Cesare Cantù
Gli eretici d'Italia

DISCORSO X SCANDALI NELLA CHIESA. RIMPROVERI FATTILE E TOLLERATI.

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DISCORSO X

 

SCANDALI NELLA CHIESA. RIMPROVERI FATTILE E TOLLERATI.

 

 

Chi non ravvisa in tutto ciò come il mondo civile s'innovasse? Pensieri elevati, bisogni meglio che materiali attestano come vi fosse tutt'altro che torpore e negligenza nella società d'allora; supina indifferenza pei diritti e i doveri, quale vorrebbero farci credere coloro, che dalla patria di Hutten e di Goetz von Berlichingen giudicano quella di Ficino e Pico, di Savonarola e Machiavello.

I re si venivano assodando coll'abbattere la feudalità; e le plebi restringeansi ai troni come ad asilo di ordine e di giustizia, come rimedio alle ineguaglianze oppressive ed offensive; la monarchia, benchè non avesse ancora schiacciato l'aristocrazia e la democrazia, crescea le ingerenze sue fin sulle cose ecclesiastiche: tra i varj governi s'erano stabilite relazioni più intime e frequenti, donde una specie di politica generale. Pertanto scemava il bisogno di domandare agli ecclesiastici regole per gli atti, protezione per gli interessi; il risorto diritto romano facea vagheggiare il coordinato accentramento degli antichi, in luogo delle istituzioni paterne, delle franchigie locali, e della personale indipendenza, introdotte dai Germani. La repressione della feudalità chiamava un maggior numero a partecipare ai diritti universali. Sopravviveva260 però lo spirito delle antiche repubbliche, concitato anzi dal resistere a coloro che le spegnevano; lo slancio cavalleresco non era ammortito dalla fredda ragione: metteasi passione nell'erudizione come nella filosofia, calore e amore nella luce. Rotti i ceppi del medioevo, non ancora assunti quelli delle convenienze, l'uomo seguiva gli istinti, la fantasia, la coscienza, virtuoso o ribaldo ma francamente, senza insuperbirne, vergognarne; donde una originale varietà di atti come di componimenti; epicureismo sfacciato a fianco d'una devozione fin mistica; serenità delle arti in mezzo alla devastazione di eserciti brutali, che strappavano alla patria nostra l'indipendenza; violazioni d'ogni diritto, e pregiudizj inumani e servili, mentre grandeggiava la giurisprudenza, e poneansi i fondamenti al diritto pubblico.

Nobili intelligenze elevavansi, guidate dalla critica a riprovare la filosofia scolastica, l'architettura gotica, il latino chiesastico, la servile riverenza all'autorità, richiamando ai modelli classici nella letteratura e nelle arti, ai sommi filosofi, all'esame, all'esperienza; ma con un'esuberanza di forze, un entusiastico trasmodare, una indipendenza arrischiata, un'imitazione imprudente, un fervore pel bello, separato dal buono. E a vero dire, la riforma protestante, se si consideri come un ritorno verso l'antichità, era cominciata dai nostri umanisti: perocchè anch'essi voleano annichilare quattordici secoli di progresso, non per tornare ai primordj della Chiesa come poi Lutero, ma per riaccreditare la civiltà pagana, sovvertita dal cristianesimo: non già solo per distruggere come esso Lutero, ma per ripristinare gli ordinamenti antichi, e far che la materia rivalesse ancora sopra la morale. Come i re aveano trovato la polvere e i cannoni, così il popolo avea trovato la stampa: e Roma la accolse, la favorì, non avendo paura di nessun progresso: i primi libri si pubblicarono in badie, e dedicati a papi, che li proteggeano a diffondere non solo la verità, ma anche la civiltà pagana, e che presto doveano divenire i maggiori propagatori della tentazione protestante. Ma quando annunziavasi che il mondo non consisteva nelle sole tre parti antiche; che in America si trovava una differente vita animale e vegetale, e uomini e civiltà d'altra specie; che la terra gira e il sole sta; che ne' libri talmudici e nella cabala era riposta profonda scienza; che l'India possedeva una lingua, madre delle altre; che il Turco non era più barbaro dell'Ungherese; poteva la mente tenersi queta e soddisfatta ne' canoni che avea sin venerati tacendo? Non doveano colle nuove idee destarsi bisogni nuovi e lo spirito d'esame?

Non va mai senza inconvenienti un improvviso effondersi di cognizioni. Stampa, scoperte di paesi nuovi e di codici antichi, secolo d'oro della letteratura, aumento di comodità e dilicature, fomentavano la vita sensuale, e per ricolpo le declamazioni contro il rilassato rigore cristiano ed ecclesiastico.

Per verità a sì grandi mutazioni bisognerebbe si trovassero pari coloro che guidano il mondo. I principi pretesero farlo col rendersi forti, accentrarsi ne' proprj possessi, ritrarre allo Stato le prerogative, in prima sparpagliate fra i possessori del suolo. La Chiesa videsi costretta fare altrettanto, e poichè principalmente l'esiglio avignonese (dov'era parso che il pontificato suddito comunicasse la sua servitù a tutto il mondo, come altre volte ne tutelava le libertà) avea mostrato l'indipendenza temporale essere necessaria garanzia della spirituale, dovette essa pure assettarsi a guisa di principato, fino a negligere quella che è essenza sua, la virtù, e il continuo migliorare di atti nella persistenza delle dottrine.

Molti dell'alto clero, assorti in cure secolaresche, investiti feudalmente di obblighi militari e fors'anche di diritti osceni261, a nulla pensavano meno che ad istruirsi in quella fede, che per ufficio avrebbero dovuto tenere immacolata e diffondere. Fra le guerre incessanti del medioevo, ad alcune chiese non provedeano quelli a cui spettava canonicamente di eleggere i successori: onde i prelati, affine di non lasciarle scoperte, le raccomandavano a qualche prete; oppure esse medesime, per sottrarsi a prepotenze, raccomandavansi a qualche signore. I protettori ne vollero un compenso: e fossero laici o prelati, teneansi parte della rendita, mentre del resto investivano amici o parenti. L'abuso dapprima fu corretto con editti; ma come è trista natura dell'uomo il facilmente abituarsi alle ingiustizie, i pontefici stessi conferirono commende, anche a vita, e concedendo gl'interi frutti al commendatario come al titolare; e mentre prima raccomandavasi la tal chiesa acciocchè intanto fosse governata, dappoi si disse: «Ti raccomandiamo la tal chiesa acciocchè tu possa con maggior decenza sostentarti». E poichè costoro erano instituiti dal pontefice, i vescovi locali non potevano frammettersi al governo che facessero di quella chiesa i commendatori, che vedendovi unicamente una fonte di guadagno, trascuravano e le anime e le temporalità262.

