Cesare Cantù
Gli eretici d'Italia

AI LETTORI SERJ.

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AI LETTORI SERJ.

 

Ne' lavori storici, che formarono l'occupazione, la compiacenza e lo strazio della lunga mia carriera letteraria, sempre una gran parte ho assegnato alle religioni, persuaso non possa acquistarsi intero concetto dei tempi e degli uomini quando non si conosca ciò che essi credeano, temeano, speravano intorno alle cose superne. Principalmente nella Storia degli Italiani accurai le vicende del cattolicesimo, che sempre nel nostro paese ebbe trono e capo; e particolarmente il momento in cui esso venne straziato dalla Riforma.

Gli storici nostri, preoccupati della politica, vi trasvolarono; e accennato ch'ebbero l'appalto delle indulgenze, le diatribe di Lutero, la scomunica di Leone X, il concilio di Trento, poc'altro si brigarono di un fatto, che pure agitava la società fin nelle viscere. La vulgare abitudine di dire una cosa perchè fu detta, fa ripetere tuttodì quel di Voltaire, che l'italiano, popolo ingegnoso, occupato d'intrighi e di piaceri, nessuna parte prese alle sovversioni di quel tempo.

All'opposto gli scrittori ecclesiastici, col tono querulo e desolato che sembra in essi rituale, esagerano l'estensione del danno; e intenti solo a difendere la Chiesa stabilita, negli eretici non riconoscono che anime perdute, da esecrare piuttosto che da esaminare; e col non supporvi buona fede, scusabile errore, giustificano i rigori usati contro di essi, come contro malvagi e ribelli.

Nobili caratteri, limpide intelligenze, passionate persuasioni che disputano per arrivare al possesso delle verità eterne; intere generazioni moventisi sotto l'impero d'una legge morale, qual è il bisogno di riformare le credenze e gli atti, parvero a me spettacolo solenne; forse infruttuoso a tempi affogati negli interessi materiali. Anzi, più lo contemplavo, più vi trovava somiglianze alla situazione odierna.

Fattasi anche nel Cinquecento una subitanea effusione di cognizioni, gli uomini si videro aperti nuovi orizzonti, e demolirono il diritto antico senza riuscire a edificarne un nuovo. Anche allora le fazioni calunniarsi a vicenda ne' costumi, nella fede, nell'intelligenza; palleggiarsi que' titoli, che sono tanto più irreparabili quanto più generici e mal definiti; sotto frasi simpatiche mascherare calcoli egoistici; a parole inani arrogare l'autorità di fatti, e a formole il valor di ragioni; anche allora gridarsi libertà di coscienza, come oggi libertà politica, senza volerla lealmente, e fin senza intenderla; anche allora sostituire la smania di repentine innovazioni al progressivo emendamento delle consuetudini, le opinioni al diritto, la violenza alla persuasione.

Qualche cosa più che spettatori d'una crisi consimile, siamo in grado di meglio valutare quella d'allora, le accuse e i processi, le glorie e le infamie sparnazzate a capriccio o a capopiede; e così da un nuovo punto osservare la storia dell'Italia, e insieme la storia del pensiero indipendente. Che se in questi anni si pubblicarono tante ricerche sulla Riforma ne' diversi paesi, l'essere scritte da soli acattolici potrebbe lasciar indurre che questo tema giovi soltanto alle negazioni eterodosse1.

Ben l'odierno orgoglio che ci fa negare tutto ciò che non comprendiamo, e crederci disobbligati dal faticare a comprenderlo; la repugnanza da ogni autorità e più dalla jeratica; il predestinato applauso ad ogni sovvertimento; l'applauso domandato dallo scandalo e dall'echeggiare la folla; il predominio dell'opinione sopra la coscienza; il disaccordo in tutto fuorchè nell'abbattere la fede che non s'ha, nell'impugnar dottrine che non si conoscono o male, fan presentire l'antipatia contro la parte che in Italia prevalse; antipatia che si propagherà sul narratore.

