si mettessero a cantare insieme. Ma non si debbono ammirare tutte ugualmente. Bisogna serbare le lodi più pure e più ferventi per questa.
E, battendo col dito una campana scura e nuda, che rese un suono flebile:
– Questa – disse – è una santa campagnuola del quinto secolo. È una figlia spirituale di San Paolino da Nola, che per primo fece cantare il cielo sulle nostre teste. È d'un metallo raro, che si è chiamato bronzo di Campania. Presto vi mostrerò vicino ad essa una fiorentina tutta gentile, la regina delle campane. Sta per arrivare. Ma io v'annoio, darling, con queste fanfaluche; e annoio pure la buona signora Marmet. Non sta bene.
Un'ora dopo, la signora Martin, riposata, fresca, in veste da camera, di seta e di pizzo, scese sulla terrazza dove l'attendeva Miss Bell. L'aria umida, intiepidita da un sole ancor debole e già generoso, era piena dell'inquieta dolcezza di primavera. Teresa, affacciata alla balaustrata, tuffava lo sguardo nella luce. Ai suoi piedi, i cipressi inalzavano i loro pennacchi neri e gli olivi tremolavano su per le chine. In fondo alla valle, Firenze distendeva le sue cupole, le sue torri e la moltitudine dei suoi tetti rossi, attraverso la quale l'Arno lasciava appena indovinare la sua linea ondulata. In lontananza, spiccavano le colline azzurrognole.
Ella cercava di riconoscere i giardini di Boboli, in cui era stata in un primo viaggio, le Cascine che non le piacevano troppo, il palazzo Pitti, Santa Maria del Fiore. Poi l'infinito delizioso del cielo l'attrasse: seguì nelle nuvole le forme che svaniscono.
Dopo un lungo silenzio, Viviana Bell stese la mano verso l'orizzonte.
– Darling, non posso dire, non so dire. Ma guardate, darling, guardate ancora. Quello che vedete è uno spettacolo unico al mondo, In nessuna parte la natura è così sottile, elegante e fine. Il dio che fece le colline di Firenze era un artista. Oh! egli era, gioielliere, incisore di medaglie, scultore, fonditore in bronzo e pittore; era un Fiorentino. Non ha fatto, che questo, al mondo, darling! Il resto è d'una mano meno delicata, d'un lavoro meno perfetto. Come volete che quella collina violetta di San Miniato, d'un rilievo così fermo e puro, sia dell'autore del Monte Bianco? Non è possibile. Questo paesaggio, darling, ha la bellezza d'una medaglia antica e d'una pittura preziosa. È una perfetta e misurata opera d'arte. Ed ecco un'altra cosa che non so dire, che non so comprendere, e che è vera. In questo paese, mi sento – e voi vi sentirete come me, darling – metà viva e metà morta; in uno stato nobilissimo, tristissimo e dolcissimo. Guardate, guardate bene; scoprirete la malinconia di queste colline che circondano Firenze, e vedrete una tristezza deliziosa salire dalla Terra dei morti.
Il sole scendeva all'orizzonte. Le punte delle cime si spegnevano una dopo l'altra, mentre le nuvole s'infiammavano nel cielo.
Miss Bell fece portare degli scialli, e avvertì le Francesi che le serate erano fresche e traditrici.
E ad un tratto:
– Darling – chiese – conoscete Giacomo Dechartre? Ebbene, m'ha scritto che sarà a Firenze la settimana prossima. Sono contenta che il signor Dechartre s'incontri con voi nella nostra città. Ci accompagnerà nelle chiese e nei musei, e sarà una buona guida. Egli comprende le cose belle perchè le ama. Ha uno squisito talento di scultore. Le sue figure e i suoi medaglioni sono ancor più ammirati in Inghilterra che in Francia. Oh, sono così contenta che il signor Giacomo Dechartre s'incontri a Firenze con voi, darling!