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DISCORSO I
FONDAZIONE E STABILIMENTO DELLA CHIESA.
L'uomo era stato creato di retta intelligenza, e favorito di superne comunicazioni, ma libero e però capace di errare3. In fatto, mutando la coscienza del somigliar a Dio colla pretensione d'esser identico ad esso, peccò di superbia e disobbedienza; e il reato di quella colpa, trasmesso per generazione dal primo stipite a tutta la sua discendenza, quasi al modo che ne' rami e ne' frutti della pianta trapassa il guasto della radice, costituisce il più profondo mistero, non accettando il quale si moltiplicherebbero altri misteri. Ottenebrata allora la verità che l'uomo avea ricevuta coll'immediata intuizione di Dio e col linguaggio; venuti in disaccordo l'intelletto, la volontà e la potenza, la stirpe umana decadde dall'altezza in cui era stata costituita, e perdette la piena conoscenza del vero e la pratica del bene. Pure a queste non cessò d'esser destinato; ma, per ristabilire il rotto accordo, non basta la ragione, e richiedesi la coscienza, appoggiata sulla fede, la quale è data solo dalla rivelazione. Tale rivelazione era conservata da un popolo eletto, per tradizione orale e in libri santi. In questi promettevasi un redentore o mediatore, che ripristinerebbe la comunicazione tra l'eterna giustizia e la creatura peccatrice. Chi poteva far ciò altri che un Dio?
Giunta la pienezza de' tempi, vaticinata dai profeti, figurata in tanti fatti e tanti simboli, deposti in libri conservati da coloro che lo avrebbero più risolutamente osteggiato, Cristo figliuol di Dio nasceva da una vergine, in paese colto e ricco, a due ore dalla città più famosa d'Oriente4, nell'età più splendida di Roma, l'età dell'oro della letteratura. Così dal Dio esistente in se medesimo e nascosto passavasi al Dio conoscibile, manifestato e conversante fra gli uomini; all'Emanuele, cioè Iddio fra noi. Il dogma dell'incarnazione costituendo l'unità personale della natura divina e dell'umana nell'uomo-dio, additava come fine dell'uomo l'unione divina; passo essenziale dell'umanità sulla strada che la riconduce a Dio.
Egli era luce nelle tenebre, e le tenebre non lo compresero; venne fra' suoi, e i suoi non l'accolsero; gl'ipocriti e gl'intriganti lo perseguitarono; mossero l'ira consueta dei depravati contro chi vuol rigenerarli, e come riottoso e seduttore fattolo denunziare dalla pubblica opinione, cioè dagli schiamazzatori di piazza, trionfarono del vederlo messo legalmente a morte obbrobriosa, dalla quale resuscitò più vigoroso.
Venuto a riordinar la scienza e l'amore, l'intelligenza e l'opera, che il peccato avea sconnesse, recava la redenzione, e in conseguenza la legislazione religiosa. Tutto era insegnato a tutti, e il mistero non era una parte della credenza, arcana al volgo e riservata ai sapienti, ma imponevasi egualmente a ognuno, perchè trascende l'umana ragione, sia colta o ineducata5.
Cristo conferì a' suoi ministri la facoltà di sciogliere e legare i peccati tra l'effusione della grazia, e lo stupendo privilegio d'immolar il Figlio al Padre, vittima incessante per le colpe, sotto le specie del pane e del vino, sotto le quali si acchiude l'incarnata divinità (se immagine umana può adombrare il mistero) come l'idea nella parola. Il qual sacramento, assunto da' fedeli in commemorazione di lui, esprimesse la debolezza degli uomini, e comunicasse la forza che viene da Dio.
Nulla scrisse egli, e il Cristo storico non ci è noto che per tradizione, avendone raccolto le parole e gli atti alcuni di coloro che l'udirono, e postane in iscritto parte, professando che molt'altro ne tacevano.
Acciocchè la verità non tornasse più ad offuscarsi, Cristo fissava una fiaccola viva e indefettibile, la Chiesa; la quale, avvivata dallo Spirito Santo che sempre la inabita, come l'anima il corpo vivo, e serbando intemerato il deposito delle verità rivelate, adempie perennemente nel mondo una doppia missione.
La prima, di trasmettere infallibilmente, in coloro che rigenera di mano in mano colle parole e co' sacramenti, la vital verità e quel medesimo spirito di cui ella vive, presso a poco siccome la madre nel figliuolo tramanda la sua stessa vita e natura umana, e l'allatta della sua sostanza, e l'istruisce col linguaggio comune della società6: e come niuno può darsi da se medesimo l'essere e la natura d'uomo, ma deve riceverla dalla natura, e riceverla tal quale gli è data, prima d'ogni suo giudizio, essendo assurdo che il bambino volesse giudicare il latte della madre, e più ancora il germe da cui lo genera, così l'essere e natura di cristiano fa duopo ricevere dalla Madre Chiesa senza previo giudizio. Che se, per mantenere inalterata la schiatta umana, Iddio ordinò leggi impreteribili alla natura, per tramandare inalterata la vita cristiana alle ultime generazioni deve aver fatta infallibile la Chiesa. Sotto questo primo aspetto si deve essa considerare qual madre di tutti i viventi, con autorità che non grava o lega le coscienze, bensì le forma e le genera, come la madre non è di aggravio al bambino, nè la radice esercita violenza sui rami. Uno è il capo, da cui prende vita tutto il corpo; una la radice che germina tutta la pianta; una la madre di prole sì numerosa: dal suo seno nasciamo, del suo latte siamo nodriti, del suo spirito animati7, per modo che tutti i Cristiani son germogli della radice apostolica e della Chiesa8.
L'altra missione della Chiesa è di tenere nell'unità, coloro che dall'arbitrio individuale sarebbero indotti alla varietà e al fallo. In ciò la Chiesa fa sentire la sua potestà, costituita sopra le coscienze; potestà, alla quale spetta di risolvere ogni dubbio, determinare le credenze, non avendo altre arme se non la persuasione, la grazia invocata e la infallibilità promessa da Colui che prega in cielo affinchè la fede di Pietro non venga meno.
Così il vangelo, promulgato per testimonio divino, doveva esser conservato e tramandato per testimonio indefettibile. Senza una tale istituzione infallibile non si dà conservazione certa della verità rivelata, nè quindi dogma fisso, o alcun dovere determinato, o possibilità della vita cristiana. La Chiesa è la sintesi della incarnazione, e svolgesi nell'esercizio d'una religione, i cui elementi sono, per parte di Dio, la rivelazione; per parte dell'uomo, la fede.
Ascolta e guarda: ascolta la voce ch'è in te; guarda la bocca che ti risponde. Non è necessario che tutti conoscano le dimostrazioni e le confutazioni, cioè che abbiano ponderato la storia: basta guardino il presente, i caratteri della Chiesa attuale, per esser certi del suo passato e del suo avvenire, della sua storia e della sua destinazione. E perciò Cristo disse alla sua Chiesa: «Chi ascolta voi ascolta me9 perchè io sono con voi10, e chi resiste alla voce vostra resiste alla mia»11. Cristo è così chiaramente colla Chiesa, che ella dee considerarsi come una prova della rivelazione; e per lo splendore de' suoi caratteri è il primo de' motivi di credibilità.