Poi una società che, idolatra di se stessa, si persuade che il suo progresso consiste nel rinnegare e vilipendere il suo passato, giudicherà non solo inopportuno, ma insensato il tornare alla teodicea de' padri nostri, anticaglia da museo; e in un passato compassionevole rivangar discussioni dimenticate.

Dimenticate! ma non è questa una lotta delle idee, come tutte quelle grandiose che si mantellano sotto i nomi di Grecia e Persia, metropoli e colonie, re e repubblica, papato e impero? Dimenticate! ma come dirlo or che con tanta sollecitudine e spese si fomenta l'apostolato di dottrine avverse alla cattolica? come dirlo or che si odono tutt'i giorni agitare, ne' caffè come ne' parlamenti, punti supremi della fede e dell'organamento della Chiesa, e l'efficacia di questa sopra la convivenza sociale? Non è guari, un attacco contro il maggior ente che vestisse l'umanità risvegliò le timorate non men che le temerarie coscienze, e Gesù divenne quistione del giorno.

Vero è che di tutto ciò prendeasi ben maggiore pensiero quando gli intelletti si occupavano principalmente di Dio, dell'anima, della destinazione dell'uomo: riconosceano la santità non solo, ma la bellezza della redenzione, del pentimento, dell'amore; in tal senso dirigevansi e le azioni e le astinenze, sorgevano le sètte, incalorivansi i partiti; e tutti gli studj, come tutte le meditazioni s'aggiravano sulle massime eterne, misteriose quanto la coscienza.

Quell'età è tramontata, ma anche gli odierni, indifferenti alla analisi delle anime, non possono negare che nell'uomo il bisogno di credere sia forte quanto quello di ragionare. Poi, si può egli trattare nulla di grande senza chiarire e assodare i principj? Che cos'è il diritto? in qual connessione stanno gli individui fra loro e colla società? dove termina il campo della ragione e comincia quello della fede? qual parte deve farsi all'autonomia individuale, quale all'autorità? come venimmo e per qual fine al mondo? come dobbiamo condurci od essere condotti, se quest'ordine è voluto da un essere superiore?

Tali quistioni si tengono per mano; e il problema religioso siede al fondo di tutti i problemi contemporanei, dove men pare; e si realizza nell'ordine de' fatti in maniera, che la macchia originale è la legittimazione de' governi, e i supplizj e gli eserciti sono autorati dai reprobi istinti; la volontà libera, o la fatalità e la predestinazione sono i poli fra cui oscilla eternamente la filosofia non meno che la teologia.

Quando il sofista eloquente fantasticò uno stato di natura, diverso e opposto al sociale, e disse «L'uomo è nato buono, e la società lo pervertisce», sovvertendo l'ordine teologico sovvertì l'ordine politico, e produsse la rivoluzione.

E più il fiotto di questa s'ingrossa, più flagella gli argini dell'autorità: ma il sentimento rivela confusamente, l'intelligenza chiarisce, l'esperienza intìma che occorrono o la fede o la forza; attenuare le credenze è attenuare l'uomo, e sostituire all'imperio delle coscienze il despotismo dei decreti, e con comminatorie, e carceri, e soldati, e prestiti, e impiegati costringere a subire bestemmiando quel che prima portavasi con spontaneità o rassegnazione.

Per verità, adesso, mentre la vita de' popoli si trasforma con tal fatica, da non lasciar tempo al pensiero, l'uomo si storna dalle idee elevate per strisciare fra le palpabili e giornaliere; e insaziabile di esaltazione e di godimenti, invanito dei progressi materiali, vilipende istituzioni che non si traducono in moneta o in piaceri. Per conseguenza all'eresia che dissente e nega, sottentrò quella che ignora e non distingue. Chi più oggi ha qualche esperienza della vita spirituale? chi disputa se sieno le opere o la fede che salva, e se Cristo nel sacramento si trova sostanzialmente o simbolicamente? Il dogma si considera non come essenza della religione, ma come spiegazione, chiesta dal raziocinio avido di essere chiarito su ciò che ognun sente, ponendo però sempre superiore alle credenze l'indipendenza dell'intelletto individuale. Sin pei buoni la fede è men tosto una qualità interna soprannaturale, che la regola esterna della vita; pur tacendo coloro che non solo eliminano dall'ordine naturale il soprasensibile, ma ne niegano la possibilità.