Alcun vescovo rinunziava alla sede, riservandosi la collazione de' benefizj e certe propine; altri a denaro faceansi destinare de' coadjutori, ch'era uno spediente per trasmettere il vescovado ai così detti nipoti; fin arcidiocesi importantissime lasciavansi quasi retaggio a famiglie principesche, come la milanese agli Estensi; poco importando se l'investito fosse illetterato o fanciullo. Filippo, figliuolo del duca Lodovico di Savoja, da bimbo era vescovo di Ginevra, e fatto maggiore, depose l'abito clericale; come fece più tardi Emanuele Filiberto, eletto cardinale di due anni. Giovan Giorgio Paleologo vescovo di Casale, nel 1518 depose la tonaca, e menò moglie, e così nel 1515 Ranuzio Farnese, vescovo di Montefiascone a nove anni: a quindici nel 1520 Giovan Filippo di Giolea era vescovo di Tarantasia.

Ne derivò l'ubiquità, cioè di poter godere i frutti delle prebende dovunque si dimorasse, talchè uno poteva essere cardinale d'una chiesa di Roma, vescovo di Cipro, arcivescovo di Glocester, primate di Reims, priore di Polonia, e intanto alla Corte del cristianissimo trattava forse gli affari dell'imperatore. Giovanni de' Medici, che fu poi Leone X, appena adolescente si trovava canonico delle cattedrali di Firenze, di Fiesole, d'Arezzo; rettore di Carmignano, di Giogoli, di San Casciano, di San Giovanni in Valdarno, di San Pier di Casale, di San Marcellino di Cacchiano; priore di Montevarchi, cantore di sant'Antonio di Firenze, prevosto di Prato, abbate di Monte Cassino, di San Giovanni di Passignano, di Miransù in Valdarno, di Santa Maria di Morimondo, di San Martino, di Fontedolce, di San Salvatore, di Vajano, di San Bartolomeo d'Anghiari, di San Lorenzo di Coltibuono, di Santa Maria di Montepiano, di San Giuliano di Tours, di San Giusto e di San Clemente di Volterra, di Santo Stefano di Bologna, di San Michele d'Arezzo, di Chiaravalle presso Milano, del Pin nel Poitou, della Chaise-Dieu presso Clermont. Il cardinale Innocente Cibo suo nipote tenne contemporaneamente otto vescovadi, quattro arcivescovadi, le legazioni di Romagna e di Bologna, le abbazie di san Vittore a Marsiglia e di san Ovano a Rouen. Il cardinale Ippolito d'Este, a sette anni era primate d'Ungheria, poi vescovo di Modena, Novara, Narbona, arcivescovo di Capua e di Milano, la qual ultima dignità rinunziò a un nipote di dieci anni riservandosene l'entrata: e questo nipote fu pure vescovo di Ferrara, amministratore dei vescovadi di Narbona, di Lione, d'Orleans, di Autun, di Morienne, a tacere un'infinità di badie. Il patriarcato d'Aquileja stette ne' Grimani dal 1457 al 1593: il vescovado di Vercelli da forse un secolo poteva dirsi ereditario nelle famiglie Rovere e Ferreria; Giuliano Della Rovere, divenendo papa, ne investì il cardinale Ferrerio, benchè già tenesse la sede di Bologna, e molte ricche badie. Al concilio tridentino il vescovo di Pamplona manifestò che, quand'egli salì a questa sede, da ottant'anni non vi risiedeva alcun vescovo, perchè erano cardinali.

Adunque i signori nella vigna di Cristo trovavano desiderabilissimi appanaggi ai loro cadetti; la curia romana, che male si confonde colla Chiesa, ne faceva pingui ricompense a' suoi devoti, conferendole meno per merito di scienza ed esemplarità, che per servigi resi in curia, o ancora peggio per raccomandazioni di principi; con molteplici serie di promozioni mirava a lucrare dalla vacanza e dalle collazioni de' benefizj, e moltiplicare le tasse di cancelleria. I vescovi, educati nel fasto spensierato anzichè a studj teologici, puntigliosi sul decoro della famiglia ed emuli del lusso fraterno, amanti del ben vivere più che del vivere bene, per trescare nelle Corti, o sollecitare posti a Roma, abbandonavano le diocesi a vicarj spirituali, e per economia preferivano sceglierli tra' frati mendicanti, i quali non esigevano mercede. I cardinali, dice il piissimo Bellarmino, non divenivano santi perchè aspiravano a divenire santissimi: le chiavi di san Pietro erano desiderate, non perchè aprono il cielo, ma perchè erano d'oro263.

Gli inferiori sogliono foggiarsi sull'esempio dei capi. Recitavasi la messa con indifferenza meccanica, per abitudine, non altrimenti d'un rito qualunque, senza spirito unzione, senza conoscere come storicamente le sue cerimonie s'annettano a quelle della primitiva Chiesa. Molti possedeano il titolo di dottori in teologia, ma non la teologia; e come adesso non si leggono più libri serj e profondi, ma enciclopedie e giornali e compendj, così allora, invece dei Padri e della Scrittura, si stava alle Somme, ai Fiori, ai Manuali. Innocenzo VIII dovette rinnovare la costituzione di Pio II, che ai preti vietava di tenere macello, albergo, bettola, casa di giuoco, postribolo, o di fare da mediatori per denaro; e se dopo tre ammonizioni persistessero, non godrebbero più l'esenzione del fôro264. Silingardo vescovo di Modena, dirigendo la sua Somma di teologia morale al cardinale Morene, diceva avere «nella visita di quella diocesi trovata tanta ignoranza della lingua latina nella maggiore parte de' sacerdoti curati, accompagnata da così poca pratica della cura delle anime, che verisimilmente si può temere una gran ruina e precipizio del gregge». I tre stati di Savoja, raccolti a Ciamberì nel febbrajo 1528, faceano istanza a quel duca perchè fossero frenati e moderati gli ecclesiastici, che trascendono in abiti e pompe mondane, ed esercitano l'usura con gran danno del popolo minuto, e che godono pingui benefizj senza adempirne gli obblighi di limosine e messe265. Insomma il sacerdozio consideravasi come uno stato, non una vocazione; le penitenze, lo studio, il predicare rimanevano incombenza de' frati.

Ma in questi pure appariva come sia pessima la corruzione dell'ottimo. Commendate le badie ad uno che mai non le vedeva, o vi compariva con treno secolaresco di cani, donne, cortigiani per raccorvi i frutti e far caccia nelle selve, chi più curava la disciplina de' monaci? E qual meraviglia se i conventi, già centri all'attività del pensiero, delle arti, della devozione, intepidivano nella rilassatezza dell'opulenza, o gareggiavano solo nella profana gelosia d'un Ordine coll'altro?

Mentre nell'Aretino e pari suoi si perdonava non solo ma si applaudiva la scostumatezza, la perfezione a cui devono aspirare i monaci rendeva rigorosi verso di loro; che d'altra parte obbligati per professione a sopportare e umiliarsi, non davano timore di ripicchio. Eccoli pertanto bersaglio alle leggerezze e alle arguzie. Lelio Capilupo di Mantova, famoso pei lubrici centoni, ne fece uno inimitabile contro i monaci, ch'è inserito in fine del Regnum papisticum di Naogeorgus. Chi non conosce i nostri novellieri?