Ad ogni uomo di buona fede si può domandare: «Voi conoscete che tutti han sete della felicità e della vita, orrore della morte: voi volete vivere, felice, sempre: in fondo al cuor vostro c'è l'invincibile inclinazione alla vita futura. Ma che cos'è questa vita futura? che possono dirvene gli altri uomini? Lo sguardo dell'anima non vi penetra, l'esperienza non ce ne dice nulla; intorno a Dio, alle cose invisibili l'uomo non vuol ascoltare che Dio. In fatto di religione, la ragione domanda la fede divina. E perciò la fede è un fatto generale quanto la ragione: l'umanità credette sempre che Dio non l'ha gettata sulla terra senza istruirla del suo fine e della legge con cui raggiungerlo. Questa testimonianza divina la ragione umana non la cerca in una voce morta, in un libro finito; non chiede un oggetto di studio, ma un maestro, un'autorità viva e parlante. Or dove sta quest'autorità divina insegnante? autorità distinta dalle umane, improntata del suggello divino? Non può variare, questa non può insegnare ora il sì ora il no. Deve dunque esser una, perpetua, universale, infallibile: tal la vuole la coscienza umana; a tali caratteri la riconosce, appena le si mostri. E la coscienza e la storia ci attestano che un'autorità divina è manifestamente necessaria all'uomo e al mondo.»
Or la ricerca de' testi, il paragone de' sistemi non sono possibili alla generalità: eppure l'uomo ha bisogno di tal certezza. Fuori del cattolicismo, nessuna Chiesa pretende all'infallibilità nè all'universalità.
Quei che raccomandano la Bibbia, la sola Bibbia, suppongono l'infallibilità di tutti; il che è un evidente assurdo: i Protestanti stessi nol credono: tant'è vero, che predicano. Per la missione che il cristianesimo aveva di rintegrare l'unità religiosa e morale nel mondo, bisognava l'autorità, mentre la ragione individuale è fonte e materia eterna di scissura. Se al primo momento avesse potuto ognuno interpretare a sua voglia le Scritture, e applicare i precetti evangelici, ognuno avrebbe avuto un sistema proprio; non potea proferire «Questo è l'errore», nè come san Paolo dire «Un solo Cristo, un solo battesimo, una sola fede». Sin dall'origine sant'Ignazio raccomanda: «Siate soggetti all'autorità stabilita da Cristo. Rimanete uniti a Dio, a Gesù Cristo, ai vescovi, ai precetti degli apostoli»12. E san Clemente ai Corintj: «Cristo è venuto a stabilir la comunione de' cuori come degli spiriti: in conseguenza bisogna l'unità. Ma l'unità, l'ordine, l'armonia richiedono una sommessione assoluta alle leggi divine: e senza umiltà non v'è sommessione. Il pontefice (vescovo) ha incarichi particolari, particolari il prete, il levita; il laico è tenuto solo ai precetti di laico»13.
La Chiesa ha uno scopo soprannaturale, e però il potere di essa dovea provenire dall'alto; e la forma di reggimento meglio appropriata doveva essere la monarchica14. Da principio essa fu tale necessariamente nella persona di Cristo. Morto, non potendo più sensibilmente esercitarla, dovea sostituire chi ne facesse visibilmente le veci. Disse dunque a Pietro, «Sopra te edificherò la mia Chiesa»; e agli Apostoli, «Andate e predicate a tutto il mondo». Così Pietro pronunzierebbe la verità; gli altri la propagherebbero: e la Chiesa visibile, vivificata da invisibile virtù soprannaturale, otteneva l'unità di governo15.
Pietro stesso avea rinnegato Cristo: onde, nonchè esser superiore alle debolezze umane, rappresenta l'umanità peccabile. Pietro pone dapprima la sua cattedra in Antiochia, dove applica il nome di cristiani ai nuovi credenti. Passa poi a Roma, e quivi la stabilisce: fatto che gli eterodossi negherebbero volentieri, perchè così negherebbero l'apostolica istituzione della sede romana, divenuta la primaria del mondo cattolico; ma che è provato da abbondantissimi argomenti. I nostri videro un miracolo provvidenziale nell'esser cadute le chiese di Gerusalemme, d'Antiochia, d'Alessandria, fondate in origine, e di cui conosceasi quando cominciarono; solo Roma offre una serie di vescovi, non mai interrotta fra tanto avvicendare di accidenti.
Quando Pietro fu ucciso, potea credersi spento il cristianesimo, poichè trovavasi di fronte il politeismo signoreggiante colla forza e coll'ingegno, e il mosaismo coi miracoli e la legge; nessuna temporalità sorreggeva il papato, e il mondo non vedeva in effetto che pochi visionarj, sparpagliati16 per l'orbe. Eppure i raggi dalla stalla di Betlem e dalle catacombe di Roma si diffondeano per tutta la terra, e cominciava quella concatenazione di atti stupendi, ove incontra il miracolo chi studia puramente la storia.
Paolo, da persecutore de' Cristiani divenutone l'apostolo, diffuse il vangelo tra le genti colla parola e con epistole, ove discute le idee degli Ebrei che pretendeano miracoli, e dei Gentili che pretendeano il legame logico delle idee. Uomo della ragione, argomenta ed estende ai varj membri le verità universali; mentre san Pietro, anche quando scrive, è l'uomo dell'autorità che proclama il dovere e la sommissione. Ma «non sia chi s'intitoli di Pietro o di Paolo, ma solo di Cristo»; intima Paolo: «Solleciti di conservare l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace; un solo corpo, un solo spirito, una sola speranza, un solo signore, una sola fede, un solo Dio padre di tutti e per tutte le cose»17.
Intanto san Matteo avea scritto pel primo la storia di Cristo, la più abbondante di fatti, come palestino ch'egli era e testimonio diretto. Marco, discepolo di Pietro, la espose in greco qual l'aveva udita, e così Luca antiocheno, più colto e dignitoso, che appare anche autore degli Atti degli Apostoli, narrazione sublime per semplicità.
Giovanni ebreo, che ebbe parte nelle scene della redenzione, e poi fu vescovo e martire, vedendo diffondersi molti errori sulla natura divina del Redentore, scrisse ultimo il suo vangelo, men curandosi di ripetere i fatti già prodotti dagli altri, che di combattere le dottrine gnostiche. Poi da narratore mutato in contemplatore, nell'Apocalissi manifestò le visioni soprannaturali, in cui gli furono predette le persecuzioni e i trionfi della Chiesa, la distruzione del mondo e i gaudj della superna Gerusalemme.
Altri vangeli, epistole, costituzioni, la Chiesa o riprovò o non riconobbe, ma per la loro antichità possono servir di testimonio; come la tradizione costante che risulta da monumenti storici, prova apostoliche alcune verità, sebbene non scritte18.
Il simbolo detto apostolico, primo compendio della teologia cristiana, non consta sia stato composto dagli apostoli avanti dividersi; tale però lo vuole la tradizione costante: e forse vi furono fatte aggiunte posteriori, sebbene non sembri probabile che a quella formola battesimale si attaccasse qualche nuovo articolo man mano che una nuova eresia rendeva necessaria una protesta. Certo è concepito in modo tanto generale, che anche i maggiori dissidenti poterono conservarlo19.
Ciò che distinse ben tosto il cristianesimo da tutte le altre religioni e filosofie, è il pretender subito all'universalità. Fin allora non si conoscevano che religioni nazionali o di Stato; ciascun popolo teneva le sue divinità, i suoi culti; la religione serviva a discernere popolo da popolo. Il cristianesimo pel primo, rotte queste barriere particolari, dichiarò esser destinato a tutto il mondo, esser capace di abbracciare tutte le nazioni, qualunque ne fosse la civiltà, di soddisfarne tutti i bisogni religiosi, e fondare una chiesa dell'umanità, un regno di Dio indipendente da frontiere geografiche o governative. In conseguenza non presentasi come attuamento d'alcuna teorica particolare, non s'appoggia a veruna scuola, nè cerca alcuna alleanza: oppone francamente la follia della croce alle osservanze ebraiche come alla bellezza greca e alla legalità romana, talchè subito è considerato come una empietà, una ignoranza, una ribellione, la negazione di Dio, della scienza, della legge, il nemico del genere umano20.
