Cesare Cantù
Gli eretici d'Italia

DISCORSO XV LUTERO, LE INDULGENZE, LA BIBBIA.

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DISCORSO XV

 

LUTERO, LE INDULGENZE, LA BIBBIA.

 

 

Tutto era dunque non solo preparato, ma incamminato, sia l'attacco o il riparo, sia la critica o lo scherno, sia la riforma amorevole o la demolitrice, allorchè, come tant'altri tedeschi, a Roma capitò, mandato per non so quale controversia insorta fra' suoi Agostiniani, frà Martin Lutero. Nato ad Eisleben l'anno che il Savonarola cominciò a predicare a Firenze, visto morire improvvisamente un amico, si spaventò di cascare impreparato nelle mani di Dio; onde resosi monaco, e disgustato d'ogni altra lettura a confronto della Bibbia, prega, digiuna, si mortifica; va alla questua, adempie i bassi uffizj del convento. Quando fu ordinato prete a Erfurt, diede la solita promessa di vivere e morire nel seno della santa Chiesa cattolica e obbedirla come madre, e nel celebrare la prima messa talmente si sentì compreso da quei misteri, che côlto da un tremito universale, a stento terminò.

Presto venuto in fama di abile teologo e predicante, fu messo professore di teologia alla recente università di Wittenberg, e delle arguzie di Erasmo contro il papa indignavasi a segno, che diceva, recherebbe egli stesso le fascine per bruciarlo. Ma l'orgoglio del proprio sapere e l'idolatria di se stesso lo invade: e spedito di qua dell'Alpi, non ci porta affetto ed entusiasmo, bensì dispetto, opposizione, censura. In Lombardia trova dapertutto «ospedali ben fabbricati, ben provisti, con buona dieta, servigiali attenti, medici esperti, letti e biancherie pulite, l'interno degli edifizj ornato a pitture; appena un malato v'è condotto, gli si tolgono gli abiti, tenendone nota per restituirli; è vestito d'un palandrano bianco, messo in un buon letto; gli si menano due medici; gli spedalinghi dangli a mangiare e bere in vetri limpidi, che toccano appena colle dita. Poi signore e matrone onorevoli vengono per servire i poveri, velate di modo che non si sa chi sieno. A Firenze vede ricoveri, ove i gettatelli sono nutriti che meglio non si potrebbe, allevati, istruiti, tutti in abito uniforme. Dapertutto poi eccellenti i collegi, quanto erano male condotti altrove368. Ma l'anima sua, sprovvista d'amore come d'umiltà, nulla comprende alla poesia del nostro cielo, delle nostre arti, della nostra storia.

Già per viaggio, in di quelle fontane, sgorganti rozzamente da un tronco di abete forato, dei Cristi e delle grossolane Madonnine sugli svolti de' trivj, incontrando architetture e sculture, marmi ed ori nelle chiese, non che stupito, ne rimane uggiato: gli pare piovoso il clima, disagiati gli alberghi, aspro il vino, micidiale l'acqua, l'aria febbrile, meschina la natura quanto gli uomini. Dall'altura di Montefiascone l'immensa campagna romana gli si mostra arida e sterile, anzichè ridere d'ulivi e di rose qual se l'immaginava: e rimpiange la scintillante verzura della Sassonia e le secolari sue foreste, e quella pendice del Poltesberg, la quale, a dire suo, splende di più fiori che non tutte le colline d'Italia.

Peggio gli uomini. Per lui chiunque porta una tonaca o dice messa, è un ignorante che non capisce il latino, e tampoco la lingua materna. A una taverna imbatte frati che sbevazzano, gesticolano, ciaramellano cavallerescamente di cose sacre: dapertutto santi, pitturati sulle case onde preservarle dal fuoco: dapertutto il matrimonio poco rispettato, onde dichiara questi Italiani figliuoli del peccato; prende scandalo d'un convento provisto di trentaseimila zecchini di rendita. Giunto alla santa Roma (così la qualifica), Lutero visita tutte le cappelle, crede tutte le legende, prostrasi a tutte le reliquie, sale ginocchione la scala santa; si duole che i suoi genitori non siano ancora usciti di vita, perchè potrebbe adoprarsi a riscattarli dal purgatorio con messe, preghiere, indulgenze; stupisce di quella pulizia severa, per cui di notte il capitano scorre la città con buone scolte, punisce chi coglie, e se ha armi lo appicca e getta nel Tevere; ammira il concistoro, e il tribunale della Sacra Rota, ove gli affari sono istruiti e giudicati con tanta giustizia369.

