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DISCORSO IV
I PATARINI. GLI ORDINI MENDICANTI. LA SCOLASTICA.
Sebbene i nostri non s'ingolfassero in tante sottigliezze e sofisterie intorno alla divinità, alla natura sua, a' suoi attributi, quanto gli Orientali, più vicini a quell'India dove pajono naturali l'ascetismo, la contemplazione e l'idealità, pure, dall'impero greco, ove sempre vivea, trasmetteasi anche in Italia l'eresia, proveniente dall'antica Gnosi, e a guisa d'un vulcano dava fumo di tratto in tratto, come sentimento però, anzichè come idea pura. Claudio, di nazione spagnuolo, in Francia diresse la scuola istituita poco prima da Carlomagno, e predicava, e commentava le divine scritture, onde Lodovico il Pio lo propose a vescovo di Torino verso l'820. Quivi cominciò dal solito titolo di correggere abusi e superstizioni; e dicendo non dover le immagini usurpare il culto che a Dio solo è dovuto, le toglieva; spezzava le croci; non più feste di santi; non più lampade nelle funzioni, non pellegrinaggi a Roma; dal che passò anche a sostenere errori intorno alla divinità del Verbo. Il popolo suo ed i vicini gliene vollero male; Pasquale I lo disapprovò; molti scrissero sin dalle Gallie e dall'Irlanda, per difendere l'antica consuetudine, distinguendo il culto reso ai santi e agli angeli da quello alla divinità; adunatosi un sinodo, Claudio ricusò intervenirvi, chiamandolo congregationem asinorum. Morì del 830, e quanto riprovata dai Cattolici, tanto la sua memoria fu poi esaltata dai Protestanti, che, per la smania di darsi antenati, pretesero vedervi il fondatore della Chiesa valdese. Dalle confutazioni fattene allora non appare ch'egli negasse la presenza reale, o la transustanziazione, nè alcuno de' sacramenti, nè la primazia de' pontefici, nè asserisse la privata interpretazione delle sacre scritture, che sono i fondamenti del protestantismo.
A mezzo il secolo ix, Pietro vescovo di Padova scoprì nella sua diocesi una setta che ghiribizzava sulla Redenzione, e che solo cinquant'anni dopo fu dissipata dal vescovo Gozzelino. Nel mille, a Ravenna un Vilgardo sosteneva che la verità sta nei detti di Orazio, Virgilio, Giovenale, e si hanno a preferire ai dogmi cattolici75.
Eriberto da Cantù, operosissimo arcivescovo di Milano dal 1018 al 1045, seppe che alcuni eretici tenevano convegni nel castello di Monforte presso Asti, e citatone uno di nome Gerardo, l'esaminò sulla loro fede. La risposta fu: «Crediamo nel Padre, nel Figliuolo e nello Spirito Santo, che soli hanno la facoltà di sciogliere e legare; e il Padre è l'eterno, in cui e per cui tutte le cose sono; il Figliuolo è lo spirito dell'uomo, cui Dio amò; lo Spirito Santo è l'intelletto delle scienze divine, dal quale tutte le cose sono regolate: non riconosciamo il vescovo di Roma o verun altro, fuori d'un solo che quotidianamente visita i nostri fratelli per tutto il mondo, e gli illumina; e quand'è mandato da Dio, presso lui si trova il perdono dei peccati. Osserviamo la castità, benchè ammogliati; non mangiamo carne; digiuniamo strettamente; leggiamo ogni giorno la Bibbia; molto preghiamo, e i nostri maggiori s'alternano dì e notte nella orazione. I beni teniamo comuni; e il morir ne' tormenti ci è dolce per isfuggire i castighi eterni».
Di quest'eresia conobbe i pericoli l'arcivescovo, tanto che menò contro Asti i suoi vassalli, e presi per forza i miscredenti, nè potendo tutti indurli a ritrattarsi, non potè impedire che la nobiltà milanese li mandasse al fuoco, ch'essi subirono come un martirio. Ciò è riferito da Landolfo Seniore76, specie di spirito forte, al quale, come dicemmo, non possiamo concedere troppa fede; e certamente è fantasia di lui questo discorso.
Nella lotta fra gl'imperatori e i pontefici, l'opposizione a questi o risolvevasi in eresia, o almeno scassinava l'autorità pontificia. Tra quelle feconde contese ridestosi, il popolo veniva ad accampare gl'interessi e i diritti proprj là dove prima non discuteano che baroni, capitani e re. Allora, nel punto di smarrirsi, vie meglio si pronunzia il carattere di quel medioevo, cui i gran savj credono poter dispensarsi dallo studiare col dichiararnelo immeritevole. E davvero questa nostra età, tutta regia, tutta sistemazione legale, tutta decreti e volontà generale, dove l'inchinarsi agli impiegati disavvezza dall'inchinarsi a Dio, mal può comprendere quella ove dominava la più grande e la più libera varietà; un'aristocrazia affissa a titoli storici, e una democrazia con tutti i problemi e gli sperimenti moderni; insofferente di dipendenza, eppur venerabonda del valore; passioni energiche ad intraprendere con audacia e compire con mezzi violenti, poi tranquillantisi in un convento, fieramente espiando i fieri delitti, o frapponendo un intervallo fra le tempeste della vita e il riposo eterno; un'ignoranza alimentata da spettacoli strani, da credenze bizzarre, eppure avida di sapere, entusiasta per tutto ciò che avesse nome scienza; e che non conoscendo se stessa, e bramando di trovare un'armonia fra le istituzioni sociali, sentiva bisogno di lasciarsi guidare, se non potea farsi illuminare. Quindi affollarsi alle università per udire i gran sapienti; quindi accettare il miracolo come un fenomeno ordinario; rigide pratiche e penitenze esagerate, insieme con licenza gigantesca; pratiche empie e sordide, insieme con affettuose devozioni; mania del nuovo, con attaccamento al vecchio; ingenuità selvaggia di popoli nuovi, con raffinata corruzione di rimbambiti.
Il cristianesimo, dettando precetti morali purissimi in contraddizione all'indole e allo stato di quella società, e con istituzioni robuste ingiungendone l'osservanza, produceva quelle posizioni tanto strane, e que' contrasti tanto drammatici; ordine ed anarchia, santità e scostumatezza, carità e ferocia, nobilissimi concetti attuati selvaggiamente, come nelle crociate; insomma la barbarie temperata dal cristianesimo, e il cristianesimo contaminato dalla barbarie.
La moltitudine vivacchiava senza riflettervi; i più si sgomentavano o sbalordivano, ma altri ragionavano: e troppo scostansi dal vero coloro, i quali figurano che nessun dubbio siasi elevato contro la fede, dal perire del razionalismo antico fin al mostrarsi del moderno. Già nel xiii secolo, parlando di Federico II, trovammo il pensiero incredulo, che ripudia il fondamento stesso dei dogmi, e crede tutte le religioni sieno invenzioni umane, e l'una valga l'altra; donde l'indifferenza e il naturalismo, derivanti dalla scienza araba, ed espressi nel libro dei Tre Impostori.
Pietro Valdo, mercante di Lione, verso il 1180, venduti gli averi suoi, predicò che la Chiesa aveva traviato, e bisognava richiamarla alla semplicità evangelica, sbandendo il lusso del culto, la ricchezza de' preti, la potenza temporale de' papi. I suoi seguaci si dissero Poveri di Lione o Catari, cioè puri, e tanto erano persuasi di tener tutto quanto tiene la Chiesa cattolica77, e di non uscire dal vero, che chiesero al pontefice la permissione di predicare78: ma bentosto negarono l'autorità del papa, e dietro a ciò altri dogmi cardinali, e pretesero libera anche ai laici la predicazione.
Si vorrebbe da loro derivassero i Valdesi79, sopravissuti fino ad oggi, e dei quali avremo a dir molto in appresso: ma non che i loro laudatori, anche Bossuet vuole distinguerli affatto dai Catari, che inclinavano alle dottrine manichee.
Il problema che tormentò i pensatori d'ogni generazione, cioè «Come mai, sotto un Dio buono, tanti mali?» ne' primi tempi della Chiesa dai Manichei veniva sciolto trivialmente, supponendo due divinità, l'una autrice del bene, l'altra del male80. Vinti sin dai tempi di sant'Agostino, sopravvissero in Oriente, donde si propagarono all'Europa. Mescolandosi ai dogmi le leggende, favoleggiavasi esser Dio e il demonio coeterni, ed eguali in potenza. A Dio toccarono il cielo e gli angeli: al demonio la terra e le femmine. Attorno al muro, di cui Dio avea cinta la sua creazione, ronzava invidioso il demonio, e dopo centinaja di secoli accortosi d'una screpolatura in quello, mise per essa il capo, e lusingò gli angeli ad affacciarvisi, ed osservare le bellezze delle donne. Ottenne l'intento, e a frotte gli angeli ne sbucarono, e dai loro abbracciamenti vennero gli uomini, mescolanza di bene divino e di male diabolico. Iddio sdegnato sentenziò che nessuno più di quegli angeli penetrerebbe nella cerchia celeste, ma vagherebbero sulla terra, abitando corpi d'uomini e di bruti, fin al giorno del giudizio. Se non che anime elette scopersero certe formole di preghiere, certi atti, per cui le anime ottenevano di recuperare il paradiso: formole e atti custoditi appunto dalla setta de' Catari.
Queste credenze vissero sempre in segreto, e massime nella Tracia e nella Bulgaria. Di là, di tempo in tempo inviavansi missionarj di qua dell'Alpi, i quali vivamente ritraevano la purezza della Chiesa orientale, derivante (diceano) senza interruzione dagli apostoli; e recavano libri apocrifi e fantastici, profezie e vangeli, riferendosi a un pontefice supremo, successore di quello che san Paolo aveva istituito in queste contrade; santo come tutti i suoi, aborrente dalle sensualità, dalle ricchezze, dalle cure mondane.
