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DISCORSO V
ORIGINE DELL'INQUISIZIONE. SEGUE DE' PATARINI. LA GUGLIELMINA.
La verità non sarebbe verità se ciò che se ne scosta non fosse errore: nè l'errore sarebbe errore se non cagionasse disordine. In conseguenza l'autorità tutrice dell'ordine sociale deve reprimerlo. In tempo che tutto avea per meta il cielo, sicchè chi mettesse impacci all'arrivarvi era il gran nemico della società, bisognava collocare sotto la guardia delle leggi la fede, come la vita, la roba, l'onore.
Che la società pagana non tollerasse le religioni diverse dalla legale, è attestato non meno dal supplizio di Diagora e Socrate, che dalle migliaja di martiri. I Padri della Chiesa proclamarono la libertà delle credenze, finchè la loro fu perseguitata; ma come prevalse, e gli eretici sorsero a turbarla, argomentarono che il reprimere gli errori fosse diritto e difesa legittima contro della persecuzione e della seduzione. Se la Chiesa è unica depositaria e interprete della verità, e soltanto in essa vi è salute, non dovrà ella con ogni modo opporsi alla propagazione dell'errore? Gl'imperatori di Roma cristiani, memori di quando univano i due poteri di capi dello Stato e supremi pontefici, moltiplicarono decreti in tal proposito; due Costantino, uno Valentiniano I, due Graziano, quindici Teodosio I, tre Valentiniano II, dodici Arcadio, diciotto Onorio, dieci Teodosio II, tre Valentiniano III, tutti inseriti nel codice Giustinianeo. Diverse pene comminavano agli eretici, di rado la morte, perchè i vescovi professavansi avversissimi al sangue: a questi era affidato il decidere se un'opinione fosse ereticale; al magistrato secolare l'avverar il fatto, e dare la sentenza.
Così procedette la cosa nel declino103 dell'impero occidentale; così continuò in Oriente. Ma fra noi, dopo l'invasione, se accadeva di punire un violamento di leggi ecclesiastiche, i vescovi usavano quell'autorità mista di sacro e di secolare, che ad essi era stata attribuita, e talvolta ancora, considerando l'eresia come politica disobbedienza, la reprimevano colla forza, siccome dicemmo aver fatto Eriberto arcivescovo di Milano.
Ridesto il diritto romano, come alla tirannia, così vi si trovò appoggio alle persecuzioni contro i miscredenti, poco ricordando che la legge d'amore aveva abolita quella fiera legalità. L'imperatore Ottone III poneva Gazari e Patarini al bando dell'impero e a gravi castighi. Federico Barbarossa, tenuto congresso a Verona con papa Lucio III nel 1184, ordinò ai vescovi104 d'informarsi per sè o pei loro delegati delle persone accusate d'eresia, distinguendo i convinti, i pentiti, i ricaduti; quelli convinti sieno spogliati dei benefizj se religiosi, e abbandonati al braccio secolare; i sospetti si purghino, ma se ricadano, vengano puniti senz'altro. Federico II, al tempo della sua coronazione fulminò pene temporali contro gli eretici, e le ripetè da Padova con quattro editti, ove, «usando la spada che Dio gli ha concesso contro i nemici della fede», vuole che i molti eretici ond'è singolarmente infetta la Lombardia, sieno presi dai vescovi e dati alle fiamme ultrici, o privati dell'organo della lingua.
È questa la prima legge moderna di morte contro i miscredenti: e veniva da un re accusato di enormi eresie dai contemporanei, e dai moderni offerto modello di liberalismo antiecclesiastico. Egli stesso fece da papa Onorio III rimproverare le città lombarde per averlo impedito di procedere, come si era proposto, contro l'eresia105: all'arcivescovo di Magdeburgo, legato in Lombardia, impose di usar il massimo rigore106; e l'ordinò nelle Costituzioni del regno di Sicilia, dolendosi, che dalla Lombardia, ove n'era il semenzajo, i Patarini fossero largamente penetrati in Roma e perfino nella Sicilia107 e a perseguitarli spedì l'arcivescovo di Reggio e il maresciallo Ricardo di Principato. Nè men severi editti fece Ottone IV108; da cui Giacomo vescovo di Torino, sgomentato109 dell'aumentarsi de' Valdesi fra le Alpi, ottenne ampia facoltà di espellerli dalla sua diocesi110. Sull'esempio e coll'autorità dei decreti imperiali, le varie città emanarono statuti contro gli eretici.
Questi aveano per centro Tolosa; e già potemmo vedere come impugnassero la giustizia, la proprietà, la famiglia, la facoltà di punire, insomma i fondamenti della società. Come nemici della società consideravansi dunque, e Federico II, nella succennata costituzione, che passò nel diritto comune per quasi tutta Italia, ordina a' suoi uffiziali d'investigare contro gli eretici, anche senza denunzia e sopra sospetti per quanto leggieri, ponendo l'eresia fra i delitti pubblici (inter cætera publica crimina); anzi lo giudica più orribile che la lesa maestà: e fin agli ecclesiastici comanda di esaminare se vi avesse offesa anche contro un solo articolo di fede: a viris ecclesiasticis et prælatis examinari jubemus.
Eresia era titolo che applicavasi a qualunque errore. Si sa che, nella dieta di Roncaglia, Martin Gosia definì che l'imperatore è non solo signore di tutto il mondo, ma anche di tutte le cose de' particolari. Or bene, il famoso Bartolo non solo adottò quella sentenza, ma dichiarò eretico chi credesse altrimenti.
L'eresia era dunque civilmente delitto: e Luca di Penna, per dirne uno dei cento, dichiara «il misfatto d'eresia esser massimo e pubblico, per offendere la maestà divina, e conturbare l'unità della Chiesa: aversi in esso a procedere per inquisizione, e quelli che da' giudici ecclesiastici son dichiarati rei, se non s'accusano e ritornano in seno della Chiesa, siano dichiarati eretici, e consegnati al giudice secolare, che deve bruciarli e incamerarne i beni, come nel misfatto di maestà».
