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Quando, nel suo mantello grigio, Teresa giunse al Lungarno Acciaiuoli, verso le sei e mezzo, Dechartre l'accolse con uno sguardo umile e radioso da cui fu commossa. Il sole tramontava, imporporando le acque gonfie dell'Arno. Rimasero un momento silenziosi. Mentre, seguendo la linea monotona dei palazzi, andavano verso il Ponte Vecchio, essa gli parlò per la prima.
– Vedete, sono venuta. Ho creduto di dover venire. Non mi sento innocente di quel ch'è successo. Lo so bene: ho fatto quanto occorreva perchè foste con me quello che siete adesso. Il mio contegno v'ha dato dei pensieri che non avreste avuto.
Egli sembrava che non comprendesse. Teresa riprese:
– Ero egoista, ero imprudente. Mi piacevate; provavo della simpatia per il vostro spirito, non potevo più stare senza di voi. Ho fatto quel che ho potuto per attirarvi, per trattenervi. Sono stata civetta... Non lo ero freddamente, nè con perfidia; ma lo ero.
Egli scosse la testa, negando d'essersene accorto.
– Sì! sono stata civetta. Eppure non è mia abitudine. Ma con voi lo sono stata. Non dico che abbiate tentato di approfittarne, come del resto avevate il diritto di fare, nè che n'abbiate provato della vanità. Non ho notato che foste leggero. Può darsi che non ve ne siate accorto: gli uomini superiori mancano qualche volta di sottigliezza. Ma so bene che non sono stata quel che avrei dovuto essere. E ve ne chiedo scusa: ecco perchè sono venuta. Restiamo buoni amici, finchè siamo ancora in tempo.
Egli le disse, con accorata dolcezza, che l'amava. Le prime ore di quest'amore erano state facili e deliziose: egli non voleva altro che vederla e rivederla ancora. Ma ben presto lo aveva turbato, tratto fuori di sè, straziato. Il male era esploso improvviso e violento, un giorno, sulla terrazza di Fiesole. E adesso, egli non aveva più il coraggio di soffrire e di tacere. Gridava verso di lei. Non era venuto con un proposito deliberato. Se aveva confessato la sua passione, era stato per forza e suo malgrado, per un bisogno inesorabile di parlare di lei a lei stessa, perchè essa era per lui il solo essere che esistesse al mondo. La sua vita non era più in lui: era in lei. Doveva dunque saperlo, che l'amava, e non già con molle e vaga tenerezza, ma con ardore aspro e crudele. Ahimè! egli aveva l'immaginazione esatta e precisa. Sapeva, vedeva sempre quel che voleva, ed era una tortura.
Eppoi, gli sembrava che, uniti uno all'altra, proverebbero quelle gioie per cui la vita è degna d'esser vissuta. La loro esistenza sarebbe un'opera d'arte bella e nascosta. Penserebbero, comprenderebbero, sentirebbero insieme. Sarebbe un mondo meraviglioso di emozioni e d'idee.
– Noi faremmo della vita un giardino delizioso.
Ella finse di credere all'innocenza di quel sogno:
– Sapete bene che sono sensibile al fascino del vostro spirito. Mi sono fatta un bisogno di vedervi e di ascoltarvi: ve l'ho lasciato vedere anche troppo. Contate sulla mia amicizia, e non tormentatevi più.
Gli stese la mano. Egli non la prese, e rispose bruscamente:
– Io non voglio la vostra amicizia; non la voglio. Bisogna che io vi abbia tutta intera, oppure che non vi veda mai più. Lo sapete bene. Perchè mi stendete la mano con delle parole irrisorie? Che l'abbiate voluto o no, m'avete dato di voi un desiderio disperato, un gusto mortale. Siete diventata il mio male, la mia sofferenza, la mia tortura. E mi chiedete d'essere un piacevole amico! È adesso che siete civetta e crudele. Se non potete amarmi, lasciatemi partire; andrò non so dove, per dimenticarvi, per odiarvi. Perchè sento per voi un fondo di odio e di collera. Oh! vi amo, vi amo!