Non è men vero che i monaci venivano rimproverati anche dagli austeri; se non che questi il facevano con carità, con esagerazione i depravati: questi pel maligno gusto di rivelare spettacoli stomacanti, quelli collo scopo di rimediarvi. Ambrogio abate generale de' Camaldolesi, dotto e pio, adoprato da Eugenio IV nelle controversie e nella carità, nel 1431 e 1432 visitando i varj conventi d'Italia trovò disordini, ch'egli, nel suo Hodœporicon, per prudenza dinota con voci greche; monache ch'erano vere εταιριδα; altrove omnes ferme πορνας ειναι; un'abadessa gli confessò τεκνον ποιησαι: d'un'altra un prete geloso pubblicò lettere oscene. Noi ci siamo tanto compiaciuti in lodare i frati, che non saremo imputati di malevolenza se deploriamo con pari franchezza che le istituzioni umane, al par che le verità, si disgradano quando sieno esposte al vento e alla pioggia del mondo. Chi ignora con qual buon senso stizzoso san Girolamo rivelasse i disordini de' monaci fin dal suo tempo? Vedemmo come, a riformarli, s'istituissero gli Ordini mendicanti, ma la costoro degenerazione fu tanto prossima all'istituzione, che san Bonaventura, generale de' Francescani, già nel 1257 querelavasi co' provinciali e guardiani, perchè, sotto veste di carità, i fratelli s'impacciassero d'affari pubblici e privati, di testamenti, di segreti domestici; sprezzando il lavoro, cadono nell'infingardaggine; e mentre pregano a ginocchi e meditano nelle celle, sbadigliano, dormono, si danno a vanità, o dai libri che composero traggono un orgoglio, qual non prenderebbero col tessere stuoje o fiscelle come i primi romiti; vagando, riescono d'aggravio agli ospiti o di scandalo; per rifarsi della stanchezza mangiano e dormono oltre il prefisso; scompigliano le regole del vivere; domandano con tale importunità da farsi schivare come ladri. E segue a dire che la vastità dei conventi incomoda gli amici, ed espone a sinistri giudizj; ai parroci spiacciono266 perchè si danno attorno a funerali e a testamenti. Così un loro amorevole; che non doveano dirne Pier delle Vigne e Mattia Paris loro avversissimi?

L'Ordine francescano nel secolo xiv avea già dato cinque papi, quarantatrè cardinali, più di cento canonizzati. Venerandoli per santità, disinteresse, acume, le città chiamavano que' frati a compor litigi, ad amministrare finanze, a riformare statuti; i papi li deputavano a dilicate missioni, perchè costavano spesa, accampavano pretensioni; il Sant'Uffizio li riduceva a una specie di magistrati criminali, con bidelli, famigli armati, carceri e imperio sovra il magistrato secolare; essi che erano stati istituiti a profonda umiltà, a povertà assoluta. Allorquando nel 1457 se ne celebrò il capitolo generalissimo in San Francesco di Milano, con indulgenza pari a quella di Santa Maria degli Angeli d'Assisi, immenso numero ne concorse, pel cui sostentamento si raccolsero meglio di diecimila scudi di limosine: il duca Francesco Sforza prodigò ad essi trattamento e onorificenze, e sedette al loro pranzo frugale, mentre centomila curiosi affluirono a vederli.

Ricchi di privilegi, tra cui invidiatissimo quello di confessare, e predicare dovunque si trovassero, e farsi cedere il pulpito da ogni curato, ne ottenner di nuovi da Sisto IV, epilogati nella famosa Bolla dell'agosto 1474, fratescamente qualificata mare magnum, che minacciava sino di destituzione i parroci che non obbedissero ad essi. I vantaggi che traevano dall'opinione di santità tornarono a danno di questa; e resi mondani, con mille brighe cercavano le dignità; e (dice il cardinale Caraffa) «si veniva ad omicidj non solo con veneno, ma apertamente col coltello e colla spada, per non dire con schioppetti». Le gravissime controversie tra i più o meno rigidi Osservanti, procedute fino all'eresia de' Fraticelli, da molti papi si tentò invano toglierle di mezzo, finchè Leone X nel 1517 gli obbligò ad eleggere un solo generale, portar altro titolo che di Minori Osservanti.

Che dirò delle smancerie usate per sostenere un santo speciale, una speciale divozione, ciascun Ordine, ciascun villaggio, ciascuna chiesa? Ne' panegirici si trascendea fino alle assurdità, per dabbenaggine più che per frode moltiplicando i miracoli, le grazie, le reliquie, e attirando al santo prediletto un culto vulgare, che rasentava all'idolatria. Il fervore, non sempre disinteressato, per certe devozioni nuove, come il rosario de' Domenicani e lo scapolare dei Carmeliti, faceva proclamarle quale espiazione sufficiente a tutti i peccati, che perdevano l'orrore quando annunziavasi così facile il redimerli, e ne veniva presunzione a chi le osservasse, e confidenza d'una buona morte dopo vita ribalda.

Altri frati, che s'occupavano nel trascrivere libri, si trovarono ridotti all'ozio dalla stampa. Non che cessare, cresceva il mal vezzo di gettarsi a quistioni di poca arte e molti cavilli, a dubbj curiosi e controversie puntigliose, facendo schermaglia di sillogismi, surrogando le sottigliezze scolastiche al vangelo, e alla logica attribuendo i diritti della ragione, come oggi all'audacia: aggiugnendovi un ingombro di indigeste autorità.

Se la beatissima vergine fu concepita anch'essa nel peccato originale; se i Monti di pietà sono un'istituzione opportuna, o un'usura riprovata dal vangelo, furono causa di lunghi abbaruffamenti fra Domenicani e Francescani. Jacopo delle Marche minorita, predicando a Brescia nel 1462, affermò che il sangue, da Gesù Cristo versato nella sua passione, era separato dalla divinità, e perciò non gli si doveva l'adorazione. Se ne levò tanto rumore, che Pio II volle fosse messo in disputa alla sua presenza da famosi teologi; i quali si bilanciarono in modo, che esso papa non potè se non imporre silenzio su tal quistione267.

Al concilio di Basilea fu condannata un'opera teologica di Agostino Favaroni da Roma, composta di tre trattati; uno del sagramento dell'unità di Cristo, e della Chiesa; l'altro di Cristo e del suo principato; l'altro della carità e dell'amore infinito di Cristo verso gli eletti; dove si trovavano proposizioni ereticali: per esempio, che Cristo pecca ne' suoi membri, cioè nei fedeli; che la natura umana in Gesù Cristo è veramente Cristo. L'autore le spiegava in senso cattolico, e si sottopose al giudizio della Chiesa.