Ma per lui Roma non è la città donde i santi apostoli respingono Attila flagello di Dio, dove imperatori e re fermansi venerabondi o sgomentati, e che personeggia il dominio dell'intelligenza sopra la forza brutale; la città che tiene i Turchi in apprensione, a cui si convertono gli sguardi di tutta la cristianità, da cui partono i missionarj di tutto il mondo, e dove da tutto il mondo si dirigono i reclami contro ogni oppressione, ogni ingiustizia. Al vedere tanti capolavori d'antichi, emulati dai nuovi colla penna, collo scalpello, coi colori, e sotto al manto papale raccolti tanti sublimi ingegni, uno dei quali basterebbe ad immortalare un paese, un'età: non uno dei raggi che partono dall'aureola di Rafaello e di Michelangelo commuove il gelo dell'anima sua razionatrice. Frate e tedesco, si scandolezza al lusso delle cerimonie, senza comprendere come l'idea ha bisogno di trasformarsi in immagine. Frate inosservato in tanta ricchezza, in tanto fasto, in tanta scienza, s'inviperisce e medita vendetta. Fra le splendidezze del culto, espressione mistica del rispetto e dell'amore verso Dio, fra la magnificenza de' pontificali, non calcola se non quanto denaro costano, e con che modi questo procacciavasi: si fa il segno di croce al conoscere que' reprobi costumi, all'udire gli aneddoti spacciati sul conto di Leone X, alla sbadataggine di que' preti che dicevano sette messe nel tempo ch'egli una sola, «talchè i chierichetti gli ripetevano: passa avanti, passa avanti»370: alla venalità della curia disposta a dire come Giuda, «Quanto mi date ed io ve lo tradiròCrede tutte le baje di piazza e di bettola: e perfino che in un monastero (non indica quale) si disotterrarono da un giardino seimila cranj di neonati; che Roma possiede veleni così squisiti da uccidere col solo guardare uno specchio cospersone371.

Altrettanto dispetto gli fanno le università e gli studj d'Italia, perchè interpongono la ragione fra la scienza e la fede; perchè vi s'insegna che la luce divina rischiara il lume naturale, come fa il sole con una bella pittura; perchè l'attività del pensiero s'applica a idee pagane, non alla dottrina di Cristo. Anzi, in quel suntuoso peripato di Leone X non vuol vedere che ignoranza, brutalità, grossolanità, quasi intendesse arrogarsi il vanto d'aver egli insegnato il latino, ridesti gli studj filologici, rivelato la Bibbia.

Rimpatriato con tali sentimenti, s'ingolfa nella Bibbia in greco e in ebraico, e fino dalle prime sue lettere, massime da quelle a Spalatino del 1518, manifesta il livore contro i Romanisti, il vilipendio per la teologia scolastica e pei maestri in essa più rinomati; la passione della novità, comunque sia cercata e trovata; il dubbio sofistico, la smania di togliersi dall'oscurità, e di dare una scossa al mondo.

A raccogliere in una fissa372 direzione i suoi pensamenti venne il dispetto per la vendita delle indulgenze.

