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DISCORSO XIII
LEONE X. MAGNIFICENZA PROFANA DEL PAPATO.
Al congresso che or dicemmo di Bologna tra Leon X e Francesco I, oltre i consueti omaggi del baciare i piedi, tenere la staffa, condurre a briglia il cavallo del papa, e fin sostenergli lo strascico, il re di Francia stette inginocchiato per terra tutto il tempo della messa, nella quale Leon X amministrò il sacrosanto pane ai francesi gentiluomini di esso. E poichè di questi la folla era soverchia, un uffiziale esclamò: «Santo Padre, giacchè non posso nè confessarmi al vostro orecchio, nè comunicarmi dalle vostre mani, m'accuserò in pubblico d'avere combattuto di tutta possa contro Giulio II». Il re soggiunse di trovarsi nel medesimo caso, scusandosene perchè quel pontefice era il più avverso che mai fosse stato alla loro nazione. Tutti i Francesi gridaronsi colpevoli di altrettanto, e il papa gli assolse tutti.
Quel re cavalleresco, per cui combattevano i cavallereschi Gastone di Foix e Bajardo senza paura e senza rimproveri, avea rese al papa Modena volontariamente, Parma e Piacenza per forza; di modo che il dominio temporale comprendeva le legazioni di Perugia (Umbria), Romagna, Bologna, Spoleto colla marca d'Ancona, e il ducato di Benevento chiuso nel napoletano; insomma le più belle contrade d'Italia dal Po a Terracina; contrade pingui, benchè alcune infette dalla malaria; schermite da attacchi stranieri, arricchite per la produzione dei terreni, delle miniere, dell'allume; pel traffico, principalmente ad Ancona; per l'aurea affluenza di forestieri. Il papa traeva da' suoi Stati non più di diciottomila scudi d'oro, eppure potea levarvi cinquemila pedoni e quattromila cavalli, oltre quelli dovutigli dai vassalli, e dodici galee: e l'autorità, ormai organizzata col reprimere i feudatarj e i tirannelli delle varie città, non sentivasi nè impacciata, nè invisa, perchè lasciava la libera attività ai Comuni.
È ben vero che Alessandro VI, volendo sottomettere i tirannelli della Romagna, avea di ciascun di costoro fatto un nemico, che nel principe della Romagna bestemmiava il capo della Chiesa: poi Giulio II colle superbe pretensioni aveva eccitato e serj e beffardi contrasti: ma impacciavano poco più che le opposizioni de' moderni nostri parlamenti. Inoltre il papa possedeva il Contado Venesino in Provenza e la città di Avignone; i re di Napoli e Sicilia faceangli omaggio della loro corona, ch'egli impediva fosse unita all'impero per non mettere a repentaglio l'indipendenza italiana. Chi potrà poi calcolare il denaro che a Roma proveniva da tutto il mondo per dispense, spogli, riserve, aspettative, annate di benefizj321, spedizioni di bolle e investiture, elezione di quasi tutti i prelati?
E qual Roma fosse quando stava al vertice della società cristiana colle sue memorie e le sue grandezze; e quasi la seconda patria di tutti, il punto di partenza della storia d'ogni paese, si argomenti dal veder come, anche adesso che rimase indietro dalla civiltà convenzionale d'altre contrade, mostri originalità di costumanze e di caratteri, alterezza nel popolo, dignità fin nel depravamento, e insieme devozione, amor di famiglia, ingenuità; un complesso inesplicabile, per cui un esercito vincitore o la rivoluzione demolitrice s'arrestano davanti alle eterne sue mura. Che doveva essere allora, quando vigeano le idee del medioevo? Sapeasi che da Roma erano partiti i missionarj per conquistare al cristianesimo e alla civiltà tutta Europa e il nuovo mondo; di là i decreti che fransero la schiavitù; di là elemosine per ogni bisogno, rese possibili dal colarvi rendite d'ogni paese.