Da questi mali volendo Innocenzo III sbrattare la vigna di Cristo, spedì monaci a predicare, esortando i principi a secondarli; e quando Ranerio e Guido inquisitori avessero scomunicato uno, i signori doveano confiscargli i beni e sbandirlo, e far peggio a chi resistesse. Di qui cominciò la crociata contro gli Albigesi, che non è da questo luogo il raccontare, ma dove la religiosa serviva di mantello alla quistione di nazionalità. La Francia, smaniando ottenere quell'unità, che molti agognano oggi a qualsiasi costo anche per l'Italia, voleva sottomettere la Provenza e la Linguadoca, che avvezze alle romane, repugnavano dalle ordinanze germaniche del paese settentrionale, e quell'occasione sembrò opportuna. La spedizione fu segnalata dagli orrori delle guerre civili e dello stato d'assedio, ma solo gli adulatori dei re potrebbero riversarne ogni colpa sul papa e sulla religione. Oggimai la storia accertò che Innocenzo, mal informato delle iniquità commesse da ambe le parti, non avea mai cessato di predicar pace e moderazione, e dopo che i crociati ottennero vittoria, spedì legato a latere il cardinale Pietro di Benevento, affinchè riconciliasse colla Chiesa gli scomunicati, e riducesse Tolosa a repubblica indipendente, purchè convertita dagli errori anticristiani e antisociali; assolse i capi dell'insurrezione, e al figlio di quel Raimondo da Tolosa ch'era stato principale capo della guerra, prodigò consolazioni, assegnò il contado Venesino, Beaucaire e la Provenza, e ripeteva: «Abbi pazienza fin al nuovo concilio».
Sotto i papi succeduti, la guerra fu proseguita colla ferocia delle nazionali, finchè la Provenza restò sottoposta affatto al re di Francia. Questo re era san Luigi, e al nuovo acquisto volle accomunare i provedimenti che vegliavano in Francia, dove l'eresia, secondo il diritto comune, era considerata delitto contro lo Stato, e punita del fuoco. Romano, cardinale di Sant'Angelo, raccolse un concilio, dove si stabilì che i vescovi nominerebbero in ciascuna parrocchia un sacerdote con due o tre laici, per inquisire gli eretici, e farli noti ai magistrati; punito chi ne celasse alcuno; distrutta la casa dove uno fosse côlto.
Sono i fieri ordinamenti coi quali si svelle la ribellione, e pur troppo li vediamo e li deploriamo oggi stesso minacciati e applicati, nel meriggio dell'ostentata civiltà, e per cause assai meno certe, in questa povera Italia.
Il tribunale dell'inquisizione fu dunque una corte speciale in paese sovvertito da lunga guerra e da rinascenti sollevazioni. Invece delle precedenti stragi armata mano, e dei consigli di guerra senza diritto di grazia, l'Inquisizione era esercitata da ecclesiastici, gente più addottrinata e meno fiera; ammoniva due volte prima di procedere; solo gli ostinati e recidivi arrestava; riceveva al pentimento chiunque abjurasse, e spesso contentavasi di castighi morali; col che salvò moltissimi, che i tribunali secolari avrebbero condannati. Gregorio IX poi, ad istanza del famoso teologo Rajmondo de Pegnaforte, la sistemò col togliere ai vescovi la processura, e riservarla ai frati, che così all'uffizio di combattere colla parola gli eretici unirono quello di farli ricredenti o castigarli. Al priore de' Domenicani in Lombardia il papa dirigeva la bolla Ille humani generis pervicax inimicus, costituendolo esecutore contro gli eretici111. Dappoi Innocenzo IV, con editto del 1251 da Brescia, ripartì le provincie fra Domenicani e Francescani, a questi la Toscana, a quelli la Lombardia, la Marca Trevisana, la Romagna, dando ai provinciali podestà d'istituire inquisitori apostolici dapertutto, fuor della Sicilia ove n'aveano privilegio i re: il vescovo dovea aver parte nel giudizio; le comunità pagare le spese: e in xxxi capitoli, dappoi modificati perchè trovarono reluttanza ne' magistrati, si diedero norme a tutti i rettori, i consigli, i comuni per consolidar esso tribunale.
I frati costituivano una specie di giurati, circolanti al modo delle assisie, e che aveano giurisdizione su tutti i laici, non esclusi i dominanti, ed anche sul basso clero. Arrivato in una città, l'inquisitore convocava i magistrati; e li facea giurare d'eseguire i decreti contro gli eretici, ed ajutare a scoprirli e coglierli; se alcuno renuisse, poteva sospenderlo e scomunicarlo, e mettere all'interdetto la città. Le denunzie, che non poteano essere anonime, aveano effetto soltanto quando il reo non si presentasse di voglia; scorso il termine, era citato; e i testimonj interrogavansi coll'assistenza dell'attuaro e di due ecclesiastici. L'istruzione preparatoria riusciva sfavorevole? gl'inquisitori ordinavano d'arrestar l'accusato, più non protetto da privilegi od asili. Cólto che fosse, nessuno più comunicava con esso, faceasi la visita della sua casa, e il sequestro de' beni.
Appoggiavasi l'inquisizione al diritto civile: e nella Maestruzza112 è definito: «Secondo la legge, indovinatori e malefici dee essere a loro mozzo il capo, s'ei vi caggiono: e se eglino vanno a casa altrui; debbon essere arsi: e i loro beni debbono essere messi in comune. Ma secondo la Chiesa, gli è tolta la comunione, se egli è notorio; ma se egli è occulto, imponsegli penitenza di quaranta dì (cap. 42). Degli indovinatori e sortilegi gl'inquisitori non possono e non debbono intromettersi, se già manifestamente non temessero alcuna resia. Coloro che ricaggiono nella resia di prima, la quale avevano negata, si debbono mettere nelle mani della signoria secolare (cap. 91).
La colpa dunque era civile, la Chiesa non facea che mitigar la pena, poichè i pentiti assolveva, anche i recidivi procurava riguadagnare. L'inquisitore dovea dichiarare che l'accusato fosse veramente eretico, e quindi non più appartenente alla Chiesa: da quel punto diveniva reo di Stato: e lo Stato non eseguiva la sentenza dell'inquisizione, ma applicava la pena stabilita dalla legge.