E appunto dalla Bulgaria un tal Marco venne come vescovo a presedere alla Chiesa di Lombardia, della Marca e di Toscana. Ma un altro papa sopraggiunto, di nome Niceta, riprovò l'ordine della Bulgaria, e Marco ricevette quello della Drungaria, cioè di Traù in Croazia81. A Milano distingueano i Catari vecchi, venuti di Dalmazia, Croazia e Bulgaria, cresciuti singolarmente quando il Barbarossa li favoriva per far dispetto a papa Alessandro; e i nuovi, usciti circa il 1176 di Francia, che potrebbero essere gli Albigesi.
Perocchè nella Linguadoca, fra il Rodano, la Garonna e il Mediterraneo, ove le città aveano conservato gli avanzi delle istituzioni romane, opportune a nuovi incrementi della civiltà, s'erano svolti e grazia d'immaginazione e gusto delle arti e dei piaceri dilicati: ivi s'intesero i primi versi nelle lingue nuove, cantati sulla mandòla dell'elegante trobadore, che errava pei castelli celebrando l'amore e le prodezze, o satireggiando magnati e preti. Insieme eransi propagati alcuni errori, e perchè nella città di Alby, primamente furono tolti a condannare, quegli eretici vennero intitolati Albigesi. Pare tenessero alle opinioni manichee, ma impugnata l'autorità per appellarsi alla ragione individuale, doveano necessariamente variare in infinito: e frà Stefano di Bellavilla racconta, che sette vescovi si adunarono in una cattedrale di Lombardia, per accordarsi sugli articoli di loro fede; ma non che riuscire, si separarono scomunicandosi reciprocamente. Un libro depositario di loro credenze non ebbero: in coloro che li confutano e negli storici che raccolsero dal vulgo, li troviamo imputati di colpe le più contraddittorie; or proclamando creatore Iddio, ora il demonio; ora facendo Iddio materiale, ora riducendo Cristo stesso a null'altro che ombra; chi fa ammettere alla salute tutti i mortali, chi escludere le donne dall'eterna felicità; chi semplificare il culto, chi ordinare cento genuflessioni il giorno; chi licenziare alle voluttà più grossolane, chi riprovare persino il matrimonio82.
Quanto alla Lombardia, tre sètte primeggiavano: Catari, Concorezj, Bagnolesi. I Catari (si dicevano anche Albanesi, vulgare corruzione probabilmente di Albigesi) venivano suddivisi in due parzialità; alla prima era vescovo Balansinanza veronese, all'altra Giovanni di Lugio bergamasco. I primi dicevano eterno il mondo; i patriarchi ministri del demonio; un angelo aver portato il corpo di Gesù Cristo nell'utero di Maria, senza che ella v'avesse parte; solo in apparenza egli esser nato, vissuto, morto, risorto. Gli altri tenevano che le creature fossero state formate quali dal buono, quali dal tristo principio, ma ab eterno; la creazione, la redenzione, i miracoli erano accaduti in un mondo diverso dal nostro; Dio non essere onnipotente, perchè nelle opere sue può venir contrariato dal principio a sè opposto; Cristo aver potuto peccare.
I Concorezj ammetteano Iddio aver creato gli angeli e gli elementi; ma l'angelo ribellato e divenuto demonio, formò l'uomo e quest'universo visibile; Cristo fu di natura angelica.
I Bagnolesi facevano le anime create da Dio prima del mondo, e allora avessero peccato; la beata Vergine esser un angelo; e Cristo avere bensì assunto corpo umano per patire, ma non glorificatolo, anzi depostolo all'ascensione. A tutti costoro opponevasi la sètta de' Passaggini o Circoncisi, e poichè i Catari repudiavano il vecchio Testamento, essi pretendeano avessero validità fin le leggi penali di Mosè: poichè quelli supponeano che Cristo si fosse incarnato solo in apparenza (docetismo), essi lo riduceano ad uomo, siccome gli antichi Ario ed Ebione.
Frà Ranerio Saccone, che, dopo essere stato diciasette anni coi Catari, li confutò e perseguitò, sicchè poteva averne buona conoscenza83 li distingue affatto dai Valdesi, padri degli Albigesi. Sedici loro chiese annovera, delle quali sei in Lombardia; degli Albanesi, che stanno principalmente a Verona, e sono cinquecento; de' Concorezj, che fra tutta Lombardia sommeranno a un migliajo e mezzo; de' Bagnolesi, non più di ducento, sparsi a Mantova, a Milano, nella Romagnola; cento nella chiesa della Marca; aggiungansi altrettanti in quelle di Toscana e di Spoleto; un cencinquanta della chiesa di Francia, dimorano a Verona e per la Lombardia; ducento delle chiese di Tolosa, di Alby, di Carcassona; cinquanta di quelle di Latini e Greci a Costantinopoli; e cinquecento delle altre di Schiavonia, Romania, Filadelfia, Bulgaria. Questi quattromila (avverte l'autore) sono da intendere per uomini perfetti; giacchè di credenti ve n'ha senza numero.
Patarini furono detti da pati, perchè ostentavano penitenza; o dal pater, che era la loro preghiera84, ed infiniti nomi indicavano le varie sètte, de' Gazari, Arnaldisti, Giuseppini, Insavattati, Leonisti, Bulgari85, Circoncisi, Publicani, Comisti86, Credenti di Milano, di Bagnolo, di Concorezzo, Vanni, Fursci, Romulari, Carantani, e non so che altri.
Fra tante varietà come orientarsi? Sembra avessero comune la credenza nei due principj87, ed al malvagio essere dovuto il mondo e il vecchio Testamento. Appoggiati all'Obedire oportet magis Deo quam hominibus, si emancipavano d'ogni autorità terrena; non papa, non vescovi, non canoni o decretali, non dominio dei preti; i magistrati non possono imporre il giuramento nè alcuna punizione corporale; la Chiesa romana è una congrega di malignanti; non si dà risurrezione della carne; è ridevole la distinzione de' peccati in veniali e mortali; sono prestigi del diavolo i miracoli; non devesi adorare la croce, simbolo d'obbrobrio. Repudiavano l'estrema unzione, il purgatorio, e di conseguenza i suffragi pei morti, l'intercessione dei santi e l'Ave Maria: il battesimo conferito agli infanti non vale; i sacramenti non sono istituiti da Cristo, ma inventati dall'uomo; la loro validità dipende dal merito dell'operante, e possono essere amministrati anche da laici. Pel matrimonio basta il consenso de' contraenti, senza uopo di benedizione, e il Saccone dice condannavano chi ne usasse per altro fine che per aver figliuoli; il che è conforme alla superbia del mostrarsi superiori all'umana debolezza, alla quale risponde l'altro fine di calmare la concupiscenza.
Del sacramento dell'Ordine teneva luogo l'elezione dei loro gerarchi, che erano disposti in quattro gradi; il vescovo, il figliuolo maggiore, il figliuolo minore e il diacono. Al vescovo spettava l'imporre le mani, frangere il pane, dir l'orazione: mancando lui, suppliva il figliuolo maggiore, se no il minore o il diacono: e in difetto, un semplice credente e fin anche una catara. I due figliuoli coadjuvavano al vescovo, visitavano i fedeli. In ogni città aveasi un diacono per ascoltare i peccati leggeri una volta al mese; il che dai Lombardi (i quali appare da ciò ritenessero la distinzione dei peccati veniali) dicevasi caregare servitium. Il vescovo, avanti morire, inaugurava a succedergli il figliuolo maggiore, imponendogli le mani.
Quotidianamente, allorchè sedevano a mangiar di brigata, il maggiore fra i convitati sorgeva, e recatosi in mano il pane e il calice, proferiva: Gratia Domini nostri Jesu Christi sit semper cum omnibus vobis; spezzava quel pane, lo distribuiva, e quest'era la loro eucaristia. Il giorno della cena del Signore imbandivano più solennemente; e il ministro, postosi ad un tavoliere, su cui erano una coppa di vino ed una focaccia d'azimo, diceva: «Preghiamo Dio ci perdoni i peccati per sua misericordia, ed esaudisca le nostre petizioni; e recitiamo sette volte il Pater noster a onore di Dio e della santissima Trinità». Tutti s'inginocchiano; orato, sorgono; esso benedice il pane e il vino, frange quello, dà mangiare e bere, e così è compiuto il sacrifizio. Di presenza reale o transustanziazione, non parola.
Al confessore non rendevano minuto conto della loro coscienza, ma uno recitava a nome di tutti la formola: «Confessiamo innanzi a Dio ed a voi, che molto peccammo in opere, in parole, colla vista, col pensiero, ecc.». In casi più solenni il peccatore, presentandosi al cospetto di molti col vangelo sul petto, proferiva: «Eccomi avanti a Dio ed a voi, per confessarmi e chiamarmi in colpa de' peccati che ho fin ora commessi, e ricevere da voi la perdonanza». Era assolto col posargli il vangelo sopra il capo. Se un credente ricadesse, doveva confessarsene, e ricevere di nuovo l'imposizione delle mani in privato. I peccati leggeri confessavansi ogni mese, e si espiavano con astinenze.
Quest'imposizione, o consolamento, o battesimo di Spirito Santo, vero punto cardinale delle credenze e del culto loro, era necessario per rimettere il peccato mortale, e comunicare lo spirito consolatore; e fu per opporsi al consolamento de' Patarini che il concilio Lateranese IV ingiunse ai Cattolici di confessarsi almeno una volta l'anno.