Quante, anche fra le persone colte, possedono appena nozioni generiche, mal accertate, oscure, irreverenti sopra le divergenze dottrinali fra Cattolici e Protestanti! In parte n'è causa l'appartener noi a nazione che, prima degli odierni sbrani, era tutta cattolica, e perciò scevra dalle controversie; ma neppur quelli che l'hanno per dovere, coltivano abbastanza questi studj, sia la scienza delle fonti letterali (filologia biblica, critica, ermeneutica), sia quella de' principj (apologetica, dogmatica, catechesi, pedagogia, liturgia, arte, diritto, morale), sia quella dei fatti (archeologia, storia) o de' simboli.

E perchè i frivoli ne ciarlano tuttodì con sfacciataggine pari all'ignoranza, i sapienti, non trovandosi a fronte antagonisti serj, sdegnano venir con loro alle braccia, e con ciò lasciano a quelli, se non l'onore, il vanto del trionfo. Di tal passo arrivasi a reputar merito l'indifferenza, cioè non solo il diritto reciproco di pensare ciò che si vuole, ma il ripudio d'ogni indagine severa, la beffa d'ogni convinzione profonda. Eppure la sorgente dei sentimenti cristiani sono i dogmi.

Si vuol incolpare i controversisti di sollevare più dubbj che non ne dissipino.

Per verità, a chi non concepì mai, o mai non intese objezioni contro la religione di sua madre, qualunque libro che gliene affacci diviene pericoloso, qualunque confutazione lascia un'impressione pericolosa; laonde molti vorrebbero che il debito del Cristiano si limitasse a credere e venerare. Fortunato chi n'ha il dono! Ma dietro a Tertulliano il quale diceva, che «la verità non arrossisce che del non essere conosciuta», tutti i Padri tennero che la religione non ha a temere la leale investigazione, bensì l'ignoranza e l'errore, e i maggiori santi francamente rivelarono le opposizioni. Queste provocano spiegazioni e in conseguenza luce. Che se è buono che i più credano ingenuamente perchè bevvero coi primi insegnamenti la venerazione a ciò che la Chiesa ingiunge, a molti corre obbligo di mostrare che ne esplorarono i fondamenti con quell'ossequio ragionevole che l'Apostolo raccomandava, associando scienza e discussione, esame e obbedienza.

Noi non crediamo v'abbia reale consorzio civile dove si opina solo, invece di credere; e il vilipendio delle idee religiose è sintomo spaventoso per l'avvenire morale d'un paese; giacchè, obliterato il senso dell'ideale, non restano che l'empirismo, e la cura di soddisfazioni inferiori, precarie, servili. Or dove l'idea religiosa illanguidì, il discuterla in pubblico al par degli affari comuni, la ravviva; dove poi si declama in contrario, mal si temerebbe che riescano di scandalo le verità dette da fedeli. Or dunque, che crescono i contatti coi dissidenti, importa di non trovarsi sprovveduti sulle differenze dogmatiche, credere che basti disprezzare l'attacco e maledire l'assalitore: vuolsi conoscere e propugnare le grandi verità quando l'insipienza le ingombra, la malizia le nega, la passione le stravolge.

In tempi d'altre tirannie, quando non aveano valore sul mercato le voci di libertà, patria, nazionalità, noi ci ostinammo a ripeterle finchè divennero moda, e, com'è delle mode, se ne alterò, e fin capovolse il senso. Così ora ci ricorreranno le parole di coscienza, fede, avvenire, salute, giustificazione: che importa se le disappresero fin quelli che più dovrebbero conoscerle e insegnarle?

