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DISCORSO II
PRIME ERESIE. CONSOLIDAMENTO DELLA PRIMAZIA PAPALE.
GLI ICONOCLASTI.
Il sangue dei martiri non aveva ancora finito d'irrigare la pianta immortale del cristianesimo, e già in seno a questo alcuni, come l'antico serpente, valeansi della parola per diffondere l'errore, o restringere a concetti particolari le verità generalissime enunciate dalla Chiesa, creando scismi ed eresie38. Già al tempo degli apostoli, alcuni ebraizzanti, pur riconoscendo la divina missione di Cristo, voleano conservare il mosaismo, che, come troppo ristretto e nazionale, era ripudiato dai nostri, aspiranti ad una religione universale39. San Paolo si duole delle dissensioni nella nascente Chiesa; san Pietro venne a Roma per oppugnare Simon Mago, il quale aveagli esibito denaro per ottenerne la facoltà di conferire lo Spirito Santo: onde da lui è denominata la prima e quella che sarà ultima delle eresie, la vendita delle cose spirituali. E quel santo scriveva agli Ebrei: «Pascete il gregge a voi affidato, senza sforzare, ma spontaneamente secondo Dio; non per cupidigia di lucro, ma volontariamente». E ne' canoni apostolici è registrato: «Se alcun vescovo o prete a denaro abbia conseguito la dignità, venga deposto esso e chi l'ordinò; e dalla comunione affatto escluso, come Simon Mago da me Pietro». Ecco la colpa, ecco il castigo.
Più il cristianesimo cresceva e illustravasi, l'orgoglio s'ingegnava a trovarne qualche lato debole, e scalzarne le basi. Alcuni negavano ricisamente il Cristo, mentre, mediante il platonismo, appuravano le teoriche gentilesche. Altri ringiovanivano le ebraiche, massime colla cabala: i Gnostici dicevano che Cristo fosse un mero simulacro, e pretendevano a una scienza superiore ai culti pagani, alla religione mosaica, alla cristiana, eppure indipendente dalla rivelazione, togliendo alla Chiesa l'autorità infallibile per ridurla a un sistema, da perfezionare coi sistemi imperfetti della filosofia, agognando di raggiungere colle forze proprie un'altezza inaccessibile alla ragione; eresia che tratto tratto rinacque coi mistici, credenti alla intuizione immediata, e aspiranti ad una perfezione più che umana. Manete spiegava l'esistenza del mal morale e del fisico col supporre una divinità benefica ed una maligna. Gli spiriti forti diceano fin d'allora che le differenti maniere d'intendere e adorar Dio fossero, non essenziali forme di dottrina, solo varianti vedute dell'intelligenza cristiana.
Giustino martire, autore dell'Apologia, avea composto un libro contro tutte le eresie e sètte, e lo esibiva all'imperatore Antonino40. Anche Ippolito scrisse la Confutazione delle eresie; un Catalogo delle eresie san Filastro vescovo di Brescia; e Tertulliano nelle Prescrizioni sostiene che le eresie non sono strade ad appurare il cristianesimo, perchè ciascuna è nuova in paragone della verità che esistea fin dal principio: perchè l'eretico non ha regola nè fine nel disputar contro la Chiesa, abbandonato com'è al proprio giudizio: perchè quelle opinioni contraddicono una all'altra, e ciascuna pretende essere la verità. Inoltre ciascuno si crede in diritto di cangiare e di modificare per proprio talento ciò che ha ricevuto, come per proprio talento l'autor della sètta lo ha composto. L'eresia ritiene sempre la propria indole col non cessar d'innovare, e il progresso è simile all'origine; ciò che fu permesso a Valentino, lo è pure ai Valentiniani; i Marcioniti hanno la stessa facoltà che Marcione, nè agli autori d'un'eresia compete maggiore diritto d'innovare che ai loro seguaci; tutto cangia in esse, e quando se ne cerca il fondo si trovano nel loro seguito differire in molti punti da quel ch'erano alla loro nascita41.
Origene, volendo acconciare il platonismo col cristianesimo, indagava nelle storie evangeliche un triplice senso: mistico, storico, morale: in modo che una narrazione biblica poteva esser non vera letteralmente; teoria di alcuni recenti esegeti tedeschi. Combattè molte eresie, ma v'inciampò egli stesso o ne gettò i germi, forse solo perchè mancavagli quella precisione del linguaggio, che derivò da distinzioni raffinate nei dibattimenti.
Perocchè, nel silenzio e nell'isolamento cui li costringeva la persecuzione, molti aveano concepito e insegnato in buona fede idee, che poi si scopersero erronee allorchè la Chiesa parlò alto e d'accordo. Ma questa non aveva definito molti punti; sicchè v'ebbe erranti fra' più grandi maestri, quali Tertulliano, Eusebio da Cesarea e questo Origene; o fra austeri monaci, e fin tra martiri. Talvolta anche il proposito di sfuggir un errore traeva nell'opposto; perchè Origene sottilizzava i corpi fino a spiritualizzarli, Audio ed Epifane abbassavano la divinità sino alla figura umana; poi restavano le traccie del paganesimo nell'insegnamento e nei costumi: poi intromettevansi gl'imperatori, volendo coi decreti modificare la più libera delle facoltà, la coscienza.