Ella credette a quello che diceva, temette che se ne andasse; ebbe paura della tristezza e della noia di vivere senza di lui. Disse:
– Vi ho trovato, nella vita. Non voglio perdervi; non lo voglio.
Timido e violento, egli balbettava; le parole gli si soffocavano in gola. Il crepuscolo scendeva dalle montagne lontane, e gli ultimi riflessi del sole impallidivano ad oriente sulla collina di San Miniato. Ella disse ancora:
– Se conosceste la mia vita, se aveste visto quanto era vuota prima di voi, sapreste quello che siete per me, e non pensereste più ad abbandonarmi.
Ma, col suono tranquillo della sua voce e il movimento uguale dei suoi passi, ella lo irritava. Le gridò quel che soffriva, il desiderio ardente che aveva di lei, la tortura dell'idea fissa; come sempre, in ogni ora. La conosceva adesso, la malattia divina.
– La grazia del vostro pensiero, il vostro coraggio elegante, la vostra fierezza spirituale, le respiro come i profumi della vostra carne. Mi sembra, quando mi parlate, che la vostra anima aleggi sulle vostre labbra, e muoio dal desiderio di non potervi appoggiare la bocca. La vostra anima non è per me che l'odore della vostra bellezza. Avevo conservato gl'istinti degli uomini primitivi; voi li avete risvegliati. E sento che v'amo con una semplicità selvaggia.
Essa lo guardò dolcemente e non rispose nulla. In quel momento, videro, nella notte ch'era discesa, venire verso di loro delle luci e dei canti lugubri. Poi, come fantasmi cacciati dal vento, apparvero dei penitenti neri. Il crocifisso veniva davanti a loro. Erano i Fratelli della Misericordia, che, sotto il cappuccio, tenendo delle torce, e cantando salmi, portavano un morto al camposanto. Secondo il costume italiano, il corteo andava di notte, con passo rapido. Le croci, la bara, gli stendardi, oscillavano sul Lungarno deserto. Giacomo e Teresa si accostarono contro il muro per lasciar passare quella sfilata funebre; i preti, i chierici, gli uomini senza volto e, galoppante con loro, la Morte importuna, che non si saluta su questa terra voluttuosa.
La valanga nera era passata. Le donne piangevano, correndo dietro quella bara portata da fantasmi calzati da grosse scarpe ferrate.
– A che ci sarà servito, tormentarci tanto su questa terra?
Egli sembrò non intenderla, e riprese con voce calmata:
– Amavo la vita. Ci trovavo delle curiosità, dei sogni. Gustavo le forme e lo spirito delle forme, le apparenze che carezzano e che lusingano. Avevo la gioia di vedere e di sognare; godevo di tutto e non dipendevo da niente. I miei desideri, abbondanti e leggeri, mi guidavano senza fatica. M'interessavo a tutto e non volevo niente: soltanto la volontà ci fa soffrire. Oggi lo so. Non avevo una volontà ferma. Ero felice senza saperlo. Oh! era ben poca cosa; era soltanto quel che occorre per vivere. Adesso, non l'ho più. I miei piaceri, l'interesse che provavo per le immagini della vita e dell'arte, il diletto vivo di creare colle mie mani una figura sognata: tutto m'avete fatto perdere, e non m'avete nemmeno lasciato il rimpianto. Non saprei più che farmene, della mia libertà, della mia tranquillità passate: mi sembra che prima di voi non vivessi. E, adesso che mi sento vivere, non posso più vivere nè lontano da voi, nè vicino a voi. Sono più miserabile di quei mendicanti che abbiamo visti sulla strada d'Etna. Essi avevano almeno dell'aria da respirare. Ed io, io, non posso respirare che voi, che non ho. Eppure, sono contento di avervi incontrata, perchè questo solo conta nella mia esistenza. Poco fa, credevo di odiarvi: m'ingannavo. Vi adoro e vi benedico per il male che mi avete fatto. Amo tutto quello che mi viene da voi.
Si avvicinavano agli alberi oscuri, che sorgono all'entrata del ponte di San Niccolò. Dall'altro lato del fiume, i terreni vaghi distendevano la loro tristezza ingrandita dalla notte. Vedendolo calmo e pieno di un dolce languore, ella credette che il suo amore, tutto immaginazione, si sfogasse in parole, e che i suoi desideri sfumassero in fantasticherie. Non s'aspettava una rassegnazione così pronta: era quasi delusa di sfuggire al pericolo che aveva temuto.