L'anno santo del 1500 fu celebrato con una pompa, che mai la maggiore; il papa di propria mano smurò la porta santa, dopo che per tre giorni erano sonate a festa tutte le campane: di Francia, di Germania, di Boemia innumerevoli vennero a domandare l'assoluzione dalle censure incorse per avere adottato le eresie degli Ussiti ed altre; per bastare ai devoti che accorreano alla basilica Vaticana dovette aprirsi la via che ancor si chiama Borgonuovo; e il continuato concorso indusse ad allungare il tempo delle indulgenze. Derivano da quella occasione le maggiori solennità che tutt'ora accompagnano quel rito, e la consuetudine di concederlo l'anno seguente a tutto l'orbe cattolico.
Scoprivansi intanto un nuovo varco all'estremo Oriente e l'America e le isole Oceanine; e il primo oro che se ne trasse veniva, quasi primizia della divinità, mandato a Roma che l'adoprava a indorare la soffitta della basilica Liberiana: col secondo viaggio di Cristoforo Colombo spedivasi una colonia di Benedettini, che annunziassero la fede ai popoli nuovi; ben presto Alessandro Giraldini d'Amelia era inviato primo vescovo a San Domingo, e alle popolazioni scoperte facevasi un'intimazione ove, dichiarata la fratellanza delle genti come uscite da un solo ceppo, esponevasi che Dio aveva costituito san Pietro qual capo della stirpe umana, «sottoposto l'intero mondo alla giurisdizione di lui, ordinatogli di piantare sua sede a Roma, e datogli podestà di estendere l'autorità sua su tutte le altre parti del mondo, e governare e giudicare tutti i Cristiani, Ebrei, Mori, Gentili e di qualunque fede; ed è chiamato papa, che vuol dire gran padre, tutore, ammirabile, il che durerà per tutti i secoli de' secoli».
E perchè tra le due nazioni scopritrici potea nascere conflitto sul dove cominciassero i dominj dell'una e finissero quelli dell'altra ne' paesi trovati, fu deferita la gran quistione al papa, ed egli di propria mano sulla mappa tracciò una linea meridiana, assegnando alla Spagna i dominj a ponente, e al Portogallo quelli a levante di essa322. Sublime immagine, il pontefice che divide il mondo per impedire la guerra, o che, dietro agli audaci scopritori, agli avidi trafficanti, ai sanguinarj conquistatori invia una milizia inerme che missiona, converte, battezza, incivilisce. E al tempo di Leon X venivano a Roma poveri Domenicani per denunziare al padre de' fedeli i barbari trattamenti che i conquistatori faceano soffrire agli Indiani, reclamando per questi i diritti di fratelli di Cristo.
Rinnovatrice del sacro romano impero, che, nella comune soggezione alla legge divina, dovea combinare le due potestà; antemurale all'invasione dell'Islam; cultrice della morale eterna, la santa sede avea potuto salvare dalle regie libidini l'inviolabilità del matrimonio e la dignità della famiglia; consolidare la sacerdotale disciplina, sdruscita dal contatto e dalla mistura coi signorili interessi, derivante dalla feudalità: ma dal costituire sovra base solida e riconosciuta le relazioni fra Stato e Stato, e fra lo Stato e la Chiesa fu impedita dalla gerarchia feudale, dalle comunali oligarchie, dalle consuetudini nordiche dominanti. Restava dunque nell'attuazione esterna difettivo quel cristianesimo applicato, onnipossente nella vita, profondamente umano, fautore dell'arte, affettuosamente comunicabile, amico della povertà, dell'obbedienza, della fedeltà, che nel mondo riconosce il governo della providenza, ispira agli uomini fiducia degli uni negli altri e in Dio, credendo che il cibo mortale possa convertirsi in pane e vino d'eterna vita.