L'opera del Cristianesimo era di preparare un nuovo mondo, assodandone la base, cioè la fede: fede superiore a qualunque ostacolo. Pertanto il primo secolo dovette essere più pratico che speculativo, più d'azione che di parola: la dottrina era perpetuata da una tradizione orale e viva; era concentrata in alcune parole gravi e semplici. La fede provavasi colla testimonianza di quelli che aveano udito e veduto l'Uomo Dio: le disparità che nascessero restavano appianate dal detto d'un discepolo; la gran giustificazione consisteva nel rinovellarsi del mondo, e la dichiarazione di fede nell'escludere dalla comunione d'una Chiesa chi credesse altrimenti, cioè chi alla verità generale surrogasse una restrizione di particolar suo giudizio.
E poichè quaggiù il bene e il male sono in perpetua lotta, il cristianesimo dovè combattere, prima col martirio, dappoi colla ragione, l'erudizione, l'eloquenza. E qui s'apre lo spettacolo della controversia, dove gli apologisti che erano stati filosofi, cominciarono quel conflitto dell'errore colla verità, che finirà solo coi secoli; dove il cristianesimo, combattendo gli Ebrei e i Gentili, parla alla ragione e all'intelletto; l'esegesi biblica è creata; una scuola cristiana fondasi accanto alle altre dell'êra alessandrina.
San Giustino nell'Apologia descrive le usanze, le assemblee, i riti dei primi Cristiani. «Terminate le orazioni, al preside vien presentato del pane e una coppa di vino e acqua. Presili, egli glorifica il Padre nel nome del Figliuolo e dello Spirito Santo, e ringrazia dei doni, e i diaconi distribuiscono quel pane e quel vino e acqua. Questo cibo da noi chiamasi eucaristia, e non può assumerlo chi non creda la nostra dottrina, e non sia stato terso de' suoi peccati, e non si conduca giusta i precetti di Gesù Cristo. Imperciocchè questo non è da noi mangiato come pane e bevanda comune; ma come per la parola di Dio si è incarnato Gesù Cristo, così quel cibo, santificato per l'orazione del suo Verbo, diviene la carne e il sangue del medesimo Gesù Cristo incarnato, e diverrà carne e sangue nostro per la mutazione che accade nel cibo».
Tennero dietro que' grandi che chiamiam Santi Padri, la più splendida luce che sfolgori sul mondo, in tempo che vi si addensavano tutte le sciagure.
Più attenti ad abbatter l'errore che a dichiarar sistematicamente la verità, i Padri non ci lasciarono veruna sistematica esposizione della fede, sino a san Gregorio taumaturgo e a Cirillo vescovo di Gerusalemme. Origene dà una spiegazione metodica della dottrina rivelata, e una teologia cristiana pone come corona della scienza enciclopedica; tutto ciò nel mentre l'antica società si sfasciava. Il loro studio sarà sempre la più solida confutazione di coloro che negano o l'esistenza o la divinità di Cristo, o che attribuiscono a moderne intrusioni i dogmi e i riti più sacri.
Ma non vi si cerchi l'espressione più precisa e sistematica de' dogmi; la dottrina al pari che l'organamento si vanno svolgendo e assodando via via che la disputa costringe alla definizione più esatta e al chiarimento. Dapprima i dogmi sono, direi, fatti; è la parola di Cristo che costituisce l'insegnamento degli apostoli, non allegando altra autorità che la rivelazione divina: in appresso divien necessario formolare le basi del cristianesimo, e imprimervi un carattere, che più non possa alterarsi. A tal uopo Gesù Cristo avea promesso alla Chiesa l'indefettibile assistenza dello Spirito Santo. Essa nel cenacolo ha la stessa fede come quando è diffusa in 200 milioni di credenti: sicchè bisogna ammettere o un miracolo permanente, o che Cristo non abbandonò al capriccio della ragione individuale l'interpretare il senso delle verità rivelate.
Se san Paolo avea fulminato la ragione umana21, certamente intendeva gli abusi che ne faceva allora la filosofia, come alcuni cattolici ai dì nostri condannano la libertà, poichè di questo nome si ammanta l'abuso del potere. Ma i Padri, e Giustino avanti a tutti, concilia la fede colla ragione, il vangelo colla vera filosofia, mostrando che quanto essa ha di vero e di buono l'ha dedotto da noi: assegnano i limiti della ragione e della fede, senza confonderle.
De' quali insegnamenti una gran pruova si ha nel vedere come gli etnici allora, cambiando sistema, togliessero a dimostrare che i Cristiani aveano dedotto ogni cosa dalla filosofia gentile: fino artifizio di colpirli appunto colle armi, di cui essi eransi muniti.
Ed è notevole come, nel valutare il lavoro spontaneo della ragione e i soccorsi della tradizione, i Padri concordino con ciò che poco fa22 proclamò la più venerata autorità, cioè che fra la ragione e la fede non può darsi antagonismo, perchè entrambi emanano dalla fonte stessa; che la ragione può provar l'esistenza di Dio, la spiritualità dell'anima, la libertà dell'uomo; che l'uso della ragione precede la fede e a questa conduce: che della ragione non sono colpa gli errori in cui cadde la scienza superba.
Cristo disse agli apostoli: «Io dispongo per voi del regno, come il Padre ne dispose per me, in modo che mangiate e beviate alla mia mensa nel regno mio e sediate in trono a giudicare delle dodici tribù d'Israele». E a Pietro: «Simone, Simone, ecco Satana vi cercò per vagliarvi come il grano. Ma io pregai per te acciocchè la fede tua non venga meno; e tu rivolto conferma i fratelli tuoi23».
Qui evidentemente Cristo lasciava a' suoi apostoli il sacerdozio come privilegio particolare; e dava a Pietro lo special dovere di assodare i fratelli nella fede. Non è dunque il sacerdozio accomunato a tutti i fedeli. Negli Atti degli apostoli, per l'elezione de' primi diaconi è consultato il popolo, ma il ministero è conferito dagli apostoli. Sorge contestazione sulla necessità o no de' riti giudaici? si fa appello agli apostoli e agli anziani. Nel concilio di Gerusalemme gli apostoli e i seniori non consultano tutti i fedeli sull'astinenza dalle carni immolate e dalla fornicazione; san Paolo ingiungeva il da farsi, e scrive ai Tessalonici: «Vi supplichiamo di riconoscere le cure di quei che vegliano sopra di voi, e vi governano secondo il Signore».
Ecco la superiorità di diritto divino de' preti sopra i laici, ch'è negata dai Protestanti quasi non vi fosse altra distinzione fra la plebe credente e il governo della Chiesa, tranne quella di fatto e diritto meramente umano, che corre fra il popolo mandante e i suoi mandatarj. La superiorità della gerarchia sopra i fedeli somiglia alla superiorità de' padri sui figliuoli, che non dipende da delegazione di questi, ma si fonda s'un titolo anteriore, e da essi indipendente. I preti non sono costituiti dal popolo suoi mediatori appo Dio, ma sono costituiti da Dio suoi ministri sopra il popolo: l'autorità vien dall'alto al basso, non il contrario. È dunque fuor di ragione il sostenere che, chiunque conosce la verità, può annunziarla, senza bisogno di carattere o missione speciale.