Gli tese la mano, stavolta più arditamente di prima.
– Via, siamo amici. È tardi. Torniamo, e accompagnatemi fino alla mia vettura, che ho lasciato in Piazza della Signoria. Sarò per voi quello che ero: un'eccellente amica. Non sono in collera con voi.
Ma egli la trascinò dalla parte della campagna, nella solitudine crescente della riva.
– No, non vi lascio partire senza avervi detto quel che volevo dirvi. Ma io non so più parlare, non trovo le parole. Vi amo, vi voglio! Voglio sapere che siete mia. Vi giuro che non passerò più un'altra notte nell'orrore del dubbio.
Egli l'afferrò, la strinse fra le braccia; e, col viso sul viso, spiando la luce del suo sguardo attraverso l'oscurità del velo:
– Bisogna che mi amiate. Lo voglio, e siete voi stessa che l'avete voluto. Dite che siete mia: ditemelo!
Essendosi svincolata con dolcezza, ella rispose con voce debole:
– Non posso; non posso. Vedete bene che agisco sinceramente con voi. Ve lo dicevo poco fa, che non sono in collera. Ma non posso fare quello che volete.
E, col pensiero all'assente che l'attendeva, ripetè:
– Non posso.
Chino sopra di lei, egli interrogava ansiosamente quegli occhi, le cui due stelle tremolavano e si velavano.
– Perchè? Voi mi amate, lo sento, lo vedo. Mi amate. Perchè farmi questo torto di non essere mia?
L'attirò contro il suo petto, volendo mettere la sua bocca e la sua anima su quelle labbra velate. Stavolta, ella si svincolò con una volontà agile, e disse:
– Non posso. Non mi domandate di più: non posso essere vostra!
Egli ebbe un tremito nelle labbra, una convulsione di tutto il viso. Le gridò:
– Voi avete un amante e lo amate. Perchè vi burlate di me?
– Vi giuro che non ho nessuna intenzione di burlarmi di voi, e che se amassi qualcuno al mondo, sareste voi.
Ma egli non l'ascoltava più.
– Lasciatemi! lasciatemi!
Fuggiva verso la campagna nera. L'Arno, ora disteso sulla riva, formava nelle terre grasse delle lagune in cui la luna, mezzo velata, specchiava il suo incerto chiarore. Egli andava, tra le chiazze d'acqua e di fango, con un passo rapido, cieco, pauroso.
Ella ebbe paura e gettò un grido. Lo chiamò. Ma egli non voltò il capo e non rispose. Fuggiva con, una tranquillità spaventosa. Ella corse dietro di lui. Coi piedi che inciampavano nei sassi, la gonnella inzuppata d'acqua, lo raggiunse, lo tirò vivamente a sè:
– Che cosa volevate fare?
Allora, guardandola, egli vide nei suoi occhi la paura che aveva avuto, e disse:
– Non temete. Andavo senza vedere. Vi assicuro che non cercavo di morire. Oh! state tranquilla: sono disperato, ma calmissimo. Vi fuggivo. Vi chiedo perdono. Ma non potevo più, no; non potevo più vedervi. Lasciatemi, ve ne supplico. Addio!
Ella rispose, turbata e vinta:
– Venite! Faremo quel che potremo.
Egli restava cupo, senza parlare.
– Andiamo, venite!
Gli prese il braccio. La dolcezza viva di quella mano lo rianimò. Disse:
– Volete davvero?
– Non voglio perdervi.
– Mi promettete?...
– È necessario.
E, nella sua inquietudine e nella sua angoscia, ella sorrise appena, pensando che colla sua follia egli era riuscito così presto.
Le disse:
– Domani!
Ed ella, vivamente, in un istinto di difesa:
– Ah! no; domani no!
– Voi non mi amate; vi pentite d'avermi promesso.
– No, non mi pento, ma...
Egli la implorava, la supplicava. Teresa lo guardò un momento, voltò la testa, esitò, e disse con un filo di voce:
– Sabato.