Anatole France
Il giglio rosso

XXI.

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               XXI.

Vestita di grigio scuro, Teresa camminava con passo lieve sotto i citisi in fiore. I cespi di corbézzoli, coprivano di stelle argentate l'orlo a scarpata della terrazza e, sul declivio dei poggi, gli allori irradiavano il loro fiammante profumo. La coppa di Firenze era tutta fiorita.

Viviana Bell andava, tutta bianca, nel giardino denso d'effluvî.

Vedete, darling: Firenze è proprio la città dei fiori, e con ragione porta il giglio rosso per emblema. Oggi è festa, darling.

– Ah! è festa, oggi?...

Darling, voi non sapete che siamo al primo di maggio, a Primavera? Non vi siete svegliata, stamattina, in un dolce incantesimo? Oh! darling, non celebrate voi la festa dei Fiori? Non vi sentite allegra, voi che amate tanto i fiori? Perchè li amate, my love, lo so; avete una tenerezza per loro. M'avete detto che essi provavano della gioia e del dolore, che soffrivano come noi.

– Ah! ho detto che soffrivano come noi?

– Ma sì, lo avete detto. Oggi è la loro festa. Bisogna celebrarla secondo il costume degli avi, coi riti consacrati dagli antichi pittori. Teresa ascoltava senza comprendere. Stringeva nervosamente colla mano inguantata la lettera che aveva ricevuto, una lettera col francobollo italiano e che conteneva soltanto due righe:

«Sono sceso stanotte all'Albergo Gran Bretagna, Lungarno Acciaiuoli. V'aspetto in mattinata. N. 18.»

– Oh! darling, non sapete che a Firenze c'è l'uso di festeggiare la primavera al primo maggio d'ogni anno? Ma allora, non comprendevate affatto quel che significa il quadro del Botticelli consacrato alla festa del fiore, quella Primavera deliziosa e d'una gioia sognante. Un tempo, «darling», in questo primo giorno di maggio, tutta la città era in gran giubilo. Le fanciulle, vestite degli abiti di festa e coronate di biancospino, andavano in lungo corteo per il Corso, sotto degli archi di fiori, e formavano dei cori sull'erba novella, all'ombra degli allori. Faremo come loro: balleremo nel giardino.

– Ah! balleremo nel giardino?

– Sì, «darling», e v'insegnerò dei passi toscani del secolo decimoquinto, che sono stati ritrovati in un manoscritto dal signor Morisson, decano dei bibliotecari di Londra. Tornate presto, my love; ci metteremo dei cappelli di fiori e balleremo.

– Sì, cara, balleremo.

E, spingendo il cancello, rapidamente il sentiero che, scosceso come il letto d'un torrente, nascondeva le sue pietre sotto dei cespi di rose.

Si gettò nella prima vettura che potè trovare. Il cocchiere aveva dei fiordalisi al cappello e al manico della frusta.

Albergo Gran Bretagna, Lungarno Acciaiuoli!

Ella sapeva dov'era, il Lungarno Acciaiuoli... C'era stata di sera, e rivedeva l'oro screziato del sole sulla distesa agitata del fiume. Poi era venuta la notte, il mormorio sordo delle acque nel silenzio, le parole, gli sguardi che l'avevano turbata, il primo bacio dell'amico, il principio dell'irreparabile amore. Oh! sì, si ricordava Lungarno Acciaiuoli e la riva del fiume di dal Ponte Vecchio... Albergo Gran Bretagna... Lo conosceva: una grande facciata di pietra sulla riva. Era ancora una fortuna, poichè doveva venire, che fosse alloggiato . Avrebbe potuto scendere all'Hôtel de la Ville, in piazza Manin, dov'era Dechartre. Era ancora una fortuna che non fossero porta a porta, nello stesso corridoio... Lungarno Acciaiuoli! Quel morto che avevano visto passare di corsa, portato da uomini incappati, era tranquillo, in qualche parte, in un piccolo cimitero fiorito...

Numero 18.

Era una camera nuda d'albergo, colla sua stufa, secondo l'uso italiano. Sulla tavola, un servizio di spazzole e un orario ferroviario. Non un libro, non un giornale. Egli era : Teresa vide una grande sofferenza sul suo viso ossuto, una fisonomia febbrile. Ne provò un'impressione grave e penosa. Egli attese una parola, un gesto; ma essa rimaneva straniera, non osando nulla. Le offrì una sedia, ma Teresa la scostò e rimase in piedi.

Teresa, c'è qualcosa che io non so. Parlate.

Dopo un momento di silenzio, ella rispose con una lentezza penosa:

– Mio Dio, quand'ero a Parigi, perchè siete partito?