Ma anche la verità ha le sue sètte, ed esse portano a quell'esagerazione, dalla quale dovrebbero più rifuggire le cause che hanno coscienza della propria forza. Quindi ci si rinfaccia che agli ecclesiastici devono essere riservate disquisizioni, ovimpossibile a laici mantenersi in quell'esattezza, alla quale falliscono fin i maestri in divinità, convenire ai figli d'Abinadab stendere la mano a sorreggere l'arca barcollante.

Quando tanti secolari si fanno lecito di berteggiare i dogmi e i riti, e dar consigli ai depositarj di essi, perchè sarebbe men conveniente a laici l'assumerne la difesa? Tanto più imparziali essi appajono quanto che niuna speranza terrena li lega al potere che sostengono, niuno speciale carattere prefissa educazione gli obbliga o li trae a professare sgradite verità e ad affrontare l'impopolarità; sono stretti da quello spirito di corpo che i corpi ruina, perchè, colla paura di screditarli, ne scusa o maschera le aberrazioni, e non ne scevera gli elementi corrotti.

Quando il senatore Flaminio Cornaro mandò a Benedetto XIV la sua Storia delle chiese venete, il papa ringraziandolo, non solo lo esortava a continuare le dotte ricerche, ma desiderava che altri laici vi s'applicassero, come in vecchi tempi ne han dato esempio san Giustino, Atenagora, Arnobio, Didimo, Latanzio, Prospero d'Aquitania, Severino Boezio, Cassiodoro, Evagrio, e ne' recenti il Fiorentini, il Buonarroti, il Sigonio, il Masini, lo Zani, il Cappello, il procuratore Giustinian, Diodo, Morosini, Loredano, Laura, Quirini, Secondini, Maffei ed altri molti2.

Dicasi pure che questa è una scusa che noi predisponiamo agli sbagli e alle inesattezze nostre. E in quante incapperemo! Ma sempre cercammo esporre con precisione la verità, quale è definita dalla Chiesa, alle cui decisioni noi ci sommettiamo senza riserva, protestando che i nostri dubbj non sono che interrogazioni rispettose, e pronti a ritrattare qualunque errore o temerità, autorevolmente avvisataci.

Di essere ascetici ne rinasceva l'occasione ogni tratto, ma non ci esporremmo alle risa d'una società che calcola e non sente? tesseremo lavoro apologetico ed encomiastico, ma procederemo colla sincerità che ci è consueta. L'istituzione ecclesiastica è mescolata, e più era un tempo, alle cose terrene, in modo, chè ne contrasse l'inquinazione; di mezzi mondani dovette valersi per assicurare la propria indipendenza; fu diretta e preseduta da uomini, ai quali Cristo promise l'infallibilità nelle decisioni, non l'impeccabilità negli atti. E come, se impeccabili non furono gli angeli in cielo, il primo uomo in paradiso, Pietro al fianco di Gesù?

Poco disposti a dissimularne i traviamenti, quanto lontani dall'esagerarli, noi sappiamo che ai papi è dovuto l'omaggio dell'intera verità: e se molte volte leniremo colla spiegazione ciò che è moda esacerbare col sarcasmo, siamo primi a deplorare gli abusi che diedero occasione o vigore alle separazioni.

Credemmo obbligo nostro conoscere le capitali controversie odierne sull'origine del cristianesimo e la pretesa formazione dei libri canonici e dei dogmi; e oltre la Vita di Gesù di Strauss e di Renan, e gli Evangeli di Eichthal, non abbiamo trascurato la Storia dei tre primi secoli della Chiesa di E. de Pressensé; la Storia del Cristo di Ewald; gli Studj storici e critici sull'origine del cristianesimo di A. Stop; la Storia elementare e critica di Peyrat; abbiamo seguitato gli studj esegetici della scuola di Tubinga, i Saggi degli inglesi seguaci di Colenso, e le tante disquisizioni di Jowel sulle Epistole di san Paolo; di Milman sul Cristianesimo latino; di Witt sugli accordi fra la dottrina cristiana e la scuola di Alessandria; di Baur sul Cristianesimo e la Chiesa cristiana;..... ma ricondotto il cristianesimo in faccia alla storia, alla ragione, alla coscienza, interpretato con libertà di spirito, non trovammo ragioni per iscostarci dalla tradizione cattolica. Anzi lo studio ci convinse che l'attuazione ecclesiastica n'è eccellente, sia pel necessario contemperamento della sovranità de' pochi colla soggezione delle moltitudini, sia per procurare la maggior possibile felicità, quella cioè in cui le volontà non alla coazione, ma s'adagino alla morale persuasiva; e che il principato sacerdotale, com'è il più antico, così è il più venerabile e generoso potere, la chiave della vòlta dell'edifizio sociale, la salvaguardia della libertà nelle nazioni civili, perocchè alle sovversioni oppone l'unica forza capace di resistervi, la coscienza.