La Chiesa non soffogava l'attività del pensiero e l'esercizio della ragione, ma tutelava i dogmi, e ben presto si conobbe che con quelli tutelava la verità e il diritto. Però di tutte le istituzioni è nemica inevitabile la diuturnità: dell'antica civiltà che il cristianesimo avea sanata, dimenticaronsi gli sconci, e parve bello il ritornarvi; il dogma tenne saldo, ma l'autorità non bastò a impedire le evoluzioni sociali, e dall'età credente si passò all'età politica, per quanto Roma avesse cercato ostarvi coll'accentrare i suoi poteri.
Ora sulla cattedra di san Pietro sedeva Leon X, rampollo di famiglia mercadante, ricchissima, abituata allo spendere largo, alle splendidezze, a proteggere le scienze, le lettere, egli stesso, scolaro del Poliziano, del Calcondila, del Bolzani, nel fiore degli anni, colto, amabile, agognante alle voluttà dello spirito, e a vedersi attorno faccie contente, e udire da tutti acclamare la beatitudine del suo tempo. Pel suo ingresso si spendono centomila scudi in addobbare le vie; altrettanti in sussidj ai poveri. Avvezzato alle Corti e ai campi, male si rassegna al contegno ecclesiastico: sconcerta il suo cerimoniere uscendo senza rocchetto e talvolta fino in stivali; Cervetri e la villa Magliana sul Tevere lo vedono a cavallo cacciare per giornate intere, a pescare Bolsena; ogni anno chiama da Siena la compagnia comica dei Rozzi per rappresentare commedie; fa musica, e accompagna a mezza voce le arie: tiene per convivi abituali un figliuolo del Poggio, un cavaliere Brandini, un frà Mariano che in un boccone inghiotte un colombo, e sorbe fino quaranta ova: altri buontemponi che inventano celie e piatti bizzarri, e che sopportano qualunque tiro dal papa e dai suoi: ad un fiorentino de' Nobili, detto il Moro, «gran buffone e ghiotto e mangiatore più che tutti gli altri uomini, per questo suo mangiare e cicalare il papa avea dato d'entrata d'uffizj per ducento scudi l'anno» (Ser Cambi). Sopra cena, tratteneva sei o sette cardinali dei più intimi, coi quali giocare alle carte, e guadagnasse o perdesse, gettava manciate di fiorini agli spettatori.
Ama le lettere, ma invece di rispettarle come matrone, le accarezza come bagasce; dichiara arcipoeta Camillo Querno improvisatore, gran mangiatore, gran bevitore, che gli si era presentato col poema dell'Alessiade di ventimila versi, e di sue lepidezze gli ricreava la mensa. Vede alcuno preso da vanità? Esso gliela gonfia con onori e dimostrazioni, finchè divenga il balocco universale, come avvenne col Tarascon suo vecchio secretario, cui fece persuaso fosse improvisamente divenuto gran musicante, onde si pose a stabilire teoriche stravaganti, e finì pazzo. Così il Baraballo abbate di Gaeta a forza di encomj fu indotto a credersi un nuovo Petrarca, e Leone volle incoronarlo; e fattolo mettere s'un elefante donato da Emanuele di Portogallo, con la toga palmata e il laticlavio de' trionfanti, lo mandò per Roma, tutta in festa e parati, e non guardossi a spese acciocchè il poetastro salisse in Campidoglio ad onori che l'Ariosto non ottenne. Altre beffe usava a Giovanni Gazzoldo, a Girolamo Britonio poeti, all'ultimo de' quali fece applicare solennemente la bastonata per avere fatto de' versi cattivi.
Questi e simili spassi del papa sono descritti da Paolo Giovio vescovo di Nocera, con un'ilarità, che anch'essa è caratteristica in un prelato; com'è notevole la conchiusione a cui riesce, cioè ch'essi sono degni di principe nobile e ben creato, sebbene gli austeri li disapprovino in un papa.