Alla tristezza dell'accento, egli credette, volle indovinare un affettuoso rimprovero. Il suo viso riprese un po' di colore. Rispose con slancio:

– Ah! se l'avessi previsto! Quella partita di caccia, in fondo, potete capire che m'importava ben poco... Ma voi, la vostra lettera, quella del 27 (aveva una memoria speciale per le date), m'ha gettato in una inquietudine orribile. Era successo qualcosa in quel momento: ditemi tutto.

Amico mio, credevo che non mi amaste più.

– Ma adesso che sapete il contrario?

Adesso...

Restò colle braccia cadenti e le mani giunte.

Poi, con una tranquillità simulata:

– Mio Dio! Noi ci siamo presi, amico mio, senza saperlo. Non si sa mai. Voi siete giovane, più giovane di me, poichè abbiamo quasi la stessa età. Voi avete, senza dubbio, dei progetti per l'avvenire.

Egli la guardò fieramente in faccia. Teresa continuò, meno rassicurata:

– I vostri parenti, vostra madre, le vostre zie, vostro zio generale, ne hanno per voi, dei progetti. È più che naturale. Io avrei potuto diventare un ostacolo... È meglio che io sparisca dalla vostra vita. Conserveremo un buon ricordo uno dell'altro.

Gli tese la mano inguantata. Egli incrociò le braccia:

– Allora, non ne vuoi più sapere di me? Tu credi di poter avermi reso felice come nessuno al mondo, e poi messo da parte, e che tutto sia finito così! Proprio, credi che sia finita con me?... Che cosa venite a dirmi! Una relazione, si può sciogliere. Ci si prende, ci si lascia... Ebbene, no! voi non siete una persona che si lascia, voi!

– Sì, voi forse avete messo in me qualcosa di più di quello che non vi si metta in simili casi. Io ero per voi più di un passatempo. Ma, se io non sono la donna che credevate, se vi ho ingannato, se sono leggera... Voi sapete: l'hanno detto... Ebbene! se non sono stata con voi quello che dovevo essere...

Esitò, e riprese con un tono grave e puro che contrastava colle sue parole:

– Se, mentre vi appartenevo, ho avuto degli impulsi, delle curiosità, se vi dico che non sono fatta per un sentimento serio...

Egli l'interruppe:

– Tu menti!

– Sì, mento. E non mento bene. Volevo sciupare il nostro passato: avevo torto. Esso è quello che sapete. Ma...

– Ma?...

– Ah! ecco! ve l'ho sempre detto: io non sono una donna sicura di . Vi sono delle donne, a quanto si dice, che possono rispondere di se stesse. Io v'ho avvertito che non ero come loro, e che non rispondevo di me.

Egli tentennò la testa a destra e a sinistra, come una bestia irritata e che esita ancora a balzare.

– Che cosa vuoi dire? Non capisco. Non capisco niente. Parla chiaramente... chiaramente, intendi? C'è qualcosa fra noi. Non so che cosa. Voglio saperlo. Che cosa c'è?

– Ve lo dico, amico mio, c'è che io non sono una donna sicura di , e che voi non dovete contare sopra di me. No! non dovete. Io non avevo promesso niente... Eppoi, se avessi promesso, che cosa sono le parole?

– Tu non m'ami più. Oh! tu non mi ami più, lo vedo bene. Ma tanto peggio per te! Io t'amo, io. Non bisognava darsi: ora non sperare di riprenderti. Io t'amo e ti tengo... Davvero, credevi di cavartela così tranquillamente? Ascoltami un poco.. Tu hai fatto tutto il possibile perchè ti amassi, perchè mi attaccassi a te, perchè non potessi vivere senza di te. Abbiamo provato insieme dei piaceri indicibili. E tu non rifiutavi la tua parte. Oh! io non ti prendevo per forza. Tu lo volevi bene. Non sono ancora sei settimane, che tu non domandavi di meglio. Tu eri tutto per me: io ero tutto per te. C'erano dei momenti in cui non sapevamo più se io ero te, o se tu eri me; e poi tu vuoi che ad un tratto io non sappia più, io non ti conosca più, che tu sia per me una straniera, una signora che s'incontra in società... Ah! hai una bella faccia, tu! Vediamo un po': ho, forse sognato? I tuoi baci, il tuo alito sul mio collo, i tuoi gridi, non son dunque veri? Tutto questo lo invento, dimmi un po'? Oh! non c'è dubbio: tu mi amavi. Lo sento ancora sopra di me, il tuo amore. Ebbene: io non sono cambiato! Sono quello che ero. Tu non hai niente da rimproverarmi. Io non t'ho ingannato con altre donne. Non me ne faccio un merito: non avrei potuto. Quando ti si è conosciuta, si trova anche nelle più belle un gusto insipido. Non ho mai avuto l'idea d'ingannarti: mi sono sempre comportato verso di te come un galantuomo. Perchè non mi ameresti più? Ma rispondimi, parla dunque. Dimmi che m'ami ancora: dimmelo, perchè è vero. Vieni, vieni! Teresa, sentirai subito che m'ami come mi amavi per il passato, nel piccolo nido di Via Spontini, dove siamo stati così felici. Vieni!

