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Teresa, lasciando Dechartre, andò a colazione colla sua amica e colla signora Marmet presso una vecchissima signora fiorentina che Vittorio Emanuele aveva amato quand'era Duca di Savoia. Da trent'anni, essa non era uscita nemmeno una volta dal suo palazzo sull'Arno, dove, imbellettata e tinta, con una parrucca violetta, suonava la chitarra nelle grandi sale bianche. Essa riceveva la società elegante di Firenze, e Miss Bell andava spesso a vederla. A tavola, questa reclusa di ottantasette anni, interrogò la contessa Martin sulla società elegante di Parigi, di cui seguiva il movimento nei giornali e nelle conversazioni, con una frivolezza che diventava augusta per la sua durata. Solitaria, conservava il rispetto ed il culto per il piacere.
All'uscire dal palazzo, per fuggire il vento che soffiava sul fiume, l'aspro libeccio, Miss Bell condusse le sue amiche per le vecchie vie strette, dalle case di pietra scura, che bruscamente s'aprono sull'orizzonte, in cui, nella purezza dell'aria, ride una collina, con tre alberi gracili. Camminavano, e Viviana mostrava alla sua amica, sulle facciate sordide da cui pendevano degli stracci rossi, qualche gioiello di marmo, una Vergine, un giglio, una Santa Caterina in una nicchia a conchiglia. Andarono per quelle stradette dell'antica città, fino alla chiesa d'Or San Michele, in cui Dechartre doveva ritrovarle. Teresa pensava a lui, adesso, con un'attenzione interessata e minuziosa. La signora Marmet pensava a cercare una veletta; le avevano fatto sperare di trovarne una sul Corso. Quest'affare le ricordò una distrazione del signor Lagrange che, un giorno, nelle sue lezioni pubbliche, sulla cattedra, levò dalla tasca una veletta a pisellini d'oro e si asciugò la fronte, credendo di servirsi del suo fazzoletto. Gli uditori erano sorpresi, e mormoravano. Era la veletta che gli aveva dato, la vigilia, sua nipote, la signorina Giovanna Michot, che aveva accompagnato al concerto. E la signora Marmet spiegò come, trovandola nella tasca del suo soprabito, l'avesse presa, pensando di restituirla a sua nipote; e come, per distrazione, l'avesse spiegata e agitata sopra gli ascoltatori che sorridevano.
Al nome di Lagrange, Teresa si ricordò la stella fiammeggiante annunziata dallo scienziato, e si disse con una tristezza ironica che sarebbe il momento che venisse a distruggere il mondo, per levarla d'imbarazzo. Ma, al disopra dei muri preziosi della vecchia chiesa, vide il cielo, che, spazzato, dal vento di mare, luceva d'un azzurro pallido e crudele. Miss Bell gli mostrò una di quelle statue di bronzo che, nelle loro nicchie cesellate, ornano la facciata della chiesa.
– Guardate, darling, come questo San Giorgio è giovane e fiero. San Giorgio era in altri tempi il cavaliere di cui sognavano le fanciulle.
E voi sapete che Giulietta, vedendo Romeo esclamò: «Davvero, è un bel San Giorgio!»
Ma darling gli trovava un'aria corretta, annoiata, testarda. In quel momento si ricordò ad un tratto della lettera rimasta nella sua borsetta.
– Mi par di vedere il signor Dechartre – disse la buona signora Marmet.
Egli le aveva cercate in chiesa, davanti al tabernacolo dell'Orcagna. Avrebbe dovuto ricordarsi l'irresistibile attrattiva che San Giorgio esercitava su Miss Bell. Anch'egli ammirava quella figura famosa; ma preferiva San Marco, rustico e fiero, che si poteva vedere nella sua nicchia, a sinistra, verso quel vicolo su cui passa un massiccio arco a vôlta, appoggiato alla vecchia casa dei Cardatori di lana.
