Cesare Cantù
Gli eretici d'Italia

DISCORSO VI MISTICI. L'EVANGELIO ETERNO.

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DISCORSO VI

 

MISTICI. L'EVANGELIO ETERNO.

 

 

Mentre costoro traviavano per abuso della ragione, e alla rivelazione e all'autorità opponeano la negativa e l'indagine, altri erravano per abuso del sentimento, col che accenniamo alle sètte mistiche e comuniste. Il misticismo, cioè l'apprezzar la natura delle cose divine e dei loro rapporti colle umane piuttosto secondo il sentimento che secondo la ragione, fino a presumere di mettersi in diretta relazione col mondo soprasensibile, senza tener conto della materia e dei mezzi ordinarj di conoscere, deriva da uno degli elementi della natura umana, la fede; che non trovandosi soddisfatta da argomenti, maledice e tenta annichilare il corpo e il pensiero, per cercare riposo nella contemplazione delle cose superne; stornasi dalla terra, ch'è nostro asilo d'un giorno, per attendere la morte, svolgendo intanto le pagine del libro de' cieli.

Di siffatte aspirazioni è nido e sede l'Oriente, e massime l'India, ove Dio è il riposo, mentre per noi è l'attività (actus purissimus); è un principio, sovrastante agli esseri che governa con azione continua; idea conforme agli istinti d'una gente, ove la volontà dirige perfino l'intelligenza.

Il cristianesimo che diede il concetto del Dio personale, e nel culto sostituì le idee alle passioni e ai loro emblemi fisici, non restò però sempre immune dagli eccessi del misticismo, e la religione di Budda v'influì forse ne' suoi primordj, e viepiù nelle crociate, in tempo delle quali sorgono e i Templari e san Francesco136, nel quale si riscontrano tante somiglianze coi pii solitarj dell'India, nobilitate è vero da un amore disinteressato e operoso.

E mistici ebbe in ogni tempo il cattolicismo, ma all'età appunto delle137 crociate si segnalò sopra tutti Gioachimo da Cosenza in Calabria. Educato alla corte di Ruggero duca di Puglia, pellegrinato in Terrasanta, ivi passò un'intera quaresima fra gli anacoreti del Monte Tabor, con fervorosissima pietà. Rimpatriato (1183), si vestì cistercense nel monastero di Corazzo, poi ottenne dispensa dall'uffizio per poter darsi tutto alla meditazione della Bibbia, e ad istanza dei papi scrisse varie opere teologiche. Aspirando a maggior rigore di vita, a Flora, fra l'Albula e il Neto nei recessi della Sila, fondò una celebre badia, alla quale diede una regola più austera, approvata da Celestino IV, ed estesa a molti conventi. Udendo da lontano le vicende del mondo, intendendole e spiegandole a suo modo e coll'esaltazione causata dal digiuno e dalle discipline, esponeva concetti profetici nel tono dell'Apocalissi, i quali erano raccolti dal monaco Ranieri, unico suo compagno, e in forma di salmi erano mandati pel mondo, accolti coll'avidità, onde ne' momenti critici si aspira a prevedere una decisione138. Per queste profezie, che san Tommaso comprendea derivar piuttosto da acuto discernimento che da lume soprannaturale, fu venerato e creduto; Riccardo Cuor di leone, movendo per la crociata, andò a consultarlo; Costanza imperatrice volle confessarsi da lui; persin Federico II colmò di beni la sua badia, dove visse sino al 1201. Fu censurato dal concilio lateranese del 1215 per alcune opinioni sulla Trinità in opposizione a Pietro Lombardo139, ma egli avea chiesto un esame di tutti i suoi scritti, e dichiarò ritrattare quanto se ne disapprovasse.

E molti sono questi scritti: la Concordia del nuovo coll'antico Testamento; sulla Sibilla Eritrea e sul profeta Merlino; il Salterio delle dieci corde, o commento a Geremia, Isaia ed altri profeti. Carattere di questi lavori era la giustificazione non solo, ma la glorificazione della vita monastica, alla quale dava il sembiante d'una rinnovazione sociale, preordinata dalla Providenza. E diceva: «Iddio divise il mondo in tre epoche successive; nella prima, il Padre opera per mezzo de' patriarchi e profeti; nella seconda, il Figlio opera per mezzo degli apostoli e discepoli; nella terza, lo Spirito Santo opererà per mezzo dei frati».

Era naturale che que' libri fossero accolti passionatamente dai Minoriti; ricopiati, interpretati, esagerati, discuteansi in pubblico; ebbero apostoli di grido, come Ugo di Montpellier, Rodolfo di Sassonia, e si giunse a dichiarare che il Nuovo Testamento non avea condotto alla perfezione; che Gesù Cristo non era imitabile quando fuggì o si nascose, quando bevve vino e mangiò carni, quando possedette denaro; primo dovere dell'uomo spirituale essere la povertà volontaria.

Ciò veniva a condannare i possessi ecclesiastici, dal che facilmente si passava ad abolire la gerarchia e le funzioni sacerdotali. Monaci non ascritti ad alcun ordine, vagavano per Italia predicando l'umiltà e la povertà, come fossero sufficienti a costituir l'uomo in una santità, quale basta per conferire i sacramenti, e sciogliere e legare.

Sebbene l'abate Gioachimo non avesse prefisso tempo all'adempimento delle sue profezie, da' suoi testi, stiracchiati ad applicazioni attuali, si dedusse che il 1260 sarebbe predestinato pel nuovo regno di Dio; Federico II morrebbe; l'anticristo comparirebbe, immediato predecessore della nuova epoca religiosa. Federico anticipò di dieci anni la morte, ma l'inadempimento delle profezie non basta a disingannare; più tardi esse servirono ai necromanti, e alcune corrono finora, credute da coloro che ne aspettano l'adempimento. Gioachimo, chi lo fa santo, e «di spirito profetico dotato», chi impostore, chi mentecatto; ma dee figurare nella storia come capo del misticismo, sceso poi a Giovanni da Parma, a Gerardo da san Donnino, a Ubertino da Casale, a frà Dolcino, e ai mistici tedeschi.