I Pagani, incapaci di discernere la linea sottilissima che il vero disgiunge dal falso, voltavano in beffa quell'ostinarsi sopra inezie cavillose e in quistioni di parole, e dichiararono semenzajo di garruli litigi questa religione, che vantava d'essere una di fede, di spirito, di culto. Ma erano ben altro che di parole le quistioni che doveano assicurar le nozioni sull'essenza di Dio, contro il misto di idee platoniche e cabalistiche colle evangeliche, insinuato da falsi dottori.
Adunque, dopo che i martiri ebbero mostrata la forza e la virtù, vennero i Padri a sostenere la purezza e l'unità della fede, combattendo l'orgoglio dell'intelletto e l'indocilità del cuore. San Girolamo scriveva: «Restate nella Chiesa fondata dagli apostoli e sempre sussistente. Se udite alcuni designati con altro nome che quel di Gesù Cristo, sappiate che non sono la Chiesa di Cristo: e l'essere istituiti posteriormente convince che son di quelli, di cui l'Apostolo predisse la venuta. Nè vi lusinghi il sembrare che s'appoggino alle Scritture: anche il demonio disse cose conformi alla Scrittura, nè basta leggere questa, ma vuolsi intenderla. Che se non ci atteniamo che alla lettera, possiam noi pure formare un dogma nuovo, e pretendere d'escluder dalla Chiesa coloro che vanno calzati e che hanno due tuniche»42. San Cipriano, che contribuì forse più che altri de' primitivi Padri a separare i due ordini di fede e di esame, di rivelazione e di concetto, la cui mescolanza produce o la schiavitù o il traviamento dell'intelletto, mentre la distinzione schiude le barriere dell'infinito, traendolo dal simbolo nella realtà; dopo avere nella Vanità dell'idolatria combattuto il vecchio culto, nella Unità della Chiesa dissipava gli scismi, stabilendo l'unità della fede nell'unità della cattedra romana. «Come non v'ha che un solo Cristo, così non v'ha che una Chiesa sola, una sola cattedra fondata sopra san Pietro per voce di Gesù Cristo; dunque un solo altare, un solo sacerdote: nè può esservene due, nè un altro differente, se non per rea demenza e sacrilega empietà. V'è un solo episcopato, una parte del quale è tenuta in solido da ciascun vescovo: in conseguenza una Chiesa sola, diffusa nella moltitudine de' membri componenti. Così dal sole partono molti raggi, ma un solo n'è il focolare; un albero ha molti rami, ma rampollano da un tronco solo, profondamente radicato; da una fonte molti rivi defluiscono, ma unica è la sorgente. Nè può un raggio separarsi dal sole, nè un ramo divelto più rampolla; e un ruscello deviato dalla sorgente inaridisce»43.
In Italia avea trovato molti seguaci Ario. Questo prete d'Alessandria d'Egitto pretese spiegare chi fosse Cristo, e mentre la Chiesa lo tiene come la conoscibilità divina, il pensiero eterno di Dio, coesistente coll'eterna sua attività, e della sostanza medesima ομούσιος, Ario riconosceva in esso la forza, la verità, l'avvenire, ma ne formava un essere distinto da Dio, benchè di sostanza analoga ομοιύσιος, il tipo che Dio creò per servir di modello alle creature. Alle donne domandava: «Avete voi avuto figliuoli prima di partorire? Così Dio non potette averne uno prima che il generasse». Gli uomini, che, fatti cristiani per l'esempio o per comando della Corte, non aveano studiato abbastanza per discernere il Cristo da uno di que' profeti che di tempo in tempo recano qualche nuovo schiarimento all'insolubile problema dell'umanità, gustavano le spiegazioni di Ario, che, pur mostrando conservare integro il valore dogmatico, levavano via la nube che la trinità delle persone recava all'unità di Dio. Non s'accorgeano che, se l'autor del cristianesimo non è dio, eguale e consustanziale coll'autor dell'universo, l'adorarlo è idolatria; più non esiste il mediatore divino che colmi l'abisso fra l'uom peccatore e Dio: e in conseguenza può ingannarsi quell'autorità suprema, sulla cui unità e infallibilità fondasi il cristianesimo.
Da questo intaccare la persona di Cristo, cioè i fondamenti della fede, il mondo fu commosso, e l'imperatore Costantino convocò un concilio universale, nel quale la Chiesa, rappresentante dell'umanità divinamente rintegrata nell'unità, si mostrasse una, riconoscesse qual era il comune consenso, e definisse che cosa credere sopra la natura del Verbo.
Era la prima volta che tutti i popoli conosciuti, diversi di leggi, d'usi, di civiltà, uniti in una fede, eppure indipendenti, inviassero deputati popolari a trattar del come credere, come adorare, come operare; e dove si proclamasse un simbolo d'unità universale. Trecendiciotto vescovi raccolti a Nicea (an. 325), dopo lungo contendere cogli avversarj, condannarono Ario, e compilarono il simbolo che precisasse la vera fede.
Ario non si diè vinto, e con sottigliezze argutissime e variate sedusse altri vescovi, e gl'imperatori. La tenue differenza tra ομουσιος e ομοιυσιος sfuggiva ai nostri, più positivi de' Greci, e meno eruditi e arguti nelle distinzioni; un simbolo in senso ariano fu sottoscritto da quattrocento vescovi (an. 358), e lo stesso papa Liberio, o ingannato o fiaccato dalla prigionia, parve aderirvi, ma appena fattone accorto si ritrattò. Bandi imperiali e carceri intervennero contro la parola consustanziale, e pretendeasi impor la fede co' soldati, «cattivi apostoli della verità, la quale non conosce altr'arme che la persuasione», come diceva sant'Atanasio, campione dei Cattolici in quel diuturno conflitto.