I semplici credenti poteano menar tutta la vita senza astinenze o mortificazioni, e in piena licenza di costumi, nessun altro dovere religioso tenendo fuorchè il contribuire al mantenimento de' Consolati, riservandosi poi a cancellare ogni colpa in punto di morte col ricevere il consolamento. Perocchè, se uno dei perfetti imponga le mani a un moribondo, e proferisca l'orazione dominicale, quello va sicuro a salvazione.
Frà Ranerio aggiunge che, data la consolazione al moribondo, gli chiedevano: «Vuoi in cielo andare tra i martiri o tra i confessori?» Eleggeva i primi? lo facevano strangolare da un sicario a ciò stipendiato; eleggeva i confessori? più non gli davano bere nè mangiare.
Questa endura riscontrasi già prima in altri settarj, fondata sull'idea che una morte volontaria e violenta fosse meritoria: e poichè i risanati che, dopo ricevuto il consolamento, si fossero buttati al vizio, avrebbero dimostrato la poca virtù de' ministri di quel sacramento, forse voleasi evitarne il pericolo col sacrificare il consolato.
Vero è che siffatte atrocità gratuite sogliono apporsi dall'ignoranza o dalla malignità a tutte le congreghe secrete. E non c'è misfatto di cui non siansi tacciati i Patarini; essi ladri, essi usuraj, essi sovratutto carnali, adulteri e incestuosi in qualsiasi grado; con connubj promiscui e contro natura; non poter l'uomo peccare dall'umbilico in giù, perchè il peccato origina dal cuore. Finita l'assemblea spegneansi i lumi: e ciascuno abbracciava la prima donna che gli capitasse88. Ma come credere questa bacchica santificazione del libertinaggio, quando altrove, e ne' libri de' loro stessi nemici, troviamo che con penose astinenze reprimeano la carne, ribelle alla volontà ed opera del principio maligno; tre quaresime l'anno, perpetua astinenza da carni e latte, replicati digiuni, iterate preghiere?
Il Ranerio suddetto narra come, per l'iniziazione, adunati i credenti, il vescovo interrogasse il neofito: «Vuoi tu renderti alla fede nostra?» Questo afferma, s'inginocchia, e pronuncia il Benedicite; al che il ministro ripete tre volte «Dio ti benedica», ad ogni volta più discostandosi dall'iniziato. Il quale soggiunge: «Pregate Iddio mi faccia buon cristiano»; e il ministro replica: «Sia pregato Iddio a farti buon cristiano».
L'interroga poi: «Ti rendi a Dio ed al vangelo?» - Sì.
«Prometti non mangiar carne, ova, formaggio, nè d'altra cosa se non d'acqua o di legno? (cioè pesci e frutte)» - Sì.
«Non mentirai? non giurerai? non ammazzerai, neppure vitelli? non farai libidini nel tuo corpo? non andrai scompagnato quando puoi avere compagna? non mangerai da solo potendo aver commensali? non ti coricherai senza brache e camicia? non lascerai la fede per timore di fuoco, d'acqua o d'altro supplizio?»
Risposto che avesse il neofito secondo ciascuna domanda, l'universa assemblea mettevasi ginocchione; il sacerdote posava sopra il novizio il volume dei vangeli, e leggeva l'inizio di quello di san Giovanni, poi lo baciava tre volte: così facevano tutti gli altri, che egualmente si davano l'uno all'altro la pace: indi veniva messo al collo dell'iniziato un fil di lana e di lino, ch'egli non doveva levarsi giammai89.
Qui non v'è ombra delle sistematiche ribalderie, che trovansi in alcune professioni di fede, esibiteci da' loro antagonisti, secondo le quali gl'iniziati rinunziavano, non solo a tutte le sane credenze della religione, ma ad ogni costume, pudore, virtù. San Bernardo, implacabile indagatore di loro colpe, dice: «Non v'era cosa in apparenza più cristiana che i loro discorsi, nè più lontana da ogni taccia che i costumi loro». Il domenicano Sandrini, che potè a sua posta indagare gli archivj del Sant'Uffizio in Toscana, scrive: «Per quanto io abbia cercato ne' processi eretti da' nostri frati, non ho trovato che gli eretici Consolati in Toscana passassero ad atti enormi, e che si commettesse mai da loro, massime tra uomini e donne, eccesso di senso; onde, se i frati non si tacquero per modestia, il che non mi par credibile in uomini che abbadavano a tutto, i loro errori erano, più che di sensualità, d'intelletto».
Eppure contro tale asserzione starebbero alcuni processi, e recentemente fu pubblicato il formulario delle interrogazioni da farsi loro90, donde appajono quali ne fossero le opinioni più consuete. Dice:
Ai Lionesi può domandarsi: se sia povero di Lione, o lombardo, o oltramontano - se la romana sia la Chiesa di Cristo o meretrice - se il papa è nel luogo del beato Pietro, e se può perdonare più che altr'uomo - se alcuno è buono, e può salvarsi seguendo la fede della Chiesa romana - se avvi altri in terra in luogo di san Pietro che possa sciogliere e legare, e chi sia - se ogni uomo buono può consacrare anche non ordinato e da chi - se il cattivo sacerdote possa consacrare, e conferire gli altri sacramenti della Chiesa - se i bambini si salvano senza il battesimo della Chiesa romana - se la Chiesa di Dio venne meno dal tempo di san Silvestro, e chi la riparò - se papa Silvestro fu l'anticristo - chi successe a san Pietro nella potestà di sciogliere e legare - se i Poveri Valdesi, lombardi od oltramontani sieno la Chiesa di Dio - se la congregazione de' Catari sia la Chiesa di Cristo - se nella Chiesa di Dio vi debbano essere gli ordini e l'unzione. - Delle indulgenze e dei pellegrinaggi che fa la Chiesa, delle pitture, della croce, del viaggio in Terrasanta. - Delle contribuzioni della Chiesa romana, e del mangiar carni in quaresima. - Se san Lorenzo è santo. - Chi diede a te l'autorità di predicare? - Se è peccato mortale sposar una parente - se giova dir mille messe e dar mille lire pei defunti che sono in purgatorio - se alcuno, fabbricando a spese sue mille chiese, meriterebbe presso Dio - se alcuno peccherebbe mortalmente distruggendo tutte le chiese materiali, e bruciando tutte le croci. - Della giustizia, e chi t'insegna a dire che la giustizia è male. - Del giuramento per salvar la vita d'un uomo. - Se imparasti la credenza dei Poveri di Lione - se vuoi rinunziare, e stare ai precetti della Chiesa.
Le risposte possiam raccorle da un processo, formato il 1387, e tratto dalla stessa fonte, nel quale uno de' molti inquisiti confessa, che nell'assemblea de' Valdesi, insegnavasi che la loro setta è ottima, cattiva quella de' Cristiani, e che niuno si salva se non nella setta loro; che il sommo pontefice della loro setta, dimora nella Puglia, e che la Chiesa romana è Chiesa de' malignanti e congregazione di peccatori, dal tempo di san Silvestro in poi, e in lui essa fallì, sin quando essi la riformarono; che ogni giuramento è peccato mortale; che due sole vie ci sono, cioè paradiso e inferno; e purgatorio non è che in questa vita; limosine e pellegrinaggi non giovano ai defunti: Cristo non fu vero Dio, perchè Dio non può morire; chiunque della loro setta può consacrare il corpo di Cristo; non devono celebrarsi feste di santi, perchè nessuno entrò in paradiso, ma aspettano fino al giorno del giudizio, ecc.
Come avviene in quasi tutti i processi, vi fu un di cotesti ciarleri, che rinvesciano quel che sanno e che non sanno, e che, se pajono rivelare molti fatti, lasciano troppi dubbj sulla veracità di essi o sulla fedeltà della loro memoria. Qui fu un frate Antonio Galosna del Monte San Rafaele diocesi torinese, che, davanti al vescovo di Torino e a frate Antonio di Setto di Savigliano inquisitore, seppe enumerar tutte le moltissime persone che in varj paesi intervennero a quelle ch'ivi sono chiamate sinagoghe dei Patarini o Valdesi. Troppe sarebbero le interrogazioni e le objezioni che una processura odierna gli vorrebbe fare, ma noi dobbiamo tenerci alle sue risposte.
Da tredici anni dunque era terziario francescano, vestitone l'abito davanti l'altare di san Francesco in Chiari. Più d'una volta fu in casa di Martino del Prete di Vico (Ponte Vico?); il quale stando presso il fuoco, gli disse che in un libro avea trovato che la prima grazia ed il primo sacramento fatto da Dio fu ed è il pane; e questo è superiore ai sacramenti tutti. Allestita la cena, prese un pane, se lo pose sulle ginocchia, poi ne staccò tre bocconi, e ne diede uno ad esso rivelante, uno a un altro frate Antonio, uno alla moglie sua; ne staccò due altri, e un lo diede alla fante, uno lo prese egli stesso, facendovi prima il segno della santa Croce: essi lo riceveano a ginocchio, poi tutti bevvero. Tra il cenare, Martino cominciò a dire che gli ecclesiastici di fuori sono Dei, dentro son lupi rapaci: e narrò come egli e un frate Jacobo Bech di Chiari avessero concertato di far quivi una cappella per le preghiere e discipline loro: e in fatti questo Jacobo stette con Martino tutto l'inverno facendo penitenza, e camminando scalzo nella neve. Altra volta invitò questo frate Antonio a far vita seco, e che dovean adorare il demonio (draconem), ch'è più forte d'ogni cosa, combatte contro Dio e padroneggia il mondo. E cenando, Martino tenevasi accanto un gatto (murelegium) grosso come un agnello, e gli dava mangiare, e diceva che era il miglior suo amico in questo mondo. Esso Martino gli diede la facoltà di ascoltare le confessioni, quanto qualsiasi sacerdote, e gliela rinnovava d'anno in anno.