A questa scuola molti Francescani furono tratti dal disprezzo delle cose terrene e dall'amor delle soprasensibili, ch'appariva tanto pronunziato nel loro fondatore. La regola del quale imponeva tali austerità, che alcuni la sentenziarono d'impossibile e micidiale. Guglielmo di Sant'Amore e Sigerio, dottissimi scolastici di Parigi, scrissero e sporsero a papa Clemente IV un libello contro la povertà dei Mendicanti; ed egli lo trasmise al maestro Giovanni da Vercelli perchè, ponderatolo, vi facesse rispondere da Tommaso d'Aquino. Dalla confutazione di questo appare che ai frati già s'imputavano le colpe che più tardi: colpe che costituivano il merito loro in faccia al popolo; come il vestir grossolano, le opere di carità, il predicar vulgare, lo stretto accordo dei membri fra loro, l'opporsi ai settarj e sostenere il proprio Ordine; oltre che all'intero Ordine s'attribuivano i difetti di qualcuno.

Dappoi papa Nicolò III, che personalmente aveva conosciuto san Francesco, e da cui eragli stata vaticinata la tiara, credette dovere spiegare che i frati Minori erano tenuti osservare il vangelo, vivendo in obbedienza, in castità, in povertà: lo spossessamento totale per Dio esser meritorio; averlo Cristo insegnato colla parola, confermato coll'esempio, e gli apostoli ridotto in pratica: ciò facendo, i Francescani non rendeansi suicidi, tentavano Dio, giacchè, pur confidando nella Providenza, non ripudiavano i mezzi suggeriti dalla prudenza umana140.

Alla pontifizia decisione si chetarono gli avversarj, ma tra i Minoriti alcuni ne trassero motivo d'un misticismo fanatico, da una parte asserendo che la regola di san Francesco fosse il vero vangelo, dall'altra che la spropriazione doveva essere così totale, che fin delle cose necessarie alla vita non avessero che il mero uso.

Pier Giovanni d'Oliva, di Serignan in Linguadoca, fatto francescano a 12 anni, predicò siffatta dottrina, per disapprovare le condiscendenze di frà Matteo d'Aquasparta, generale de' Francescani, che aveali lasciati rilassare, e per raffaccio alla Chiesa, ricca e mondana, cui i Minoriti erano destinati a rigenerare141. Gli avversarj lo tacciarono d'esser, nel suo zelo, trascorso in eresie: di che il Wadding, annalista dei Minori, vuol purgarlo: ma Giovanni XXII condannò come pregne d'eresie le sue chiose all'Apocalisse, scritte verso il 1278. Pure ottenne venerazione come santo da molti proseliti, che professavano poter l'uomo giungere a tale perfezione da ridursi impeccabile, e conseguire la beatitudine in questa vita come nell'eterna.

Federico II, sempre malvolto alla Santa Sede, accolse i costui seguaci perseguitati, che in Sicilia presero a capo Enrico di Ceva, professando sempre che la Chiesa era divenuta una sinagoga, lupo il suo pastore, e sovrastare una riforma.

Tra i dibattimenti avendo alcuno asserito che Gesù Cristo i suoi apostoli, via di perfezione seguitando, nulla aveano in proprietà, la proposizione fu rejetta dai Domenicani e da altri, e invece sostenuta dai Francescani, e nominatamente in un capitolo generale a Perugia. E poichè la costoro regola diceasi vera applicazione del vangelo, tornava sott'altra apparenza il medesimo concetto dell'assoluta spropriazione. Non era che un eccesso d'ascetismo, ma gli avversarj ne profittavano per impugnare i possessi della Chiesa; onde la proposizione fu condannata da papa Nicola IV. I Minori spedirono frà Bonagrazia di Bergamo per dimostrarla al papa, con lettera di frà Michelino da Cesena, maestro generale dell'Ordine, e si ostinarono nella loro opinione anche dopo che il papa proferì contro di essi. Michele, chiamato ad Avignone, ove allora il papa risedeva, esitò ad andarvi, poi subito ne fuggì, e apostatando ricovrossi all'imperatore. Questi era Lodovico il Bavaro, che era venuto in rotta con papa Giovanni XXII perchè negava riconoscerlo, e dichiarava l'Italia sottratta dall'imperiale giurisdizione, in modo che non potesse essere incorporata infeudata all'impero (1324). A vicenda l'imperatore proferiva scaduto il pontefice, chiamandolo con titoli ingiuriosissimi, e invitando giuristi e teologi a scatenarsi contro la Corte pontifizia. I frati Minori restarono dunque avversissimi alla facoltà teologica di Parigi e al papa, che in un capitolo tenuto a Perugia il 1322 dichiararono eretico. Frà Michelino contro il papa scrisse libercoli, e commentò beffardamente le bolle di esso in un libro, che poi, per divulgarlo, compendiò ad istanza di Lodovico il Bavaro, dove sosteneva potersi, anche senza decisione del Concilio, dichiarare il papa scaduto ed eretico. Fu egli scomunicato da' suoi frati e dal papa: ma colla protezione imperiale, alcuni suoi seguaci erano penetrati in Firenze, e vi teneano segrete adunanze notturne: onde si fece uno statuto contro quella «pessima generazione che volea condire la falsa dottrina col mele di nomi in apparenza favorevoli e religiosi, per ingannare meglio i semplici»142.

Il famoso pittore Giotto scrisse contro di loro una canzone, che comincia,

 

Molti son già che lodan povertade;

 

Guido Cavalcanti, filosofo e poeta, amico di Dante, ne toccò in una canzone, dicendo:

 

O povertà, come tu sei un manto

D'ira, d'invidia e di cosa diversa!

 

e Antonio Pucci, in due sonetti ne punse l'ipocrisia:

 

Vera cosa è che non toccan denari,

E 'nsaccherebber con le cinque dita.