Una costituzione di Celestino III e d'Innocenzo III, accolta nel Diritto Canonico113, distingue le procedure per accusa secondo il codice romano, quelle per denunzia, quelle per inquisizione; ma in tutte sono pubblicate le testimonianze, ammesse le difese e il dibattimento. Gli eretici dunque, giudicati secondo la legge canonica, poteano conoscere i testimonj e l'accusatore, aver un consiglio, e pubblico dibattimento. Solo quando lo stabilirsi dei principati sminuiva la pubblicità, propria del medioevo, Bonifazio VIII dispensò gl'inquisitori da tante formalità qualunque volta ne derivasse pericolo ai testimonj114: Innocenzo VI, dichiarando che tal pericolo può presumersi sempre, generalizzò la riserva, e di qui venne la procedura secreta, per quanto vi ostassero i legisti e la nobiltà e gli uomini comuni, che si trovavano esposti all'arbitrio. Piantato un tribunale, potea sperarsi disforme dagli altri del suo tempo? onde vi si videro rinnovate tutte le sevizie de' processi di Roma pagana, e il cavillo, e la tortura, e supplizj esacerbati. San Tommaso trova legittima in tali casi fin la pena capitale115. Ma la Chiesa, sebbene siasene valsa come d'una legittima difesa e d'una prevenzione contro mali gravissimi, non approvò mai, almeno in concilio, un'istituzione siffatta.
Fin dal nascere non mancò da fare all'Inquisizione in Italia. La vicinanza del papa, e l'esservi egli anche principe temporale, incitava a resistergli; e ne' conflitti di Guelfi e Ghibellini vedemmo mettersi in discussione l'autorità di lui, passando, come troppo è facile, dalla mondana alla spirituale. I Comuni aveano acquistato la libertà strappandola ai vescovi, sicchè restava sminuita la riverenza a questi, e in molte lettere i pontefici ne muovono querela alle nostre repubbliche, le quali anche non di rado violarono e i possessi e le persone degli ecclesiastici.
Uscente il xii secolo, Orvieto formicolava di Manichei, introdotti dal fiorentino Diotisalvi, e da un Girardo di Marsano; e diceano che il sacramento dell'eucaristia nulla rappresenta, il battesimo non occorre alla salvezza; non giovasi ai morti con limosine ed orazioni. Espulsi costoro dal vescovo, comparvero Melita e Giulita, uomini e donne seducendo con aspetto di santità, finchè il vescovo, col consiglio di canonici, giudici ed altri, ne esigliò ed uccise molti. Un Pier Lombardo vi capitò poi da Viterbo, contro del quale Innocenzo III deputò Pietro da Parenzo, nobile romano, che ricevuto fra ulivi e palme, proibì i combattimenti carnevaleschi che finivano in sangue; ma poichè gli eretici stimolarono a disobbedire, il primo giorno di quaresima si mischiò fiera zuffa, e Pietro fece abbattere le torri, donde i grandi aveano tirato sul popolo, ed emanò buoni provvedimenti. A Pietro tornato, il papa domandò: - Come hai bene eseguiti gli ordini nostri?
- Così bene, che gli eretici mi cercano a morte.
- Dunque va, persevera a combatterli, chè non possono uccidere se non il corpo; e se t'ammazzeranno, io ti assolvo d'ogni peccato».
E Pietro, fatto testamento e congedatosi dalla desolata famiglia, ritornò116.
Contro i molti Manichei di Viterbo Innocenzo mosse in persona, rimbrottò i cittadini che tra quelli sceglievano i consoli, ed ordinò che, qualunque fosse trovato sul patrimonio di san Pietro, fosse consegnato al braccio secolare per castigarlo, e i beni divisi fra il delatore, il comune e il tribunale giudicante117. D'altri abbiamo ricordo in Volterra, dove gl'inquisitori, a malgrado del vescovo, atterrarono alcune case d'eretici in Montieri118.
Bandi severissimi contro Catari e Patarini e d'altro nome novatori, pubblicò Gregorio IX, in qualità di sovrano di Roma e ad istanza di questa città, volendo fossero mandati al fuoco, o, se si convertivano, a carcere perpetuo; e guai a chi li raccogliesse o non li denunziasse. Molti in fatto furono arsi, molti chiusi a penitenza nei monasteri di Montecassino e della Cava119. Dei rimanenti si fece diligente inquisizione, per cura di Annibaldo, capo del senato120; in presenza del quale e del popolo, molti preti e cherici e laici, affetti di questa lebbra, furono condannati; sopra testimonj e confessione propria. L'editto di Gregorio IX fu poi ampliato da Innocenzo IV e Alessandro IV, infine da Nicola III contro tutti gli eretici, e inserito nel diritto canonico121. Il senato romano pubblicò varj capitoli, pei quali il senatore doveva ogni anno diffidare i Catari, Patarini, Poveri di Lione, Passagini, Giosefini, Arnaldisti, Speronisti e d'altro nome, e i loro ricettatori, e fautori, e difensori: gli eretici côlti si devano detenere, e otto giorni dopo condannati dalla Chiesa, punire: i loro beni pubblicare, dandone una parte a chi li prese o rivelò, una al senatore, una per restaurare le mura: dove teneano le congreghe facciasi un mondezzajo; siano distrutte in perpetuo le loro case e di coloro che da essi ricevettero l'imposizione delle mani; quegli che conoscendoli non li riveli, sia multato in venti libbre; quei che loro diano ricetto, perdano la terza parte dei beni, e la seconda volta siano espulsi di città, nè possano citar alcuno in giudizio, nè esser assunti ad impieghi, o ad atto legittimo qualsia.
In Milano fu posto che qualunque persona a sua libera volontà potesse prendere ciascun eretico; le case ove eran ritrovati si dovessero rovinare, e i beni che in esse si trovavano fossero pubblicati122. Enrico di Settala, arcivescovo di essa città, allora istituito inquisitore, jugulavit hæreses, come lo loda il suo epitaffio; ma i cittadini lo discacciarono. Vedesi ancora in Milano la statua equestre di Oldrado da Trezzeno podestà, encomiato nell'iscrizione perchè Catharos ut debuit uxit123. Nel 1303, al 1 novembre, i popolani di Sesto Calende si univano, e nominavano due sindaci o procuratori, i quali ricevessero le abjure di qualunque eresia o credenza, favore o asilo o difesa prestata a eretici di qualunque sètta; e a giurar sull'anima loro e di tutti quei del paese d'osservare la fede cattolica, e perseguitare gli eretici credenti e i loro fautori124.