La religione non tocca solo la parte sentimentale, ma abbraccia tutto l'uomo, anzi tutta la società, e ne sono riflesso i costumi e la legislazione, la vita domestica e la politica; insomma è l'espressione più profonda della coscienza dell'umanità in un dato periodo. Ecco perchè ogni religione è storia, e la nostra è delle più importanti alla umanità, può comprendersi bene in un secolo se non rimontando al precedente. Perciò dovemmo rifarci alla cuna del cristianesimo, non per riconoscervi il principio divino della civiltà moderna, la garantigia del diritto comune, la base delle nuove legislazioni, il legame sociale de' popoli, la norma delle coscienze, ma solo per vedervi assodarsi e svolgersi le verità tradizionali, e germogliare gli errori, che poi ingrandirono nel XII secolo e nel XVI, sul quale di preferenza vi indugeremo.

Dovendo parlare di persone e fatti già da noi esposti anche più d'una volta, non ci si farà colpa d'usare talvolta le stesse parole; il diverso scopo di questo lavoro n'ha però cambiata l'economia, e se altrove prediligemmo le vedute sintetiche e comprensive, qui saremo spesso biografi e aneddotici.

Rifuggendo dalla fraseologia di moda, che annichila la realità e confonde le immagini, e mette anche nel libro il tono superficiale ed evasivo del giornale, noi c'industrieremo di ritrarre gli uomini colle passioni, colle virtù, coi vizj loro, angeli demonj. All'urbanità che devonsi creature decadute e fallibili non mancheremo mai, sebbene non la speriamo da coloro che dall'infanzia abituaronsi a non vedere la verità che traverso ad occhiali comprati, e intitolare pregiudizio ciò che urta i pregiudizj loro.

E fra questi pregiudizj è l'apporre a chi tratta materie religiose, le taccie d'ignoranza, d'illiberalità, d'intolleranza. La prima ben ci sta, e fu appunto per minorarla che faticammo tanti anni a raccoglier fatti e notizie, parte nuovi, parte dispersi in libri di difficile accesso; e invocammo i consigli di quelli, pochissimi in Italia, che prestano sussidio e consigli a chi studia.

Se amiamo la libertà, lo dicano i nostri libri e la nostra vita, e il non averla rinnegata neppure negli schifosi trionfi di coloro, che la trascinarono al postribolo e al palco da ciarlatano.

D'intolleranza non fummo imputati mai, neppure dai nemici, bensì del contrario; e l'affliggente spettacolo di ecclesiastici che portarono fino a classificare l'odio teologico, ci renderà attenti a serbar la dignità nostra rispettando quella degli avversarj, che la Chiesa c'insegna a considerare come fratelli in Cristo, e ci speranza di vederli qui in terra raccolti in un solo ovile, poi in cielo a contemplar con noi la luce nella luce, e conoscere tutte le verità nel centro loro, che è Colui che solo inganna, s'inganna.

 

Rovato, ottobre 1865.