Ma gli acattolici dicono che i pastori della Chiesa perdettero la missione dacchè insegnarono l'errore. E qual tribunale sentenziò tal decadenza? e qual legge avea prefisso che, insegnando il falso, perderebbero il carattere e la podestà, e i popoli avrebbero diritto di rivoltarsi? Quei che li condannarono furono gli stessi che gli accusarono; ammessa la colpa, li dichiararono decaduti; agli spossessati surrogarono se stessi. Tre atti di eguale illegalità.
Ed oggi stesso, ampliando que' precedenti, si sostiene che i sacerdoti sono semplici mandatarj del corpo de' fedeli; e che non ad essi, ma a tutto quel corpo fu demandato l'insegnare e governare; che il potere de' sacerdoti non essendo d'istituzione divina, non può obbligare i fedeli in coscienza; e quindi le loro decisioni non hanno vigore se non accettate dalla congregazione dei fedeli. Aggiungono che i sacerdoti non possono avere autorità indipendente da quella del principe: sta ad essi la decisione della fede, ma la pubblicità di questa e del ministero dee dipendere dai governi; nè i sudditi possono essere legati che per podestà dell'imperante.
Certo queste teoriche non le deducono dal vangelo, dove non appare mai che Cristo domandasse dal principe licenza di predicar la redenzione; e i primi apostoli annunziarono la verità a dispetto dello Stato, tanto che legalmente furono uccisi.
Siffatto governo della Chiesa parrebbe dispotico, giacchè estendesi sulle coscienze, impone quel che s'ha a credere, e proscrive il dissenso. Sì: appunto come la stella polare inceppa l'azione del nocchiero, additandogli il nord, e impedendogli di errare. E la infallibilità deriva da un principio superiore all'uomo, di modo che la ragione vi si acqueta. Tutto poi fa in pubblico, per lettere, dibattimenti, assemblee diocesane, provinciali, nazionali, universali, nulla determinando se non dopo deliberazione comune. L'obbedienza dunque nasce dalla persuasione; e solo a Dio, vero e primo sovrano, ed al Cristo suo si sottomettono il pensiero e la coscienza; i principi cessano d'aver diritto su questa, e si limitano a tutelarla, e a provvedere che la giustizia sia rettamente distribuita.
V'è chi nega obbedire, persiste nel peccato, scandalizza i fratelli? la pena più severa sarà l'escluderlo dalla comunione della Chiesa, talchè non partecipi alle preghiere e al convito de' buoni.
Uomini di nessun credito, di mediocre scienza, sprovisti di ricchezze e di spade, fra un mondo ripieno di «opere della carne, dimenticanza di Dio, incostanza di matrimonj, avvelenamenti, sangue e omicidj, furti e inganni, orgie, sacrificj tenebrosi, persone uccise per gelosia, o contaminate coll'adulterio, tutte le cose confuse, e una gran guerra d'ignoranza che la follia degli uomini chiama pace»24, deploravano la perversità del secolo, senza per questo staccarsene ed abborrirlo, come Cristo sedeva alla mensa de' banchieri; e vi opponevano la voce, l'esempio, il martirio, colle aspirazioni della vita interiore, colle virili gioje dell'astinenza e del sacrifizio, colla fratellanza della preghiera e delle opere, «coi frutti dello spirito, che sono carità, gioja, pace, pazienza, bontà, longanimità, dolcezza, fede, modestia, temperanza, castità»25. Così la luce propagavasi con miracolosa rapidità, di mezzo alla sfrenata potenza di quell'idolo senza viscere, che si chiama lo Stato, alla febbre de' progressi materiali, all'orgoglio degli Stoici, alla grossolanità de' Cinici, alla depravazione degli Epicurei, allo scetticismo degli Accademici, alle raffinate voluttà, allo spietato egoismo, all'indifferenza d'una religione ove si appajano la superstizione e l'incredulità, all'inebriamento della forza e della scienza, ai savj ed ai gaudenti che, sdrajati in orgogliosa noncuranza, limitavansi a domandare «Che c'è di nuovo?», e all'annunzio della buona novella rispondevano «Abbiam altro da fare»; oppure «Vi ascolteremo domani». Quella dottrina, che all'opinione, all'esitanza, al timore opponeva virtù ignote, la fede, la speranza, la carità: al panteismo filosofico e al popolare la personale spiritualità di Dio e l'individualità dell'uomo; alla disperazione la providenza; all'amor proprio la carità: che rivelava l'inesplorabile profondità della natura divina: che al gran mistero della vita porgea spiegazione in ciò che la precedette o che la seguirà: che rimettea la pietà del cuore nella religione dond'era partita: questa dottrina, esposta in omelie e catechismi, forme diverse d'una fede sola e d'una sola speranza, adattate alla capacità d'una plebe, bisognosa di ragione, d'industria, di benevolenza, rendea comune la cognizione delle attinenze dell'uomo con Dio per via del mediatore, i principj che importano all'ordine sociale, e la scienza che è essenziale, quella de' proprj doveri. Soddisfacendo ai bisogni intellettuali e morali, che la tirannide o le sventure reprimono non spengono, e sottraendo alla società la parte più eletta dell'uomo, asilo di Dio, responsale de' proprj atti, piantava la libertà vera, generata dalla cognizione della verità, dalla pratica della virtù, dalla fede in Colui pel quale regnano i re.
Date le convinzioni, grandeggiano i caratteri; veggonsi fanciulli e donne soffrire e morire per render testimonianza alla più sublime delle cause, la verità; e gli Atti de' martiri sono il libro d'oro dell'umanità rinobilitata; della coscienza che ripulsa gli attentati della forza. I martiri rigenerarono il mondo per via dell'amore, quando la persecuzione spingerebbe a sovvertirlo coll'ira; attestano la propria vita col ricever la morte senza darla, e procedere al supplizio colla croce in mano, e sul labbro la confessione del vero.
La Chiesa, non avendo regno in questo mondo, avvicinava più sempre gli uomini al regno di Dio, il quale consiste nell'unità di credenze e d'affetto. Quel governo spirituale, diritto di Dio introdotto fra gli uomini, non metteasi in urto col temporale, anzi avea precetto d'attribuire a Cesare quel ch'è di Cesare, serbando a Dio quel ch'è di Dio. Ma a fronte del Cesare, adorato e trucidato a vicenda, ergeva dottrine che innovavano la società, surrogando alla violenza il consiglio, al castigo affliggente la penitenza emendatrice, insomma allo Stato la Chiesa, al dominio d'uno o di pochi sopra moltitudini asservite, l'eguaglianza di tutti davanti alla legge morale, che trae forza unicamente dall'infallibilità di chi l'impone.
Da poco più d'un secolo era morto il discepolo prediletto, quando il suffragio unanime della Chiesa portava a capo della cristianità uno schiavo, che avea fatto girar la macina d'un molino, e che divenne uno de' papi più insigni col nome di san Calisto. Qual rivoluzione! Tutto il mondo era diviso, stando la potenza, la ricchezza, la libertà da un lato, dall'altro la schiavitù, l'oppressione, la miseria; sol nella famiglia cristiana tutte le classi e le posizioni s'avvicinano; essa possiede la più alta autorità morale che mai comparisse sulla terra, e la confida a uno schiavo. E questo schiavo divenuto pontefice, prosegue l'opera dell'emancipazione e dell'affratellamento dei popoli: e mentre le leggi Giulia e Papia dichiarano illegittimo il matrimonio d'un figlio di famiglia senatoria con persone di classi inferiori, Calisto predica che il patrizio e il servo ebbero da Dio gli stessi doveri, che Dio li giudicherà coll'egual rigore, nè permetterà mai che l'orgoglio rompa l'unione da lui consacrata. Papando Calisto, s'istituì che, nella nomina dei vescovi convocassesi il popolo, non perchè eleggesse, ma perchè dichiarasse se l'eletto pareagli degno o no del sublime suo ministero: altra insigne modificazione della legge romana, ammirando la quale, Alessandro Severo decretò che nelle varie provincie si facesse altrettanto per l'elezione dei prefetti.