La Chiesa, fino da' suoi primordj, come prescrisse penitenze e mortificazioni, così usò della facoltà di rimetterle o attenuarle, sull'esempio degli apostoli; e massime ai martiri si concedea di dare lettere d'indulto ai peccatori, cui per esse il vescovo alleviava la penitenza; laonde, accanto alla dottrina che insegna la salvazione venire da Cristo gratuitamente, stette quella della cooperazione373 dell'uomo, del soddisfacimento penale, e della remissione parziale o plenaria di questo, secondo le circostanze del penitente. E fino da que' primi tempi indulgenza indicava un'abbreviamento di quelle penitenze, che la Chiesa esigeva prima di assolvere, e che concedeasi al peccatore quando desse segni di profonda contrizione e di sentimenti mutati. Fra gli scolastici pigliò senso più ampio, fondato sopra ragioni valevoli sì, ma non come articolo di fede. Le singole pene non oltrepassavano mai i trent'anni, ma il loro cumulo formava talora più secoli. Essendo per conseguenza impossibile conseguire l'assoluzione in vita, si permise di commutarle, e farle eseguire da altri, e massime i monaci s'incaricavano di preci, pellegrinaggi, mortificazioni, discipline, in surrogazione del vero penitente. Domenico Loricato che ebbe questo titolo perchè portava una corazza di ferro e catene attorno al corpo, talora assumevasi di scontare penitenze di cento e di mille anni. Tremila sferzate equivalevano ad un anno di penitenza: durante la recita dei cencinquanta salmi poteansi dare quindicimila colpi; laonde, col recitare venti volte il salterio sotto continua flagellazione, redimevasi la penitenza di cento anni; e talora Domenico la compiva in sei giorni. Così nella vita di esso attesta san Pier Damiani, vivente intorno al mille; e altrove scrive d'avere imposto all'arcivescovo di Milano la penitenza di cento anni, e tassata la redenzione in un annuo tributo374. Il Muratori stampò un Penitenziale, ove si espongono tali scambj di penitenza: «se uno non può digiunare, scelga un sacerdote giusto, o un monaco che vero monaco sia e viva secondo la regola, il quale adempia per lui, e se ne redima a prezzo conveniente. Una messa cantata speciale può riscattare dodici giorni; dieci messe riscattano tre mesi; trenta messe dodici mesi»375. Della messa il valore è infinito; onde venne adoperata più che le altre commutazioni.

Indulgenze concedeansi anche per opere civili o pietose, come il fondare un ospedale, erigere una chiesa, fino costruire un ponte o una via, conforme l'indole de' tempi ove ogn'atto di questo mondo consideravasi in relazione coll'altro; ovvero per visitare un santuario, guerreggiare contro gl'infedeli. Eravi chi avesse recato un danno a persona, cui non potesse risarcire? e' procuravasi l'assoluzione mediante una somma, che pareva soddisfare mediante l'uso che se ne faceva. L'Inquisizione avrebbe dovuto punire molti delinquenti, se non si fosse ad essi aperto uno scampo mediante le indulgenze, convertendo il delitto in peccato, il supplizio in penitenze.

I teologi si domandarono, come mai la Chiesa potè dirsi autorizzata a tale condiscendenza? E poichè allora la scolastica presumeva dare ragione di tutto, allegarono che il fondo inesauribile di misericordia preparato dal sangue di Cristo, e i meriti soprarogatorj dei santi, formano un tesoro, applicabile a chi pentito partecipi ai sacramenti. Ma di che non abusa l'uomo? Le indulgenze furono talvolta profuse con giubilei plenarj, e col concederle a chi sovvenisse a bisogni temporali della Chiesa, e persino a fazioni politiche de' suoi capi.

Furono rivolte anche sulle pene postume376, volendo che papi e vescovi potessero applicarvi una parte di questo inesauribile tesoro di misericordia. Perocchè quel sentimento così umano che ci lega a coloro che ne precedettero in quest'esiglio e ci attendono nella patria, era stato consacrato dalla fede, riconoscendo la comunione de' fedeli, cominciata tra le pruove della vita, continuata nel luogo della temporaria espiazione, compita nella città celeste; sicchè a sollievo delle anime aspettanti, noi militanti possiamo applicare e le preghiere e le buone opere: tradizione antichissima, chiaramente indicata da Tertulliano e da sant'Agostino377, nel quale già si trova cenno delle messe per defunti. Ma esso pure fu implebejato coll'idea del guadagno, e i suffragi si restrinsero quasi unicamente a messe ed uffizj, che troppo facilmente prendevano aspetto di bottega, e offrivano appiglio alla maldicenza.