Si gettò sopra di lei, ardente, colle braccia avide. Ella, cogli occhi pieni di sgomento, lo respinse con un orrore glaciale.

Egli comprese, si fermò e disse:

– Tu hai un amante!

Ella abbassò lentamente la testa; poi la rialzò, grave e muta.

Allora egli la percosse sul petto, sulla spalla, sul viso. E subito, indietreggiò dalla vergogna. Abbassava gli occhi e taceva. Colle dita alle labbra, rodendosi le unghie, si accorse che la sua mano s'era lacerata contro una spilla del corsetto e sanguinava. Si gettò su una poltrona, levò il suo fazzoletto per asciugare il sangue, e restò come indifferente e senza pensiero.

Ella, addossata alla porta, a testa diritta, pallida, collo sguardo vago, staccava la sua veletta lacerata e raddrizzava il suo cappello con una cura istintiva. Al piccolo, rumore, un tempo delizioso, che facevano intorno a lei le stoffe fruscianti, egli trasalì, la guardò e tornò furioso.

– Che cosa c'è? Voglio saperlo.

Teresa non si mosse. Il suo viso bianco recava il segno, ardente del pugno che l'aveva colpita. Rispose, con una fermezza dolce:

– Vi ho detto tutto quello che potevo dirvi. Non mi domandate più niente: sarebbe inutile.

Roberto la guardò con uno sguardo crudele ch'ella non gli aveva mai visto.

– Oh! non mi dite il suo nome. Non avrò difficoltà a trovarlo.

Ella taceva, attristata per lui, inquieta per l'altro, piena d'angoscia e di paura; eppure senza rimpianti, senza amarezza, senza afflizione, avendo l'anima altrove.

Egli ebbe come un vago sentimento di quel che passava in lei. Nella sua collera di vederla così dolce e serena, di trovarla bella come mai, e bella per un altro, ebbe voglia di ucciderla, e le gridò:

Vattene! vattene

Poi, affranto da questo impeto d'odio che non era nel suo naturale, si prese la testa fra le mani e si mise a singhiozzare.

Quel dolore la commosse, le rese la speranza di calmarlo, di raddolcire l'addio. Si illuse di poterlo consolare. Amichevole e fidente, venne a sedersi vicino a lui.

Amico mio, rimproveratemi pure. Sono degna di rimprovero, e più ancora di pietà. Disprezzatemi, se volete, e se si può disprezzare una disgraziata creatura che è in balìa della vita. Insomma, giudicatemi come vorrete. Ma conservatemi un po' d'amicizia nella vostra collera, un ricordo aspro e dolce, come quei tempi d'autunno, in cui c'è del sole e del vento. È quello che merito. Non siate duro verso la visitatrice piacevole e frivola che passò attraverso la vostra esistenza. Salutatemi come una viaggiatrice che se ne va non si sa dove, e che è triste. Voi eravate in collera contro di me, poco fa. Oh! non ve ne faccio una colpa soltanto ne soffro. Conservatemi un poco di simpatia. Chissà? L'avvenire è sempre ignoto. Esso è ben vago, ben oscuro davanti a me. Che io possa dire a me stessa d'essere stata buona, semplice, franca con voi, e che voi non l'avete dimenticato. Col tempo, comprenderete, perdonerete Abbiate fin da questo momento un po' di pietà.

Egli non l'ascoltava, placato soltanto dalla carezza di quella voce, il cui suono fluiva limpido e chiaro. Disse, con uno scatto:

– Voi non lo amate. Amate me. E allora?...

Ella esitò, balbettò:

– Ah! dire quello che si ama o che non si ama, non è una cosa facile per una donna, almeno per me. Perchè io non so come facciano le altre. Ma la vita non è clemente. Si è lanciate, spinte, sballottate...

Egli la guardò, calmissimo. Gli era venuta un'idea: aveva preso una risoluzione. Era semplice: egli perdonava, dimenticava, a patto che essa tornasse subito sua.

Teresa, non lo amate, vero? È stato un errore, un momento d'oblio, una cosa orribile e stupida che avete fatto, per debolezza, per sorpresa, forse per dispetto. Giuratemi che non lo rivedrete più.