Gli estremi di fierezza e d'iniquità, che ad essi consentiva la legge, furono fatti dagli imperatori per reprimere la nuova fede; ma ormai il mondo divideasi in due gran parti, idolatri e cristiani. Costantino sentì la nuova forza innovatrice26, e le concesse parità di diritti; e tanto bastò perchè presto divenisse prevalente. Alla nuova Chiesa egli profuse doni ricchissimi27; e sebbene sia falsa la carta con cui a papa Silvestro concedeva la sovranità di Roma e dell'Italia28, parve adempiere un decreto della Providenza quando egli trasferì a Bisanzio la sede dell'impero, lasciando libera la metropoli del cristianesimo29. Alle chiese fu attribuito il diritto che già spettava alle congregazioni pagane, di possedere beni sodi, e subito gliene furono profusi a segno, che Valentiniano I vietò al clero d'accettare eredità: ove san Girolamo riflette non esser deplorevole il divieto, ma il meritarlo.
Uscita dai nascondigli, la Chiesa manifestò e compì quell'organamento esterno, che durò sempre colla stabilità che essa imprime alle opere sue. Entrato nella vita civile, il clero adottò la magnificenza che parea necessaria a colpire le immaginazioni e onorar le cose sacre. Della religione bisognava ordinar l'arte, cioè il culto, moderandolo in guisa che il sentimento non trascenda, determinandone l'oggetto e i confini, acciocchè l'anima soddisfi al bisogno d'elevarsi a Dio, e di svolgere la divina idea che crede. E pel culto aggiungendo alla fede e alla scienza il sentimento, più che per la costituzione clericale, la Chiesa esercita l'apostolato civile, e, pur mettendo Iddio come unico fine, come verità da conoscere e bene da conseguire, opera tanto sull'umana società.
Nella fanciullezza della vita morale, la Chiesa parlava men tosto col linguaggio della speculazione dogmatica, che col merito e il demerito, il premio e il castigo. Perciò bisognavano tipi, ed erano i santi, il cui culto crebbe quello di Cristo, estendendolo a coloro che meglio a lui si conformavano. Modelli di virtù parziali, variate, molteplici, erano più accessibili che non la perfezione divina, erano quasi decomposizioni dell'unico esemplare, altri tipi d'una bellezza inarrivabile. Quel culto derivava dunque necessariamente dall'amore e dalla devozione al Redentore; e ciascuno sceglievasi un protettore per virtù o meriti ed uffizj speciali; e tutti vi trovavano un ideale diverso, e lo atteggiavano artisticamente nella leggenda, nella poesia, nel disegno.
A una dottrina, che è per essenza universale, tornava indispensabile l'unità del sacerdozio, ordinato in guisa da perpetuare la rigorosa conformità di credenza nell'infinita varietà di popoli, effettuando una civiltà cattolica, cioè universale. Con questo introdusse una distinzione, ignota a Greci e Romani, quella di ecclesiastici e laici. I primi, destinati a speciale servizio divino, riceveano la missione e la dignità dal vescovo. Ogni comunità aveva un vescovo eletto da essa, e che agli altri vescovi annunziava la propria elezione con lettere pastorali, in cui faceva la professione di sua fede; gli uni agli altri partecipavansi la lista degli scomunicati, rilasciavano lettere di raccomandazione demissorie pei fedeli che dalla propria passassero in un'altra diocesi.
E diocesi, con nome dedotto dalla nuova distribuzione dell'impero, chiamavasi il territorio su cui un vescovo avea giurisdizione.
Al clero fu di buon'ora imposto il celibato, tantochè Nicolao d'Antiochia, eletto dagli apostoli per sovvenire ai fedeli bisognosi, fu incolpato perchè, anche dopo diacono, s'accostasse alla moglie30. Con ciò formossi una milizia, pronta a lanciarsi ne' pericoli d'ogni guisa, senz'esser rattenuta dai legami domestici, vie più forti quanto che legittimi.
Ma il clero era poco numeroso: in ogni città per lo più un'unica chiesa e una messa o due, fino a considerare scismatica l'adunanza di fedeli dove non assistesse il vescovo: egli solo potea consacrare, sebbene nelle città maggiori, come Roma, il pane da lui consacrato fosse distribuito anche da qualch'altro prete, senza diritto però di assolvere o di scomunicare. Entrante il V° secolo, Roma gloriavasi di possedere ventiquattro chiese e settantadue sacerdoti. Lo sconcio di mandare attorno le sacre specie indusse poi a permettere anche ai plebani di consacrare, e poi di amministrare pure gli altri sacramenti, eccetto l'ordine e la cresima, riservati ai vescovi, come l'assoluzione d'alcuni peccati.
I vescovi, depositarj dell'autorità, non doveano stare assenti più di tre settimane dalla loro diocesi; e applicandovi le norme del matrimonio, si proibì il divorzio, cioè d'abbandonar una chiesa per un'altra, se non l'esigesse il bene universale. Abitualmente il vescovo veniva scelto nella diocesi stessa, laico o sacerdote: ma poteva anche essere uno straniero, come tanti dei primi papi; come i Milanesi vollero vescovo il loro governatore Ambrogio da Treveri.
I vescovi sin dapprincipio furono subordinati al papa; ma alcuni si sottoponeano anche a quello della città più illustre, o la cui sede fosse fondata da qualche apostolo, formando così provincie, il capo delle quali intitolavasi metropolita, arcivescovo, patriarca: non aveva superiorità spirituale, ma convocava a concilio i vescovi della provincia, perciò chiamati suffraganei: li consacrava prima che entrassero in funzione; rivedeva le loro decisioni: vigilava sulla fede e la disciplina di tutta la provincia.
Quando morisse un vescovo, il metropolita destinava un sacerdote che, sede vacante, amministrasse la diocesi; e in presenza di questo, il clero proponeva, e l'assemblea del popolo eleggeva il successore; ma la nomina doveva essere approvata dagli altri suffraganei, e confermata dal metropolita.
Una due volte l'anno accoglieansi i vescovi a concilio sotto il metropolita, di cui erano quasi i consiglieri. Le decisioni (canoni), invigorite dal consenso comune dei vescovi, sostenute dalla rappresentanza del popolo e dal diritto divino, acquistavano forza di leggi per tutta la provincia.
La Chiesa di Roma, oltrechè eretta nella maggior città d'allora, era stata fondata prima d'ogni altra d'Occidente e dal maggiore degli apostoli, e consacrata col sangue di esso e di san Paolo. Consideravasi dunque come supremo gerarca il vescovo di essa, benchè gli altri patriarchi talvolta competessero; e se questa supremazia non ebbe sulle prime occasione di mostrarsi quale apparve secoli dopo, se rifulgea più per dignità che per esercizio di potere, esisteva in genere; il papa in radice aveva ragione di giurisdizione sopra gli altri vescovi, che nei casi più gravi non mancò di manifestarsi, e più dacchè gl'imperatori cristiani ingiunsero che ogni vescovo potesse dalle sentenze del metropolita appellarsi al papa della città eterna.