Sul pulpito la più parte non recavano studj profondi e dogmatica precisione, ma zelo e modi popoleschi, con improvida applicazione alle evenienze giornaliere. Di quegli aridi tessuti di scolastica e di morale, rinzeppati di brani e brandelli d'autori sacri e profani, con dipinture ridicole o misticismo trasmodato, non ci spiegheremmo i grandi effetti che la storia ci ricorda, se non attribuendoli al gesto, alla voce, allo spettacolo, e più alla persuasione della santità. E non il talento, bensì la fede e l'amore fanno i grandi predicatori, quali furono Bernardino da Siena, Michele da Carcano, Alberto da Sarzana ed altri, famosi per conversioni e per pacificamenti. Una novità aveva cercato introdurre Ambrogio Spiera, trevisano, servita e famoso teologo, i cui sermoni, stampati nel 1476, poi nel 1510, sono piuttosto trattati teologici, divisi in varie conclusioni, dove raccoglie tutto quanto in proposito dissero le sante scritture, i Padri ed altri dottori. Così evitava le opinioni particolari, ma quell'aridità sconveniva all'eloquenza del pulpito.

Mescolando sacro e profano, serio e burlesco, col nuovo, col bizzarro, col sorprendente attiravasi l'attenzione, ponendo i mezzi sopra lo scopo. Paolo Attavanti ogni tratto cita Dante e Petrarca, e se ne gloria nella prefazione. Mariano da Genazzano, levato a cielo da Pico della Mirandola e dal Poliziano, «predicava attraendo con l'eloquenza sua molto popolo, perciocchè a sua posta aveva le lagrime, le quali cadendogli dagli occhi per il viso, le raccoglieva talvolta e gittavale al popolo»268.

Non è raro il trovare una pietà sincera e un'ingenuità profonda associate senza gusto col buffo e col teatrale; e a riso anzichè a compunzione eccitano i sermoni di Roberto Caracciolo da Lecce, dai contemporanei supremato nell'eloquenza. Sale in pergamo a predicare la crociata? traendosi la tonaca, rivelasi in abito da generale, come pronto a guidare egli stesso l'impresa. Un'altra volta esclama: «Dicetemi, dicetemi un poco, o signori; donde nascono tante e diverse infermitadi in gli corpi umani, gotte, doglie di fianchi, febre, catarri? Non d'altro se non da troppo cibo ed essere molto delicato. Tu hai pane, vino, carne, pesce, e non te basta; ma cerchi a toi conviti vino bianco, vino negro, malvagìe, vino de tiro, rosto, lesso, zeladia, fritto, frittole, capari, mandorle, fichi, uva passa, confetione, et empi questo tuo sacco di fecce. Émpite, sgónfiate, allargate la bottonatura, et dopo el mangiare va, et bòttati a dormire come un porco»269. E a costui fioccavano e brevi in lode, et onorevoli commissioni, e mitre, e titolo di nuovo san Paolo.

Giacomo, arcivescovo di Téramo, poi di Firenze, fra varie opere, scrisse una specie di romanzo col titolo Consolatio peccatorum o Belial, dove immagina che i demonj, indispettiti del trionfo di Cristo sopra Lucifero, eleggano procuratore Belial per chiedere giustizia a Dio contro le usurpazioni di Cristo; Dio commette la decisione a Salomone; e Cristo citato, manda per rappresentante Mosè, il quale adduce a testimonj giurati Abramo, Isacco, Giacobbe, Davide, Virgilio, Ippocrate, Aristotele, il Battista. Belial li scarta tutti, eccetto l'ultimo, sostiene la sua causa con finezza diabolica, pure la decisione esce a lui contraria. Si appella, e Dio demanda la causa a Giuseppe; se non che Belial preferisce comprometterla in arbitri; e sono Aristotele ed Isaia per Mosè, per Belial Augusto e Geremia. I testi più venerabili sono stiracchiati beffardamente; e dopo tutti i garbugli della giurisprudenza, ove Belial imbarazza sovente Mosè men versato ne' cavilli, gli arbitri danno di quelle vaghe decisioni, che lasciano ad ambe le parti cantare trionfo.

Nescit prædicare qui nescit barlettare, dicevasi in onore di Gabriele Barletta, i cui discorsi ebbero moltissime edizioni nel secolo di Leon X270, e pajono burlette. Per Pasqua racconta che molte persone offrironsi a Cristo onde annunziare la sua risurrezione alla madre: egli non volle Adamo, perchè, goloso dei pomi, non si indugiasse per istrada; non Abele, perchè andando non fosse ucciso da Caino; non Noè, perchè correvole al vino; non il Battista pel suo vestire troppo distinto; non il buon ladrone, perchè aveva rotte le gambe; bensì donne per la popolosa loquacità. Ma ben doveva esser applaudito quando, blandendo un sentimento troppo vulgare, predicava: «O voi, donne di questi signori e usuraj, se si mettessero le vostre vestimenta sotto il pressojo, ne scolerebbe il sangue de' poveri».

Sempre poi conchiudevasi coll'accattare: e uno diceva: «Voi mi chiedete, fratelli carissimi, come si vada in paradiso. Le campane del monastero ve l'insegnano col loro suono: dan-do, dan-do, dan-do».

Il vizio non era nuovo, che già avea tonato l'Alighieri:

 

Ora si va con motti e con iscede

A predicare; e pur che ben si rida,

Gonfia il cappuccio, e più non si richiede.

 

I quali versi commentando, Benvenuto da Imola adduce alquante scempiaggini di Andrea vescovo di Firenze, che mostrava dal pulpito un granello di seme, poi si traeva di sotto la tonaca una grossissima rapa, e diceva: «Ecco quanto è mirabile la potenza di Dio, che da sì picciol grano traegran frutto». Poi: O domini et dominæ, sit vobis raccomandata monna Tessa cognata mea, quæ vadit Romam; nam in veritate, si fuit per tempus ullum satis vaga et placibilis, nunc est bene emendata; ideo vadit ad indulgentiam271.

A dir vero, questi modi, se men dignitosi, erano più efficaci che non le esanimi generalità, le perifrasi schizzinose, e i consigli senza coraggio dei secoli d'oro. Ma se a persone semplici e credenti recavano edificazione, se doveva poi con sciagurata efficacia imitarli Lutero, nel nascere della critica e della negazione davano appiglio ad accuse, alla loro volta esagerate. Della tecnica compagine stomacavansi gli schizzinosi letterati, e il Bembo, chiesto perchè non andasse a predica, rispose: «Che ci ho a veder io? Mai altro non s'ode che garrire il dottore Sottile contro il dottore Angelico, poi venirsene Aristotele per terzo e terminare la quistione proposta»272.]

E l'erudito Bracciolini fa dire da Cincio in un suo dialogo: «Parmi che tanto frà Bernardino da Siena, come altri troppi vadano errati per istudio di brillare più che di giovare; non vôlti a curar le infermità dell'animo delle quali si annunziano medici, quanto a ottenere gli applausi del vulgo, trattano qualche volta recondite e ardue materie, riprendono i vizj in modo che pare gl'insegnino, e per desiderio di piacere trascurano il vero scopo di loro missione, quello di render migliori gli uomini».