Le prese il braccio.

Giuratelo

Ella taceva, coi denti stretti, il viso cupo; Roberto le torse il polso. Ella gridò:

– Mi fate male!

Tuttavia egli seguiva il suo disegno. La trascinò fino alla tavola, sulla quale si trovavano, vicino ad un servizio di spazzole, una boccetta d'inchiostro ed alcuni fogli di carta da lettere con una grande vignetta azzurra che rappresentava la facciata dell'albergo, dalle innumerevoli finestre.

Scrivete quello che vi detterò. Farò recapitare la lettera.

E, poichè Teresa resisteva, la fece cadere in ginocchio. Fiera e tranquilla, ella disse:

– Non posso; non voglio.

Perchè?

Perchè.... Volete saperlo?... Perchè lo amo.

Bruscamente, le lasciò il braccio. Se avesse avuto la sua rivoltella a portata di mano, forse l'avrebbe uccisa. Ma, quasi subito, il suo furore s'era velato di tristezza; e adesso, disperato, era lui che avrebbe voluto morire.

– È vero, quello che dite? È dunque possibile? È proprio vero?

– Lo so, forse? Che posso dire? Forse che ancora lo comprendo? Ho forse ancora un'idea, un sentimento, un barlume preciso? Forse che...

Con un po' di sforzo aggiunse:

– Forse che, in questo momento, posso pensare ad altro che alla mia tristezza e alla vostra disperazione?

– Tu l'ami! tu l'ami! Che cos'ha, com'è, perchè voi lo amiate?

Era sbigottito dalla sorpresa, in un abisso di stupore. Ma ciò ch'ella aveva detto, li aveva ormai separati per sempre. Non osava più trattarla brutalmente, afferrarla, colpirla, spezzarla come la cosa sua, malvagia e restìa, ma pure sua. Ripeteva:

– Lo amate! lo amate! Ma che cosa v'ha detto, che cosa v'ha fatto, perchè lo amiate? Vi conosco: non sempre v'ho detto che le vostre idee mi urtavano. Scommetto che non è nemmeno un uomo di società. E voi credete che egli vi ami? Lo credete proprio? Ebbene! v'ingannate: non vi ama. È lusingato, semplicemente. Vi pianterà alla prima occasione. Quando vi avrà compromessa, vi manderà a spasso. E voi scivolerete nelle avventure galanti. L'anno prossimo, diranno di voi: «Se la dice con tutti.» Questo mi dispiace per vostro padre, che è amico mio, e che verrà a sapere la vostra condotta, perchè non potete sperare d'ingannarlo, lui.

Ella ascoltava, umiliata ma consolata, pensando a quel che avrebbe sofferto se l'avesse trovato generoso.

Nella sua semplicità, egli la disprezzava sinceramente. Questo disprezzo lo confortava: se n'empiva la bocca.

– Com'è andata la cosa? A me, potete ben dirlo.

Teresa crollò le spalle con tanta compassione, ch'egli non usò continuare nello stesso tono. Tornò pieno d'odio.

Credete forse che io v'aiuterò a salvar le apparenze, che tornerò a trovarvi, che continuerò a frequentare la vostra casa, che reggerò il lume?

Penso che farete quello che un galantuomo deve fare. Non vi domando niente. Avrei voluto conservare di voi il ricordo di un eccellente amico: credevo che sareste indulgente e buono verso di me. Non è possibile. Vedo che non ci si lascia mai bene. Più tardi, più tardi mi giudicherete meglio. Addio!

Egli la guardò. Il suo viso esprimeva adesso più dolore che collera. Teresa non gli aveva mai visto quegli occhi arsi e cerchiati, quelle tempie aride sotto i radi capelli. Sembrava che fosse invecchiato in un'ora.

– È meglio che vi avverta. Sarà impossibile che vi riveda. Voi non siete una donna che si possa incontrare in società, quando si è posseduta e non si ha più. Ve l'ho detto voi non siete come le altre. Voi avete un veleno vostro particolare, che m'avete inoculato, e che sento in me, nelle mie vene, dappertutto. Perchè v'ho conosciuta?

Teresa lo guardò con bontà.

Addio! e dite a voi stesso che non valgo dei rimpianti così amari.