La Chiesa dichiarava espresso che le indulgenze esigono da una parte un merito soprabbondante, dall'altra buone opere e pia coscienza; e che mancano d'ogni valore se non vadano congiunte alla sincera ed efficace contrizione, rimettendosi la penitenza solo in quanto era satisfattoria cioè punizione, non in quanto era medicinale, cioè diretta a tener sotto gli occhi del peccatore l'orror della colpa commessa378. Anche i catechismi più comuni insegnano che l'indulgenza è una remissione di pene temporali, che rimarrebbero a scontare pei peccati già rimessi quanto alla pena eterna. Non concedesi dunque se non a quello cui già sia stata rimessa la colpa; vale a dire all'uomo in istato di grazia, cioè di moralità soprannaturale; all'uomo che possieda amore di Dio e de' suoi precetti, dolore de' peccati, e proposito di non più commetterne; amore del prossimo, perdono delle ingiurie ricevute, riparazione delle fatte, adempimento de' proprj doveri, insomma conformità (per quanto all'uomo è possibile) alla legge divina. Solo a queste condizioni si ottiene l'assoluzione e per ciò l'indulgenza, cioè la soddisfazione della pena temporale che il peccatore deve alla giustizia divina anche dopo rimessa la colpa. La qual pena temporale sconta l'uomo con opere penitenziali, a cui la Chiesa applica i meriti infiniti dell'Uomo Dio.

Pure gl'ignoranti facilmente sdrucciolavano in opinione erronea, e se la fomentavano coloro che ne traevano guadagno, ne facea beffe il bel mondo. «Come credere al purgatorio predicato da bocche barbose, che non sanno tampoco declinare Musa Musædiceva Reuclin. E gli arguti: «Che? Sono dunque in mano dei preti le porte del purgatorio e del paradiso?» Sul teatro rappresentavansi spesso de' monaci, che vendeano l'assoluzione al ladro, il quale anche negli estremi momenti esitava fra la sua coscienza e il buon senso; altri che alle comari computavano quanti giorni un'anima resterebbe nel purgatorio, e quanto ci vorrebbe a riscattarla.

Fatto è che lo spaccio delle bolle d'indulgenze divenne pingue entrata della romana curia; v'ebbe persone che n'apersero bottega falsificandole: il che tutto e screditava le indulgenze, e ne adulterava il senso. Il vulgo facilmente recavasi a credere che quel denaro fosse il prezzo della cosa santa; e i questori che mandavansi a riscuoterlo, partecipando d'un tanto per cento al vantaggio, ne magnificavano profanamente la virtù. Ammirato il Giovane racconta che, nel 1431, a Firenze venne un cavaliere gerosolimitano con un Minorita; e quegli annunziava aver dal papa autorità ampia per assolvere dalla dannazione: questi stava a banco nelle chiese a scrivere e sigillare le lettere delle indulgenze e assoluzioni di colpa e di pena, dispensando in arduissimi casi chi portava non solo denari, ma vesti e panni. I senatori, dubitandone, vollero vedere la carta dell'autorità del cavaliere, e la trovarono minore di quella che annunziava; onde gli proibirono di passar più avanti, ne scrissero al papa, e comminarono pene a simil gentaccia. Qual v'ha mai cosa santa, di cui l'avarizia non abusi?

Han levato gran rumore d'un libro intitolato Tasse della cancelleria romana, che nella sua crudezza sa di stranamente empio. Vi si dice: «Per l'assoluzione di chi abusa d'una fanciulla, sei carlini; per l'assoluzione d'un prete concubinario, sette carlini; d'un laico, otto. Per l'assoluzione a chi ammazza il padre, la madre, il fratello, la sorella, o altro parente ma laico, cinque carlini; d'un laico che uccise un abate o altro ecclesiastico inferiore al vescovo sette o otto o nove carlini; d'un marito che battè la moglie in modo che abortisse, otto carlini; di padre o madre o parente che abbia soffocato un fanciullo, quattro tornesi, un ducato, otto carlini. L'assoluzione per atto d'impurità qualunque commesso da un chierico, con dispensa di potere prendere gli Ordini e tenere benefizj, trentasei tornesi; per mangiare latticinj ne' tempi proibiti, sei tornesi». Fu stampato nel 1471 a Roma; vero è che non ha nessuna autorizzazione della Chiesa, ma moltissime volte fu riprodotto colà, e a Parigi, Venezia, Colonia, senza che scandolezzasse, finchè i principi protestanti l'inserirono nei Centum gravamina, e Antonio du Ginet lo riprodusse a Lione nel 1564 col titolo Taxe des parties casuelles de la boutique du pape, etc. Non è ben determinato quanto sia autentico e genuino: ma comunque esso urti il senso dell'onestà e della morale, basta il senso comune per comprendere come quella tassa non riguardi il perdono, bensì paghi la spedizione della cedola assolutoria, mai esclude la necessità del pentimento e della soddisfazione.