Come ricettatore d'eretici fu assalito il conte Egidio di Cortenova nel Bergamasco, e smantellatone il castello per istanza d'Innocenzo IV.
A Brescia operavano così sfacciati, che dissacravano chiese, e dalle torri fortificate scagliando fiaccole ardenti, scomunicavano la Chiesa romana e chi ne seguisse le dottrine. Contro di loro, papa Onorio III inviò il vescovo di Rimini, il quale abbattè molte chiese da essi contaminate, e le torri dei Gàmbara, degli Ugoni, degli Oriani, dei Bottazzi, ch'erano stati i più violenti, con ordine che rimanessero sempre mucchi di rovine, a ricordanza del fatto: le torri di quelli che aveano infellonito in minor grado, fossero diroccate fino a metà o ad un terzo, nè più si elevassero se non col consenso della Chiesa apostolica: gli scomunicati per tali azioni, eretici fossero o loro fautori, non venissero assolti se non presentandosi alla sede apostolica, salvo che in articolo di morte125.
Altri in Piacenza bruciò il podestà Raimondo Zoccola; sessanta a Verona frà Giovanni da Schio in tre giorni, subito dopo aver riconciliate le osteggianti città italiane nella famosa pace di Paquàra.
Nè il Napoletano mancava d'eretici, ed è probabilmente come protesta contro le costoro predicazioni che un eremita calabrese andava attorno gridando nel dialetto patrio: Benedittu, laudatu e santificatu lu Patre; benedittu, laudatu e santificatu lu Filiu; benedittu, laudatu e santificatu lu Spiritu Santu126. Dal registro angioino a Napoli si trassero dianzi due diplomi: coll'uno del 1269, dato da Orvieto il penultimo di maggio, Carlo d'Anjou scrive ai conti, marchesi, baroni, podestà, consoli, conti, e chiunque abbia potere e giurisdizione, esortandoli che, venendo i frati Predicatori di Francia come inquisitori in Lombardia e in altre parti d'Italia, per investigare gli eretici e quelli che per eresia dalle terre di Francia fuoruscirono, vogliano ajutarli in tal ricerca, e renderli sicuri.
Coll'altro ai giustizieri, balii, giudici, maestri giurati ed altri ufficiali e fedeli nel regno di Sicilia annunzia che frà Benvenuto dell'ordine de' Minori, inquisitore, mandava i familiari suoi Regebato e Jacobuccio a prendere alcuni eretici dimoranti nel suo regno: perciò a loro requisizione vogliano coglierli, coi beni stabili e mobili, e custodirli in luogo sicuro; i beni fedelmente conservino a utile della curia reale; e di quanto staggiranno facciano fare quattro istromenti simili, di cui uno terranno essi, uno daranno al depositario, un terzo alla camera reale, il quarto ai ragionieri della gran curia. Seguono i nomi degli eretici: Marco Pietro Neri, Regale de Monte, Gilia di Montesano, Giovanni Bictari, Bigoroso, Bonadio del Regno, Bencivenga di Vecchialana, Verde figlia di Guido Versati, Fiore di Colle Casale, Benvenuto Malyen d'Acquapendente, Migliorata sua moglie, Sabbatina detta Bona, maestro Matteo tessitore e Alda sua moglie, Giovanni Orso, Angelo Orso di Guardia Lombarda, Vitale Maria sua moglie, Bernarda e Bernardo suo marito, Gualterio provinciale, Bernardo calzolajo, Bernarda sua moglie, Raimondo di Napoli, Pietro di Majo di San Germano, Benedetto calderario, Pietro Malanotte e Maria sua moglie, e Maria loro figlia, Salvia e Nicolao figlio di lei, Benedetto fratello di Salvia, Bona sua figlia, Salvia di Rocca magnifico, Giudice Rainaldo, Giudice Guarino, Bojano Capocia, Pietro Giannini e Guglielmo suo fratello, Giraldo Bonomo di Odoriso, Giacobo Gerardone, Giovanni Mundi, Tommaso di Giovanni Guarnaldi di Ferrara, Pietro Bictari nipote di Giovanni Bictari, Margarita moglie del fu Zoclofo, Domino di Ferrara, Sibilla sua cognata di Melfi, mastro Matteo tessitore, Alda sua moglie, mastro Mauro mercante di Casalvere, Matteo Giovanni Golie, Giovanni e Gemma suoi figli, Soriana, Matteo Maratono, Gemma sua donna, Binago di Alifia, maestro Manneto di Venafro, Nicola fratello di Jacobo, Maria madre sua di Bojano, Guglielmo d'Isernia, Sergio, Margarita sua moglie di San Massimo, Viatrice sua figlia, Roberto figlio di Ugone suddetto, Giacomo Ricco, mastro Rainaldo Scriba, Canapadula di Rieti figlio, Samuele di San Sibato, Corrado Tetinico che dicesi stia a Foggia, Benvenuto Jazeo e sua moglie che dimora presso San Martino, e stavano in Alifia.
Il decreto è dato nell'assedio di Lucera, il 12 agosto 1269.
Ivone da Narbona scriveva a Gerardo arcivescovo di Bordeaux, come, viaggiando in Italia, e' si finse Cataro, lo perchè in tutte le città ebbe lietissime accoglienze; e «a Clemona, città celebratissima del Friuli, ebbi squisiti vini da' Patarini, robiole, ceratia ed altri lachezzi»127. Costoro aveano per vescovo un tal Pietro Gallo, che scoperto di fornicazione, fu cacciato di seggio e dalla società.
Contraddisse vivamente all'errore Antonio da Lisbona, il taumaturgo di Padova, che a nome della religione e dell'umana libertà protestò contro Ezelino, il quale professava aver più paura de' frati Minori che di qualsiasi persona al mondo. Singolarmente in Rimini sant'Antonio combattè gli eretici, non solo colla parola, ma coi miracoli. Perocchè una volta, dice la legenda, non badandogli gli uomini, furono veduti i pesci venir su per la Marecchia, e a bocca aperta collocarsi ad ascoltarlo; un'altra, un giumento, da lungo tempo digiuno, si prostrò davanti all'ostia consacrata, benchè il padrone patarino gli porgesse il truogolo dell'avena.