A quel tipo informavasi la Corte. Il cardinale Bibiena si fece fabbricare sul Vaticano una villetta, dipinta voluttuosamente da Raffaello; sovrantendeva alle splendidezze della Corte, ai carnasciali, alle mascherate; persuase il papa a fare rappresentare la Mandragora del Machiavelli e la propria Calandra, alle cui scene da postribolo assistevano Leone in palco distinto323, Isabella d'Este e dame delle più eleganti d'Italia. Chi pari a costui per trarre a far pazzie i meglio assennati324?. Si congratulava che Giuliano De' Medici menasse a Roma la principessa sua moglie, e «la città tutta (dice) or lodato sia Dio, che qui non mancava se non una Corte di madonne, e questa signora ce ne terrà una, e farà la Corte romana perfetta»325.
Accanto a loro, monsignore Giovanni Della Casa componeva capitoli di mostruosa lubricità, e domandava il cappel rosso non per le virtù proprie, ma «in mercè della perpetua fede e della sincera ed unica servitù che avea sempre dimostrata ai Farnesi». E questi, e il Bembo326, e il cardinale Ippolito d'Este, e tropp'altri ostentavano figliuoli.
Così la società ecclesiastica scherzava coll'irruente scetticismo, nè accorgevasi di scavare l'abisso sotto i proprj piedi; non volevasi che nessuna apprensione turbasse le feste dell'arte, siccome i Coribanti attorno a Giove danzavano perchè non se n'udissero i vagiti; e l'autorità credeva attingere forza dalla bellezza, appoggiandosi a Rafaello e Michelangelo, all'Ariosto e al Bembo.
Tipo di quel raffinato epicureismo e di quel paganizzamento della coltura, che altrove imputammo al suo tempo, Leone X nel fulgore del bello offuscava il sentimento del giusto. «Avendo l'Ariosto fatto libri in lingua e verso vulgari, col titolo d'Orlando Furioso, in maniera scherzevole, ma con lungo studio e riflessione e molte veglie attesa la splendidezza del suo ingegno, e la devozione verso la sua famiglia», trova bene ch'e' se n'assicuri il guadagno, e possa altre volte pubblicarlo migliorato327: sicchè minaccia di scomunica chi ristampasse quel poema, del quale accetta la dedica, come dell'Itinerario di Rutilio Numaziano, uno degli ultimi pagani accanniti contro il nascente cristianesimo; aggradisce le annotazioni d'Erasmo al Testamento Nuovo, che poi furono messe all'Indice, e la dedica del libro di Hutten sulla donazione di Costantino, dal quale Lutero disse avere attinto tutto il suo coraggio; e concede ad Aldo Manuzio il privilegio per la stampa delle costui insolenti Epistolæ obscurorum virorum.
Quell'idolatria pel bello e per una letteratura tutta di sensi non di spirito, era secondata da tutta la Corte. Quando recitava versi l'unico Accolti, chiudeansi le botteghe di Roma: quando nel giardino di Tito si disotterrò un gruppo, che il Sadoleto riconobbe tosto pel Laocoonte, descritto da Plinio, sonarono tutte le campane, e fu tratto per Roma con cerimonie serbate ad auguste reliquie, fra ghirlande e musiche e canti di poeti. Guerrieri e artisti, prelati e principi, cortigiane e santi concorreano a porgere occasione di feste. Giovanni Coriccio, ogni giorno di sant'Anna teneva in sua casa una gara di poeti, in lode di questa santa, di sua figlia e di Cristo. L'Ariosto si rallegrava perchè in quella Corte
al Bembo, al Sadoleto, al dotto
Giovio, al Cavallo, al Blosio, al Molza, al Vida
Potrà ogni giorno e al Tibaldeo far motto328.