Lo condussero poi al luogo delle Macchie due uomini, che gli toccarono il dito auricolare come sogliono i Valdesi, (le donne invece toccano due dita) e il menarono in una casa ov'erano diverse persone, e una gli pose in mano un pane di frumento ch'esso benedisse e distribuì ai presenti, che lo baciarono, poi mangiarono; indi una vecchia mescè da bere a tutti.
In Avigliana molti conobbe, e vi predicò un lavoratore di pelli di pecora (pergamenos), dicendo che la grazia del pane è superiore a ogni grazia, al battesimo, alla fede cattolica: mangiarono il pane, bevettero, poi spensero i lumi dicendo: «Ognuno faccia quello per cui è qui: chi avrà tenga».
A Focardo assistette a una sinagoga, ove si disse che Dio non è nell'eucaristia, ma sta in cielo; che la Chiesa romana è casa di menzogna, riprovata da Dio; che nè papa, nè sacerdote può assolvere se non sia della loro setta; che due sole vie ci ha, paradiso e inferno, e non il purgatorio, e che non91 si devono fare esequie pei morti. Non essere peccato il dare a interesse dieci fiorini per undici o dodici; che nessun sacramento ha efficacia, salvo il battesimo; gli altri furono inventati per avidità de' preti. I santi non devono venerarsi nè accendervi candele, giacchè Dio solo può giovare. Frate Antonio promise a quel Martino del Prete di credere tuttociò, e d'adorare per Iddio il dragone che combatte con Dio e cogli angeli, ed è più forte.
A Susa fu due volte nella sinagoga, con osti, panattieri, calzolaj, sartori, fabbricanti di candele di sego, e donne merciaje, fruttivendole, ostiere.
Ben venticinque volte in un anno assistette alle adunanze in Andezzeno, e vi facea da portinaio, e quando la gente del paese erano iti a dormire, si accoglievano a mangiare e bere, poi spegnevano i lumi e «chi abbia tenga», e vi stavano fino a giorno. Bilia la Castagna dava a tutti una bevanda di brutta apparenza, e chi n'avesse bevuta di molto gonfiava: e se ne prendeva un centellino al principio dell'adunanza, ed era di tale efficacia, che, chi una volta n'avesse gustato, non potea più lasciar quella congrega: e correa fama che ella tenesse un grosso rospo sotto il letto, cui nutriva di carne, pane e cacio, per far questa bibita collo sterco di esso, mescolandovi capelli bruciati: e la facea nella notte avanti l'epifania, e la comunicava il primo di marzo. Altre donne sapean fare quell'ampolla. Da trenta persone, oltre le donne, s'accoglievano, ch'egli nomina, e a capo loro Lorenzo di Ormea, nelle cui mani esso rinnegò specialmente l'incarnazione di Cristo, la passione, risurrezione, ascensione, non potendo darsi che Iddio si umiliasse a tal segno: i sacramenti non giovare nulla alla salute. Ed esso Lorenzo diceva che Dio padre era creatore del cielo, ma della terra fu il dragone, signore di questo mondo, ov'è più potente di Dio.
Frate Antonio avea data la consolazione a moribondi della loro setta, fra cui Alassona la Lauriana di Andezzeno. Vittore di Andezzeno prese un boccone di pane, e le disse: «Credi che questo sia il più gran sacramento, e che questo pane è superiore all'eucaristia e agli altri sacramenti amministrati dai preti?» Essa rispose di sì, poi giunte le mani, prese con devozione, baciò e si pose in bocca quel pane. Essi le tirarono sopra il capo le coltri, in cui giaceva, e il domani fu trovata morta.
Ad altre congreghe assistette in Chieri, in casa di Berardo Rascherio, il quale diceva le stesse cose, e che Dio non nacque, nè morì, nè fu sepolto; che Maria non restò vergine; che, morto il corpo, è morta l'anima; poi seguivano il pane, la bevanda, il giuramento del secreto, e lo spegner dei lumi, e il mescolarsi per un'ora o due.
Da venti volte egli fu in Moncalieri, in casa di Elena scarpolina, ed erano moltissimi i settarj, ch'esso enumera, e che andavano a pochi per volta. Così a Candiolo, a Podrovarino, a Trana, a Sangano, ove Giacomo Doo ripeteva il pane essere il maggior sacramento, e doversi adorare il dragone ch'è più potente di Dio; purgatorio non v'è che in questo mondo; poi s'estinguevano i lumi e «chi ha tenga». A Giaveno, Ciaberto predicava le solite cose, e Cristo non essere stato concetto di Spirito Santo; e i precetti della Chiesa non legano le anime nè obbligano di colpa o pena qualunque, nè è peccato lavorare la festa, mangiar carni in vigilia o in sabato; Dio non può essere nel sacramento dell'altare; tutte le cose visibili sono create dal demonio; e così via. Supponeva che tutti quelli del vicino Balangero sono Valdesi e di siffatta credenza, come udì più volte rinfacciarglielo quei di Giaveno.
Il mirabile è l'esattezza con cui frate Antonio nomina non solo, ma descrive le varie persone de' varj luoghi, e così di Coazze, di Piossasco, di Pinerolo, ove l'adunanza teneasi in casa d'una beghina Coleta, e il pane era distribuito da Pietro di Belmonte di Pragelato. Tutto ciò diceva d'aver confessato appena gli fu minacciata la tortura, e d'averlo poi spontaneamente riconfermato, benchè i suoi settarj gli larghegiassero92 promesse onde negasse; e lo sostenne anche sotto nuova tortura, consistente nel metterlo supino, e sederglisi sul petto. Ma condotto davanti al principe del paese, cioè del Delfinato, professò che quanto avea detto era stato per le minaccie dell'inquisitore. Poi tornò a confessar tutto, dicendo lo avea negato per istigazione del carceriere e d'un foriero, che diceangli sarebbe stato condannato a morte se confessava.
Simili cose di eresia e valdesia depose di Feruzasco (?), di Castagnole, di Scalenghe, di Pianezza, di Alpignano: e in Germagnano della Val di Lanzo, in Avigliana, in Paglirino (Paglieres?), in Villar Almese, in Bubiana (Bobbio Pellice?), Porte, Caburro (Cavour), Campiglione93.
Fu poi, davanti all'arcivescovo di Torino e all'inquisitore Antonio di Setto di Savigliano, esaminato Giacomo Bech di Chieri; il quale dice essere secolare e ammogliato, non tenere veruna eresia, benchè abbia praticato con Martin del Prete e altri che poi intese colpevoli; nega aver fatto intelligenze con esso Martino, e da dieci anni non averne saputo più nulla. Interrogato su altre particolarità, or afferma or nega. Interrogato se crede che papa Urbano V coi cardinali, vescovi e preti sia la vera Chiesa cattolica; esservi il purgatorio; poter il sacerdote anche in peccato assolvere il penitente, e consacrare; che sia peccato l'usura; che deva adorarsi la croce, e venerare i santi, risponde di sì. Se fu in alcuna congrega di Valdesi, dice di no. Ma un mese dopo, senza tortura, confessa avere spergiurato; e che un trenta anni prima avea preso l'abito di quei che diconsi apostoli, o della povera vita, a Pontolino (?) nel contado di Firenze, dalla mano di Giovanni di Pronassio della riviera di Genova: e visse un anno coi fratelli, e ogni mattina davansi il bacio di pace, e faceano la confessione generale al modo loro, e baciavansi ogni volta che uscissero o rientrassero. Bisticciatosi, andò a stare a Perugia con altri che faceano la stessa vita, poi fu a Roma, tornò a Chieri, rivide Roma e Assisi, ed a Perugia trovò Pietro Garigh con dieci compagni, il quale gli narrò d'essere figlio di Dio, e costoro gli apostoli suoi. Egli non volle aggregarvisi: e anche a Chieri sollecitato da altri, rispose il farebbe se la loro dottrina fosse migliore di quella della Chiesa romana. Avendo giurato il secreto, essi gli esposero non aver Dio creato le cose visibili, bensì il diavolo, che n'era padrone, e che facea penitenza in questo mondo, finchè ritornerebbe in cielo: che l'uomo non consta d'anima razionale e di corpo, ma uno dei demonj peccatori si unisce col corpo, e lo anima; e quei che si salveranno riempiranno il vuoto degli angeli caduti. Il papa non è papa, nè la romana è la vera Chiesa; bensì la loro, e il loro maggiore; non s'ha a credere ai dodici articoli, nè ai sette sacramenti; non adorare la croce; non è peccato lavorare la festa; non vale l'assoluzione se non da chi è della loro setta; non v'è purgatorio o inferno se non in questo mondo; nè altri diavoli che gli uomini e le donne di qui. La donna gravida ha in corpo un diavolo, nè può salvarsi se non entri nella loro setta, il che fanno solo a ventiquattro anni; e prima restano a governo del diavolo; e il battesimo nulla giova se si muoja avanti. Chi della loro setta non riceve il consolamento in morte, il suo spirito rientra in un corpo dell'uomo o della bestia che prima ritrovi, finchè in morte non riceva la benedizione dal loro padre spirituale. Questo padre spirituale benedice il pane, di cui tutti i credenti mangiano ogni giorno almeno una bricciola. Non è peccato usare colla madre, la sorella, la figlia, nè il dare a usura, nè lo spergiurare avanti al vescovo o all'inquisitore, anzi è peccato irremissibile il discoprire sè o i suoi maestri. Pellegrinaggi, elemosine, indulgenze nulla approdano ai morti. Il diavolo fece Adamo ed Eva; profeti, patriarchi e fino san Giovanni Battista sono dannati; Mosè fu il maggior peccatore che fosse mai, e la legge ricevette dal diavolo. Non s'ha a credere la resurrezione della carne, nè il giudizio.