Teodosio, imperatore d'Oriente, decretò poi che tutti aderissero alla religione insegnata da san Pietro ai Romani, quale allora veniva professata da papa Damaso e da Pietro vescovo d'Alessandria; i seguaci di essa s'intitolassero Cristiani Cattolici; i dissidenti infamava col nome di eretici, e minacciava di castighi44. Invece l'imperatore d'Occidente Valentiniano II e sua madre favorivano l'arianismo, fino a pretendere che sant'Ambrogio vescovo di Milano cedesse a questi una delle due chiese, che eran allora in quella città. S'oppose egli con fermezza, e vinse, e finalmente nel concilio d'Aquileja potè asserirsi che più non esistevano Ariani fino all'Oceano.
Per sciagura i primi che apostolarono i Barbari settentrionali erano stati ariani, sicchè con essi quell'eresia tornò in Italia coi Goti di Teodorico e i Longobardi d'Alboino.
Vero è che il genio positivo degli Occidentali non sottilizzava tanto come gli Orientali; e i Padri latini cercavano piuttosto la legalità, senza artifizio di retorica nè raffinamenti di logica esponendo il dogma, ed appellandosi alla lettera scritta e all'autorità. Le eresie concernenti la natura dell'ente primo e necessario (Gnostici), o il Verbo (Ariani), o lo Spirito Santo (Macedoniani), o la maniera ond'è unita la divinità coll'umanità in Cristo (Nestoriani, Eutichiani, Monofisiti, Monoteliti) agitaronsi di preferenza in Oriente; mentre da noi discuteasi piuttosto sulla natura dell'uomo, perchè soffra tanti mali sotto un Dio buono; quanto negli atti suoi sia ajutato dalla Grazia, senza che questa ne inceppi la libertà. Sant'Agostino, ch'era stato valorosissimo oppugnatore de' Manichei, rifletteva che le quistioni relative alla creazione, all'origine dell'anima, agitate fra san Girolamo e Rufino in proposito di Origene, riguardano solo il passato, nè importano tanto come quelle della Grazia e della Redenzione, che conducono alla salute. Ma il problema della Grazia implica quello del generale sistema dell'universo, e può sollevare dubbj fin sulla personalità del creatore e sulla suprema misericordia, qualora nel libero arbitrio delle creature non si trovi il motivo delle miserie umane. E fu sant'Agostino che più di tutti penetrò nell'incomunicabile perfezione di Dio, nella sovranità assoluta e onnipotenza di esso: posando una vera teologia, cioè la conoscenza della natura divina.
La Chiesa assisteva nella sua maestà a quei dibattimenti, attenta a non imporre limiti alle credenze se non dove necessarj, nè volendo reprimere la discussione finchè si attenesse ai dogmi sanzionati; frenando i proprj difensori, anzichè spingere sulla via pericolosa delle teoriche, persuasa che il suo sposo la condurrebbe alla meta. Per conservare e consolidare l'unità eransi raccolti altri concilj ecumenici, cioè universali; il II a Costantinopoli (381), il III a Efeso (431), il IV a Calcedonia (451), importantissimi per la dogmatica cristiana e la gravità dei punti ivi discussi e definiti: in quello di Costantinopoli la divinità e consostanzialità dello Spirito Santo contro i Macedoniani; in quello di Efeso l'unità di persona in Gesù Cristo, avente ad un tempo due nature l'umana e la divina, cioè vero Dio Uomo, Verbo incarnato, contro Nestorio che del figlio di Dio e del figlio di Maria faceva due persone, fra loro amiche ma distinte; in quello di Calcedonia la distinzione delle due nature in Gesù Cristo e la verità e interezza dell'umana natura in Lui, contro Eutiche, il quale, dando nell'eccesso opposto a quello di Nestorio che l'unica persona di Gesù Cristo scindeva in due, le due nature di Lui confondeva in una, volatilizzando l'umanità del Redentore, e facendola assorta e consunta dalla divinità. Quest'ultimo concilio essendo stato tenuto contro gli Eutichiani, lasciò correre come alieni dal suo proposito tre punti che pareano favorevoli ai Nestoriani: cioè non proferì sentenza contro la memoria e gli scritti di Teodoro di Mopsuesta, già maestro di Nestorio ed infetto della stessa eresia e di pelagianismo; nè riprovò una lettera di Iba vescovo di Edessa, nella quale era lodato esso Teodoro, e vituperati san Cirillo e il concilio di Efeso tenuto contro l'errore di Nestorio; nè finalmente condannò gli scritti di Teodoreto, nei quali parimenti trovavansi cose contrarie a san Cirillo e al concilio di Efeso, e puzzanti di nestorianismo. Che anzi il suddetto concilio di Calcedonia assolse Iba e Teodoreto dacchè ebbero detto anatema contro Nestorio. Ora gli Eutichiani, per prendere una rivincita contro esso concilio che aveali condannati, misero in campo la causa di questi tre capitoli, e l'imperatore Giustiniano, lasciatosi persuadere che colla disapprovazione di que' tre punti avrebbe ridotto all'unità i nemici del concilio calcedonese, convocò un altro concilio ecumenico a Costantinopoli, e ve li fece condannare (542). I nostri non sapeano molto di greco, nè aveano