Avvicinandosi alla statua ch'egli designava, Teresa scoprì una cassetta per le lettere contro il muro della stretta strada in faccia al Santo. Dechartre; intanto, essendosi messo nel punto conveniente per vedere il suo buon San Marco, parlava di lui con eloquente amicizia.
– È a lui che faccio la mia prima visita, appena arrivato a Firenze. Ho mancato una sola volta. Egli me lo perdonerà: è un uomo eccellente. Non è troppo apprezzato dalla folla e non attira l'attenzione. Quanto a me, amo la sua compagnia. Sembra vivente. Comprendo come, dopo avergli dato un'anima, Donatello abbia esclamato: «Marco, perchè non parli?»
La signora Marmet, stanca d'ammirare San Marco e sentendo in viso l'asprezza del libeccio, trascinò Miss Bell verso Via Calzaiuoli, alla ricerca d'una veletta.
Si allontanarono tutt'e due, lasciando Darling e Dechartre alla loro ammirazione. Si sarebbero ritrovati nel negozio di mode.
– Io lo amavo – continuò lo scultore – io lo amavo, questo San Marco, perchè ci sentivo, meglio ancora che nel San Giorgio, la mano e l'anima di Donatello, che fu per tutta la sua vita un povero e buon operaio. Oggi l'amo ancora di più, perchè mi ricorda, nel suo candore venerabile e commovente, quel vecchio ciabattino di Santa Maria Novella al quale parlavate così gentilmente stamattina.
– Ah! disse lei – non mi ricordo più il suo nome. Col signor Choulette, lo chiamiamo Quintino Matsys, perchè somiglia ai vecchi di questo pittore.
Voltando l'angolo della chiesa per veder la facciata che guarda la vecchia casa dei Cardatori di lana, recante sotto la sua tettoia di tegoli rossi l'agnello araldico, Teresa si trovò davanti alla cassetta delle lettere, così polverosa e arrugginita, da sembrare che il portalettere non vi si avvicinasse mai. Vi gettò la sua lettera, sotto lo sguardo ingenuo di San Marco.
Dechartre la vide, e sentì come un colpo sordo picchiato sul suo petto. Tentò di parlare, di sorridere, ma la mano inguantata che impostava la lettera gli restava davanti agli occhi. Si ricordava d'aver visto, al mattino, delle lettere di Teresa sul vassoio nell'anticamera.
Perchè non aveva messo questa insieme alle altre? La ragione non era difficile a indovinarsi.
Egli restava immobile, pensoso; guardava senza vedere. Cercava di rassicurarsi: forse era una lettera insignificante, che aveva voluto nascondere alla molesta curiosità della signora Marmet.
– Signor Dechartre, sarebbe ora di raggiungere le nostre amiche dalla modista del Corso.
Forse aveva scritto alla signora Schmoll, che era adirata colla signora Marmet. E subito si accorgeva come queste supposizioni fossero infondate.
Era ben chiaro: essa aveva un amante, e gli scriveva. Fors'anche gli diceva: «Oggi ho visto Dechartre: il pover'uomo è innamorato di me». Ma, qualunque cosa scrivesse, aveva un amante. Egli non ci aveva ancora pensato. Nel saperla di un altro, bruscamente, provava una sofferenza di tutta la carne e di tutta l'anima. E quella mano, quella piccola mano che aveva fatto scivolare la lettera, gli restava impressa negli occhi e lo bruciava atrocemente.
Ella non sapeva perchè fosse diventato, ad un tratto, muto e cupo. Fu nel vederlo gettare uno sguardo ansioso sulla cassetta delle lettere, che lo indovinò. Le parve bizzarro che, fosse geloso senza averne il diritto; ma non se ne adirò.
Giunti sul Corso, videro da lontano Miss Bell e la signora Marmet che uscivano dal negozio di mode.
Dechartre disse a Teresa, con voce imperiosa e supplichevole:
– Devo parlarvi. Bisogna che domani vi veda da sola. Trovatevi, la sera alle sei, in Lungarno Acciaiuoli.
Ella non rispose.