Ivi Paolo Giovio, bugiardo gazzettiere de' fatti contemporanei, e il Valeriano indagatore de' fasti egizj: ivi il Castiglione e il Della Casa, precettori di belle creanze. Celio Calcagnino scriveva latino e greco, leggeva nell'originale Omero e i profeti, e sosteneva che il cielo è fermo e la terra si muove. Teseo Ambrogio dei conti d'Albonese, canonico di San Giovanni Laterano, parlava il greco come Musuro di Creta e il latino come Erasmo, oltre che da solo apprese tutte le altre lingue, e seppe servirsene cogli accorsi al concilio di Laterano; insegnò il caldeo a Bologna, e da quella lingua tradusse la liturgia orientale; meditava una grammatica poliglotta, e preparò molti lavori, che andarono poi dispersi nel sacco di Roma.
Leone manda Fausto Sabeo, detto cacciatore di libri, a rintracciarne nelle badie di Francia, di Germania, di Grecia, al qual uopo spedisce pure in Germania e in Danimarca Giovanni Heytmers, e nelle provincie venete il Beazzano: lodi e privilegi dà a Francesco de Rossi ravennate, che andò a raccoglierne di greci ed arabi in Oriente e specialmente nella Siria329: paga cinquecento zecchini un manuscritto di Tacito, più completo di altro ch'erasi stampato a Milano, e promette larga cortesia a chi gli porterà opere antiche inedite: fonda un collegio greco coll'opera di Demetrio Lascari, Benedetto Lampridio e Favorino.
Sono ricordate ricche biblioteche dei cardinali Sadoleto, Bembo, Pio da Carpi, dov'era il Virgilio riveduto nel secolo v dal console Rufo; del Grimani, il cui breviario oggi è il giojello della Marciana di Venezia. Il Chigi, appaltatore delle miniere d'alume e protettore di Rafaello, aveva montato una stamperia, preseduta dal Lascari, donde uscirono le tragedie di Sofocle, gli Scolj d'Omero, gli opuscoli di Porfirio, il Tolomeo, il Pindaro, il Teocrito, ed altre edizioni oggi ancora apprezzatissime.
L'italiano ormai s'adoprava generalmente invece d'un latino, che stomacava i bongustai, dacchè eransi studiati i classici. Personaggi abili alle meditazioni filosofiche quanto alle fantasie poetiche, maneggiavano l'analisi e il calcolo come il dibattimento e gli affari; e a tutte le conquiste della filologia e delle scienze univano un gusto squisito. Roma era insomma il centro della civiltà, e a buon dritto lo Zanchi poteva cantare:
Omnia romanæ cedunt miracula terræ,
Natura hic posuit quidquid ubique fuit.
Vero è bene che gli studj ecclesiastici erano assai meno careggiati che i letterarj; e lo stesso cardinale Pallavicini imputa Leone X d'averli negletti; pure nel ruolo dell'archiginnasio romano, pubblicato da monsignore Gaetano Marini, bella parte tiene la teologia con professori illustri e ben retribuiti; da Leone fu fatto stampare il Pagnini; a lui è dedicata la Bibbia poliglotta del cardinale Ximenes; a lui la grammatica ebraica di Guidacerio calabrese, a lui la traduzione dall'arabo della filosofia mistica d'Aristotele per Francesco Rosi ravennate; a lui tre opere di Paolo di Middleburg, di Basilio Lapi, di Antonio Dulciati sulla riforma del calendario: nella reggia stessa di Leon X troviamo un cardinale Cajetano, teologo de' più profondi; un Egidio, ch'egli andò a cercare in una selva di Viterbo per decorarlo della porpora, un Paolo Emilio Cesio, che diceva essere meglio mancare del necessario che lasciare soffrire gli altri; un Bonifazio Ferreri di Vercelli, che eresse a sue spese un collegio a Bologna; il Sadoleto che spesso loderemo; il Giberti, sornomato padre de' poveri e de' letterati.