Martello degli eretici fu detto san Tommaso d'Aquino, che nella Summa theologica espose tutti gli argomenti contro gli errori di essi, come dicemmo: nè men fervoroso apparve san Bonaventura. Contro gli eretici di Prato aveva proferito sentenza il vescovo di Worms, legato dell'imperatore Enrico VI nel 1194128, confiscandone i beni, ordinando di disajutarli in ogni modo, e vietando di dar loro consiglio od ajuto, nè di mettere ostacolo a lui quando li facesse carcerare. Nel resto della Toscana troviam pure nominati fra gli eretici Guido da Cacciaconte di Cascia in Valdarno; il prete del Ponte a Nieve, Migliore da Prato, uno di Poggibonzi, due donne di Poppi, Andrea di Fede, una Meliorata con suo padre Albese, un'altra fiorentina. Gherardo, dottore e cavaliere di Firenze, fu scoperto eretico solo allorchè, morendo, non volle attorno a sè che Patarini.
A Firenze, come negli altri Comuni, v'erano statuti de hæreticis diffidandis et baniendis; omnes hæreticos cujuscumque hæresis diffidare et exhaurire debeant rectores civitatis, etc. La prima e la seconda domenica dell'avvento, il vescovo, celebrando in Santa Reparata, solea richiedere i rettori della città che perseguitassero e sbandissero gli eretici. E vescovo dal 1205 al 1230 vi fu Giovanni da Velletri, il quale, vedendo propagarsi l'eresia, pensò ripararvi seriamente, e fece catturare alcuni che si tenevano celati. Costoro vescovo era Filippo Paternon, che avea fatto di molti proseliti. Gregorio IX papa, nel 1227, ordinò a frà Giovanni da Salerno, compagno di san Domenico e priore di Santa Maria Novella, che procurasse l'arresto del Paternon: il quale côlto, abjurò i suoi errori, ma ben presto tornò ai conciliaboli, e la potenza de' suoi settarj lo assicurava d'impunità. Quando la prudenza il consigliò a mutar paese, gli furono surrogati nel ministerio Torsello, indi Brunetto, infine Jacopo da Montefiascone, che, con un Marchisiano e con un Farnese, da prima gli servivano di ministri. Farnese predicava cogli occhi chiusi come chi dorme, ed asseriva che egli e i compagni suoi talvolta in abiti preziosissimi assistevano alla maestà divina. Contemporaneamente a frà Giovanni, il vescovo di Siena Bonfili ricercava gli eretici nella sua diocesi, ajutato da altri Domenicani.
Il nuovo vescovo di Firenze Ardingo Feraboschi fece contro i Patarini, varj decreti confermati da Gregorio IX, e vide stabilita regolarmente nella sua città l'Inquisizione, con tribunale nel convento di Santa Maria Novella, e pubblici notari. Frà Ruggero de' Calcagni, uscito da famiglia di mercanti in Vachereccia, ne fu primo inquisitore, ed eresse processo nel 1243, per trovare l'origine, il seguito e l'estensione di tanto male, e servendosi dei processi fatti già prima in convento, principiò cause terribilissime, e fin allora non più sentite nella città. Il tribunale per lo più si teneva in quel monastero, e alle volte nel luogo di Santa Reparata, assistendovi sempre l'inquisitore, il priore di Santa Maria Novella, e due o tre altri frati de' principali. Citavano i rei a comparire, sotto intimazione, prima di pena pecuniaria, poi di censure: ed un'infinità d'eretici sì uomini come donne bisognò venissero ad esibirsi, perchè i signori di palazzo da lettere papali erano stati obbligati a dare i rei nelle mani degli ecclesiastici, onde non v'era campo di poter esentarsene129. In fatto, Pietro e Andrea furono mandati a Roma, ove abjurarono.
Non per questo cessavano gli eretici, e Gherardo di Ranieri Cavriani, figlio d'eretico, davasi attorno apostolando, e spesso tornava in Lombardia, e andava nelle case a dar la consolazione ai morenti. Altri caporioni erano Baron del Barone e Pulce di Pulce, famiglia calabrese, appoggiati dalla fazione imperiale, e secondati dai Cavriani, da Chiaro di Manetto, da Cante di Lingraccio, da Uguccione di Cavalcante, dalle famiglie Saracini e Malapresa, e da molte signore, fra cui Teodora moglie del Pulce, un'Aldobrandesca, una Contrelda, un'Ubaldina erano sempre le prime a dar impulso alle collette apertesi a favore de' poveri e de' predicanti.
I quali insegnavano che Maria non era donna, ma un angelo: che Cristo non prese carne da lei; che non si trovano il corpo e il sangue sacro nell'eucaristia. Teneano loro adunanze in Firenze nella casa del Manetto, del Lingraccio, e massime de' Baroni, che, come rilevanti dall'impero, rimanevano esenti dalla giurisdizione comunale, e che edificarono una torre a San Gaggio, fuor di città, apposta per ricettare gli eretici; oltrechè aveano conciliaboli in una villa sul Mugnone. Frà Ruggero, unito a frate Aldobrandino Cavalcanti, ne fe carcerare alquanti; ma i Baroni, gelosi delle loro immunità, per forza li rimessero in libertà. Con ciò venne la città a dividersi in due fazioni, una avversa, l'altra favorevole all'Inquisizione, e bande prezzolate insultavano per la via i fautori di questa e i Domenicani.
I Serviti, ordine allor allora istituito sul monte Senario, che prima per la straordinaria pietà erano sospettati eretici, vennero ad obbedienza dell'inquisitore, faticandosi a ribattere gli eretici; al che valse pure il miracolo che allora si divulgò, d'Uguccione prete di Sant'Ambrogio presso Firenze, il quale, detta messa, non asciugò bene il calice, e al domani vi si trovò sangue vivo.