Alcuni non mancavano di merito letterario, quali frà Cavalca, il Passavanti, frà Giordano di Rivalta. Come quest'ultimo distinguesse le devozioni dagli abusi, giova mostrarlo a coloro, che in que' tempi e in que' frati non ritrovano che superstizione: «Viene (diceva egli) viene l'uomo, ed andrà a santo Jacopo in pellegrinaggio, ed anzi ch'egli sia , cadrà in un peccato mortale, e forse in due, e talora in tre, e forse più. Or che pellegrinaggio è questo, o stolti? Che rileva questa andata? Dovete sapere che, chi vuole ricevere le indulgenzie, conviene che ci vada puro, come s'egli andasse a ricevere il corpo di Cristo. Or chi le riceve così puramente? E però le genti ne sono ingannate. Di queste andate e di questi pellegrinaggi io non ne consiglio persona, perch'io ci trovo più danno che pro. Vanno le genti qua e , e credonsi pigliare Iddio per li piedi: siete ingannati, non è questa la via; meglio è raccoglierti un poco in te medesimo e pensare del Creatore, o piangere i peccati tuoi o la miseria del prossimo, che tutte le andate che tu fai».

Parole altrettanto libere aveva proferite l'anno innanzi in Santa Maria Novella a Firenze. «Molti si credono fare grandi opere a Dio; tra noi ce ne facciamo grandi beffe. Verrà una femmina, e porrà sull'altare una gugliata di refe e tre fave, e parralle avere fatto un grande fatto: or ecco opera. Simigliantemente de' pellegrinaggi. Oh come pare grande opera questa, e di gran fatica cotal viaggio! E vanterassi, e dirà: tre volte sono ito a Roma due volte ito a santo Jacopo, e cotanti viaggi ho fatto. E se vedesse in Roma le femmine a girar cinque volte e sei all'altare, e' par loro avere fatto un grande deposito, e rimproveranlo a Dio, come quel Fariseo che dicea, Io digiuno due della settimana, or ecco grande fatto! e mangi, il che tu digiuni, una volta, e quella mangi bene e bello. Questo andare ne' viaggi io l'ho per niente, e poche persone ne consiglierei, e radissime volte; chè l'uomo cade molte volte in peccato, ed hacci molti pericoli; trovano molti scandoli nella via, e non hanno pazienza; e tra loro molte volte si tenzonano e adirano, e con l'oste e co' compagni; e talora fanno micidio ed inganni e fornicazioni; e caggiono in peccato mortale»273.

Altri, massime dopo il Savonarola274, stuzzicava l'attenzione col mescere ai discorsi allusioni di politica; chi predicando pei Guelfi, chi pei Ghibellini, chi pei Medici o per lo Sforza; talora erompendo in aperti attacchi contro principi non solo, ma contro prelati e papi.

Non rimestiamo più a lungo questo fango senza ricordare come la discordanza della teorica dalla pratica sia cosa umana, generale, e che non si tratta di riformare il precetto, bensì di cercarne l'adempimento. Infatti, se gli scandali erano vecchi, vecchio era pure il disapprovarli; anzi è degna di nota la franchezza con cui, da per tutto ma viepiù in Italia, si censuravano gli abusi degli ecclesiastici. Dante rimproverò i pontefici con una franchezza, che parve ereticale ai nostri secoli, adulatori de' principi e del vulgo. Francesco Petrarca ne' sonetti invocò «fiamma del cielo sulle treccie dell'avara Babilonia, scuola d'errori, tempio d'eresia», e peggio nelle lettere; eppure egli viveva alla Corte pontifizia, e in lui come in Dante i rimbrotti venivano da riverenza e dal desiderio di correzione.

Dopo di loro, sminuendosi le idee repubblicane e popolari col crescere delle principesche, la letteratura credette far pompa di non pericolosa libertà col volgere le spalle al dogma, invece di esso cantando armi ed amori. Allora allo sdegno di zelo e di ragione di Dante contro i vizj nella Chiesa, Giovanni Boccaccio sostituì lo scherno plateale e l'epigramma delle società gaudenti; ridendo fra i disastri dell'umanità, e dei mali della patria consolandosi coll'egoismo, fa cominciare in chiesa l'osceno suo Decamerone, dove i vizj e i disordini de' monasteri sono il tema prediletto; e papi, santi, devozioni, misteri vi vengono trascinati, non per correggere il male, ma per celiarne. Che se in frà Cipolla non fa che canzonare gli spacciatori di reliquie, e in ser Ciappelletto le bugiarde conversioni, precipita affatto al razionalismo nella famosa storiella dell'anello, certamente d'origine musulmana e dalla scuola d'Averroè.

Gli altri novellieri, imitandolo, affastellarono arguzie ed avventure a carico dei monaci, e nessuno peggio del Novellino di Masuccio salernitano. Del quale ci viene specialmente al balzo la novella x, il cui argomento è, «Come un vecchio penitenziere, non in villa o in luogo rustico, che l'ignoranza il potesse in parte iscusare, ma nell'alma città di Roma e nel mezzo di San Pietro, per somma cattività e malizia vendea a chi comperare il volea come cosa propria il paradiso, sì come da persona degna di fede mi è stato per verissimo raccontato».

Non osando avventarsi contro l'impero e contro i tiranni, la satira si trastullò dunque contro la lassa disciplina. Il Poggio, che fu segretario di tre papi, descrivendo in lettera a Leonardo Bruno il supplizio di Giovanni Huss e Girolamo da Praga, li compassiona inveendo contro Roma: nelle invereconde sue Facezie, raccolta degli aneddoti che correano per le anticamere della cancelleria romana, insieme col vulgo e cogli aristocratici, cogli eruditi e coi parlatori, berteggia insolentemente gli ecclesiastici e la Corte pontifizia: eppure si stamparono in Roma stessa il 1469. Battista Spagnuoli, dalla patria detto il Mantovano, dettò satire virulente contro il clero. Giovian Pontano satirico, che aveva sempre un calcio pei vinti, pronto a carezzarli quando tornassero vincitori, spesso bersaglia gli ecclesiastici, e nel dialogo Caronte introduce vescovi, cardinali, monaci a far confessioni spudorate. Antonio Vinciguerra, segretario della repubblica fiorentina, verseggiò contro i peccati capitali che infestavano la Chiesa e l'Italia.