Ed egli, davanti a Giocerino dei Balbi di Chieri, a Pietro Patrizio, e ad uno Schiavone giurò credere tutto ciò sopra un grosso volume che chiamavano Libro della Città di Dio, nel quale registravano chiunque facesse tale professione. Poi da esso Patrizio fu mandato in Schiavonia onde perfezionarsi in questa dottrina in un luogo che dicesi Boxena (Bosnia?), sottoposto a un signore che chiamasi Albano di Boxena, dipendente dal re di Rascia: e colà andarono molt'altri Chieresi ch'e' nomina.
Oltre questa setta, nel Delfinato conobbe di quelli che chiamansi Poveri di Lione, e credette quel ch'essi.
Aggiungeva che, quando essi eretici di Chieri vedono alcuno de' loro maestri, e siano in luogo appartato, genuflettono dicendo: «Benedite, perdonate a noi bon christian», e il maestro risponde «Vi perdono»: ma se siano in pubblico, fan solo riverenza col capo. Anche costui declinò una lunga lista di eretici. In che consista il consolamento degl'infermi non sa, bensì che, prima di darlo, si fanno promettere dal malato, se campi, di non mentire mai, non mangiare che cibi quaresimali, non toccare mai persona d'altro sesso, morire piuttosto chè negare la fede, portare guanti per non toccare nessuno nè essere toccati. Dopo ricevuta la consolazione, il maestro gli domanda: «Vuoi essere martire o confessore?» Se dice martire mettongli l'origliere sopra la bocca, e vel tengono buona pezza mentre recitano certe preghiere, e se rimane soffocato lo dichiarano martire; se campa, chiamasi perfetto, ed ha autorità di dare ad altri la consolazione.
Se poi dica volere essere confessore, dura tre giorni dopo la consolazione senza cibo o bevanda, e osserva le predette regole, ed ha la stessa autorità: e viva o muoja, lascia tutti i suoi beni a quel che gli diede il consolamento. Il maestro che chiamano perfetto non deve peccare mai, nè toccare cosa immonda, lo perchè portano sempre guanti, e usano vasi apposta per mangiare e bere, lavati nove volte.
E scaltriva l'inquisitore che, negli esami di quei che chiamansi Gazari, non interroghi direttamente «Se' tu bene de' Gazari?» Il perfetto gli risponderebbe sì, poi null'altro più. Onde bisogna prima esortarlo, pel Dio in cui crede, a narrare la sua vita distintamente, e allora egli racconterà tutto senza mentire.
Tutto ciò egli ratificava ripetutamente e ad intervalli, senza minaccia di tormenti, protestando volere tornare alla verità. E allora pare gli fosse perdonato, ma postille in margine accennano ch'egli fu bruciato, e così Giovanni Bergezio e Martino del Prete.
La provenienza di questo processo rimuove i dubbj che suggerirebbe la critica sulla sua autenticità, e può rivelarci la parte vulgare di quella setta.
A più risolute opinioni trascorreano taluni, denominati La sètta dello spirito di libertà, che negavano eterna la dannazione; le anime purgarsi in questa vita, poi nell'altra, se alcuna macchia vi restasse, fino alla totale soddisfazione: Dio non poter venire offeso dalle creature, ma i peccati essere una purgazione dell'anima, inflitta da Dio: e peccati e vizj essere necessarj alla salute dell'anima, come la grazia, le virtù e le opere buone: nulla serve il libero arbitrio: le penitenze non sono necessarie nè utili se non ai perfetti, e così i sacramenti, eccetto il corpo del Signore; demonj sono i vizj e le passioni che ci affliggono; l'anima purgata ha presente Iddio, ne' diletti spirituali o carnali come nelle virtù e nelle buone azioni; la passione di Cristo non fu necessaria per evitare la dannazione, ma per provocare al bene.
Ma la colpa, onde più concordemente sono rinfacciati i Patarini, è l'ostinazione. Fra strazj e tormenti, al cospetto di morte obbrobriosa, non che convertirsi, più s'induravano, protestavansi innocenti, spiravano cantando lodi al Signore, colla speranza di presto congiungersi nel suo abbraccio. In Lombardia serbarono memoria d'una fanciulla, di cui la bellezza e l'età mettevano in tutti compassione e desiderio di salvarla. Perciò vollero assistesse, mentre padre, madre, fratelli venivano consunti dalle fiamme, sperando si sarebbe pel terrore convertita: ma no; poi ch'ebbe durato alquanto lo spettacolo, si svincola dalle braccia de' suoi manigoldi, e corre a precipitarsi nelle fiamme, e confondere l'ultimo suo coll'anelito de' parenti.
Questo ci è raccontato dal cremonese Moneta, il quale era patarino, e sentendo predicare in Bologna Reginaldo d'Orleans, si ravvide, ed entrato nell'Ordine prima della morte di san Domenico e fatto inquisitore della fede a Milano il 1220, tamquam leo rugiens si scagliò contro le eresie, e scrisse una Summa theologica94 contro i Catari e Valdesi, che dice nati a' suoi giorni.
Oltre scassinare i dogmi inerenti all'unità del sacerdozio per costituire società religiose speciali, gli eretici facevano guerra accannita alla Chiesa esterna, e pur troppo trovavano appiglio nello scompigliato vivere del clero, di cui e amici e avversarj si accordano ad attestare la depravazione.
Agli errori la Chiesa oppose da principio i rimedj che a lei convengono; riformare i suoi, ammonire o scomunicare i dissenzienti, crescere devozione alle cose che da quelli erano conculcate. La compagnia de' Laudesi, che s'univano per cantar pie canzoni, dalla Toscana erasi propagata nella Lombardia. Giovanni da Schio, il famoso paciere, instituì il saluto del Sia lodato Gesù Cristo. La venerazione verso il Sacramento fu cresciuta da miracoli che allora si narrarono: Urbano IV estese a tutta la Chiesa la festa del Corpus Domini, e Tommaso d'Aquino ne compose la magnifica uffiziatura.
A Maria poi si tributò l'entusiasmo, col quale i cavalieri veneravano le donne loro, e il dogma dell'immacolata sua concezione fu sostenuto fervorosamente dai Francescani; ad onore di lei si formò un salterio, sulla foggia del davidico; di lei parlarono san Pier Damiani, san Bernardo, san Bonaventura, con un ardore che rimembra quel dello sposo de' cantici; e fu una gara di circondarla colla poesia del perdono e con fiori di tenerezza. L'Ave Maria si rese generale verso il 124095. San Domenico introdusse, o piuttosto propagò il rosario; divozione cui fu poi connessa la ricordanza della vittoria di Lèpanto (1573), quella in cui fu decisa la superiorità dei Cristiani sopra i Turchi, nell'ora appunto che in tutto l'orbe cattolico recitavasi quella semplice formola di saluto, di congratulazione, di condoglianza, di preghiera. Maria ispira le opere d'arte d'allora: il suo scapolare, propagato dai monaci del Carmelo, orna il petto di tutti come una divisa di combattenti contro le passioni; ai tre ordini del Carmelo, dei Serviti, della Mercede sotto gli auspizj di lei, quello s'aggiunge dei Gaudenti, da Linguadoca passati in Italia, ove singolarmente si resero memorabili, e che continuavano a vivere nel mondo e nel matrimonio, «solo imposto (come scrive frà Guittone) odiare e fuggire il vizio, desiare e seguir la virtù, ed alcuna soave, soavissima regola, data in segno d'onestà, in remissione d'ogni peccato, ed in premio d'eterna vita».
Contro le eresie la Chiesa drizzò pure la santità e lo zelo dei frati. Questi, anche fra i disordini correnti, aveano sempre mantenuto fervore più operoso e rigidezza più esemplare. Di nuovi ne furono in quel tempo istituiti; gli austeri Certosini, i mistici Carmelitani, i pietosi Trinitarj del riscatto; gli operosi Cistercensi, opera di san Bernardo, introdussero o migliorarono la coltivazione in luoghi malsani; gli Umiliati arricchironsi coll'industria dei panni; aggiungansi i Servi di Maria in Toscana, i Silvestrini di Monte Fano nelle Marche, ed altre società, le quali eccitano le lepidezze e la compassione di un secolo e di giornali, che ammirano Federico II, Manfredi, Salinguerra, gli Estensi, i Da Camino ed altri ammazza uomini.
E già in tanti rami erasi esteso il viver monastico secondo la varietà degli intenti e dei mezzi, che Innocenzo III decretò non se ne introducessero altri; eppure sotto di lui nacquero due Ordini efficacissimi. In visione parvegli la basilica di San Giovanni Laterano crollasse, e la sorreggessero due persone, allora a lui ignote, e in cui poi riconobbe Francesco e Domenico. Il figlio di un agiato negoziante d'Assisi, condotto in Francia da suo padre, s'addestrò sì bene in quella lingua, che ne trasse il sopranome di Francesco. Balioso, vivace, compagnone, poeta, a venticinque anni sentesi chiamato da Dio, e rinunziato a tutto, fin alla famiglia, fa adottarsi da un pitocco, e non serbando che una tunica col cappuccio e una corda a cintura, nel mondo inebriato di ricchezze e di piaceri, esce a predicare la povertà; la pace nel mondo dell'ira, delle superbie, delle guerre; e con undici compagni si sottomette a così rigorosa abnegazione, da non considerare suo nè l'abito tampoco e i libri. Così fonda l'ordine de' Frati Minori, e il suo statuto comincia: «La regola de' Frati Minori è d'osservare il vangelo, vivendo in obbedienza senza nulla di proprio, e in castità». Chi v'entrasse dovea vendere ogni aver suo a profitto de' poveri, e subire un anno di pruove rigorose, prima di proferire i voti. Tutti essendo frati minori, gareggiavano d'umiltà, e lavavansi i piedi uno all'altro; i superiori chiamavansi servi; chi sa un mestiere può esercitarlo per guadagnare il vitto; chi no, vada alla busca, ma non di denaro. Neppur l'Ordine può possedere di là dal puro necessario. Prendano in ispecial cura gli esuli, i mendicanti, i lebbrosi. Chi malato s'impazienta o sollecita medicine, è indegno del titolo di frate, perchè mostra maggior cura del corpo che dell'anima. Non vedano femmine, e a queste predichino sempre la penitenza: che se alcuno pecca in esse, venga tosto espulso. In viaggio, null'altro che l'abito, nè tampoco il bastone; e se diano ne' ladri, si lascino spogliare. Non predichi chi non vi sia autorizzato; e prometta insegnare la dottrina della Chiesa senza formole di scienza profana, senza ambire suffragi. Un generale eletto da tutti i membri risiede a Roma, assistito da un consiglio, e da esso dipendono i provinciali e i priori. Ai capitoli generali prendono parte i capi di ciascuna provincia, i priori e i deputati dei monaci di ciascun convento. Ogni comunità tiene capitolo una volta l'anno: i superiori d'Italia si congregano ogni anno, e ogni tre quelli di là dall'Alpe e dal mare.