De' processi allora eretti, alcuna cosa fu pubblicata dal Lami, e parte si conserva nell'archivio di Stato fra le carte di Santa Maria Novella, e di là traemmo le notizie che precedono130. Le deposizioni sono la maggior parte di donne, e principalmente di Lamandina Pulce, avversa agli eretici quanto v'erano propense le sue consanguinee. Non appare vi si usasse tortura, e quando l'esortazione uscisse inutile, i rei venivano abbandonati al braccio secolare.
Il papa, che aveva confortato la Signoria a conservar forza alle leggi, per appoggio inviò frà Pietro da Verona. Questi era nato da genitori patarini, e resosi domenicano, spiegò zelo straordinario contro gli eretici in Lombardia. Di là trasferitosi a Firenze nel 1244, predicava nella piazza di Santa Maria Novella, la quale trovandosi angusta alla folla accorrente per udirlo, ad istanza di lui fu fatta ampliare dalla Signoria. Istituì egli la società de' Laudesi, che cantava Maria e il Sacramento, quasi a sconto degli oltraggi dei Patarini.
Ma questi, non che rimanessero allibiti, opponevano la forza; lo perchè Pietro sistemò alquanti nobili, che volonterosi si esibivano per guardia al convento dei Domenicani, ed altri che eseguissero i decreti di questi: donde originò la «sacra milizia dei capitani di Santa Maria».
Sulla facciata dell'uffizio del Bigallo, rimpetto a San Giovanni, due sbiaditi affreschi di Taddeo Gaddi figurano il miracolo di quando un cavallo infuriato si lanciò contro le turbe che ascoltavano la predica, ma passò sovra le loro teste senza nuocere ad alcuno; ed esso Pietro, quando a dodici nobili fiorentini consegna lo stendardo bianco colla croce rossa per tutela della fede: il quale stendardo conservasi in Santa Maria Novella, e si spiega nel giorno di quel santo.
Crebbero allora processi ed esecuzioni, e varie donne di Poppi furono messe a morte. Frà Ruggero citò al suo tribunale i Baroni, i quali, dichiarando quelle esecuzioni inumane ed illegali, s'appellarono all'impero: e il podestà Pace da Pesannola, bergamasco, li tolse in tutela, protestando contro le sentenze, e intimando si rilasciassero i detenuti. Perciò dagli inquisitori fu messo con solennità all'interdetto, onde ne nacque parte e tumulto: una domenica nel 1245, mentre i fedeli ascoltavano la predica nella cattedrale, gli eretici gli assalgono e feriscono: Pietro si pone alla testa de' suoi; sono di sangue contaminate piazza Santa Felicita e il Trebbio, finchè i Cattolici riescono superiori. La croce del Trebbio rammenta anche oggi quel macello; e vuolsi che allora cominciasse l'uso di porre croci e madonne sui crocicchi, onde tosto vedere chi le dileggiasse o riverisse.
Segnalato per tanto zelo, Pietro muove a farne prova sui Cremonesi e sui Milanesi, i quali, esacerbati dalle battaglie mal riuscite contro Federico II, bestemmiavano il Cielo, insultavano ai riti, e sospendevano capovolti i crocifissi. Cominciò egli le processure; e predicando a Milano sulla piazza di Sant'Eustorgio diceva: «So che gli eretici hanno tramato la mia morte; che è già depositata la somma onde retribuire il sicario. Sia quel che vogliono, s'accorgeranno ch'io farò contro loro dopo morte più che non facessi da vivo». In fatto Stefano de' Confalonieri di Agliate e Manfredi da Olirone congiurarono, e lo fecero uccidere mentre il sabato in albis passava da Milano a Como. Egli trafitto intrise il dito nel proprio sangue, scrisse per terra credo, e spirò131. Subito venerato col nome di Pietro Martire, ebbe un tempio sul luogo dove cadde, e in Sant'Eustorgio a Milano una magnifica arca, ch'è uno dei primi monumenti della scultura, con epitafio scritto da san Tommaso:
Præco, lucerna, pugil Christi, populi, fideique
Hic silet, hic tegitur, jacet hic mactatus inique
Vox ovibus dulcis, gratissima lux animorum,
Et verbi gladius, gladio cecidit Catharorum, etc.
D'egual moneta aveano i Patarini pagato frà Rolando da Cremona, mentre sulla piazza di Piacenza predicava: Pietro d'Arcagnago, frate Minore, scannato in Milano presso Brera per opera di Manfredo da Sesto, caporione de' Patarini lombardi, con Roberto Patta da Giussano; frà Pagano da Lecco, trucidato coi compagni mentre andava a stabilire l'Inquisizione in Valtellina, e così altri. Nel 1279, avendo gl'inquisitori condannata al fuoco una tedesca in Parma, i cittadini insorsero, saccheggiando il convento de' Domenicani, alcuni anche ferendone, talchè essi a croce alzata partirono. Ma il podestà e gli anziani e i canonici li seguirono, e gl'indussero a tornare, promettendo rifarli dei danni e punire gli offensori132.
A san Pietro Martire successe come inquisitore in Lombardia frà Ranerio Saccone, che più volte menzionammo, il quale spianò la Gatta, ritrovo degli eretici, e fece bruciare i cadaveri di due loro vescovi, Desiderio e Nazario, tenuti in venerazione; nè si rallentò finchè Martin Torriano, signore del popolo, nol fe cacciare.
A Milano poco dopo comparve una Guglielmina, che diceasi oriunda di Boemia e di stirpe regia, e che, a guisa de' Montanisti, non ammetteva Cristo come ultimo termine del progresso morale e religioso, ma come un progresso, che doveva essere sorpassato da una nuova missione: in lei lo Spirito Santo essersi incarnato per redimere Giudei, Saracini e mali Cristiani: averla Rafaele arcangelo annunziata a sua madre Costanza, moglie del re di Boemia, il dì della Pentecoste: nata un anno dopo quell'annunciazione: era vero Dio e vero uomo nel sesso femminile, come Cristo nel maschile, e dal sacrosanto suo sangue resterebbero salvati i miscredenti: come Cristo, secondo la natura umana, non secondo la divina, dovea morire, risorgere, e alla presenza de' discepoli e dei devoti salire al cielo per elevare l'umanità femminile. Quanto visse, il popolo la venerò; morta nel 1282, fu tumulata splendidamente a Chiaravalle, casa de' Cistercensi presso Milano, e tenuta in conto di santa, e il suo sepolcro frequentato da devoti, illuminato giorno e notte da ceri e lampade, e vi si celebravano tre feste annue, a san Bartolomeo, all'Ognisanti e a Pentecoste, distribuendosi da que' monaci pane e vino in commemorazione di lei, della quale si enumeravano la virtù e i miracoli: e ceri ardevano davanti alla effigie di essa, dipinta in Santa Maria Maggiore, in Santa Eufemia, alla Canonica e altrove.