Allora, quando vide ch'ella posava la mano sulla chiave della porta, quando sentì, a quel gesto, che stava per perderla, che non l'avrebbe mai più, gettò un grido e si slanciò. Non si ricordava più di niente. Gli restava soltanto lo stordimento d'una grande sventura compiuta, d'un lutto irreparabile. E dal fondo del suo stupore, un desiderio saliva. Voleva riprenderla una volta ancora, colei che se ne andava e che non tornerebbe più. La tirò a . La voleva semplicemente, con tutta la forza della sua volontà animale. Teresa gli resistè con tutta la sua volontà presente, libera e vigilante. Si svincolò da lui, scomposta, stracciata, lacerata, senza aver nemmeno provato paura.

Egli comprese che tutto sarebbe stato inutile; ritrovò il corso dimenticato delle cose, pensò ch'ella non era più sua, perchè apparteneva ad un altro. Tornata la sofferenza, la investì d'ingiurie, e la cacciò fuori.

Teresa restò un momento nel corridoio, attendendo per fierezza una parola, uno sguardo degno d'esser posto a suggello del loro amore passato.

Ma egli gridò ancora: «Vattene!», e chiuse violentemente la porta.

In Via Alfieri, Teresa rivide il padiglione in fondo al cortile in cui cresceva l'erba pallida. Lo trovò tranquillo e muto, fedele, colle sue capre e le sue ninfe, agli amanti del tempo della granduchessa Elisa. Si sentì subito sfuggita al mondo doloroso e brutale, e trasportata in epoche in cui non aveva provato la tristezza di vivere. Ai piedi della scala, i cui gradini erano cosparsi di rose, Dechartre l'attendeva. Ella si gettò fra le sue braccia e vi s'abbandonò. Egli la portò inerte, come la spoglia preziosa di colei davanti alla quale aveva impallidito e tremato. Teresa gustava, colle palpebre semichiuse, l'umiliazione superba d'essere una bella preda. La sua stanchezza, la sua tristezza, i disgusti della giornata, il ricordo della violenza, la libertà riconquistata, il bisogno di dimenticare, un resto di paura; tutto avvivava, irritava la sua tenerezza. Rovesciata sul letto, cinse le braccia intorno al collo del suo amico.

Quando tornarono in , ebbero gaiezze infantili. Ridevano, dicevano delle inezie, giuocavano, mordevano dei limoni, degli aranci, delle angurie accumulate vicino a loro su dei piatti dipinti. Avendo tenuto soltanto la fine camicia rosa, che, scivolando di fianco sulla spalla, scopriva un seno e velava l'altro, la cui punta rossa traspariva appena, ella godeva dell'offerta della sua carne. Le sue labbra si schiudevano sul candore dei suoi denti umidi. Chiedeva, con una inquietudine civettuola, se egli non era deluso dopo il sogno sapiente che aveva fatto di lei.

Nei chiarori carezzevoli del giorno ch'egli aveva attenuato, la contemplava con una gioia giovanile: le prodigava delle lodi e dei baci.

Si obliavano in delicate carezze, in battibecchi amichevoli, in sguardi felici. Poi, tornati subitamente gravi, gli occhi infoscati, le labbra serrate, in preda a quella collera sacra che fa somigliare l'amore all'odio, si riprendevano, si fondevano insieme e cercavano l'abisso.

Ed ella riapriva i suoi occhi annebbiati e sorrideva, la testa sul guanciale, i capelli disciolti, con una dolcezza da convalescente.

Egli le domandò da dove le proveniva quel piccolo segno rosso sulla tempia. Rispose che non lo sapeva più e che era cosa da niente. Mentiva appena e a cuore aperto: veramente, non lo sapeva più.

Si ricordavano la loro bella e breve storia, che datava dal giorno in cui s'erano incontrati.

– Ti ricordi, sulla terrazza, il giorno dopo il tuo arrivo? Mi dicevi delle parole vaghe e senza senso: io ho indovinato che mi amavi.

– Avevo paura di sembrarti uno sciocco.

– Lo sembravi un poco; era il mio trionfo. Cominciava ad impazientarmi di vederti così poco turbato vicino a me. Ti ho amato prima che tu mi amassi. Oh! non ne arrossisco, affatto.

Egli le versò fra le labbra una goccia di moscato spumante. Ma c'era sul tavolino una bottiglia di vino del Trasimeno. Ella volle assaggiarlo, in ricordo di quel lago che aveva visto desolato e bello, nella sua coppa slabbrata d'opale. Era stato durante il suo primo viaggio in Italia, sei anni addietro.

La rimproverò d'avere scoperto senza lui la bellezza delle cose. Teresa disse:

– Senza di te, non sapevo vedere niente. Perchè non sei venuto prima?

Le chiuse la bocca con un forte bacio. E quand'ella tornò in , affranta dal piacere, colla carne felice e stanca, gli gridò

– Sì, t'amo! Sì, non ho amato mai altri che te!

              


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