Allorquando Francesco si presentò al papa chiedendo riconoscesse il suo Ordine, cioè gli concedesse di pregare e mendicare e non posseder nulla, Innocenzo III esitava, parendogli che questi propositi trascendessero le forze umane; infine approvò solennemente questi Mendicanti (1215). Membri d'una repubblica che avea per sede il mondo, per cittadino chiunque ne adottava le rigide virtù: scalzi, col vestire dei poveri d'allora, coll'idioma dei vulghi, diffondeansi per tutto. Avendo per unica retorica una fede inconcussa e universale, e accettando tutto ciò che servisse all'edificazione, andavano a diffondere la pace, e spandere la rugiada della Grazia sovra le moltitudini, in prediche incolte, ma animatissime, e dirette a un uditorio che non vi portava la critica, ma la convinzione; al popolo parlando come esso vuol gli si parli, con forza, con drammatica, fino con vulgarità, destando al pianto e al riso col ridere e piangere essi medesimi; affrontando e provocando sia i tormenti sia le beffe. Egli stesso, il santo fondatore, se mai talvolta rompesse il digiuno, volea lo strascinassero per le vie, battendolo, e gridando al ghiottone. A Natale predicava in una vera stalla, e nel pronunziare Betlemme belava come un pecorino; e nel nominare Gesù leccavasi le labbra, quasi ne sentisse dolcezza. Poi alla sera di sua vita, portava le stigmate delle piaghe di Cristo, impresse sul proprio corpo.
Rinfrescatore mirabile del vangelo, a' suoi che inviava a predicare, diceva: «In nome del Signore camminate due a due con umiltà e modestia; in particolare con esattissimo silenzio dal mattino fino a terza, pregando Dio nel vostro cuore. Fra voi non parole oziose e inutili: ed anche per via comportatevi umili e modesti, come foste in un eremo o nella vostra cella; imperocchè in qualunque parte siamo, è sempre con noi la nostra cella, che è il corpo nostro fratello, essendo l'anima nostra l'eremita che dimora in questa cella per pregare e pensare a Dio. Perciò se l'anima non istà in riposo in questa cella, la cella esteriore nulla serve ai religiosi. Sia tale la vostra condotta in mezzo alla gente, che qualunque vi vedrà o ascolterà, lodi il celeste Padre. Annunziate la pace a tutti; ma abbiatela voi nel cuore non men che nella bocca, anzi più. Non porgete occasione di collera o di scandalo, ma colla vostra mansuetudine fate che ognuno inclini alla bontà, alla pace, alla concordia. Noi siamo chiamati per guarire i feriti e richiamare gli erranti; e molti vi sembreranno figli del diavolo, che saranno un giorno discepoli di Gesù».
E come i suoi frati, egli correva dovunque intendesse che v'era una bizza, una discordia, e cominciava: La pace sia con voi, e predicava l'amore, e intonava canzoni. All'amor suo non bastando l'abbracciare tutti gli uomini, lo estende ad ogni creatura, e vaga per le foreste cantando, e invitando gli uccelli, fratelli suoi, a celebrare il Creatore; prega le rondini, sue sorelle, a cessare il pigolio mentre predica; e sorelle son le mosche, e sorella la cenere. Una cicala canta? gli è stimolo a lodare Iddio; le formiche rimprovera di mostrarsi troppo sollecite dell'avvenire; storna dalla strada il verme che può esservi calpestato; porta miele alle api nell'inverno; campa le lepri e le tortore inseguite; vende il mantello per riscattare una pecora dal macellajo; il giorno di Natale voleva si porgesse miglior nutrimento all'asino e al bue; anche biade, vigne, sassi, selve, quanto hanno di bello i campi e gli elementi songli stimoli, ad amar Dio96; nell'orticello d'ogni convento de' suoi doveva riservarsi un'ajuola a' più bei fiori, per lodarne il Signore.
L'esuberanza di quest'affetto espandea Francesco in poesie, originali come lui stesso, ove niuna reminiscenza d'antichità, ma viva effusione di cuore, impeti d'amore illimitato: fu de' primi ad usar nelle laudi la lingua vulgare; e frà Pacifico, suo allievo, meritò la laurea poetica da Federico II. Così il padre serafico seguitò, finchè a quarantaquattro anni morì nel 1226. Per la sua Porziuncola aveva invocata dal cielo e dal pontefice un'indulgenza, a lucrar la quale non fosse mestieri di veruna offerta; e quando, al secondo giorno d'agosto, essa è proclamata nell'ora solenne dell'apparizione di Maria, una folla innumerevole accorre tuttora da quei fortunati contorni ad implorare l'effusione della grazia gratuita.
Quattro anni dopo l'approvazione, Francesco radunò il primo capitolo, detto delle stuoje, perchè tenuto in campo aperto sotto trabacche, ove cinquemila frati della sola Italia, e cinquecento novizj si presentarono; poi crebbero tanto, che, malgrado mezz'Europa perduta per la Riforma, dicono alla rivoluzione francese sommassero a cenquindicimila, in settemila conventi, suddivisi fra molte riforme.
L'altro apparso in visione a Innocenzo III era Domenico Gusman, illustre castigliano, assetato di amore e di patimenti, che introdusse l'Ordine de' Predicatori (1216), obbligato esso pure alla povertà, con cariche tutte elettive, e destinato specialmente alla scienza divina e all'apostolato. Mentre i Frati Minori preferivano la campagna e situazioni meravigliosamente belle, i Domenicani, diffusi rapidamente, nelle primarie città d'Italia ebbero grandiosi monasteri e templi magnifici97, prodigi dell'arte.
Onorio III diede poi ai Domenicani un'esistenza canonica, istituendo il maestro del sacro palazzo, gran dignitario della Corte, mentre è il ministro della giustizia papale per l'universo, da cui vengono a dipendere tutti quelli istituiti in ciascuna diocesi, in quanto non vi si oppongano gli anteriori diritti de' singoli vescovi. E la giustizia e l'istruzione erano gli attributi de' Domenicani che non doveano tanto tirar nella chiesa neofiti, come poi i Gesuiti, quanto conservare chi v'era. Essi diedero alla predicazione una forma più animata e dotta; tolsero al clero secolare il privilegio dell'alto insegnamento e la direzione delle coscienze; rappresentavano la regola stretta, il formalismo della lettera, la rigida repressione. I Francescani invece tendeano al misticismo, alla libera interpretazione del testo sacro, a dirigere gli spiriti verso l'ideale, fuor delle forme prestabilite.
Non sono dunque più i monaci ascetici, stiliti, anacoreti dell'Asia e dell'Africa; non gli studiosi e faticanti di san Benedetto o di san Bernardo; ma poveri mendicanti, viepiù potenti sul popolo, il quale venera un'indipendenza acquistata con sacrifizj volontarj: onde li consultava, divideva con essi il pane, dalla Providenza compartito; e in quegli atti di astinenza e di abnegazione riconoscea l'amore, e nell'amore la virtù. Diffusi pel mondo, nella reggia come nella capanna, senza domicilio fisso, seminando dietro di sè la parola che salva, alle eresie oppongono la predica, l'associazione; inoltre l'esempio del massimo disinteresse e della maggior costumatezza. Deperisce il sentimento dell'autorità? e i frati rinnegano la propria per far la volontà d'un altro, ch'esso pure dipende da un superiore, e questo da un altro, finchè s'arriva al pontefice, da cui tutto e tutti rilevano. Quel rinunziare volontariamente al creato per amor del Creatore, esprimeva non solo lo spogliamento, ma l'amore dello spogliamento. Così ridotto, l'uomo non è più esposto a quella comune tentazione, per la quale, allorchè abbia detto «Ciò è mio», facilmente passa a dire «Ciò son io, è l'esser mio, ingrandito e nobilitato»; non trovasi grande per nascita, per eredità o posti, ma per la sola grandezza vera dell'uomo, quella dell'anima. Oggi che, in un'esistenza laboriosa, avvelenata dalle cure materiali, non possiam intendere quella guerra dichiarata ai sensi, si ripete che il denaro produce indipendenza. Ebbene, questi frati la godeano perchè, non avendo cosa da perdere, sfidavano i potenti o i rapaci a far loro paura.
Non incardinati a una chiesa come i preti, non appartenenti a una provincia ad un reame, assumevano tutti i pesi del clero senza i vantaggi; anzi, coll'umiltà e povertà correggevano di quello l'orgoglio, che era uno de' più forti appigli per gli eretici. Poveri, penitenti, assistendo al popolo nelle tribolazioni e benedicendone il tripudio, contrastando ai tiranni, specchi di bontà e di dottrina, ecco perchè gli Ordini dei Minori e de' Predicatori tanto poterono, e divennero il più valido sostegno della Santa Sede; e per ciò li troveremo i più osteggiati dagli avversarj della Chiesa.