Come Cristo lasciò in terra san Pietro per suo vicario, affidandogli da reggere la Chiesa, così la Guglielmina lasciò vicaria sua nel mondo Mainfreda, monaca dell'ordine delle Umiliate di Santa Caterina in Brera. Essa teneva adunanze de' fedeli, predicava, componeva litanie; e la Pasqua del 1299, vestitasi d'abiti pontificali come altre compagne, celebrò una messa in casa di Jacopo da Ferno, ove Albertone da Novate recitò l'epistola, e Andrea Saramita una lezione di vangelo da lui composto. Tempo verrebbe ch'essa Mainfreda più solennemente celebrerebbe sul sepolcro dello Spirito Santo incarnato; indi nel duomo di Milano, poi in Roma predicherebbe dalla sede apostolica; diverrebbe vera papessa, colle autorità del pontefice odierno, il quale sarebbe abolito e surrogato dalla Mainfreda, che battezzerebbe le genti ancor sedute nelle tenebre. I quattro vangeli darebbero luogo a quattro altri, stesi per ordine della Guglielmina. Il visitar la tomba di questa era meritorio come il visitar quella di Cristo, onde da tutte le plaghe s'accorrerebbe a Chiaravalle, ma i seguaci di essa sarebbero133 esposti a tormenti e supplizj; non mancherebbe qualche Giuda che li tradisse, e li desse nelle mani de' nemici, cioè dell'Inquisizione.
Tali opinioni vulgari apparvero dai loro processi134, dai quali non risultano però le turpitudini di che sono imputate queste deliranti; che la Guglielmina rompesse a vergognoso commercio con Andrea Saramita; che la Mainfreda, al termine delle congreghe, comandasse di spegnere i lumi, e abbandonarsi senza distinzione di persone o di sesso. Fatto è che, sparsesi tali voci, il vulgo, colla consueta versatilità, mutò il culto in esecrazione, gl'inni in bestemmia, e l'Inquisizione colse la Mainfreda, il Saramita, Jacopo da Ferno ed altri (20 luglio 1300), e ne cominciò il processo. Jacopo abjurò; la Mainfreda e il Saramita furono mandati al rogo sulla piazza della Vetra, il 6 d'agosto, insieme colle reliquie della Guglielmina.
In Milano si formò poi un Ordine che pretendeva esser equestre, intitolato della fede di Gesù Cristo, o della croce di san Pietro martire: portavano una croce inquartata di nero e bianco; obbligavansi ad esporre anche la vita per la diffusione della fede e la distruzione dell'eresia, e realmente non erano che familiari della santa Inquisizione. Forma eguale adopravasi da altri nelle diocesi d'Ivrea e di Vercelli; e v'aveva indulgenze e privilegi a quei che crociavansi tra costoro135.
Inquisizione è una delle tante parole, attorno a cui suol levarsi tale rumore, da impedire s'oda la voce del tempo; ma anche spogliata delle esagerazioni, desta giusto raccapriccio o rammarico ad ogni buon cristiano. Quanto narrammo non ci lascia dire cogli scrittori dell'Enciclopedia francese, che l'Inquisizione di Spagna trascese «nell'esercizio d'una giurisdizione, in cui gl'Italiani suoi inventori usarono tanta dolcezza». Vero è che, oltre essere all'unisono co' tempi, ed assai meno orribile, che non si sparnazzi dai soliti organi passionati e di malafede, essa proponevasi un fine morale, a differenza della Polizia moderna che sottentrò nelle sue veci, dalla quale si procede e castiga spesso nell'interesse d'un principe, o per mantenere un dominio costituito sulla forza o sull'intrigo: se restringeva il pensiero, facealo, o credea farlo, per salvezza delle anime, non per mero vantaggio d'un potere, d'un ministero, d'una consorteria dominante: nè quegli spaventi tolsero che sorgessero grandi e robusti pensatori. Noi avremo a riparlarne quand'essa diventerà un organo importante delle società nuove: intanto avvertiamo come oggi di nuovo si risveglino quelle antiche dottrine a proclamare la comunanza de' possessi, l'abolizione della proprietà e dell'organamento civile: e la società costituita arma tre milioni d'uomini in Europa contro siffatte teoriche, le quali allora denominavansi eresie. Domandiamo se ciò deva qualificarsi intolleranza; e se il secolo che così adopera possa maledire a quelli che fecero altrettanto: e non comprendere che l'odierna libertà della bestemmia non potè acquistarsi che coll'introdurre altre feroci repressioni, eserciti innumerevoli, tirannesche Polizie.
L'intolleranza è per avventura inseparabile dalle profonde credenze; e la fede suppone l'esclusione di ciò che da essa differisce. Quando poi la fede è considerata come il necessario legame fra i cittadini, chi la intacca lede la società. L'Inquisizione proferì la pena di morte: ma la proferiscono anche i nostri giurati. Le pene odierne sono destinate a far rispettare istituzioni stabilite: e così era per quelle dell'Inquisizione, verso istituzioni che la coscienza avea consacrate, e che difendeansi pel diritto che alla società non si negò giammai. Forse la repressione ci desta fremito perchè il delitto era religioso? Ma il diritto positivo è meramente convenzionale; la sua autorità dipende dalla confidenza che ispira. Oggi si puniscono colpe differenti; ma ciò prova solo che gl'interessi sociali non sono sempre identici: quelli d'oggi hanno il vantaggio d'esser attuali; quelli d'allora lo svantaggio d'esser passati. Benediciamo Iddio d'averci fatti vivere in tempi, quando ogni vero cattolico professa altamente la tolleranza, che non è la parificazione della verità coll'errore, bensì l'applicazione della carità nel mondo del pensiero, e che esclude l'intervenzione della forza nell'ordine spirituale, neppure a servizio della verità.