Non mangian carne

Sopra il taglier, perchè non sia veduta,

Se fosse in torta o in tondo battuta,

Sicuramente allor posson mangiarne;

 

e il beato Giovanni da Catignano scriveva a Guido di Neri fiorentino: «Altro non dico ora se non che ti guardi da questi membri d'anticristo, cioè questi Fraticelli eretici, i quali già molta gente hanno ingannata e ingannano tuttodì».

A papa Celestino V, che inclinava al viver cenobitico, mandarono Liberato e Pietro da Macerata, chiedendogli licenza di vivere con tutto il rigore e dove volessero senza contraddizione, ed esso gli autorizzò a costituirsi in nuova congregazione, detta degli Eremiti Celestini. Poi riconosciuti per esagerati, presero abito e capi particolari, quali Pietro da Macerata e Pietro da Fossombrone, cui s'unì il rifiuto di tutti i conventi: e massime per la diocesi di Pisa e tra i monti del Vecchiano e di Calci, seguivano vita rigorosissima, alla Chiesa visibile, ricca, carnale, peccaminosa, contrapponendone una frugale, povera, virtuosa; e dicendo che neppure il papa potrebbe concedere ai Francescani di possedere granajo e cantina143. Seguirono quelle dottrine Corrado da Offida, Pietro da Monticolo, Tommaso da Treviso, Corrado da Spoleto.

Tali quistioni insinuarono ne' Minoriti uno spirito di sottigliezza, contrario all'intento tutto pratico del loro fondatore; e ne pullulavano altre quistioni, a dir poco, oziose: se la regola astringesse sotto pena di peccato mortale o soltanto veniale; se obbligasse ai consigli del vangelo quanto ai precetti; se alle ammonizioni quanto ai comandi: dal che facilmente si passò a sofisticare sul decalogo e sul vangelo; ed oltre la disputa sempre accesa sull'immacolata concezione di Maria, un'altra ne ebbero coi Domenicani, se il sangue di Cristo, uscito nella passione, restasse non per tanto ipostaticamente unito al Verbo.

Il papa aveva concesso ai Francescani conventuali di possedere; ed ecco i Fraticelli negano ch'esso abbia diritto di interpretare la regola di san Francesco, e che il vero sacerdozio essi soli possedevano; ad essi l'autorità di sciogliere e legare, e d'impor le mani per infondere lo Spirito Santo; Dio solo doversi venerare; la preghiera esser più efficace quando facciasi in assoluta nudità; condannavano il lavorar per vivere, prendendo per fondamento la libertà dello spirito, diceano, unito questo a Dio, non si può più peccare, come neppur crescere nelle virtù: le quali massime conduceano al quietismo.

Tutti costoro e le Beghine, e i Beguardi o Bizzoccheri, e gli Zelanti, e i Fanciulli del vangelo van compresi nella sètta dei Fraticelli della povera vita, Frati spirituali, che ebbe per canone il Vangelo Eterno, e considerava per suo istitutore l'abate di Flora Gioachimo. Si elessero anche un papa, e non v'è scelleraggine che a costoro non trovisi imputata. In fatto intaccavano i cardini della fede e della giustizia, e sono una forma antica del comunismo, e il resistere e la superbia che facilmente nasce dall'austerità eccessiva, li portarono a farsi accanniti detrattori della Santa Sede. Sta nella Biblioteca Palatina di Firenze un manoscritto senza titolo, opera d'un seguace de' Fraticelli, certo posteriore a Giovanni XXII, dov'è esposta la costoro dottrina. «Quella di che nell'articolo della fede si dice: Io credo nella santa Chiesa Cattolica, nota bene che dice santa, a differenza di quella che non vive santamente, anzi viziosamente. Cattolica dice, a differenza di quella che erra nella fede e buoni costumi. Una dice, a differenza della Chiesa de' malignanti ed eretici..... La fede innanzi a tutte le altre cose si debbe cercare. Nella quale Chiesa, o Cristo ci è abitatore o no. Se Cristo ci abita, quella debb'essere eletta per abitazione: se non ci abita, o che il popolo fosse perfido ed iniquo, ovvero che lo comandatore, cioè il prelato, fosse eretico, o che deformasse o guastasse l'abitazione della Chiesa di Cristo, allora debb'essere schifata, e come partecipazione di eretici, come sinagoga di satanasso si debbe fuggire». E dopo rimproverato Giovanni XXII «falso papa che aprì il pozzo dell'abisso di molte eresie», conchiude di «cercare ed entrar nell'arca di Noè, cioè seguitare e cercare quelli pochi di san Francesco, e la sua dottrina evangelica, a ciò che possiate campare da siffatto diluvio di questi falsi religiosi, perseguitatori e distruttori della vita evangelica». Potrebbe farsi un bel libro notando gli errori sociali che, in ogni tempo e paese, si mescolarono agli errori religiosi: il che darebbe il motivo di molte persecuzioni, che realmente colpivano l'errore sociale, più che il dogmatico.

Papa Giovanni XXII condannò i Fraticelli, riflettendo che «Così va la cosa, che primamente gonfiasi l'infelice animo per superbia; quindi, nella disputa, dalla disputa nello scisma, dallo scisma nell'eresia, dall'eresia nella bestemmia con infelice progresso, anzi precipizio si cada». Per tal ragione egli attirossi le diatribe di molti scrittori, che vollero sin farlo passare per eretico; e saviamente egli rifletteva che «gran cosa è la povertà, più grande la castità, ma superiore l'obbedienza144. Bonifazio VIII li combattè vigorosamente, e perchè poco poi furono anche aboliti i Templari, giudicò taluno che ai papi dessero ombra gli Ordini monastici che aspiravano a dominazione spirituale o temporale. È però forza dire che Bonifazio favoriva i Francescani; li sottrasse alla giurisdizione dei vescovi, per sottoporli ai loro priori, i quali poteano giudicarne senza stare alle prescrizioni del diritto, ma secondo le costituzioni dell'Ordine: e confermò la Bolla Mare Magnum, in cui eransi compendiati tutti i loro privilegi, e diede ad essi autorità di predicare dapertutto, anche senza permissione del vescovo. Ciò poco piaceva a vescovi e parroci.