letto Teodoro e Iba; sapevano solo che non erano stati condannati dal concilio di Calcedonia, del quale s'infirmerebbe l'autorità col riprovarli per secondare una prepotenza dell'imperatore. Incalzato dal quale, papa Vigilio li condannò, salva l'autorità del concilio di Calcedonia, e purchè non se ne discutesse in iscritto nè a voce. Questo partito era in se stesso ragionevole, perchè da un lato que' capitoli erano riprovevoli, dall'altro era rea l'intenzione di coloro che ne promoveano la condanna per iscreditare il concilio di Calcedonia; pure sulle prime disgustò tutti: i Cattolici per la condanna, i nemici dei capitoli per la riserva; e dal papa si segregarono (553) i vescovi dell'Istria, della Venezia, della Liguria, prendendosi a capo Paolino patriarca d'Aquileja, che in un sinodo provinciale (556) ripudiò il concilio di Costantinopoli come contrario a quello di Calcedonia, già ricevuto come ecumenico: onde comprometteasi l'infallibilità della Chiesa. Da principio i nostri sono scusabili: parendo s'intaccasse l'infallibilità de' primi concilj coll'aggiungervi o togliervi, personaggi di virtù e dottrina grandissima rifiutarono il quinto, e fra altri il celebre Cassiodoro, segretario di re Teodorico, e i vescovi santi Onorato da Milano, Massimiano di Ravenna; i papi stessi blandamente procedettero col patriarca e coi vescovi, discutendo con ardore le ragioni del loro operare. Ogni scusa cessa quando si separano dalla Chiesa universale, e condannano i propugnatori dell'opinione opposta45. Fatto è che questo sciagurato scisma durò fino al 698, quando un altro sinodo d'Aquileja accettò il concilio costantinopolitano, e ripristinò queste chiese nell'unità.
Però tutte le eresie, o concernessero Cristo, o la potenza divina, o la libertà umana, o la costituzione ecclesiastica, aveano faccie diverse, ma le code legate insieme46, secondo una frase ripetuta dai papi, giacchè riduceansi a sottomettere la fede al raziocinio, la universale credenza a particolari opinioni. Gregorio Magno, che vide terminato lo scisma dei tre capitoli, e che vietava d'affliggere verun cattolico sotto pretesto d'eresia, nè di usar violenza a scismatici, diede forma definitiva alla Messa, all'Offizio e a tutta la liturgia; e al canto impresse quel carattere solenne, al quale pur si ritorna dopo i traviamenti della moda e le frivolezze profane. Il popolo, che più volte egli avea nutrito col tesoro della Chiesa, dopo morto lo oltraggiò come prodigo, e volea distruggerne gli scritti: poi lo venerò come santo; consuete alternative; e fu messo quarto dottore della Chiesa con Ambrogio, Agostino, Girolamo.
Era egli riuscito a trarre al cattolicismo Teodolinda regina de' Longobardi, sul cui esempio tutta la nazione si convertì. Ciò non tolse che quei re, ambiziosi di formare un gran regno d'Italia, non minacciassero ed assalissero Roma. Questa città dipendeva sempre dagli imperatori d'Oriente, sicchè i papi non vi aveano sovranità principesca, bensì di dignità, sostenuta da immensi possessi non solo nella Sabina, ma in Sicilia, in Calabria, in Puglia, in Campania, in Dalmazia, in Illiria, in Sardegna, fra le Alpi Cozie e nella Gallia; possessi, all'antica coltivati per mezzo di coloni, sui quali il pontefice esercitava anche giurisdizione.
Oltre il governo di Roma e de' paesi meridionali, gli imperatori d'Oriente dominavano la Pentapoli di Ravenna (Ancona, Rimini, Pesaro, Fano, Sinigaglia) e l'esarcato, cioè il litorale della Venezia e il paese che poi si disse la Romagna e le Marche. Come gli altri alla violenza de' Barbari, così questi paesi erano esposti alla dotta oppressione di que' Cesari, che turbavano le coscienze ora col tipo, ora coll'ectesi, ora coll'enoticon, infine col proibire il culto delle immagini.
Questo culto era stato vietato dal legislatore degli Ebrei sia per la costoro proclività all'idolatria, sia per sceverarli viepiù dai Gentili, che confondendo la copia coll'originale, adoravano le effigie di Dio o dell'eroe. Ma i Cristiani, ricchi di spirito e aborrenti d'ogni idolatria, ben presto cercarono quelle del Redentore e dei cooperatori suoi, e se qualche Padre, per considerazioni particolari, ciò disapprovava, la Chiesa trovò inutile il divieto, ogniqualvolta non cadesse timore d'idolatria. Moltiplicaronsi dunque le figure de' santi e del Salvatore, le storie del nuovo e vecchio Testamento, opportune sì a dare alle arti belle il pascolo che aveano tratto fino allora dal gentilesimo, sì ad allettare gli occhi de' Barbari, che talvolta da una rappresentazione erano condotti a conoscere le morali verità del vangelo. Avendo un vescovo di Marsiglia spezzato alcune statue di santi perchè non fossero occasione d'idolatria, Gregorio Magno il rimproverò, mostrando come da tutta l'antichità le storie de' santi furono rappresentate in pittura, la quale all'ignorante serve come lo scritto a chi sa leggere47.