Quando erano difficili le comunicazioni fra le varie chiese, frequenti concilj si teneano presso le singole; pure ricorreasi sempre a Roma, e sant'Ireneo diceva: ad hanc ecclesiam propter potiorem principalitatem necesse est omnem convenire ecclesiam31; e già san Girolamo era tutt'occupato nell'assistere papa Damaso a rispondere ai consulti che gli venivano dall'Oriente e dall'Occidente32; il concilio di Calcedonia chiese da san Leone la conferma de' suoi decreti; i vescovi d'Oriente scrissero a papa Simmaco, riconoscendo che le pecore di Cristo furono confidate al successore di Pietro «in tutto il mondo abitato»; papa Ormisda nel 318 stese un formulario, che i vescovi doveano trasmettere firmato ai metropoliti, e questi al pontefice, come simbolo dell'unanimità colla sede apostolica «in cui risiede la verace e intera solidità della religione cristiana».
Quella superiorità divenne anche legale nell'ordine civile quando l'imperatore Giustiniano ordinò che tutte le Chiese fossero soggette alla romana33, quum ea sit caput omnium sanctissimorum Dei sacerdotum, vel eo maxime quod, quoties hæretici pullularunt, et sententia et recto judicio illius venerabilis sedis coerciti sunt; e a papa Giovanni II scrivea: Nec patimur quidquam quod ad ecclesiarum statum pertinet, quamvis manifestum et indubitatum sit, ut non vestræ innotescat sanctitati, quia caput est omnium sanctarum ecclesiarum.
Pietro fu eletto da Cristo: i successori suoi da un senato ecclesiastico, poi quando a quella dignità si unirono ricchezze che non cercò, ma che non doveva ricusare, sicchè mescolò la sua vita alla convivenza civile, all'elezione concorsero il clero e il popolo; quando quel posto divenne ambito, gl'imperatori s'intromisero, a titolo d'impedir le sedizioni; e anche di poi pretesero confermar l'elezione. Odoacre, che spossessò l'ultimo imperatore d'Occidente, vietò di eleggere il vescovo di Roma senza prima consultare il re o il prefetto della città, ma il decreto non tenne (482). Gelasio, papa in quel tempo, è notevole per avere, in concilio, distinti i libri canonici dagli apocrifi, determinato a quali scrittori competesse il titolo di Padri della Chiesa, e definiti ecumenici i quattro sinodi di Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia. Egli scriveva all'imperatore Anastasio: «Il mondo è governato dall'autorità pontificia e dalla podestà regia: la sacerdotale è più grave perchè dee render ragione a Dio per l'anima dei re. Tu sovrasti a tutti per dignità, pure t'inchini devoto ai capi delle cose divine, o da loro impetri i mezzi di salute, e comprendi che, pei sacramenti e per l'ordine della religione, devi sottometterti a loro, anzichè sovrastare; e in tali materie pendere dal giudizio loro, anzichè ridurli alla tua volontà. Se nell'ordine della pubblica disciplina, anche i capi della religione obbediscono alle leggi tue perchè a te fu conferito l'imperio per disposizione suprema, con quale affetto non dovete voi obbedire a coloro, che hanno incarico di dispensare gli augusti misteri?»
I re barbari conquistatori s'ingerirono sempre più o meno nelle nomine dei papi fino ad Adriano II nel 867, quando l'elezione fu restituita al clero e al popolo; ma da Giovanni XII fin dopo l'antipapa Silvestro (dal 956 al 1102) i tirannelli e gli imperatori vi ebbero gran tresca; tornò poi l'elezione al clero e al popolo fino all'antipapa Vittore nel 1138. Allora il diritto elettorale fu ristretto ne' cardinali; poi nell'elezione d'Innocenzo V (1276) si regolarizzò il conclave nella forma prescritta poco prima dal suo predecessore Gregorio X, e che tuttavia conserva. Oggi il papa è sempre scelto fra i cardinali, sicchè uno di loro è predestinato ad avere l'infallibilità. Lo Spirito Santo illumina gli altri a riconoscere il predestinato, che essi non costituiscono propriamente, ma nominano, quasi come cosa che già esisteva. Per tal modo connettonsi vescovi e papa.
Damaso, poi Gregorio Magno presero il titolo di servo de' servi di Dio; Benedetto III quel di vicario di san Pietro; e dopo il secolo xiii si adottò quello di vicario di Gesù Cristo.
Questa monarchia elettiva e rappresentativa, accoppiava l'obbedienza perfetta dovuta al capo, benchè tolto dal popolo, colla libertà e l'eguaglianza; una gerarchia, indipendente da ogni eredità, poteva svilupparsi indefinitamente, eppure sottostava a una magistratura suprema infallibile, e tutti erano sottoposti, ma unicamente alla legge di Dio, promulgata e interpretata dalla Chiesa, alla quale Iddio disse, «Chi ascolta voi, ascolta me; pascete le mie pecore; ciò che voi sciorrete sarà sciolto, ciò che legherete sarà legato».
L'infallibilità del pontefice s'induce dalle espressioni con cui Cristo costituì Pietro fondamento della Chiesa: benchè altri opini che dalle espressioni stesse non traggasi a rigore l'infallibilità dogmatica. Questa è interpretazione di passo scritturale, e perciò non dipende da criterio privato, bensì da decisione della Chiesa; e poichè la Chiesa non la proferì, nessuna delle due parti può sentenziare d'eretica l'altra; e viviamo tutti nello stesso vincolo della carità. Se mai potesse fallare il vescovo di Roma, come parrebbe avvenisse nel caso di Onorio e di Liberio, la sua definizione non resterebbe accettata dal corpo dell'episcopato, il quale è infallibile, come infallibile chi definisce qual capo di esso.
Infallibili, i papi non sono però impeccabili. E il severo Tertulliano dicea: «Che m'importa qual sia la condotta dei prelati, purchè insegnino la verità? La verità della fede non dipende dalle persone; bensì dalla fede noi argomentiamo l'autorità delle persone».
E sant'Agostino: «Giuda predicò il vangelo al par degli altri, e chi lo rigettò, rigettò Cristo medesimo, che disse, Chi sprezza voi sprezza me34. Quand'anche tutti i prelati e vescovi fossero uomini viziosi, tu non devi staccarti dalla cattedra di Pietro, colla quale tutti sono congiunti per l'unità della dottrina»35.
Quasi compimento all'esterna attuazione della Chiesa vennero i monaci, vittoria del soprasensibile sul sensibile, perfezione del cristianesimo, del quale vogliono adempire non solo i precetti, ma anche i consigli. Già durante l'Impero, alcuni ritraevansi nella solitudine, stomacati del mondo e con eccessi di ascetiche penitenze colpivano l'immaginazione de' Barbari. Ma se in Oriente il monachismo parve solo un'avversione ai sensi, evangelizzatore di civiltà nuova mostrossi in Occidente, dove si preferì unirsi in comunità di preghiere, di studio, d'operosità. In questo senso dettò una regola di condotta permanente e uniforme san Benedetto. Da Norcia nella Sabina, dond'era nativo e signore, ritiratosi a Subiaco, poi a Monte Cassino, formò dodici conventi (529), ove sperimentò quella sua legislazione, la quale operò per più lungo tempo e su maggior numero d'individui che qualunque altra principesca; ammirata anche da grandi statisti, che aveano sperimentato quanto sia difficile sistemare una società. Tutto v'è democratico ed elettivo, senz'altro riguardo che alla dottrina, alla santità, all'abilità; ogni monaco abbandona i titoli e sino il nome di famiglia, e accomuna i possessi, come Cristo che, cum esset dives, egenus factus est: ma può esser eletto fino alla suprema dignità. Nulla di aspro e di grave36; ma uomini, cose, tempo, tutto v'è disciplinato; tutte le volontà sono sottomesse a quella dell'abbate, che una volta eletto, esercita potere assoluto, ma avvinto dalla regola e dalle consuetudini, le quali determinano le più minute particolarità della vita, come vestire, quando lavarsi o radersi; in che giorni alle fave e alle erbe aggiunger olio e grasso, o il frugal desco rallegrare di ova, pesci, frutta.