Quanto ai Fraticelli, proferitili eretici nella famosa bolla Nuper ad audientiam, dichiarando che il papa ha autorità di sciogliere e legare, li fece processare e perseguitare da frà Matteo di Chieti, principalmente negli Abruzzi e nella Marca d'Ancona. Da ciò l'odio mortale ch'essi posero a quel papa, e se alcuni limitaronsi a dirne tutto quel male che poi la storia pedestre adottò e che fu immortalato da Dante, altri passarono fino ad eleggere un altro papa: e cinque Fraticelli sacerdoti e tredici Beghine elessero un Dedodicis, frate provenzale, aizzando il popolo contro Bonifazio come eletto illegalmente, attesochè l'abdicazione di papa Celestino non valeva. Essi ricovrarono in un'isola dell'Arcipelago e in Grecia e in Sicilia, cantando un inno che cominciava: Godi o Chiesa meretrice, aggregando a chiunque tra i Francescani voleva mettersi a regola più austera; cari al vulgo per l'aspetto di maggior perfezione, e avendo per generale il mistico Ubertino da Casale, sotto cui si tenne un capitolo generale a Genova nel 1310.

Gerardo Segarella, frate Minore di Parma, dedito alla contemplazione, e fissando un quadro ov'erano rappresentati gli apostoli avvolti in mantelli, cogli zoccoli e la barba, credette doverli imitare in quel vestimento, e fin nel circoncidersi; faceasi fasciare come un bambino, e adagiare in un presepio al modo di Cristo; dichiarava tutto dover essere comune, anche le mogli; l'uomo non poter possedere nulla in proprio, non far da magistrato; e che le anime salvate non godono la beatifica visione di Dio prima del giudizio universale. Formò seguaci che si dissero Apostolici; vendette quanto possedeva, e dalla ringhiera di Parma gittò il denaro a una ciurmaglia che giocava; ed iva predicando, da chi creduto santo, da chi sentina di vizj. Opisone vescovo il fe cogliere (1280) e tener in prigione cortese nel vescovado, dove impazzito o fintosi, divenne ludibrio del servidorame, poi sbandito, e al fine richiamato e processato da frà Manfredi, fu arso il 18 luglio 1300.

Ermanno Pungilupo ferrarese, condannato più volte dagli inquisitori, si ritrattò, e fu sepolto ecclesiasticamente, ma dopo trentun anno levato di terra sacra, e dispersene le ossa, per ordine di Bonifazio VIII.

Frà Jacobone, de' Benedettini di Todi, valente nel diritto e nella poesia, godea della fama e de' piaceri del mondo, quando in una festa cadendo un palco, vi restò morta la dilettissima e bellissima moglie di lui: e sul corpo le si trovò un aspro cilicio, ch'ella sotto alle pompose vesti celava per ripararsi dai pericoli, cui la volontà del mondano marito l'esponeva. Colpito da quella morte e da quella penitenza, diedesi tutto a Dio, rinunziando ad ogni avere ed anche alla gloria col fingersi imbecille e attirarsi gli scherni plebei, comparendo seminudo, carpone, or colla cavezza a guisa di giumento, ora unto di mele e voltolato tra piume a guisa d'uccello. Metteasi come servigiale sulle piazze, ed uno avendogli dato de' polli da recar a casa sua, e' va, e li getta nel sepolcro di lui, come vera casa. Una volta compra interiora di capretto per farsene cibo, poi pentitosene, le appicca all'uscio della sua cella, e ne fiuta il fetore, e quando gli altri frati lo scoprono al puzzo, confessa la sua ghiottornia perchè lo riprovino145.

Passava dunque per pazzo; ma per esser accolto nei Francescani dimostrò non esserlo con un bel trattato sul disprezzo del mondo; e scrisse prose e versi di stile squisitamente plebeo, che sono de' primi dell'italiana favella, sebbene lo zelo e il mistico vedere lo facessero talvolta oscuro, talvolta irriverente. Tra le rozzezze sue è a cernire molto oro, se qui ne fosse il luogo.

 

Chi Gesù vuol amare

Con noi venga a far festa,

Ed in quella foresta

Sì gli potrà parlare.

Chi vuol esser salvato

Da Gesù Salvadore,

Pianga con gran dolore

Ogni colpa e peccato,

Pianga con gran dolore

Ogni suo fallimento,

Il qual egli ha commesso:

E con contrito core

Chiegga perdonamento,

Pentuto e ben confesso.

E con lacrime spesso

Dica: Signore mio,

Mercè t'addimand'io

Ch'io t'ho molto fallato.

Deh peccator, moveratti tu mai

A seguir me che ti ricomperai?

Io ti ricomperai del sangue mio

In sulla croce con crudel tormento....

 

A lui è dovuto lo Stabat Mater, prosa senza pari per profondità di dolore, e che cantata popolarmente da tutte le plebi nostre per ormai cinque secoli, fu vestita di numeri musicali dai maggiori maestri moderni, Palestrina, Hayden, Gluck, Händel; Pergolesi lo puntò nell'ultima sua malattia, Rossini dopo i più magnifici trionfi146.

Mal rassegnandosi alla sentenza di Bonifazio VIII, ne parlò con ira: compassionò i Colonnesi come perseguitati, e compose un cantico che comincia: Piange la Chiesa, piange e dolora, e un altro: O papa Bonifazio, quant'hai giocato al mondo.