Si sarà abusato di questo, come d'ogni cosa umana, e prestato adorazione alla figura, destinata ad elevare verso l'ente supremo; ma un tale errore non potè divenire comune nei Cristiani: laonde i Maomettani che lor rinfacciavano d'essere idolatri, non aveano maggior ragione che quando li tacciavano di politeisti a causa della Trinità. Leone Isaurico, da pastore divenuto imperatore d'Oriente (717), pensò levar appiglio a quest'accusa col vietare le effigie devote, e mandò per tutto l'impero ad abbattere o bruciare quanto prima erasi venerato. Il popolo pronunziossi contro questo re teologo, l'intitolò spezza-immagini (Iconoclaste), repulsò la violenza colla violenza, onde l'imperatore fu costretto a moltiplicar ingiustizie e violenze, come chiunque tocca alla religione con potere profano.
Nello scompiglio cagionato dall'invasione dei Barbari, dove si schiantarono tutti i vincoli civili, unica la società cristiana era rimasta immobile, perchè fondata non su contingenze, ma su idee perpetue; alla forza opponeva freni di giustizia, d'amore, e consolidava l'unità e l'indipendenza propria, non coll'eccitare le antipatie, ma col connettere le nazioni tutte; e al governo de' Barbari, che, più o meno, era uno stato d'assedio imposto ai vinti da un esercito vincitore, affacciava esempj d'ordine, di pace, di personale dignità.
Le miserie del despotismo e la immoralità dei magistrati, regj o municipali, spingeano a ricoverarsi agli ecclesiastici, che seppero mantenersi indipendenti e onorati nelle relazioni civili e nella opinion pubblica. Già nella prammatica dell'imperatore Giustiniano è stabilito: «I giudici delle provincie vogliamo siano eletti dai vescovi e dai primati di ciascuna regione, idonei e sufficienti all'amministrazione locale, e tolti dalle provincie stesse che dovranno amministrare senza donativi: la conferma ne è data dai giudici competenti». Teodorico, benchè ariano, faceva scrivere a papa Giovanni II: «Voi siete guardiano del popolo cristiano: voi col nome di padre ogni cosa dirigete; a voi la sicurezza del popolo è dal cielo affidata; a noi spetta sorvegliare alcune cose, a voi tutto; spiritualmente pascete il gregge affidatovi, nè però potete trascurare ciò che riguarda il corpo, attesochè, doppia essendo la natura dell'uomo, un buon padre le deve entrambe favorire» (a. 534).
Pertanto gli ecclesiastici non usurpavano un potere, giacchè nol toglievano a nessuno; ma lo raccoglievano dal fango dove era caduto pe' suoi eccessi: acquistavano la superiorità naturale a chi è migliore.
Quando il regime sociale annetteva la giurisdizione ai possessi di terre, dovette la Chiesa studiar di accrescere i proprj, e così collocarsi colla più alta gerarchia anche umanamente. E infatto acquistò smisurate ricchezze, sì perchè sola ordinata fra il disordine universale, sì perchè coltivava i campi meglio che nol potessero i secolari, e li garantiva coll'immunità concessa ai possessi ecclesiastici: sia perchè la devozione, e l'idea allora dominante, dell'espiazione, induceva molti a lasciare i proprj beni alla Chiesa: altri ad essa li donavano per sottrarli alla rapina signorile, ricevendoli poi da essa come livelli, o feudi, o benefizj, protetti dall'immunità ecclesiastica.
I popoli nel pontefice non veneravano solo il vicario di Cristo, il depositario dell'eterna verità, ma il tutore universale, il freno de' prepotenti, l'oracolo della giustizia; i nuovi convertiti piegavansi a questo, dal quale eran venuti ad essi i missionarj, e deferivangli le cause più controverse. E a lui ricorsero nella persecuzione iconoclasta.
Gregorio II, invocato anche dai vescovi greci48, esponeva all'imperatore la dottrina della Chiesa cattolica su quel punto: e «se aveste interrogato persone intelligenti v'avrebbero chiarito che, se l'ignoranza può far credere che noi adoriamo pietre e muraglie o tavole, noi vogliam con esse unicamente commemorare coloro di cui esse portano il nome e le sembianze, ed innalzare il nostro spirito, torpido e grossolano. Tolga il cielo che le teniamo per Dei, nè poniamo in essi fiducia. Ma posti dinanzi a quella di Nostro Signore diciamo: Signor Gesù, soccorreteci e salvateci; a quella della sua Santa Madre: Santa Maria, pregate il figliuol vostro che salvi le anime nostre; ad un martire: Santo Stefano, che spargeste il sangue per Gesù Cristo, e presso lui tanta grazia avete, pregate per noi».
L'iconoclasta non usò altra risposta che quella usata da' prepotenti, obbedissero, o guai: e, «Manderò a Roma a sfrantumar le immagini di san Pietro, e il papa portar via carico di catene». Tutta Italia si mise in fuoco; Ravennati e Napoletani insorti uccisero l'esarca, i Romani trucidarono il duca Esilarato, venuto per arrestar il papa; e armati per difendersi, rifiutando il peccato e il tributo, gl'Italiani gridano non voler più il dominio di questi Greci, sprezzati come deboli, abborriti come eretici, ed eleggono magistrati proprj, invece di quelli venuti da Costantinopoli.