Che se Leone bacia l'Ariosto e festeggia il Bibbiena, indica però al vescovo Vida il soggetto della Cristiade; col Sannazzaro, cantore del Parto della Vergine, si congratula perchè possa riuscire un David che colpirà Golia; riconosce l'attitudine del veronese Flaminio, e lo fa studiare, sicchè poi verseggiò in latino i salmi ben meglio del francese Marot.
Anche i sommi artisti venivano adoprati a fare santi e madonne, erigere ed ornare chiese. Michelangelo, vigorosa individualità, gemente sulle miserie del suo tempo, e voglioso di «non vedere, non udire finchè duravano il danno e la vergogna», ribellasi alle tradizioni accademiche, e vuol ogn'opera sua riesca singolare, originale; nudi che affrontano il pudore, sibille virili, profeti ideali, la maggiore cupola del mondo, la sublimità della scultura nel Mosè. Sebastiano del Piombo ritraeva sentitamente la santità; a un punto inarrivabile d'espressione e di bellezza era sorta la pittura con frate Angelico, e con Raffaello330, che, per ordine di Giulio II, nella stanza della segnatura dipinse un grandioso poema, la vita intellettuale nelle sue quattro manifestazioni di teologia, filosofia, poesia, giurisprudenza; nella prima sovratutto esprimendo l'apoteosi del Corpo di Cristo, circondato da quanti furono più insigni conoscitori e maestri della scienza divina; e fu Leone X stesso che gli commise il giudizio di Leone III, la coronazione di Carlo Magno, la rotta dei Saraceni a Ostia, il miracolo di Bolsena, l'incendio di Borgo. Avesse voluto divenire cardinale, avesse voluto sposare una nipote di cardinale, Rafaello il poteva: ma in verde età morì, e nel testamento lasciava mille scudi onde celebrare dodici messe l'anno per l'anima sua; lascito assicurato sopra una casa in via de' Catinari, che esistette fino al 1805, quando, nelle vicende consumato il capitale, essa fu ricostruita.
Oltre che questi artisti erano solenne protesta contro la riforma iconoclasta de' Tedeschi, ci provano che non mancavano nè studj serj, nè sentimento religioso. Di Leon X vedemmo le cure date al concilio e alla riforma della Chiesa: s'applicò a spegnere gli avanzi degli Ussiti in Boemia; propagava il cristianesimo fra gli ancor barbari Moscoviti; cercava revocare dallo scisma i Maroniti e gli Abissini; fondava nuove chiese in America; il lungo e indecoroso litigio sui Monti di Pietà, se fossero usura od opere di misericordia, terminò dichiarando non vedervi nulla d'illecito od usurario; introdusse la commovente liturgia della settimana santa nel palazzo pontifizio. Con limpida integrità conferiva i benefizj, raccomandando a' suoi favoriti non lo inducessero a concedere grazie di cui dovesse pentire e vergognare, e piuttosto ai supplicanti soddisfaceva colla propria borsa. Sobrio sempre fra tante squisitezze, fra poeti e naturalisti che celebravano, e cuochi che raffinavano le leccornie della sua mensa, astenevasi da carni il mercordì, al venerdì mangiava solo legumi e verdura, al sabato lasciava la cena, sempre beveva solo acqua. Ce lo attesta il Giovio, che nel lodarlo ne infamò i costumi331, mentre Lutero, suo gran denigratore, non trovava da appuntarli.