Allora dunque ch'ebbe presa Palestrina, Bonifazio lo fece metter in ferri a pane e acqua (1278), in fetido carcere, dove fe un cantico: O giubilo del core che fai cantar d'amore; e dicono che, avendogli esso papa domandato, «Quando uscirai di prigionerispondesse: «Quando c'entrerai tu». Liberatone infatti alla cattura di Bonifazio, visse sino al 1306. Venuto in fin di morte, i suoi fratelli, l'esortavano a ricevere i sacramenti, ed egli ripeteva non essere giunta l'ora: e poichè insistevano che non morisse come un Giudeo, egli raccoltosi, disse:

 

Io credo in Dio padre onnipotente,

E tre persone in un essere solo,

E che fe l'universo dal nïente,

E credo in Gesù Cristo suo figliuolo

E nato di Maria e crocifisso.

Morto e sepolto con tormento e duolo.

 

I frati gli soggiunsero non bastava il credere; doversi anche ricevere i sacramenti: ed egli replicava voler aspettare frà Giovanni d'Alvernia. Or questi era ben lontano da Collazzone, e nulla sapeva: ond'essi viepiù stimolavano frà Jacopone. Il quale allora disse un cantico, di cui produciamo qualche cosa:

 

Anima benedetta

Dall'alto Creatore,

Risguarda il tuo Signore

Che confitto ti aspetta.

 

Risguarda i piè forati

Confitti d'un chiavello,

forte tormentati

Di così gran flagello!

Pensa ch'egli era bello

Sovr'ogni creatura,

E la sua carne pura

Era più che perfetta.

 

Vedil tutto piagoso

Per te in sul duro legno

Pagando il tuo peccato!

Morì il Signor benigno

Per menarti al suo regno

Volse esser crocifisso

Anima, guardal fisso

Ed in lui ti diletta.

 

Allora pure compose un delizioso cantico alla Vergine:

 

Maria Vergine bella

Scala che ascendi e guidi all'alto cielo,

Da me leva quel velo

Che fa sì cieca l'alma tapinella.

 

Vergine sacra, del tuo Padre sposa,

Di Dio sei madre e figlia.

O casa piccolina, in cui si posa

Colui che il Ciel non piglia,

Or m'ajuta e consiglia

Contro i mondani ascosi e molti lacci.

Pregoti che ti spacci

Nanzi ch'io muoja, o verginetta bella.

 

Donami fede, speme e caritate,

Notizia di me stesso.

Fammi ch'io pianga ed abbia in Dio pietate

Del peccato commesso.

Stammi ognora da presso

Ch'io più non caschi nel profondo e basso.

Poi nell'estremo passo

Guidami sue a la superna cella.

 

Si perdoni se ci badiamo tra fiori poetici: non sarà l'ultima volta. Chè dove si vuol rinnegare una porzione dell'ente umano per ridurlo alla pura ragione, noi faremo rivalere i titoli del sentimento, e appelleremo al bello, non contro il vero, ma in sussidio al vero.

L'Ordine dei Minori veniva osteggiato principalmente (fenomeno ordinario) da altri Ordini e dal restante clero, e se vediamo le accuse lanciate contro l'uno o l'altro, ci pajono tornati allora que' tempi di universale delazione, che si videro al decader dell'impero romano, e che ripete il giornalismo odierno. Veramente san Francesco avea distolto i suoi frati dall'imparare: non curent, nescientes literas, literas discere; ma essi ben presto attesero agli studj, stabilirono scuole, gareggiarono in sapienza teologica co' Domenicani, ed ebbero cattedre nell'Università di Parigi. Se n'adombrarono i vecchi maestri, come suole, e per parte de' professori di quell'Università nacque un fiero litigio, al quale presero parte san Luigi, e i papi Innocenzo IV e Alessandro IV; e non passò senza tumulti di piazza e sangue. I Francescani proclamarono la libertà dell'insegnamento e ne conservarono il diritto, ma ne rimasero odiati dai vinti, che trovarono a sfogarsene quando apparve l'Evangelium æternum.

Quest'opera che, levò tanto rumore, non l'abbiamo noi, e poco si può far conto dell'estratto che ne il cronico di Ermanno Cornero, domenicano e perciò nemico147. Vollero attribuirlo all'abate Gioachimo, perchè, come divisammo di lui, vi si asseriva la perfettibilità successiva anche delle dottrine rivelate, e l'Evangelio Eterno essere superiore al vecchio e al nuovo Testamento: questo finirebbe nel 1260, per surrogarvisi l'altro tutto spirito: al pontefice non è affidata la cognizione spirituale della Santa Scrittura, ma solo la letterale. Iddio colmerà di benefizj anche gli Ebrei perseveranti nell'errore: è scusabile lo scisma de' Greci, i quali camminano secondo lo spirito più che i Latini, e come il Figlio opera la salute di questi, così di quelli il Padre. Cristo e gli apostoli non raggiunsero la perfezione della vita contemplativa. La vita attiva giovò sino al tempo di Gioachimo, ma di poi fu resa inutile, fruttuosa restando solo la contemplativa. I predicatori del nuovo stato, perseguitati dal clero, passeranno agli infedeli, ed è a temere non eccitino questi a guerra contro la Chiesa romana. Gli Ordini mendicanti sono predestinati alla religiosa trasformazione del mondo, surrogandosi al clero secolare, e riformando la vita de' Cristiani.

Questa aspirazione alla supremazia, per mezzo degli argomenti che soli allora aveano valore, i teologici, adombrò i dottori dell'Università parigina: e Guglielmo di Santamore, già nemicissimo dei Mendicanti, scrisse De periculis novissimorum temporum, denigrando quegli Ordini, fino a negare che in essi potesse giungersi a salvazione.

Eccessi provocati da eccessi: sempre così; e l'Evangelio Eterno fu denunziato al pontefice come riboccante d'empietà e bestemmie.

Giovan da Parma, generale de' Minori, e che da molti ne fu creduto autore, e che mostrò sempre gran venerazione per l'abate Gioachimo, locchè tolse venisse beatificato, si portò a Parigi a difendere davanti all'Università i suoi frati; e facendo atto di sommessione, conchiudeva: «Voi siete signori e maestri nostri: noi vostri servi, figliuoli e scolari: e se qualche scienza abbiamo, la vogliamo riconoscere da voi. Io espongo me stesso, e i fratelli che dipendono da me, alla disciplina e correzione vostra; siamo nelle vostre mani; fate di noi quello che vi parrà meglio».