Qui sia lecito agli esageranti o vantare i papi d'aver voluto emancipar l'Italia dagli stranieri, o bestemmiarli d'aver voluto crearsi un dominio. Il vero è che Gregorio s'interpose fra il popolo e l'imperatore onde riconciliarli, e ne rintegrò l'autorità a Napoli e a Roma; ma nella sommossa gli ordini municipali aveano ricuperato i naturali poteri; popolo, consoli, nobili s'adunarono per condannar l'opinione che l'imperatore imponeva, e Gregorio si trovò naturalmente a capo d'una federazione di città, le quali non voleano nè sopportare il giogo bisantino, nè sottomettersi al longobardo, ma come simboli di libertà e nazionalità sostenevano Roma e il papa.
Gregorio III (731) ripudiò gli editti iconoclastici, e raccolti novantatre vescovi d'Italia, dichiarò anatema chi distruggesse, profanasse, bestemmiasse le immagini. Leone Isaurico s'accinse a ripristinar l'obbedienza colla forza, ma provò come feriscano le armi impugnate per la patria e per la religione.
Di questi dissensi pensarono trar profitto i Longobardi, che già, possedendo tanta parte d'Italia, miravano a ridurla tutta in loro servitù, acquistando anche Roma, Venezia e la Liguria: e violentemente invasero la Pentapoli e minacciarono Roma. I papi, vedendo pericolare l'indipendenza della Chiesa, e con essa i resti della civiltà latina, fecero quel che si è sempre usato da Narsete fino a Cavour; dapprima strinsero alleanza col re de' Franchi49, da poi l'invitarono a venir a reprimere gli oppressori d'Italia.
Gli Italiani dalla parte de' Greci vedevano decreti tirannici, avida burocrazia, teologastri armati; dalla parte de' Longobardi, barbari senza fede nè costumi, devastatori che spropriavano i possidenti, spopolavano le città a vantaggio di orde armate e di capitani sbuffanti; re che patteggiavano e mentivano, minacciavano e tremavano; a fronte a loro vecchi sacerdoti mansueti, venerandi pel carattere, per la pietà, per la scienza, che faceano processioni onde placar Dio e gli uomini, pregavano, esortavano, consigliavano, e rendevano ancora riverito al mondo quel nome di romano, che per altrui cagione sonava vilipendio.
Pertanto il pubblico voto si pronunziava pei papi, e pei Franchi, da essi invocati. In fatto Pipino, poi Carlomagno, sostenuti dalle simpatie nazionali, facilmente abbatterono i Longobardi, e ne distrussero il regno, e restituirono al pontefice quel che già era signoria de' Greci: sicchè i papi vi ebbero non soltanto il dominio utile, ma veramente la sovranità, e dissero, «La nostra città di Roma, o di Ravenna, o di Comacchio; il nostro popolo romano», e collocaronsi fra i principi della terra.
Questa tanto bersagliata sovranità temporale de' papi non è consacrata nè nella necessità, nè nel principio, nè dentro, nè fuori da verun dogma. La fede non dice che il poter temporale sia indispensabile all'esercizio dello spirituale: pure determina questo in modo che, date certe circostanze, non può venire esercitato se non da un capo che non sia suddito di altro re; laonde, senza che facciasi luogo ad eresia, la quistione implica la necessità di scegliere tra lo spirito della Chiesa e lo spirito della rivoluzione.
Volendo i papi rintegrare la grandezza romana, sicchè non restasse più l'Italia a dominazione di Barbari, ridestarono l'impero abbattuto, da questi, e Adriano papa incoronò Carlo Magno per imperatore d'Occidente.
Così originava quella sistemazione del mondo cristiano che durò tutto il medioevo. Secondo questa, ogni autorità deriva da Dio. E Dio l'affidò al suo vicario in terra, che virtualmente rimaneva capo dell'intera umanità, raccolta nella chiesa universale, e avea dal cielo la potenza spirituale e la temporale. La spirituale partecipa egli coi vescovi, che la esercitano sotto la sua supremazia; la temporale egli affida all'imperatore da lui consacrato, che, sotto la direzione del pontefice, dopo unto da lui, e giuratogli d'osservare la legge di Dio e le costituzioni de' popoli, diviene capo visibile della cristianità negli interessi terreni. Come tale, primeggia sopra tutti gli altri re: giusta il costume ecclesiastico, non è ereditario, ma scelto ogni volta, ogni volta coronato. Le due podestà s'appoggiano l'una l'altra, onde non possono separarsi; neppure possono distruggersi fra loro, diversa essendo la natura della loro giurisdizione. L'imperatore qualche volta pretenderà aver mano nell'elezione dei papi, ma questi zeleranno sempre l'indipendenza della Chiesa e de' suoi capi. Se l'imperatore viola la legge di Dio e i patti col popolo che lo elesse, il papa lo pronunzia decaduto, e lo separa anche dalla congregazione dei fedeli mediante la scomunica. Nei litigi fra l'imperatore e il popolo o i re, il papa proferisce come arbitro supremo, e con una sanzione spirituale50.
Un sacerdote, senz'armi, senza interessi domestici o dinastici, senza pregiudizj di nazionalità, che decide le contese fra' regnanti, intima l'onestà, la giustizia, la carità a quelli che non conoscono se non il capriccio e la forza; e gli obbliga a obbedire in nome di Dio; è un tipo sublime, che forse non fu mai attuato pienamente: ma esercitò ben maggiore efficacia che non i tanti altri sistemi, fantasticati per mantenere una libera alleanza fra i popoli civili.