A chi nella storia riconosce qualcosa di più nobile e liberale che non l'accidente o la fatalità, non isfuggirà come quest'istituzione, tanto favorevole al potere dei papi, e che forse ritardò di tre secoli il distacco luterano, al pari d'altre istituzioni a pro del pontificato, venne da persone estranie e private, non già dai papi, non da ambizione nè calcolo loro, siccome sogliono gli ordimenti che i re e i ministri fanno per ampliarsi in potenza.
E subito destarono meraviglia e simpatia nei migliori98, e in folla attrassero pii ed illustri proseliti, professori, architetti, medici, filosofi, tra i quali il maggior mistico san Bonaventura, il maggior ragionatore san Tommaso, il ravvivator delle scienze sperimentali Ruggero Bacone, e cardinali, e principi, e re, e regine. Ciò chiuda la bocca al frivolo beffardo, provando ch'erano in armonia col tempo, soddisfaceano a bisogni veri delle anime, e profittavano alla società quale allora si trovava. E i chiostri erano allora l'asilo de' maggiori filosofi, i quali, ammiratori di Dio mentre il mondo dilagava di sangue, passavano la vita nella contemplazione del bello, nella ricerca del vero, nella pratica del bene; e dai chiostri uscirono i più vigorosi campioni della verità, e ampliatori della civiltà, quali furono i teologi.
Nella teologia dogmatica bisogna distinguere l'elemento immutabile e sostanziale, cioè il vero rivelato e quel che ad esso s'attiene: e l'elemento mutabile, quasi accessorio, che è lo sviluppo scientifico d'esso vero rivelato, la forma di esso. Il primo nè scema nè progredisce; il secondo varia col tempo e cogli uomini. Quello è oggi qual fu al tempo di Cristo e degli apostoli, coi quali fu compito e suggellato; l'altro si modifica e si modificherà sotto l'azione permanente dello Spirito Santo, e per cagioni diverse. In quello il semplice credente e il più profondo teologo sono eguali; per l'altro differiscono grandemente. Questo sviluppo scientifico ebbe due periodi ben distinti eppur connessi: quello dei Santi Padri e quello degli scolastici.
Il medioevo avrebbe potuto produr teologi sì grandi come i primi secoli? era assai tener viva la face della civiltà e delle credenze fra il turbine della barbarie. I teologi studiavano nella Scrittura e ne' Padri, con poca invenzione e poca filosofia, contentandosi di compilare o copiare. Pur v'ebbe taluni che tentarono qualche sistema; poi nel xi secolo ricompajono i grandi teologi. Tal fu Lanfranco di Pavia (1005-89), divenuto abate di Bec in Normandia, poi arcivescovo di Cantorbery, che, dagli affari pubblici non distolto, risuscitò l'arte critica, applicandola ai testi che l'eretico Berengario aveva falsati per negare la presenza reale nell'eucaristia; riprovando la sottigliezza dei tropi e dei sillogismi e l'inane fallacia della dialettica di Aristotele, chiama sapiente chi conosce e glorifica Dio, e pienezza della dottrina l'intenderne il mistero e la sapienza.
Discepolo suo e successore, Anselmo d'Aosta (1033-1109), con dolce calma e fermezza, intelletto elevato, cuor puro, carattere amabile, per sagacia e pietà fu chiamato un secondo Agostino, e sulle traccie di questo diede dimostrazioni ancora venerate sopra l'essenza divina, la trinità, l'incarnazione, la creazione, l'accordo del libero arbitrio colla Grazia. Mettendo in iscena un ignorante che cerca la verità colla scorta dell'intelletto puro, vuol mostrare che la ragione non prova, ma comprova le verità rivelate; e protestando insieme che la fede non cerca comprendere, ma pur movendo dal credere, tende all'intelligenza, chiaramente determina i confini della filosofia e della teologia.
Lo stolto che dice Non v'è Dio, bisogna abbia l'idea d'un essere a tutti superiore, anche quando afferma che non esiste. Ma l'affermare che non esista quello che si chiarisce, è assurdo; è poi contradditorio ne' termini, atteso che quest'ente, presupposto superiore a tutti, resterebbe inferiore a un altro, che a tutte le perfezioni congiungesse l'esistenza. Voi riconoscete l'argomento svolto poi da Cartesio; sicchè un monaco del xi secolo trovava, e preciso esponeva la prova più compiuta e soddisfacente dell'esistenza di Dio, cioè elevava la coscienza fino alla nozione dell'essere, e sopra un concetto della ragione edificava una teologia dottrinale.
Altri si volgeano ad enucleare credenze particolari di mezzo alla generale, seguendo lo spirito di controversia introdotto dalla scolastica.
Da Boezio, ultimo filosofo latino, era stata resuscitata la stretta dialettica, che l'italioto Zenone d'Elea aveva insegnata. Di essa erasi giovata assai la sapienza greca; ma se si restringe a pure forme e categorie, impaccia la ragione mentre intende soccorrerla. Entrata poi e divenuta dominante nelle scuole d'Occidente, ne prese il nome di scolastica, che esprime ad un tempo e l'uso il più poderoso, e il più inane abuso che siasi fatto mai dell'umano raziocinio.
Questa geometria della ragione mette innanzi, precisamente formolato, il suo teorema, da principj inconcussi deduce illazioni con raziocinio serrato, senza abbellimenti nè svaghi, valendosi solo di parole chiaramente definite, eliminando le idee vaghe e i termini equivoci, e procedendo sempre dal noto all'ignoto. Tali principj non potea darli che la rivelazione. Movendo da questi, la scolastica limitavasi a difendere e chiarire dogmi parziali, a vedere in che modo accettar la rivelazione e conoscere il sentimento comune; esercitandosi sulle due nozioni fondamentali del creatore e della creatura, per trovarne e chiarirne la relazione, ch'è la fonte d'ogni morale, e conciliare la fede rivelata colla ragion pura e coi fenomeni della vita esterna; sospendendo ogni disputa non appena la Chiesa avesse sentenziato.
Ma mentre sant'Anselmo sosteneva doversi credere ai misteri prima di analizzarli colla ragione, Roscelino prendeva le mosse da un ordine puramente logico, e distruggeva i misteri della fede col pretesto di spiegarli. Era Aristotele che prevaleva a sant'Agostino; e la scolastica più non si propose soltanto di rendersi conto dei dogmi riguardati come incontestabili, di elevarsi dalla fede all'intelligenza, come ne' migliori tempi; ma prendea le mosse dall'ordine logico e psicologico, dalla coscienza, da una specie d'esperienza, non impugnando i dogmi, anzi cercando metterli in armonia colle teoriche razionali, pure non prendendoli per base e termine delle sue speculazioni, e formando una filosofia umana.
La Chiesa non vi si era opposta; solo avvertì che v'ha dei limiti insuperabili, e vigilava che l'orgoglio non urtasse il dogma. Alcuni vollero trascenderli, e ne nacquero gli errori de' Nominalisti e de' Realisti, lo scetticismo d'Abelardo, il panteismo di Amalrico di Chartres. La Chiesa condannò questi abusi della dialettica, eppure lasciolla applicare alla teologia.
Allora rinacquero gli abusi della sofistica greca. Il minuzioso speculare, disgiunto dall'applicazione, dalla sperienza, dall'erudizione, da ogni bellezza; il sillogizzare non tanto per raggiungere la verità, quanto per uniformarsi a certe regole, o per avviluppare gli avversarj; il puntigliarsi in frivole distinzioni fin di sillabe, congiunzioni, preposizioni, e innestare alla logica quanto di vano comprendevano la grammatica e la geometria, colla presunzione di dimostrare ogni cosa, perfino i contrarj; insomma l'assumere la disputa per iscopo, non per mezzo, e confondere il metodo colla sostanza, faceva invanire e delirare nella presunta onnipotenza della dialettica, e separava la teologia speculativa dalla pratica, l'argomentatrice dalla mistica. La Bibbia diveniva un arringo di disputazioni, secondo che gli uni vi rintracciavano il senso letterale, altri l'allegorico, altri il mistico. Che cosa faceva, e dove stava Iddio prima di creare? se nulla avesse creato, qual sarebbe la sua prescienza? v'ha tempo in cui egli conosca più cose che in un altro? potè egli fare le cose in altro modo da quel che le fece? e che non sia ciò che è? e, per esempio, che una meretrice sia vergine? Iddio, incarnandosi, si unì all'individuo od alla specie? il corpo di Cristo alla destra del Padre sta seduto o in piedi? e le vesti con cui comparve agli apostoli dopo risorto erano realtà od apparenza? e le assunse con sè in cielo? e ve le tiene ancora? e nell'eucaristia sta nudo o vestito? che divengono le specie eucaristiche dopo mangiate? in qual maniera s'operò l'incarnazione nel seno di Maria? san Paolo fu rapito al terzo cielo nel corpo o senza? il pontefice potrebbe cassare i decreti degli apostoli, e formare un articolo di fede? o abolire il purgatorio? è semplice mortale, o una specie di divinità?