Alessandro IV condannò entrambi i libri; e Guglielmo di Santamore, quod in electis maculam imponere voluit, fu sbandito in perpetuo da Parigi.

Nessuno accerta l'autore dell'Evangelium Æternum, neppur il breve di censura; ma frà Salimbene di Parma l'attribuisce a frà Gherardino da Borgo San Donnino, minorita, lettore di teologia a Parigi, e appassionato dietro alle dottrine dell'abate Gioachimo calabrese; e dice ch'egli il conobbe pieno di capacità e di virtù, finchè con quegli errori non elise tutti i suoi meriti. Impedito di più insegnare predicare, fu posto dai Minoriti in carcere, sostentato dal pane della tribolazione e dall'acqua dell'angustia; ma per quanto ammonito da san Bonaventura, non volle recedere dall'errore, e morto in carcere, fu sepolto in un canto dell'orto148.

Angelo, plebeo senza lettere, della vallata di Spoleto, avea radunati molti Fraticelli. Frà Dolcino e Margherita da Trento sua donna predicavano attorno a Novara, inveendo contro ogni autorità ecclesiastica, togliendo ogni restrizione fra i sessi, e permettendo lo spergiuro in materie d'inquisizione, e il furto ogniqualvolta fosse negata la limosina; traevansi dietro migliaja di proseliti, sinchè per ordine di Clemente V, furono cerchiati e presi, ed egli fatto a pezzi, ella bruciata con sessanta discepoli149.

Clemente V esortava Rainero vescovo di Cremona ad estirpare questo mal seme, e li fulminò nel concilio di Vienna. Ne seguirono persino sommosse a Narbona, in Sicilia, in Toscana; pure i Fraticelli durarono contumaci appellando al futuro concilio, onde ebbero definitiva condanna.

Lo statuto di Firenze, libro III, rubrica xxxxi, è contro i Fraticelli. Dei quali gran numero restava a Siena ai tempi di santa Caterina, che li vide sconfitti dai Domenicani, e dove moltissimi fecero abjura la pentecoste 26 maggio 1315150. Nell'archivio di Stato a Firenze, tra le pergamene di Santa Croce vedemmo un'epistola del 5 febbrajo 1322, diretta dal vicario generale di Lucca al pontefice, per assicurarlo che colà il terz'ordine visse sempre secondo la fede cattolica, lontano affatto dall'eretica pravità dei Beghini di Narbona.

Conosciamo maestro Francesco da Pistoja, arso a Venezia il 1337 come uno de' Fraticelli più insolenti: frà Lorenzo Gherardi, Bartolomeo Greco, Bartolomeo da Buggiano, Antonio d'Acquacanina ed altri mandati al supplizio. Frà Michele della Marca, che predicava a Firenze la quaresima del 1389 accusato e processato, fu ucciso, e n'abbiamo una vita scritta da un suo compagno, tutta ira contro i persecutori e ammirazione al santo151. «Mentre che stette in prigione, tutto il suo studio era o in confortare il compagno, o in leggere in un breviario d'un prete, ch'era in quella prigione, o in istarsi in orazione. E diceva: «Io ho udito dire a li poveri, che molto è grande rischio d'apostasia, quand'altri è in prigione, il troppo dormire, o vero dilettarsi in pigliare del cibo corporale, o veramente l'oziositade». E così152 non si curava di niuna sua fatica corporale, pensando pure ne l'onore di Dio spendere il suo tempo».

Consegnatone il processo ai Signori, il frate raffermò le deposizioni alla stanga: «che Cristo, in quanto uomo viatore e mortale, via di perfezione mostrando, non era stato re temporale per ragione civile e mondana: e che esso Cristo e gli apostoli suoi, stando nello stato di perfezione, non poterono avere niuna cosa per ragione civile e mondana: e delle cose avute non ebbero se non il semplice uso del fatto, senza niuna ragione civile e mondana: e che papa Giovanni XXII era eretico perchè diceva il contrario». Rimesso in carcere, gli si diede penna e calamajo, e fra tre giorni potesse scrivere quel che voleva, e se si ritrattasse sarebbegli perdonato, se no si consegnerebbe alla Signoria secolare. Continuaronsi e variaronsi un pezzo le pratiche per farlo ricredere; confessava essere peccatore sì, ma cattolico, eretico no: eretico invece dichiarava il papa e l'arcivescovo, dal quale fu sconsacrato, poi consegnato al capitano, dov'ebbe molte ingiurie perchè non credeva al papa, ed egli dovea soffrire «le bestianze del popolo, il quale, sotto atto di grandissima compassione, tormentava l'anima del santo il e la notte». Fino agli ultimi istanti gli si continuarono esortazioni, ed egli persisteva a dire che Cristo non possedette nulla: che Giovanni XXII fu eretico perchè lo negava: eretici i suoi successori che nol riprovarono, e nulli i loro atti, non quanto a giurisdizione, ma quanto a sacramenti. Mentre era tratto al supplizio a tutti rincrescendone, «diceangli: Deh non voler morire. Ed esso rispondeva: Io voglio morire per Cristo. E dicendogli: O tu non muori per Cristo, esso diceva: Per la verità. E alcuno gli dicea, Tu non credi in Dio, ed esso rispondeva, Io credo in Dio e nella vergine Maria e nella santa Chiesa.... E ai fondamenti di santa Reparata dicendogli alcuno, Sciocco che tu sei! credi nel papa, que' disse alzando il capo: Questi vostri paperi v'hanno ben conci.... E giungendo in Mercato Nuovo, essendogli detto Pèntiti, pèntiti, e' rispondeva Pentitevi di peccati, pentitevi dell'usure, delle false mercatanzie».