Roma, dopo convertita, avea tenuta la Chiesa in dipendenza, come già soleva la religione nazionale: tal dipendenza ora cessava. Fra i popoli germanici antichi però i diritti e le funzioni ecclesiastiche erano mescolati col potere civile; sicchè, dopo fatti cristiani, ammettevano i vescovi ne' consigli del regno, come duchi e conti e re assistevano ai sinodi ecclesiastici, intrecciandosi lo Stato e la Chiesa, il cristianesimo e la nazionalità. I regni che formavansi di nuovo cercavano una sanzione col fare omaggio al pontefice e dichiararsene vassalli. Quando sol dalla scimitarra d'un soldato o dalla tracotanza d'un feudatario erano decise le controversie, la Chiesa conservava forme legali, esame di testimonj, scritture, contratti; sicchè fu un grande acquisto di libertà pei popoli e un gran ritegno ai principi l'estendersi del diritto canonico, complesso di ordinanze emanate dall'autorità più disinteressata.
I vescovi, in nome di questo diritto e pel carattere che rivestivano, come anche per la potenza cui erano saliti come grandi baroni ed elettori dei re, ammonivano i potenti qualora sviassero dalla giustizia; proteggeano la donna dagli arbitrj brutali; colla tregua di Dio e coll'asilo ne' luoghi sacri rimediavano alle guerre, incessanti ove vigeva il diritto del pugno, cioè della vendetta privata.
Qual meraviglia se il capo de' vescovi crebbe tanto di potenza? Questa non è nell'essenza della sua missione, ma non vi ripugna, e diveniva occasione di svolgere ed ampliare l'incivilimento. Roma provedeva anche ai più lontani popoli, ricevendo reclami, scrivendo, citando, mandando nunzj e istituendo tribunali di nunziatura ove nessun altro ve n'avea51; ponendosi arbitra nelle contese dei principi, o di questi coi popoli; dettando leggi comuni, fondate sulla giustizia eterna, e delle quali, anche in circostanze sì mutate, possono alcune trovarsi inopportune, nessuna ingiusta.
Se dunque l'autorità pontifizia giganteggiò, non fu un'ambizione, tramandata per mille anni da un all'altro de' papi, così diversi di origine, di patria, di regola, di costumi, di scienza, di partito, di umori, di passioni, eppure consenzienti infallibilmente nell'ordine delle cose superne; non un palmo di terra s'aggiunsero essi per via di conquista, durante il medioevo; variarono di politica nelle vicende terrene, or cacciati, or prigionieri, ora schiaffeggiati da que' potenti, sui quali imperavano assolutamente nelle materie religiose, e ai quali impedivano di rendersi tiranni.
Da questa mescolanza di diritti e d'interessi nascevano frequenti cozzi, che costituiscono una gran parte della storia del medioevo, e diedero origine alle eresie politiche, delle quali dovremo occuparci. E per ciò giova chiarire la natura di questo sacro romano impero, che col titolo stesso mostrava aspirare ad un primato morale, a modellare il consorzio laico sulla gerarchia ecclesiastica, introdurre ordine legale fra i popoli scomunati; lo che era pure l'intento de' pontefici. Quel primato non vuolsi confondere colla monarchia universale; bensì unificava la podestà laica per disciplinarla sotto la podestà di Dio: rendendosi venerabile non per soldati e forza muscolare, ma pel diritto e per l'idea del dovere, costituiva una gran federazione, dove, sotto un capo elettivo, poteva sussistere qualunque forma di governo; superiorità, non dominio, che rispettava le individualità delle nazioni, pur mettendole d'accordo nello sviluppare ciascuna la propria, e tutte la generale civiltà.
Degere quisquis amat ullo sine crimine vitam
Ante diem semper lumina mortis habet.
Illius adventu suspectus rite dicatus
Agripinus præsul hoc fabricavit opus.
Hic patriam linquens propriam, karosque parentes
Pro sancta studuit pereger esse fide.
Hic pro dogma patrum tantos tollerare labores
Noscitur, ut nullus ore referre queat.
Hic humilis militare Deo devote cupivit
Cum potuit mundi celsos habere grados.
Hic terrenas opes maluit contemnere cunctas
Ut sumat melius prœmia digna.... (polo? sibi?).
Hic semel exosum sæclum decrevit habere
Et solum diliget mentis amore Deo.
Hic quoque jussa sequens Domini legemque Tonantis
Proximum ut sesse gaudet amare suum.
Hunc etenim quem tanta virum documenta decorant
Ornat et primæ nobilitatis honor.
His Aquileja ducem illum destinavit in oris
Ut gerat invictus prœlia magna Dei.
His caput est factus summus patriarcha Johannes
Qui prædicta tenet primus in orbe sedem.
Quis laudare valet clerum populumque comensem
Rectorem tantum qui petiere sibi?
Hi sinodus cuncti venerantur quatuor almas,
Concilium quintum postposuere malum.
Hi bellum ob ipsas multos gessere per annos
Sed semper mansit insuperata fides.
Paolinisti e Fotiniani credeano Gesù Cristo semplice uomo, non preesistente alla sua concezione.
Simoniaci, derivanti da Simon Mago che a san Pietro offriva denari per ottenerne la facoltà di comunicar lo Spirito Santo, chiamansi quelli che fan mercimonio delle cose sacre, e più solitamente de' benefizj.