Leonardo Aretino (Libellum contra hypocritas) dice ai frati: «Tra i vostri grandi e deformi vizj, primeggiano l'orgoglio, l'avarizia, l'ambizione. Volete ricoprirli colle lunghe cappe e coi cappucci; perciò avviluppate i corpi onde asconder l'orgoglio sotto l'abito dimesso, l'avarizia e l'ambizione sotto apparenza di povertà..... Ma se desiderate esser persone dabbene, quali vorreste sembrare, bisognerebbe cacciar i vizj dalle anime vostre, e non asconderli sotto le tonache..... A tali ostentazioni io non credo; io non credo neppur a te, o ipocrita, perchè sospetto che sotto quei panni s'asconda qualcosa. Chi potesse guardarvi per entro, vedrebbe una cloaca di vizj turpi, e il lupo rapace sotto le vestimenta d'agnello. E come l'esca serve a pigliare i pesci, così le tonache grossolane coprono le vostre malvagità per ingannare gli uomini. A questo travestimento è congiunta la emaciazione del volto e lo sbattimento, che son pure grandi stromenti d'ostentazione e di ciurmeria. Ipocrito, perchètristo? che vuol dire cotesto collo torto? che cotesti occhi abbassati, coteste finte di integrità e di innocenza? Potete tenervi dal ridere quando vedete un altro dello stesso mestiere

Questi libri erano lo stillato delle conversazioni: e piaggiavano l'opinione pubblica, come suol chiamarsi l'opinione vulgare; ma quello scandolezzarsi della costumatezza del clero sa di strano in iscritti d'un libertinaggio perfin teorico, che rivelavano una depravatezza ben più profonda nella società laica. Non erano dunque frutti d'una filosofia indipendente: seguitavasi l'istinto, non la riflessione; lo scetticismo usufruttavasi, non per iscassinare la fede, ma per solleticare l'arte, la quale gavazzava in licenza sfrenata, eppure arrestavasi davanti all'albero proibito, senza formolare veruna dottrina eterodossa; indipendenti nell'oggetto, sommettevansi cattolicamente nello spirito; e nessuno metteva in discussione seria, cogli altri con se stesso, quei punti che sono il mistero della società, della credenza, della vita.

Vanno dunque a gran pezza dal vero quelli che raccolsero tali satire o declamazioni per designare de' precursori alla protesta religiosa. Abbastanza ci fu veduto come tutte le eresie, dal mille in poi, chiedessero la riforma, ben prima che si passasse dalle sètte entusiaste alla forma sintetica e scientifica del protestantismo. E sempre piissimi uomini e vescovi in prediche e in pastorali gemevano de' traviamenti curiali ed ecclesiastici, e reclamavano un rimedio. Già al suo tempo san Bernardo esclamava: «Chi mi darà che, avanti morire, io possa vedere la Chiesa di Dio qual era ne' primi giorni?» Eppure con forza ineluttabile si oppose ad Abelardo e ad Arnaldo, appena li vide intaccare la Chiesa. Crebbe tale libertà nel grande scisma, allorchè non ben determinavasi qual fosse la Chiesa vera, e Clemengis faceva a Gerson una pittura orribile della Corte di Roma, da pura e santa mutata in bottega d'ambizione e rapina, dove tutto si vende, dispense, ordini, sacerdozio, peccati, sacramenti, messe; per denaro si elevano al sacerdozio imbecilli che neppure sanno quel che leggono e cantano. Evvi un fannullone, inetto al lavorare? Si fa ecclesiastico per vivere in voluttuoso ozio. Talmente è convenuto che dai preti non si osserva la castità, che i laici non vogliono un curato se non ha la concubina, per così garantire il letto maritale275.

Ed Enea Silvio Piccolomini, che poi fu papa: «La corte di Roma non nulla senza denaro: vi si vende fin la imposizione delle mani e i doni dello Spirito Santo; non vi si perdonanza de' peccati che a quelli che han denaro»276.

Nella città, ove tante radici mise poi l'eresia, Caterina da Siena scriveva al suo confessore: «Il nostro dolce Cristo in terra crede, e così pare nel cospetto di Dio, sarebbero a levare via due cose singolari, per le quali la sposa di Cristo si guasta. L'una si è la troppa tenerezza e sollecitudine di parenti; l'altra si è la troppa misericordia. Oimè, oimè! questa è la cagione che i membri diventano putridi pel non correggere. E singolarmente ha per male Cristo tre perversi vizj, cioè la immondizia, l'avarizia e la superbia, la quale regna nella sposa di Cristo, cioè ne' prelati, che non attendono ad altro che a delizie, e stati, e grandissime ricchezze. Veggono i demonj infernali portare le anime de' sudditi loro, e non se ne curano, perchè son fatti lupi, e rivenditori della divina grazia. Quand'io vi dissi che v'affaticaste nella Chiesa santa, non intesi solamente delle fatiche che voi pigliate sopra le cose temporali; ma principalmente vi dovete affaticare insiememente col padre santo, e fare ciò che voi potete in trarre li lupi e li demonj incarnati dei pastori, che a veruna cosa attendono se non in mangiare, e in belli palazzi, e in grossi cavalli. Oimè, che quello che acquistò Cristo in sul legno della Croce, si spende con le meretrici. Pregovi, se ne doveste morire, che voi ne diciate al padre santo che ponga rimedio a tante iniquitadi. E quando verrà il tempo di fare li pastori e' cardinali, che non si facciano per lusinghe, per denari, per simonia; ma pregatelo quanto potete, che egli attenda e miri se trova la virtù e la buona e santa fama nell'uomo, e non miri più a gentile che a mercenario, perocchè la virtù è quella cosa che fa l'uomo gentile e piacevole».

Brigida, nobile svedese, che reduce da Terrasanta, morì a Roma il 1373, ebbe e scrisse rivelazioni, riprovate dall'insigne Gerson, approvate dal cardinale Torquemada, e tradotte in tutte le lingue; fu canonizzata da Bonifazio IX; eppure si era avventata gagliardissima contro la Corte pontifizia sino a dire, «Il papa è l'assassino delle anime; disperde e strazia il gregge di Cristo; più crudele che Giuda, più ingiusto che Pilato, più abbominevole che gli Ebrei, peggiore dello stesso Lucifero. Convertì i dieci comandamenti in un solo, portate denaro. Roma è un baratto d'inferno, e il diavolo vi presiede, e vende il bene che Cristo acquistò colla sua passione, onde passa in proverbio:

Curia romana non petit ovem sine lana;

Dantes exaudit, non dantibus ostia claudit;

 

invece di convocare tutti, dicendo, Venite e troverete il riposo delle anime, il papa esclama: Venite alla mia Corte, vedetemi nella mia magnificenza maggiore di Salomone; venite, vuotate le vostre borse, e troverete la perdita delle vostre anime». Revelatio S. Brigitæ, l. 1, c. 41, ed. Romæ 1628.

Ben però discernete come questi zelanti non risparmiassero l'individuo, foss'anche il papa, perchè anelavano la purezza della Chiesa; anzi l'affiggere ciascun fatto particolare ai depositarj dell'autorità spogliava questa dalla scoria, lasciando intatta la persona morale. Imitavano Cristo, che aveva insegnato a rispettare la cattedra di Mosè malgrado le cattive opere degli Scribi e Farisei, sedutisi in quella: mentre da poi detestaronsi i dottori, e per essi anche la dottrina che insegnavano, e l'autorità che teneano da Dio d'insegnarla.