Benedetto introdusse nella vita monastica la perpetuità di voti solenni. Provata la vocazione in lungo noviziato, tra mortificazioni e prove, che dirà vane e puerili sol chi non le conosca dirette a ottener la sommessione della carne allo spirito, e quella libertà che consiste nel padroneggiare le passioni, proferivano i voti di castità, obbedienza, povertà, e così nel vilipendio d'ogni godimento materiale, davansi alla ricerca esclusiva della vita superiore.
Associavansi in tal modo la prudenza e la semplicità, la libertà e la sommessione, il coraggio e l'umiltà. Nell'uffizio di sottrarre lo spirito alla materia concentrandolo, gli si dava un concetto elevatissimo della sua natura, dell'alto principio e del fine suo; con istraordinarj atti convinceasi che l'uomo, assistito dalla Grazia, può vincere le passioni brutali, e viver da angelo in terra. Ricordando il detto dell'Apostolo Qui non vult operari nec manducet, tutti industriavansi a qualche arte; copiar libri, predicare, comporre, ovvero domesticar selve all'agricoltura e alla civiltà, fondare conventi che divenivano come stazioni al progresso dell'incivilimento, o nucleo di villaggi e città che ancor ne serbano il nome; alimentavano anche il sentimento delle bellezze naturali e artistiche, educando fiori, ornando chiese e altari, avvivando le solitudini colla delizia del canto. In questi centri d'attività e di studj, ricovero d'anime afflitte o disingannate, di grandi decaduti, di violenti ammansiti, di innocenti oppressi, di spose tradite, di vedove che col marito aveano perduto il lustro di lor dignità, fondeansi i Romani coi Barbari, i vincitori coi vinti nella uniformità della disciplina.
Fra i tumulti d'un'età robusta e di transizione, molti agognavano la solitudine dello spirito, la pace della coscienza, le elevazioni del cuore, voleano interporre uno spazio fra le procelle della vita e la calma del sepolcro; e non entrava ne' chiostri soltanto chi fosse stanco dell'attività o disilluso delle passioni e delle speranze; ma anime infervorate, che accanto alla penitenza collocavano le virtù naturali e le civili.
E i monaci sottentravano ai martiri, i quali spesso imitavano anche nel coraggio e ne' tormenti; fra società mutevoli rappresentavano la sapienza della durata colla volontà liberamente sottomessa alla fede e coi mezzi che dà lo spirito di corpo, unito a severa disciplina; fra le cupidigie ambiziose, essi soli per istinto rimanevano contenti alla loro sorte, ma il torzone e il canepajo poteano diventar guardiani e priori, e ottenere il cappello rosso e il triregno; il mondo ammirava in essi una dottrina e una virtù, che considerava egualmente come sopranaturale.
Altri Ordini si fondarono poi37, esercito volontario e attivo in favor della Chiesa, ma con armi e ordinamenti diversi dalla comune società. Alcuni erano contemplativi; e son quelli che, ne' momenti ove i popoli operano e non pensano, pensan per essi, e adocchiano l'istante in cui richiamare certe verità, che rimettano in equilibrio l'azione e la riflessione, e far giudicare i fatti non dall'esito, ma da canoni morali. Altri portavano il lavoro, la fecondità, la forza, l'intelligenza umana nelle solitudini, dianzi invase dalle fiere, o dalle paludi, o dalle sabbie; là introducevano la vite, i pomi, le mandrie, le pecchie, l'irrigazione, la coltura del riso, la fabbrica de' formaggi, e risedeano sui beni proprj costantemente, il che quanto importi lo sanno i contadini del nostro secolo; il ricavo ne versavano tutto a miglioramenti, cioè a crescere il capitale di cui vantaggiano i poveri agricoltori; non esigeano da questi che tenui affitti o moderate retribuzioni, a differenza de' piccoli possidenti che vi succedettero. Il nostro secolo, glorioso d'averli distrutti, gl'incolpa che non ricavavano dai terreni tutto quel che si poteva; al qual biasimo non so quanto applauda la plebe, che vivendo giorno per giorno, non si trova più nulla nel passato, nulla nell'avvenire.
Il povero, del quale in oggi tanto si ciancia e per cui così poco si fa, trovavasi onorato e consolato quando vedeva la povertà eletta volontariamente e considerata come meritoria. Le loro sollicitudini agricole insegnavano il rispetto alla proprietà. Il grande avea sgomento di questi cucullati, che senza speranze, senza timori, venivano al suo castello o alla sua reggia a rimproverarne le prepotenze, a chieder la riparazione d'un'ingiustizia, a intimare castighi da cui non li salverebbero nè i torrioni nè i bravi.
Carlomagno dicea loro: Optamus vos, sicut decet ecclesiæ milites, interius devotos et exterius doctos esse, e in fatti è da loro soli che ci vennero conservati i libri e le cognizioni di tutta l'antichità. Uomini di preghiera e di penitenza, pure non si credeano estrani alla politica, anzi parlavano alto ai re, teneano i conti e le casse delle città, ripristinavano le paci, tesseano le leghe de' popoli, dettavano nelle Università, raccoglievano gli artisti.
Ma della missione civile li lodano anche i profani e gl'increduli; nè questa era la loro speciale, bensì il purificar il mondo colla carità, domarlo colla rassegnazione, edificarlo con quella sublime vocazione, che lungi dall'invidiosa povertà d'un amore esclusivo, fa che l'uomo si dia tutto a tutti, nei doveri consultando unicamente l'interesse spirituale: e nell'amor di Dio portato all'eroismo, cerca un rimedio supremo all'amor delle creature; sforzandosi a domare i bassi istinti, resistere alla natura corrotta, ed accostarsi alla perfezione cristiana. Mentre disputavano ne' concilj, dettavano nelle Università, maneggiavansi ne' congressi, tu li trovavi al focolare casalingo, senza rumore, senza apparato, in opere di misericordia, in oscuri sacrifizj, purificando i costumi, arrivando fino agli abissi della colpa o della virtù, rigenerando colla fede, colla carità, col dovere, coll'abnegazione. Questa suprema forma del sentimento cristiano tirava i Barbari a civiltà mediante il sentimento; l'umiliazione, la carità universale, l'eroismo di penitenza, divenivano esempj a gente calda d'ire e di concupiscenza; la intera sommessione a un capo, a una regola infondea la coscienza del diritto.
La preghiera, che attestando la debolezza dell'uomo, è potente sino ad espugnare il cielo, e l'ardente confidenza negli effetti di essa, erano carattere del medioevo, quanto divengono incomprensibili all'età nostra, dacchè in tanti luoghi essa ammutolì. Tutti inoltre riconoscevano la solidarietà de' peccati e dell'espiazione, considerando la vita come un castigo, una prova, una preparazione; anche il peccatore domandava la preghiera, la domandava come un'elemosina, ed in ispecialità ai frati, potenza mediatrice presso Dio sdegnato.
Tali ce li dà la storia: e per quanto esecri la verità, il secolo dee rassegnarsi a sentirlo ripetere da chi n'ha il coraggio. L'esservene sempre stati attesta come s'annettano strettamente colla Chiesa, benchè non essenziali ad essa. In fatti, chiunque volle intaccarla cominciò sempre dallo screditare questa sua milizia, che rappresenta la guerra che l'ideale fa al reale.