«E alla piazza del Grano, uno cominciò a dire: Voce di popolo voce di Dio, ed e' disse: La voce del popolo fece crocifiggere Cristo, fe morire san Pietro. E qui gli fu data molta briga, e dicevano, Egli ha il diavolo addosso.... Ed essendovi alcuni de' fedeli che riprendeano coloro che diceano che negasse, alcun birro e altra gente si cominciò avvedere del fatto, dicendo: Questi sono de' suoi discepoli: onde un poco se ne scostò alcuno.»

Abbreviammo assai questa turpe scena di un popolo che insulta al suppliziato; pure la riferimmo qual anticipazione di quella del Savonarola. Già chiuso nel cappannuccio, si cercava svolgerlo col fingere di mettere fuoco, col mostrare un giovane de' priori, venuto per rimenarlo salvo se si convertisse; ed egli durò: e bruciò; e chi dicea Egli è martire, chi Egli è santo, chi il contrario: e n'è stato maggiore rumore in Firenze che fosse mai.

Gli inquisitori dovettero pure fare disepellire le ossa d'Ermanno da Ferrara, e abbattere un altare erettogli, e così d'una inglese, che spacciavasi lo spirito santo incarnato per redimere il sesso femminile.

Domenico Savi di Ascoli, uomo di gran pietà, in patria eresse un ospedale e un oratorio sul monte Pelesio, dove vivea modestissimo con alquanti begardi e beghine, ma inebbriatosi di confidenza in , asserì molti degli errori correnti; non esservi colpa nella lussuria; i bambini anche senza battesimo salvarsi per la fede de' parenti; la flagellazione in pubblico a corpo nudo valere meglio che la confessione. Condannato dapprima, si ravvide, poi ricaduto fu dato al supplizio in Ascoli nel 1344.

Il Garampi, nelle Memorie ecclesiastiche, dice trovarsi a Bologna un processo fatto dall'inquisizione di Napoli il 1362 contro Lodovico di Durazzo, frà Pietro da Novara, frà Bernardo di Sicilia, frà Tommaso vescovo d'Aquino, Francesco Marchesino arcidiacono di Salerno poi vescovo di Trivento, donde appajono tre maniere di Fraticelli, cioè frati della povera vita, frati del ministro, frati di frate Angelo.

Nel 1421 altri ne comparvero, detti Fraticelli dell'Opinione perchè opinavano che Giovanni XXII fosse punito da Dio per le sue costituzioni sulla povertà di Cristo e degli apostoli, e Martino V deputò due cardinali a ricercarli e punirli, massime a Fabriano. Nel 1466 Paolo II li vedeva ripullulare nel Piceno e in Poli presso Tivoli nella Sabina, esecrando il papa romano, dichiarando non essere vero vicario di Cristo se non chi ne imita la povertà. Il pontefice, (adopriamo le insulse parole del Bernino) «convinseli maravigliosamente bene tutti, non a forza di dispute ma a forza di battiture, e fattine legare quattordici da' sbirri, li fece poi esporre sopra un alto palco nella sommità di quella parte di Ara Cœli che volge verso il Campidoglio, con una mitera di cartone in capo per uno, all'improperio delle genti e alle fischiate del popolo. Dopo le quali, confessato il loro inganno avanti il pontificio vicario di Roma, che colà comparve con cinque vescovi a riceverne l'abjura, furono essi assoluti, e per marco di professata penitenza vestiti con una lunga veste di lana con croce bianca al petto e alla schiena, dinotante il loro ravvedimento ed eresia153».

D'altri eretici troviamo menzione in quei tempi. Nicola V ordina all'arcivescovo di Milano, che vegli con maggiore attenzione sull'eretico Amedeo recidivo, che di false bolle si prevaleva onde accreditare alcune sue eresie154. Calisto VII udiva che nelle città e diocesi di Bergamo e Brescia laici ed ecclesiastici spacciavano errori intorno a Gesù Cristo, alla sua madre, alla Chiesa militante, molti traendo a perdizione: e raccomanda d'insistere per isvellerli di come dal Veronese, Cremasco, Piacentino, Lodigiano, Cremonese155.

Andrea Papadopulo Vretò pubblicò ad Atene nel 1864 un Catalogo de' libri stampati in greco moderno o in greco antico da Greci, dalla caduta dell'impero bisantino sino alla fondazione del regno ellenico. Ivi è nominato Barlaam da Seminara, cioè uno de' Greci della Calabria, che verso la metà del xiv secolo scrisse, fra altre cose, un libro contro il primato e il temporale del papa e il purgatorio; pel quale perseguitato, dovè fuggire a Costantinopoli. Il raccoglitore dice che questo libro fu stampato la prima volta in Olanda, e divenne quasi irreperibile: ma egli avutone un esemplare, l'applicò alla biblioteca d'Atene.

Questo libro non ci riuscì di vedere, onde nulla possiam dire della sua autenticità del suo contenuto.

 

 

 





136                Una delle legende più divulgate è quella di Barlam e Giosafat, della quale si ha pure una traduzione o imitazione del buon secolo della lingua. Felice Liebrecht provò ch'essa è una contraffazione cristiana della vita di Budda Sakia Muni, qual è offerta nel racconto del Lalita vastara in indiano. già trattasi solo del concetto, delle linee fondamentali, ma di passi interi. Anche Sakia Muni è un figlio di re, che tocco dalle miserie umane, si ritira nel deserto, malgrado la famiglia sua, a vita religiosa, convertito da un solitario. Un qualche monaco siro tradusse questa legenda, inserendovi le lodi del cristianesimo, e valendosi dell'ascetismo monastico, ch'è comune alle due religioni. Più tardi vi si aggiunsero satire contro la corrutela del tempo e la depravazione del clero.



137                Nell'originale "dello". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



138                La sua vita sta negli Acta Sanctorum al 29 maggio.



139   Pietro Lombardo, Maestro delle sentenze, avea detto (Lib. i, dist. 5) coi trattatisti, che il Padre generò la divina essenza, la divina essenza generò il Figlio, la divina essenza generò l'essenza: «col qual nome di essenza intendiamo la divina natura, che è comune alle tre persone, e tutta in ciascuna».