Il cardinale Giuliano rappresentava ad Eugenio IV i disordini del clero, principalmente tedesco; donde l'odio che il popolo gli portava, fino a temere che i laici gli s'avventino al modo degli Ussiti: «Gli accorti tengono l'occhio a quel che faremo, e pare deva nascerne qualcosa di tragico: il veleno che nutrono contro noi si manifesta: bentosto crederanno fare opera accetta a Dio maltrattando e spogliando gli ecclesiastici, come esosi a Dio e agli uomini; la poca devozione che ancora sopravvive verso l'ordine sacro si perderà: si riverserà la colpa di tutti questi sconci sopra la Corte romana, considerandola come causa di tutti mali».

Gian Francesco Pico, principe della Mirandola, noto per la tragica sua fine (1533), scrisse un opuscolo277, che i riformati ristamparono a Würtenberg nel 1521 per fare onta al papa, e per noverar fra i loro precursori quel principe, di cui ristamparono pure l'orazione De reformandis moribus, che egli recitò nel concilio lateranense, dove pone al pallio l'ambizione, l'avarizia, la scostumatezza del clero. E la recitava in un concilio, e la dedicava a Leone X, al quale pure dedicò quattro libri dell'Amor Divino; e tutto è pietà nel suo De morte Christi, et de studio divinæ et humanæ philosophiæ (1497); e nella dedica che Aldo pose all'opera di lui De immaginatione, accenna a commenti de' Salmi, che aveva lasciati incompiuti, e che si allestivano per la stampa: come ha pure tre inni eroici alla Trinità, a Cristo, alla Beata Vergine.

Lorenzo Valla, uno de' più battaglieri fra quegli eruditi che nel secolo XV empivano di risse la repubblica letteraria, nella prima giovinezza avendo invano domandato di succedere a suo zio come segretario apostolico, si vendicò con epigrammi contro la Corte romana: scrisse del Piacere anteponendo Epicuro allo stoicismo, contraddicendo a Boezio, come fece pure in un dialogo De libero arbitrio278; giostrò poi contro gli Aristotelici nelle Disputazioni dialettiche; nelle Eleganze della lingua latina mostrò molte improprietà nella traduzione vulgata della Bibbia e ne' padri della Chiesa. Francamente esercitò costui la critica con annotazioni al Nuovo Testamento, ponendo la vulgata in paragone coll'originale279; dimostrò spuria la lettera di Cristo al re Abgaro; falsa la donazione di Costantino a papa Silvestro280; che gli apostoli componessero ciascuno uno degli articoli del credo, e la dissertazione terminava esortando principi e popoli a frenare l'indebito imperio del papa, e avvertirlo che spontaneamente si tenga in porto, e rimanga soltanto vicario di Cristo. «O romani pontefici, esempio d'ogni ribalderia agli altri pontefici; o malvagi Scribi e Farisei che sedete sulla cattedra di Mosè, e fate l'opera di Natan e Abiron, si conviene egli al vicario di Cristo celesta pompa, e il vestire e le cavalcate? Non s'oda partito della Chiesa, la Chiesa guerreggia contro i Perugini, contro Bologna. Non è la Chiesa che combatte i Cristiani, ma il papa. Allora il papa si dirà e sarà padre santo, padre di tutti, padre della Chiesa: ecciterà guerra fra' Cristiani, anzi le eccitate da altri accheterà colla censura apostolica e colla maestà del papato».

I declamatori, e massime gli odierni, ammirano il gran coraggio del Valla, ma noi diremmo piuttosto la violenza, con cui satireggia prelati e papi e grandi che gli tardassero qualche favore. Nel dialogo dell'avarizia e della lussuria flagella i cattivi predicatori, e specialmente i Minori Osservanti, e in quello sull'ipocrisia tutti i frati, e il clero in generale: eppure accusato al Sant'Uffizio, andò a Roma a giustificarsi, e ad Eugenio IV scrisse bassamente, confessando aver ingiuriato lui e il concilio: e se da questo non ottenne grazia, il nuovo papa Nicolò V lo accolse come scrittore apostolico, gli diede incarichi letterarj, benchè il Poggio, altro critico maligno, dal Valla provocato, cavasse da' costui scritti una sequela di proposizioni ereticali: Calisto III lo elevò anzi a segretario apostolico, e morto tranquillamente nel 1465 fu sepolto nella basilica lateranense. Il suo libro fu poi messo all'Indice dal concilio di Trento.

Tutto ciò pruova, non che si inclinasse già alla negazione protestante, bensì che si confessavano gli abusi, e che senza pericolo li denunciavano quelli che riferivansi alla forma, non mai alla sostanza.

E vaglia il vero, quando un potere non è contestato, e agli occhi di tutti serba il carattere sacro, si può giudicarlo severamente eppur riverirlo, reca scandalo il biasimo che sia portato sugli abusi non sull'essenza, e al quale non affigge concetto distruttivo chi lo fa, chi lo riceve. Ben altrimenti di quando, mancato il rispetto irriflessivo, si sottilizza il raziocinio, e s'insinuano non solo il dubbio erudito o la incredula beffa, ma la risoluta negazione.

 

 

 





260                Nell'originale "Sopraviveva". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



261                Si vuole che, qualche prelato, come feudatario, esercitasse, o almeno possedesse l'osceno diritto delle prime notti; e il Lancellotto, nel bizzarro suo libro L'Hoggidì, ovvero il mondo non peggiora, dice: «Cotal costume, dai Pagani e dai Gentili praticato, fu già in Piemonte; ed il cardinale illustrissimo Geronimo della Rovere mi diceva aver egli stesso abbruciato il privilegio che aveva di ciò la sua casa». Se mai esistette un tal diritto di fodero o di marcheta, bisogna dire che n'abbiano ben accuratamente distrutti gli atti, giacchè da me da altri cercatori mai nessuno ne fu trovato. Probabilmente non era che una tassa imposta sulle nozze, forse colla simbolica rappresentazione del metter una gamba nel letto; e come tale, n'ebbero il diritto perfino alcune badesse.



262   Oltre i novellieri, sul teatro pure si pungeva l'avarizia e l'ignoranza degli ecclesiastici. Nel San Giovanni Gualberto, rappresentazione del secolo xv, dovendosi eleggere il piovano d'una chiesa, il cappellano esamina gli aspiranti, e riferisce al vescovo:

 

            Messere, io l'ho saputo, e me l'han detto:

            Quello a chi 'l popol la vorrebbe dare,

            È un buon prete, ma gli è poveretto,

            E non potrebbe un cieco far cantare.

            Quell'altro mi mostrò un pien sacchetto,

            E son ducati, secondo il sonare,

            E dice ve gli arreca, e son dugento.