Gli Ariani negano la divinità di Cristo, e i Macedoniani la divinità dello Spirito Santo.
I Nestoriani dividevano la persona di Gesù Cristo, negando che in lui Dio e l'uomo fossero una persona sola; in conseguenza Maria non era madre di Dio.
Gli Eutichiani confondevano le due nature di Cristo, dicendo che una sola erasene fatta dalla natura sua divina e dall'umana.
Manichei e Marcioniti credeano a due principj indipendenti, l'uno del bene, l'altro del male; l'uno creatore dell'anima, l'altro del corpo; l'uno del nuovo, l'altro del vecchio Testamento.
Novaziano negava alla Chiesa l'autorità di rimettere i peccati. I Donatisti invalidavano il battesimo conferito dagli eretici. Aerio rigettava l'episcopato, il pregare pei morti, i digiuni stabiliti, e altre osservanze ecclesiastiche; Vigilanzio il culto delle reliquie e l'invocazione dei santi; gli Iconoclasti tutte le immagini.
I Pelagiani negavano il peccato originale e la necessità della grazia interiore.
I Semipelagiani ammettevano il peccato originale, e non negavano la necessità della grazia interna per compire la nostra salute, ma diceano ch'essa davasi per meriti precedenti, e che l'uomo comincia la salute sua da se medesimo, senza la grazia.
Più tardi Berengario negò la presenza reale e la transustanziazione: gli Albigesi rinnovarono le credenze de' Manichei, e i Valdesi quelle di Aerio e Vigilanzio.
Questi sono i principali eretici, ma l'enumerazione de' singoli è lunghissima, e può vedersi nel Dizionario delle eresie di Pluquet, e nella traduzione francese del Commonitorio di san Vincenzo di Lerins, fatta dall'abate Pavy, il quale ne annovera settantuna nel iv secolo.
Statuimus cum consensu et clamore omnium, ut tertio kalendas majarum (29 aprile) in Christi nomine hostiliter Longobardiam adissemus; sub hoc, quod pro pactionis fœdere per quod pollicimus et spondemus tibi, beatissimo Petro clavigero regni cœlestis et principi apostolorum, et pro te huic almo vicario tuo Stephano egregio papæ summoque pontifici, ejusque successoribus usque in finem sæculi, per consensum et voluntatem omnium infrascriptorum abatum, ducum, comitum Francorum, quod si Dominus Deus noster pro suis meritis sacrisque precibus, victores nos in gente et regno Longobardorum esse constituerit, omnes civitates atque ducata seu castra, sicque insimul cum exarcatu Ravennatum, nec non et omnia quæ pridem tuæ per imperatorum largitionem subsistebant ditioni, quod specialiter inferius per adnotatos fines fuerit declaratum, omnia quæ infra ipsos fines fuerint ullo modo constituta vel reperta, quæ iniquissima Longobardorum generatione devastata, invasa, subtracta, ullatenus alienata sunt, tibi, tuisque vicariis sub omne integritate æternaliter concedimus, nullam nobis nostrisque successoribus infra ipsas terminationes potestatem reservatam, nisi solummodo ut orationibus et animæ requiem profiteamur, et a vobis populoque vestro patritii Romanorum vocemur. Seguono i confini.
Sull'autenticità di questo documento vedi il Troya, e Brunengo, Le origini della sovranità temporale dei papi. Roma 1862.
Vuoi mantenere con tutte le forze la santa fede cattolica?
Vuoi esser difensore e protettore alle sante chiese e ai ministri di esse?
Vuoi al santo padre il pontefice romano riverentemente prestare soggezione e la fede dovuta; non violare la libertà ecclesiastica; mostrarti a tutti benigno, mansueto, affabile secondo la regia dignità; e condurti in modo da regnar a utilità non tua, ma del popolo tutto; ed aspettar il premio de' tuoi benefizj non in terra ma in cielo?
Dopo coronato, l'imperatore giurava: «Professo e prometto in faccia a Dio e agli angeli suoi, di osservare le leggi, far giustizia, confermar i diritti del regno, prestare il dovuto onore al pontefice romano e agli altri vescovi e vassalli; conservare le cose donate alla Chiesa».
Queste idee sulla distribuzione del potere non le deduco da teologi o romanisti; ma nello Specchio di Svevia, costituzione della Germania antichissima, è detto che Cristo, principe della pace, lasciò in terra due spade per difesa della cristianità; ed affidolle a san Pietro, una pel giudizio secolare, l'altra per l'ecclesiastico: la prima è dal papa imprestata all'imperatore (des weltichen Gerichtes Schwert darlihet der Papst dem Kaiser); l'altra rimane al papa affinchè giudichi stando s'un palafreno bianco, e l'imperatore dee tenergli la staffa acciocchè la sella non si scomponga; significando così che, se alcuno resiste ostinatamente al papa, l'imperatore e gli altri principi devono costringervelo colla proscrizione. Nessuno può scomunicar l'imperatore fuorchè il papa, e questo per tre sole cause: se dubita della fede vera; se ripudia la moglie; se turba le chiese e le case di Dio. Quando si scoprono eretici bisogna procedere contro di essi ai tribunali ecclesiastico e secolare; la pena è il fuoco. Ogni principe che non punisce gli eretici è scomunicato. E se fra un anno non venga a resipiscenza, il papa lo priverà dell'uffizio principesco e di tutte le sue dignità. Schilter, Antiq. Teuton., T. iii.