Quando si crede vivamente, confondesi la pietà coll'entusiasmo del bello; ma più non si era a quelle credenze ingenue, e Leone, abbagliato dallo splendore del bello, credette che l'immaginazione e il cuore abbiano tanta parte nell'intelligenza umana quanto la ragione: pensò forse quel che altri sostennero, che la poesia e l'arte in teodicea valgano più che la filosofia; colle dignità ecclesiastiche retribuiva non insigne zelo ed esemplare bontà, ma spesso l'ingegno, comunque applicato. S'avventurò ad una politica di capriccio, senza concetti elevati; come un nuovo ricco sprecò nella pace i tesori accumulati da Giulio II in mezzo alle guerre, ne cercò di nuovi col vendere indulgenze, o coll'imporre tasse gravose; impegnò le gioje di San Pietro, vendette le statue dei dodici apostoli regalategli dall'Ordine teutonico: nominò ad un tratto trentun cardinali, fra cui due figli delle sue sorelle Orsini e Colonna, mentre da un pezzo si avea cura di non crescere con dignità la potenza pericolosa di quelle famiglie; inventò tante cariche da vendere, che a quarantamila zecchini elevò le spese annue della Chiesa; e tutto avea consumato quando morì.
E morì in fresca età, e corse un epigramma che diceva lui non avere presi in quell'estremo i sacramenti, perchè gli avea venduti332. Non esageriamo coi detrattori, ma neppure accettiamo certe apologie333, di cui troppo si compiacquero alcuni nostri contemporanei per ricolpo al calunnioso vilipendio dei padri nostri. Buon signore, papa e principe non lodevole, potea stare su qualunque trono più competentemente che su quello di Roma; potea succedere al magnifico Lorenzo, non a Pietro Bariona; vedendo nella santa sede non una cattedra ma un trono, non un faro per illuminar il mondo, ma un piedistallo alla personale grandezza; meno pronto a richiamare i traviati al Calvario, che ad invitare le divinità dell'Olimpo ad esilarare il Vaticano.
E questa reviviscenza del paganesimo cercò realizzarsi durante la vacanza. Scoppiata peste furiosa, la più parte de' cardinali fuggirono di Roma, dove il guasto era cresciuto dal disordine che suol gittarsi durante l'interregno: e il popolo sbigottito rompeva alle violenze. Un tale Demetrio spartano volle rinnovare cerimonie della superstizione antica, e coronato un bove, e legatogli un sottile filo alle corna, lo condusse per Roma, poi nell'anfiteatro lo sagrificò. Non era che una delle ciarlatanerie, ripullulanti ne' grandi disastri, e costui secondava l'andazzo col ridestare memorie gentilesche; ma altri vollero vederci operazioni magiche e culto ai demonj; sicchè il popolo, temendo non ne restasse aggravato il male pubblico, volle solenni espiazioni: e a folla uomini e fanciulli mezzo nudi passavano in processione da Chiesa a Chiesa flagellandosi e gridando misericordia, seguiti da lunghissime file di matrone, con ceri alla mano, anch'esse piangenti e supplicanti.
Quasi per contrapposto ai colti epicedj de' suoi cortigiani, uno di quei predicatori popolari e grotteschi che dicemmo, frà Callisto da Piacenza, ch'era de' meglio lodati, sermonando a Mantova il 1537 sul testo Seminastis multum et intulistis parum, prorompeva: «Povero papa Leone, che s'aveva congregato tante dignitadi, tanti tesori, tanti palazzi, tanti amici, tanti servitori; e in quell'ultimo passaggio del pertugio del sacco, ogni cosa ne cadde fuori, e solo vi rimase frate Mariano, il quale per essere leggero (ch'egli era buffone) come una festuca, rimase attaccato al sacco. Arrivato quel povero papa al punto di morte, di quanto e' s'avesse in questo mondo nulla ne rimase, eccetto frate Mariano, che solo l'anima gli raccomandava dicendo, Ricordatevi di Dio, santo padre; e il povero papa, in agonia constituto, a meglio che potea replicando dicea, Dio buono, o Dio buono! e così l'anima rese al suo Signore. Vedi se egli è vero che qui congregat merces, ponit eas in sacculum pertusum».
Curiose sono le particolarità che vi si esibiscono intorno ai cardinali, tutte profane, e alcune anche peggio.
Cur Leo non potuit sumere, vendiderat.
L'attribuirono al Sannazzaro.