 

 

 





1    Delle opere recentemente pubblicate intorno ai riformati italiani conosciamo le seguenti:

 

            Th. Mac Cree, Storia della riforma in Italia, suoi progressi e sua estinzione. Edimburgo 1827. Caloroso protestante scozzese, dice che «gli scrittori cattolici s'accordarono a dissimulare un soggetto penoso quanto delicato, o a mostrar que' movimenti come deboli e passeggeri, e di pochi sedotti da amor di novità». Può considerarsene continuazione fin ai giorni nostri Leopold Witte,  Das Evangelium in Italien. Lipsia 1861. Molto se ne occupa anche D'Aubigné nella Histoire de la Reformation, fanaticamente e troppe cose ignorando; egli distingue i principj della riforma da quelli del protestantismo, che però ravvisa come conseguenza immediata.

            Kerker, Die kirchliche Reform in Italien unmittelbar vor dem Tridentinum; nella Theologische Quartalschrift di Tubinga, anno XLI, 1859.

                M. Young, The life and times of Aonio Paleario, or a history of the italian reformers in the XVI century; illustrated by original letters and unedited documents. London 1860. Due grossi volumi.

                F. C. Schlosser, Leben des Peter Martyr Vermili. Heidelberg 1809.

                Edv. Bridge, vicario di Manaccan nella Cornovaglia; A voice from the tomb of P. Martyr against popery, 1840.

                Dr. C. Schmidt, prof. di teologia a Strasburgo, Peter Martyr Vermigli Leben und ausgewählte Schriften. Elberfeld 1858.

            C. H. Sixt, P. P. Vergerius päpstlicher Nuntius; eine Reformation geschichtliche Monografie, u. s. w. Brunswich 1856.

            Ferdinand Meyer, Die evangelische Gemeinde in Locarno; ihre Auswanderung nach Zürich, und ihre weitern Schicksale, 2 vol. Zurigo 1836.

            Eynard, La reforme à Lucques et les Burlamaki.

            Gibbing, Trial and martyrdom of Carnesecchi. Dublin 1856. Ebbe il processo originale in 70 fogli dal collegio della Trinità in Dublino, che l'ultimo duca di Manchester aveva acquistato a Parigi, dove, nell'occupazione di Napoleone I, moltissime cose furono portate da Roma concernenti l'inquisizione. Promette pubblicar anche il processo di frà Fulgenzio Manfredi, del tempo di Paolo Sarpi.

            G. Heyne, Ueber die Verbreitung der Reformation in Neapel, con notizie tratte dall'archivio di Simanca. È nella Zeitschrift für Geschichtswissenschaft del 1847, vol. viii, p. 545.

            Robert Turnbull, The times, life and writings of O. Morata. Boston 1846.

            Jules Bonnet, Vie d'Olympia Morata; 3a edit. Paris 1856.

            See, Some memorials of Renée of France. Londra 1859.

            C. Schmidt, Celio Secondo Curione, nella Zeitschrift für die historische Theologie di C. W. Riedner, 1860: dove altre cose relative all'Italia.

            C. T. Kind, Die Reformation in den Bisthümern Chur und Como, dargestellt nach den besten ältern und neuen Hülfsmitteln. Coira 1858.

            A questo può riferirsi un articolo di J. Andr. von Sprecher negli «Archivj per la storia della Svizzera», Päpstliche Instruction neu betreffend Veltlin aus der Zeit p. Gregors XV. Zurigo 1858.

            Napoleon Peyrat, Les Réformateurs de la France et de l'Italie, au XII siècle. Parigi 1860; a cui possono aggiungersi, per la connessione colle cose nostre.

            Eugène Haage, La France protestante.

            C. J. Tissot, L'Eglise libre du canton de Vaud.

            De Castro, Hist. de los protestantes españoles y de su persecucion por Felipe II. Cadice 1851.

            Trechsel, Die protestantischen Antitrinitarier vor Faustus Socin. Heidelberg 1839, 2 vol.

                Inoltre molte cose pubblicate nei Fox's Acts and Monuments (1838); nel Taschenbuch di Stauber (Basilea 1851 e seg.); nella Révue Chrétienne di Giulio Bonnet, e in Hugo Laemmer, Monumenta vaticana historiam ecclesiasticam sæculi XVI illustrantia. Friburgo di Brisgovia 1861.



2   Breve Acceptissimum munus del 22 dicembre 1753.



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