 

            Monsignore. Costui ha ben ragion! mettili drento.

 

            Alcuni monaci s'accordano per far eleggere abate un di loro, il qual promette nominar l'uno priore, l'altro spenditore, l'altro camerlingo: e vanno al vescovo, e gli offrono cento ducati perchè nomini quell'abate.

 

            Monsignore. E molto volentieri i' ho ben inteso;

            Ma ditemi, figliuol, sono di peso?

 

            Monaco. Monsignor, e' son nuovi tutti quanti.

            Non fa bisogno che voi li pesiate.

 

            Monsignore. Da voi in fuora, io vorrei duo tanti,

            Ma io vo' ben che voi mi ristoriate

            Ogni anno per la pasqua e l'ognisanti

            L'oca, il cavretto e' cappon mi rechiate.

 

            Monaco. Noi siam contenti, e' cappon fien duo paja,

            E le candele per la candellaja.

 



263                Ma chi si scandalizza delle ricchezze del clero cattolico d'allora non si dimentichi quante ne abbia il clero protestante d'oggi in Inghilterra. I vescovi vi percepiscono da 4200 a 10000 sterline, cioè da 105 a 230 mila franchi, oltre un palazzo in città e uno in campagna: ai due arcivescovi di York e di Cantorbery aggiungonsi per la rappresentanza una gratificazione di quasi 273 fr. Nel settembre 1865 morì Roberto Moore, che godeva sei benefizi senza far nulla, e si calcola che durante la sua vita ne traesse 753 mila sterline, cioè più di 18 milioni.



264                Raynaldi, al 7 aprile 1488, § 21.



265                Cibrario, Istituzioni della Monarchia di Savoja, pag. 127.



266                Nell'originale "spiaciono"



267                Alfonso Tostat, famoso teologo spagnuolo, reputato il maggior ingegno del suo secolo, a Siena sostenne, in presenza d'Eugenio IV, ventuna tesi teologiche, alcune delle quali non vennero approvate dal pontefice. Questi destinò l'altro famoso teologo cardinale Torquemada a confutar queste due: che, sebbene non v'abbia peccato che non possa esser rimesso, pure Iddio non rimette la pena la colpa, e nessun prete può dare l'assoluzione; e che Gesù Cristo sofferse la passione al 3 d'aprile, non al 25 marzo. Le due proposizioni furono riprovate, ma il Tostat pubblicò la Difesa delle tre conclusioni, e parve mostrare non bastante deferenza per la decisione pontifizia.



268                Burlamacchi, Vita del Savonarola.



269                Predica I, ediz. di Venezia 1530.



270                A Lione 1502, 1505, 1507, 1536, 1571, 1573, 1577, 1594; a Agen 1508, 1510, 1514, 1578; a Parigi 1518, 1521; ad Argentina e Rouen 1515; a Brescia 1521; a Venezia 1585.



271                È a vedere anche Barberino, Documenti d'amore, part. viii, d. 2.



272                Landi, Paradossi.



273                Ed. del Moreni 1831, I, 187, 232. Declamò novamente (II, 50) contro l'andare al perdono di Roma e altri santi luoghi, predicando sotto la loggia d'Or San Michele nel 21] settembre 1309, cioè parecchi anni più tardi. Forse questi passi delle prediche di frà Giordano furono presenti al beato Giovanni delle Celle quando dissuadea Domitilla dal pellegrinaggio di Terrasanta, nella IXa delle sue lettere.



274   Questi pure si lamentava che

 

            Ogni predicator buffoneggiava

            quasi si credea dal tetto in su.

 

                Cedrus Libani. Nella Magliabecchiana è manoscritto del quattrocento un Promptuarium prædicatorum, dove, sopra argomenti che possono esser soggetto di predica, si adunano le autorità della santa scrittura, affinchè le prediche riescano non subtilia magis quam utilia.



275                Contra prælatos simoniacos, qui ordines sacros cœteraque spiritualia publice vendunt.



276                Epist. Lib. i, c. 66.



277                Opusculum de sententia excommunicationis injusta pro H. Savonarolæ innocentia. Firenze 1497.



278                Antonio Floribello, nell'orazione sopra l'autorità della Chiesa, scrive: Quod vero Lutherus et quidam ejus discipuli, omnia fato et necessitate fieri, nihil in potestate nostra situm esse, agi nos, non agere a principio dixerunt, cum idem senserunt quod nonnulli veteres philosophi, tum Viclefi illius sui, Laurentiique Vallensis opinionem impiam et humano generi perniciosam revocarunt. Sadoleti, Opera ii, p. 401.



279                De collatione novi Testamenti. Fu pubblicata solo cinquant'anni dopo morto l'autore, da Erasmo. Per tacere i vecchi, il Maj, il Rank, il Vercellone, il Cavedoni notarono della versione itala molte voci non usate dai classici, come abintus, ascella, maletracto, prendo, regalia, satullus, retia per rete, advenit per accade, martulus per martello, manna per manata, altarium per altare, glorio e combino per lodo e congiungo, scamellum per scannello, e forme grammaticali errate, come odiet, odiant, odivi, plaudisti, avertuit, sepellibit, eregit, prodiet, exiam, exies, perient, scrutaberis, abstulitum est, prævarico e demolient per prævaricor e demolientur, lignum viridem ecc. Il conchiuderne che la traduzione della Bibbia è barbara è un'assurdità ove si pensi che, massime l'itala, fu fatta ne' floridi tempi dell'impero, essendo vivissima la lingua latina. Fu dunque buon consiglio quello del De Vit, di raccoglierne le voci nella ristampa che ora fa del Lexicon totius latinitatis. Di ciò discorro io distesamente in una Dissertazione sull'origine della Lingua Italiana. Napoli 1866.



280   De falso credita et ementita Constantini donatione, declamatio. È però a notare che la falsità dell'atto di donazione di Costantino era già stata sostenuta da Pio II, ancora privato, dal cardinale di Cusa, dal Pocock vescovo di Chicester. Dico dell'atto, perocchè su questa donazione tanto controversa han discorso i migliori moderni in ben altro senso dal vulgare, dietro al De Maistre, che avea scritto: «Una medesima mura non potea contenere l'imperatore e il pontefice. Costantino cedette Roma al papa. La coscienza del genere umano l'intese a questo modo, e ne nacque la favola della donazione, che è verissima. L'antichità, cupida di vedere e toccar tutto, tramutò l'abbandono in una donazione formale; la vide scritta su pergamena, deposta sull'altare di San Pietro. I moderni gridano falsità; ed era l'innocenza che raccontava le sue idee. Non c'è cosa sì vera quanto la donazione di Costantino».

                Eppure Stefano Dumont, professore parigino, sostenne l'autenticità anche dell'atto; autenticità simile a quella che dicemmo dell'altre Decretali, che Graziano o il falso Isidoro non inventarono, bensì mutilarono o cangiarono per ridurle opportune a una collezione legale.



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