Non sono essenziali alla religione, dicono. Verissimo; ma è uno de' sofismi più usitati e più speciosi il rispondere alle objezioni con una proposizione vera in sè, ma che non ha a fare con quella di cui si tratta; stornando così l'attenzione, e mettendo per conclusione quel che è soltanto un divagamento. Verissimo; non sono essenziali, ma neppur lo sono e la chiesa e la predica, e tant'altre cerimonie, introdotte in una religione di spirito e di verità: ma forse alla società civile sono indispensabili i re, gli eserciti, le monete, anzi nè tampoco il vestire? Non sono essenziali alla Chiesa, perchè nessuna cosa contingente è essenziale a ciò che è eterno; ma son necessarj a mantenere l'alito ecclesiastico.
Più accortamente si dice che poterono esser buoni un tempo, ma perdettero opportunità. I frati son pianta repubblicana, e per intendere san Francesco ci vuole il popolo, non società principesche e costumi cortigiani e pensare aristocratico quali oggidì, nè l'abdicazione dell'attività, della volontà, delle opinioni di ciascuno in man d'un governo o d'un giornalista: ci vorrebbe quell'Italia alla vecchia, tutta democrazia, e forze distinte, e fede, e municipj. Il materialismo d'oggi che ha mai a vedere in questi sacrifizj di spirito, fatti in vista di premj che non sono denari, nè godimenti? Eppure anche tra le beatitudini odierne, tra questo ammirato incremento dell'industria e degli interessi materiali, il cuore ha de' bisogni che non restano appagati dal teatro, dalla borsa, dal telegrafo; anela a qualcosa di più alto e più grande, che i padri nostri chiamavano Dio. Trascinati nel vertiginoso progresso, noi variamo ogni giorno pensamenti, convinzioni, bandiera, modo di pensare e d'operare, di nulla stabilmente convenendo; sino la beneficenza riducesi a un'istituzione civile, a soscrizioni, lotterie, amministrazione. Ma giacchè si vanta come conquista del tempo la tolleranza, vogliasi consentirla anche a chi pensa che, in tale sfasciamento, non abbiano a riuscire superflui questi Ordini; che tra l'indifferenza eretta in teoria, e i pregiudizj malevoli, e il vitupero chiassoso, e l'avido urtare di tutti contro tutti, possano svolgere e applicare le istituzioni caritatevoli, educare la classe più numerosa, non foss'altro, a sopportare una disuguaglianza, della quale non vede la ragione, non conosce i compensi; a risparmiare i gendarmi, unica salvaguardia quando è tolta la difesa morale; a pregare per coloro che li maledicono.
Ecco per quali guise la Chiesa svolgeva il benefizio della redenzione nella società civile, adoprando continui strumenti l'autorità, la ragione, il sentimento; non usurpava, ma raccoglieva i poteri che cascavan di mano alle antiche autorità; alla violenza de' nuovi padroni opponeva la ragione, la santità, la scienza, e il diritto che avea di giovare alla plebe cristiana; ristabiliva i dogmi della responsalità personale e dell'autorità, scassinati dall'accentramento romano; mediante un potere ammesso e consentito dalle anime, costituiva una repubblica morale, dove la moltitudine non diveniva confusione perchè ridotta a unità, nè l'unità diveniva tirannide perchè era moltitudine, e la cieca sommessione era mutata in ragionevole obbedienza.
1. Teologia propria, cioè di Dio, e suoi attributi, creazione, providenza, e appendice di quella la creazione dell'uomo, e di angeli o démoni;
2. Antropologia teologica, innocenza primitiva, peccato originale;
3. Cristologia, sulla persona e le opere del Salvatore;
4. Caritologia, o teorica della Chiesa e dei mezzi di salute;
5. Escatologia, cioè della morte, immortalità, purgatorio, resurrezione, giudizio finale, paradiso, inferno, fine del mondo.
Romano. Credo in Deum patrem omnipotentem.
Aquilejese. Credo in Deo patre omnipotente invisibili et impassibili.
Romano. Et in Christum Jesum unicum filium ejus, dominum nostrum.
Aquilejese. Et in Christo Jesu, unico filio ejus, domino nostro.
Rom. e Aq. Qui natus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine.
Romano. Crucifixus sub Pontio Pilato et sepultus, tertia die resurrexit a mortuis.
Aquilejese. Crucifixus sub Pontio Pilato et sepultus, descendit ad inferna, tertia die resurrexit e mortuis.
Rom. e Aq. Ascendit in cœlos, sedet ad dexteram Patris: inde venturus est judicare vivos et mortuos.
Romano. Et in Spiritum Sanctum. Sanctam Ecclesiam. Remissionem peccatorum. Carnis resurrectionem.
Aquilejese. Et in Spiritu Sancto. Sancta Ecclesia. Remissione peccatorum. Hujus carnis resurrectione.
Dalle catechesi di Massimo vescovo di Torino (Homil. in traditione symboli), di san Pietro Crisologo vescovo di Ravenna (in Symb. apost.) e da altri raccogliamo i simboli delle diverse Chiese, dove trovansi introdotte le parole conceptus, passus, mortuus, catholicam, sanctorum communionem, vitam æternam, dappoi addottate nel simbolo comune, qual già si trova ne' sermoni 240, 241, 242, posti in appendice ai sermoni genuini di sant'Agostino nell'edizione dei Padri Maurini.
Alcune di quelle aggiunte pajono arbitrarie e quasi futili; ma tendevano a confutare alcuni errori divulgati. Così nel surriferito simbolo aquilejese, il descendit ad inferna si oppone agli Apollinaristi ed Ariani, che negavano l'anima a Cristo, quasi ne facesse vece la divinità; l'invisibili et impassibili è contro i Noeziani e Sabelliani, che diceano esser nato e aver patito il Padre Eterno: l'hujus carnis contrasta a chi teneva che dovessimo risorgere con un corpo aereo e celeste.
Gli esegeti tedeschi danno pel più antico simbolo che si conosca, quello della Chiesa copta, usato nella Chiesa d'Alessandria. Eccolo:
«Il vescovo o il prete dirà al catecumeno: Credi al solo vero Dio, padre onnipotente, ed al suo figlio unigenito signor nostro e salvatore, e allo Spirito Santo vivificatore, trinità consustanziale, una sovranità, un regno, una fede, un battesimo; alla santa Chiesa cattolica, apostolica, alla vita eterna?» Il catecumeno risponderà: «Credo».
Poi il vescovo od il prete gli domanderà: «Credi tu nel N. S. G. Cristo, figlio unigenito di Dio Padre? Credi che egli si è fatto uomo come noi per azione miracolosa dello Spirito Santo sopra la Vergine Maria; che fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, e morto per la nostra redenzione; risuscitò il terzo giorno rompendo le catene; che siede alla destra del suo Padre nel cielo, e che verrà a giudicar i vivi ed i morti quando apparirà esso e il suo regno?
«E credi nel Santo Spirito vivificatore, che purifica tutto nella santa Chiesa?» e il catecumeno risponderà: «Credo».
Vedasi uno studio del protestante Michele Nicolas nella Revue moderne 1865, giugno.
Leone XII avea divisato di riformar le regole e il vestire de' frati, riducendoli a tre soli Ordini; uno di regolari, poveri, di scienza discreta e gran carità, che servissero al popolo sussidiando i parroci, e prestandosi agli spedali. Il secondo tutto all'educazione e istruzione della gioventù, e a sostenere gl'interessi della religione e del buon costume. Il terzo di contemplativi che predicassero, salmeggiassero, e aspirassero all'evangelica perfezione.]