Cum ad conservandum pariter, et fovendum Ecclesiasticæ tranquillitatis statum ex commisso nobis imperii regimine defensores simus a Domino constituti, non absque justa cordis admiratione perpendimus, quod hostilis invaleat hæresis, proh pudor! in partibus Lombardiæ, quæ plures inficiat. Eritne igitur dissimulandum a nobis, aut sic negligenter agemus, ut contra Christum, et fidem catholicam ore blasphemo insultent impii, et nos sub silentio transeamus? Certe ingratitudinis et negligentiæ nos arguet Dominus, qui contra inimicos suæ fidei nobis gladium materialem indulsit, et plenitudinem contulit potestatis. Quapropter in exterminium, et vindictam actorum sceleris tam nefandi, complicum et sequacium hæreticæ pravitatis, quocumque nomine censeantur, utriusque juris auctoritate moniti, dignos motus nostri animi exercentes, præsenti edictali constitutione nostra, in tota Lombardia inviolabiter de cætero valitura, duximus faciendum, ut quicumque per civitatis antistitem vel diœcesanum, in qua degit, post condignam examinationem fuerit de hæresi manifeste convictus, et hæreticus judicatus per potestatem, consilium et catholicos viros civitatis, et diœcesis earundem, ad requisitionem antistitis illico capiatur, auctoritate nostra ignis judicio concremandus, ut vel ultricibus flammis pereat, aut, si miserabili vitæ ad coercitionem aliorum elegerint reservandum, eum linguæ plectro deprivent, quo non est veritus contra ecclesiasticam fidem invehi, et nomen Domini blasphemare. Ut autem præsens hæc edictalis constitutio nostra debeat in hæreticorum exterminium firmiter observari, circumspectioni tuæ committimus, quatenus hanc constitutionem nostram per totam Lombardiam facias publicari, amodo per imperialis banni censuram ab omnibus universaliter observandam. Dat. Cathaniæ, anno Dominicæ Incarnationis mccxxiv, mense martii, undecimæ indictionis.
Celestis altitudo consilii, que mirabiliter in sua sapientia cuncta disposuit, non immerito sacerdotii dignitatem et regni fastigium ad mundi regimen sublimavit, uni spiritualis et alteri materialis conferens gladii potestatem, ut hominum hac dierum excrescente malitia, et humanis mentibus diversarum superstitionum erroribus inquinatis, uterque justitie gladius ad correctionem errorum in medio surgeret, et dignam pro meritis in auctores scelerum exerceret ultionem... Quia igitur ex apostolice provisionis instantia, qua tenemini ad extirpandam hereticam pravitatem, potentiam nostram ad ejusdem heresis exterminium precibus et monitionibus excitatis; ecce ad vocem virtutis vestre, zelo fidei quo tenemur ad fovendam ecclesiasticam unitatem gratanter assurgimus, beneplacitis vestris devotis affectibus concurrentes; illam diligentiam et sollicitudinem impensuri ad evellendum et dissipandum de predictis civitatibus pestem heretice pravitatis, ut, auctore Deo, cui gratum inde obsequium prestare confidimus, ac vestris coadjuvantibus meritis, nullum in eis vestigium supersit erroris, ac finitimas et remotas quascumque fama partes attigerit, inflicta pena perterreat, et omnibus innotescat nos ardenti voto zelare pacem Ecclesie, et adversus hostes fidei ad gloriam et honorem matris Ecclesie ultore gladio potenter accingi. Dat. Tarenti xxviii febr. indict. iv.
In un'altra lettera, esso Federico insiste con nuovo fervore per la repressione degli eretici. Ut regi regum, de cujus nutu feliciter imperamus, quanto per eum hominibus majora recipimus, tanto magnificentius et devotius obsequamur, et obedientis filii mater Ecclesia videat devotionem ex opere pro statu fidei christiane, cujus sumus, tamquam catholicus imperator, precipui defensores, novum opus assumpsimus ad extirpandam de regno nostro hereticam pravitatem, que latenter irrepsit tacite contra fidem. Cum enim ad nostram audientiam pervenisset, quod, sicut multorum tenet manifesta suspicio, partes aliquas regni nostri contagium heretice pestis invaserit, et in locis quibusdam occulte latitant erroris hujusmodi semina rediviva, quorum credidimus per penas debitas extirpasse radices, incendio traditis quos evidens criminis participium arguebat; providimus ut per singulas regiones justitiarias cum aliquo venerabili prelato de talium statu diligenter inquirant, et presertim in locis, in quibus suspicio sit hereticos latitare omni sollicitudine discutiant veritatem. Quidquid autem invenerint, fideliter redactum in scriptis, sub amborum testimonio, serenitati nostre significent, ut per eos instructi, ne processu temporis illic hereticorum germina pullulent, ubi fundare studemus fidei firmamentum, contra hereticos, et fautores eorum, si qui fuerint, animadversione debita insurgamus. Quia vero supradicta vellemus per Italiam et Imperium exequi, ut sub felicibus temporibus nostris exaltetur status fidei christiane, et ut principes alii super his Cesarem imitentur; rogamus beatitudinem vestram quatenus ad vos, quem spectat relevare christiane religionis incommodum, ad tam pium opus et officii vestri debitum exequendum diligentem operam assumatis, nostrum si placet efficaciter coadjuvandum propositum, ut de utriusque sententia gladii, quorum de celesti provisione vobis ac nobis est collata potentia, subsidium non dedignatur alternum, hereticorum insania feriatur, qui in contemtum divine potentie extra matrem Ecclesiam de perverso dogmate sibi gloriam arroganter assumunt. Messine xv jul. indict. vi.
Nella vita di Cola Rienzi: «Gridavano come se fao, ha, ha, ha, a lo Patarino». Dappoi il legato scomunica Cola, appellandolo patarino e fantastico.
Anche gli Spoletini in guerra coi Fulignati, gridavano: Moriantur Patareni, Gibellini. Muratori, Antiquitates Italicæ, T. iii, p. 499, 507, 143, ecc.
Datum Viterbii, pontificatus nostri anno IX.