            Parve a Gioachimo, che Pietro portasse la Trinità a quaternità, asserendo le tre persone, e inoltre l'essenza comune, distinta da esse. Molto se ne disputò, finchè Innocenzo III condannò il costui libro. Vedi Mattia Paris al 1179, e ci serva di prova de' cavilli allora usitati.

                Le profezie di esso furono difese da Gregorio di Lauro, abate cistercense, nell'opera B. Joannis Joachim abatis apologetica, sive mirabilium veritas defensa. Napoli 1560. L'esame delle dottrine di esso vedasi in Natale Alessandro, Historia ecclesiastica, Tom. vi, pag. 287.



140                Costituzione Exiit quid seminat, nel vi delle Decretali, tit. de verbor. significatione.



141                A torto dunque Alessandro Natale comincia l'articolo sui Fraticelli con queste parole: Fraticellorum sectæ initium dedere Petrus de Macerata et Petrus de Forosempronio, Ordinis Minorum apostatæ, etc. Vol. vi, pag. 83.



142                Borghini, Trattato della Chiesa e vescovi fiorentini.



143                Fra la Scelta di curiosità letterarie, che stampasi a Bologna, nel 1865 si pubblicò una lettera dei Fraticelli a tutti i Cristiani, nella quale rendono ragione del loro scisma. A rinforzo di testi della Scrittura e del Decreto mostrano essersi «separati dal papa e da li altri prelati», credendoli rei per eresia, per simonia, per pubblica fornicazione. Papa Giovanni XXII esser morto pertinace eretico provano dalle dottrine sue, e principalmente dall'aver condannata la proposizione che «il nostro Signor Jhesu Christo et li apostoli suoi non avessero proprio in speciale in comune». La sua simonia deducono dall'essere nel Decreto severamente vietato di ricevere denari pel battesimo, per la cresima, per la comunione, per la sepoltura, ecc., «dovendo li doni di Cristo essere dispensati e donati di grazia. Li fornicatori pure sono scomunicati». E però essi prelati e papi sono scomunicati, mentre per scomunicati dichiarano i Fraticelli, che niun'altra colpa hanno se non di non stare alla loro obbedienza. E «posto che li Catholici non possano avere la sacra comunione di Christo visibilmente e corporalmente per li heretici che soprastanno, nondimeno, mentre che colla mente sono congiunti ad Christo, anno la sacra comunione di Christo invisibilmente».



144                Bolla Quorum exigit nelle Estravaganti, tit. De verborum significatione.



145                Vedasi Wadingo, Ann. Minor. T. v ad 1298. xxiv: e 1306, viii.



146   Bonifazio VIII passa per gran nemico di frà Jacopone, eppure a lui s'attribuisce un canto, che non può se non tenersi come traduzione dello Stabat Mater:

 

            Stava la Vergin sotto della croce

          Vedea patir Jesù, la vera luce.

          Madre del re di tutto l'universo.

            Vedeva il capo che stava inchinato

          E tutto il corpo ch'era tormentato,

          Per riscattar questo mondo perverso, ecc.

 

            Altri versi di frà Jacopone arieggiano al Dies iræ:

 

            Chi è questo gran sire

          Rege di grande altura?

          Sotterra i' vorria gire,

          Tal mi mette paura.

          Ove potria fuggire

          Dalla sua faccia dura?

          Terra, fa copritura

          Ch'io nol veggia adirato.

 

            E altrove:

 

            Non trovo loco dove mi nasconda

          Monte piano, grotta o foresta

          Chè la veduta di Dio mi circonda.

 



147                Sta in Eccard, Corp. hist. Tom. ii, pag. 849.



148                Chronica Fr. Salimbene; Parma 1857, pag. 233 e seg. Esso frà Salimbeni, che nella cronaca distesamente parla de' Fraticelli, all'anno 1280 racconta che, avendo i Domenicani fatto bruciar donna Alina per eretica, il popolo di Parma si levò a rumore, e li cacciò, , malgrado le scomuniche lanciate dal cardinale Latini, poterono tornarvi fino al 1287.



149   Fr. Christ. Schlosser, Abelardo e Dolcino; vita ed opinioni d'un entusiasta e d'un filosofo. Gota 1807. - G. Baggiolini, Dolcino e i Patareni. Novara 1838. - Julius Krone, Frà Dolcino und die Patarener, historische Episode auf den piemontesischen Religionskriegen. Leipzig 1844.

                Questa ostentata povertà stava forse in mente all'autore dell'Imitazione di Cristo, allorchè scriveva (Lib. ii, c. 11): «Dove si troverà chi a Dio voglia servire gratuitamente? Di rado si trova alcuno, tanto spirituale, che d'ogni cosa sia denudato. Un vero povero di spirito e spoglio d'ogni cosa creata, chi lo troverà? se l'uomo abbia dato ogni sostanza sua, non è ancor nulla. Se abbia fatto gran penitenza è ancor poco. Se abbia imparato ogni scienza, n'è ancor ben lontano. Se abbia gran virtù e fervorosa devozione, molto ancora gli manca; quello cioè che sommamente gli è necessario. E che cos'è? Che, lasciato tutto, lasci se stesso ed esca affatto da , e nulla ritenga d'affezione privata. Fatto che abbia tutto, senta d'aver fatto nulla, e si riconosca servo inutile. Allora veramente povero e nudo di spirito potrai essere, e dir col profeta: Umile e povero son io».



150                La sentenza trovasi in Pucci, Storia del vescovado di Siena, pag. 253.



151                Edita nella Scelta di curiosità letterarie.



152                Nell'originale "cosi". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]3



153                Hist. di tutte l'heresie. Vol. iv, pag. 198. Quest'autore, declamatorio quanto il Gioberti, par sempre armato dello staffile di pedante per flagellar l'avversario, empio, frodolento, degno d'inferno, bestemmiatore, scismatico, ecc.]



154                Ep. Nicolai V, Lib. xxii, pag. 53.



155                Ep. Calixti, Lib. xiv, pag. 255.



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