Ricondurre le quistioni teologiche al punto ove i Padri le aveano lasciate fu l'assunto di Pietro Lombardo (1160), povero fanciullo novarese, divenuto vescovo di Parigi. Nei quattro libri Sententiarum raccolse in un ordine alquanto arbitrario le proposizioni de' santi Padri intorno ai dogmi, sicchè non rimanesse che d'applicarle nelle varie quistioni. Ma poichè delle difficoltà esposte non porgeva la soluzione, apriva campo a troppe sottigliezze, per quanto egli richiamasse continuo verso gli studj positivi e i monumenti della prisca filosofia cristiana. Inoltre dava egli stesso in certe speculazioni che noi possiamo dire curiose: «Iddio padre generando suo figlio, generò se medesimo o un altro Dio? generò di necessità o di volontà? è Dio spontaneamente o necessariamente? Gesù Cristo potea nascere d'una specie d'uomini differente dalla stirpe d'Adamo? potea prendere il sesso femminile?» Quando la logica gli paresse condurre a conclusioni diverse dalla fede, conchiudeva: «Su questo punto amo meglio udire altri, che non parlare io stesso». Fu intitolato il Maestro delle sentenze, divenne testo delle scuole, ebbe replicate edizioni ne' primi tempi della stampa, e forse quattrocento commentatori, e fin a mezzo il secolo passato l'università di Parigi ne celebrava l'anniversario con esequie assistite da tutti i bacellieri licenziati.
Censurare la scolastica per gli abusi che ne derivarono, è ingiustizia come di chi condannasse la letteratura odierna per la prostituzione de' giornali. È vero che tali ginnastiche sono pericolose, nè impunemente s'irritano i dilicati muscoli della credenza, e difficilmente si ha la debita riverenza per un dogma che fu maneggiato con troppa famigliarità; ma è vero altresì che gli scolastici successero ai santi Padri nell'ufficio di conservare, trasmettere, propugnare la fede; ed è loro merito l'aver raccolte in un sol corpo di dottrina tutte le verità rivelate, sparse in tanti volumi quanti sono i monumenti della tradizione; ridottele in pochi, ordinate con sistema scientifico, espresse con preciso e chiaro linguaggio. Insomma la scolastica, nella parte sua viva, fu il trionfo della ragione applicata alla rivelazione.
In ciò il maggior merito va a quel che può asserirsi il maggior filosofo del medioevo, e fors'anche dell'evo moderno, san Tommaso (1227-74). Nato dai conti d'Aquino, pronipote di Federico Barbarossa, cugino di Enrico VI e di Federico II, discendente per madre dai principi normanni, abbandona delizie e speranze per vestirsi domenicano, e ben presto mostrò intelletto filosofico s'altri mai, erudizione estesissima, passione de' grandi risultamenti. A quarantun anno si propose, coi materiali sparsi della scienza, coordinare in sistema compiuto la teologia e la filosofia, compendiando in un volume i conflitti che da dodici secoli la Chiesa sosteneva intorno ai cardini della fede, e quanto aveano insegnato, approvato, riprovato i Padri, i dottori, i papi, i concilj, in maestosa sintesi tendendo a riprodurre l'ordine assoluto delle cose. Dio uno, la Trinità, la creazione, le leggi del mondo, l'uomo e l'angelo, la natura e la grazia; e opporre la verità agli errori moltiformi del Corano99, del Talmud, del manicheismo. All'ispirazione ed elevazione dei primi Padri non assurge egli, ma fedele al sillogismo, porge formole dotte e profonde distinzioni. Vastissimo il concetto generale, finissime le particolarità; non c'è massima nella Scrittura e nella tradizione, non idea nella coscienza, non errore nelle menti ch'egli non abbia discusso, sopra ciascuno recando le opinioni antiche e moderne, vere e false, la tesi e l'antitesi; e con un buon senso calmo, imparziale, senza sistematiche esclusioni, adottando tutto ciò ch'è vero, approvando tutto ciò ch'è buono. Mentre d'Aristotele repudia la metafisica, ne adopra la dialettica e il potente argomentare sillogistico, tanto opportuno a dissipare il sofisma.
Ecco con qual metodo procede. Enuncia, per lo più in forma di quistione, il teorema che intende dimostrare; poi espone e sillogizza tutte le opposizioni filosofiche con tal franchezza e lealtà, che poterono da lui attingere eresie ed objezioni quanti ebbero la mala fede di sopprimere le risposte. Vi contrappone (sed contra) passi d'Aristotele, della Bibbia, dei Padri, principalmente di sant'Agostino: quindi (conclusio) pronunzia la sua decisione in termini concisi, enucleandoli poi dialetticamente, e non di rado con poche parole d'inarrivabile precisione snodando avviluppatissimi problemi; donde passa a sciogliere per ultimo con facilità le opposizioni che avea messe innanzi sul principio della quistione.
Ch'egli si occupasse di scienze al tempo suo non esistenti, o usasse un linguaggio che l'età sua non gli dava, chi lo pretenderebbe? mentre eccitano meraviglia la chiarezza, la brevità nervosa, la schietta indagine della verità, che con bella e profonda definizione egli fa consistere in un'equazione tra l'asserto e il suo oggetto100.
Scienza di Dio, dell'uomo, della natura, la teologia risale a Dio per contemplarlo, e col raggio che ne attinge discende la scala del creato, illuminando le sfere inferiori. Tra i corpi assolutamente materiali e il mondo delle pure intelligenze, riflesso della vita e delle perfezioni di Dio, sta l'umanità, partecipe degli uni e degli altri; tre mondi, connessi da legami infiniti, donde risultano l'ordine naturale e il soprannaturale, e in seno all'opera di Dio nasce l'opera dell'uomo, mediante la libertà creata. Di qui la mescolanza di bene e di male, di verità e d'errore, che costituisce la storia umana. Delle creature, alcune sono assolutamente immateriali, altre materiali, altre miste, e nel formarle Iddio si propose il bene, cioè d'assimilarle a sè. Del qual bene partecipano anche i corpi, in quanto possedono l'essere, e sono l'effetto della bontà divina; e concorrono alla perfezione dell'universo, che deve contenere una gradazione d'esseri, gli uni subordinati agli altri, secondo che sono più o meno perfetti. Chi li consideri uno ad uno, non vede che l'inanità: ben altrimenti da chi li guardi come istromenti degli spiriti: avvegnachè tutto ciò che si riferisce all'ordine spirituale, mostrasi più grande quanto più viene conosciuto.
Centro e compendio della creazione è l'uomo, il cui spirito vive di triplice vita, la sensiva, la vegetativa e la razionale, la qual ultima ancora si divide in intelligente e volitiva. Alla volitiva san Tommaso assegna norme rettissime, giacchè fondate sugli insegnamenti della Chiesa: e canoni della società, che i più sodi e i più liberali non furono forse mai dati da altri101.
Ciò sia detto per coloro, che non vogliono considerar tampoco la scolastica come il maggior tentativo fatto di sostenere il dogma col raziocinio, costruendo sistemi di metafisica trascendente, che non provano ricchezza di scienza storica e filologica, ma suprema sottigliezza d'ingegno102.
Que non volìa maudire, ni jurar, ni mentire,
Ni ahountar, ni ancire, ni prenre de l'autrui,
Ni venjar se de li sio ennemie,
Illi disent quel ès Vaudès e degne de meurir.
Giulio Perticari (Dell'amor patrio di Dante, c. xii), dice la Nobla leçon «scoperta non ha guari a Venezia», mentre fin nel 1669 ne dà degli estratti Giovanni Leger.
Nella parola valdese alcuno vorrebbe sentire il tedesco Wald, foresta.
Cataro in greco vuol dire puro, e forse presero tal nome per la pretesa innocente vita. Sant'Agostino già denomina Cataristi i Manichei. De hær. Manich. I Tedeschi chiamano ancora Ketzer gli eretici.
M. C. Schmidt, Hist. des Cathares ou Albigeois.
J. Venedey, Die Pataria im XI und XIX Jahrhundert. Parigi 1854.
È da notare che anticamente i Druidi chiamavansi Pataru o Pateri, forma di patres.
Cieco era il mondo, tu failo visare (vedere);
Sceso ad inferno, failo al ciel montare.
Dante pone un magnifico elogio dei due patriarchi in bocca a san Tommaso e a san Bonaventura nei canti X e XI del Paradiso. Di san Francesco conchiude:
Pensa oramai qual fu colui, che degno
Collega fu a mantener la barca
Di Pietro in alto mar per dritto segno.
E questi fu il nostro patriarca:
Perchè, qual segue lui com'ei comanda,
Discerner puoi che buona merce carca.
E a san Bonaventura, lodando san Domenico, fa dire:
Si movea tardo, sospettoso e raro,
Quando lo imperador che sempre regna
Provvide alla milizia, ch'era in forse
Con due campioni, al cui fare, al cui dire
Lo popol disviato si raccolse.
Sulle dottrine di Averroè dovremo tornare, onde giova notare come Guglielmo di Tocco, autore della vita di san Tommaso, enumerando le eresie vinte da questo, pone in primo luogo quella di Averroè «che insegnava esservi un intelletto solo: errore sovversivo del merito de' santi, giacchè allora non v'avrebbe differenza tra gli uomini». E prosegue: Mirum est quam copiose sanctus Thomas in illam vanissimam sententiam semper inveheretur. Captabat ubique tempora: quærebat occasiones unde ipsam traheret in disputationem: pertractam vero torquebat, exagitabat, monstrabatque non a christiano solum, sed ab omni quoque alia, peripateticaque præcipue philosophia dissentire. Bolland, Acta Sanctorum Martii.
«Due cose devono avvertirsi intorno al buon ordinamento del principato in qualunque città e nazione: la prima, che tutti ottengano qualche parte nel principato, lo che mantiene in pace il popolo, e fa che tutti amino e difendano l'ordinamento. L'altra riguarda la forma del reggimento. Ottimo principato è dove uno presiede a tutti secondo il merito, e dopo lui governano altri secondo il merito; il qual principato è di tutti, perchè tutti possono essere eletti, e tutti partecipano all'elezione». Quest. 105, I della 2a, art. 1.
Ottima è la sua osservazione intorno allo svilimento de' caratteri, prodotto dall'assolutismo: sotto il quale, dic'egli, gli uomini in servilem degenerant animum et pusillanimes fiunt ad omne virile opus et strenuum. De reg. pr. L. I. 3.