I concilj di Vienna, di Costanza, di Laterano aveano severamente vietato questo traffico; ma Leone X credette sorpassarvi per nobile oggetto, qual era di far concorrere tutta la cristianità a due grandi imprese, a tutta la cristianità interessanti; la crociata contro Selim granturco, e l'erezione d'un incomparabile tempio.

Perocchè, arrivati all'apogeo della loro grandezza, i pontefici vollero esprimerla anche materialmente con un tempio maggiore di tutti.

La basilica del Vaticano offre la storia della Chiesa e delle arti, da quando Proba nel IV secolo vi ergeva una cappella al defunto marito Anicio, fino a Tenerani e Pio IX. Nicola V, che fece per le arti non meno di Leone X, avea pensato riedificarla splendidissimamente, e l'annesso palazzo pontifizio ridurre in modo, che v'abitassero tutti i cardinali, quasi concilio permanente attorno al papa; ivi tutti gli uffizj della curia; ivi grandioso ricinto pel conclave, immenso teatro per la coronazione, suntuosi appartamenti pei principi ospiti; il colle Vaticano, seminato di palagi, comunicherebbe colla città mediante lunghi porticati a botteghe; attorno giardini, fontane, cappelle, biblioteca.

Il gigantesco divisamento gli fu tronco dalla morte: poi Giulio II, a cui nulla parea troppo grande, pensò dare condegna occupazione ai sommi artisti allora fiorenti col ricostruire la basilica. Messosi all'opera, fece distruggere cappelle e monumenti, preziosi per antichità e per sante tradizioni, con grave dolore di chi venera le memorie379: e stabilì (1509) che tutti i legati pii, lasciati a luoghi incapaci d'accettarli, o che non si soddisfacessero dagli eredi, venissero applicati alla fabbrica di San Pietro; istituendo a tal fine un tribunale, che li riscotesse in tutto l'orbe cattolico380.

Leone X, volendo compiere quel che il predecessore avea cominciato, pensò farvi contribuire tutta la cristianità, e concedette ampie indulgenze a chi offrisse denaro per quell'edifizio.

Il medioevo non avrebbe trovato a ridirvi; ma le nazioni già prendeano il volo fuori del nido in cui aveano messe le penne; i principi, bisognosi di denaro, chiedeano partecipare a questo speciale genere d'entrata, e voleano trafficare le indulgenze come trafficavano i voti per la corona imperiale.

L'incarico di predicare queste indulgenze era officio lucroso, come quel di ogni esattore. E poichè Alberto, arcivescovo di Magonza, dovea render al papa quarantacinquemila talleri e non n'avea modo, Leon X conferì ad esso il diritto di distribuire le indulgenze in Germania381; ed esso l'appaltò ai Fugger, banchieri famosi di Augusta. Giovanni Arcimboldo, diacono d'Arcisate, poi arcivescovo di Milano, che prima n'avea avuto l'incarico, riservossi la Danimarca e la Svezia, e in pochi anni raccolse abbondanti limosine, che l'infedeltà d'alcuni agenti mandò a male, pur la reputazione di esso uscendone intatta. Non così quella d'Alberto, che scelse a divulgarle Tetzel, domenicano di Pirna, oratore famoso per immaginazione, ma scarso di prudenza e di buon senso. Se dessimo fede a Lutero, purtroppo franco nel calunniare, Tetzel traversò la Sassonia con casse di cedole di perdono, bell'e firmate, e dove arrivasse alzava una croce in piazza, spacciava la sua merce nelle taverne, e «Comprate, comprate (diceva), che al suon d'ogni moneta che casca nella mia cassetta, un'anima immortale esce dal purgatorio»; e il popolo a calca versava talleri in cambio delle perdonanze. Così Lutero: ma i sermoni di Tetzel furono stampati, e da un Protestante, e vi si legge a tutte lettere la necessità della confessione e contrizione: quicumque confessus et contritus eleemosynam ad capsam posuerit juxta consilium confessoris, plenariam omnium peccatorum suorum remissionem habebit.

«Farò io un buco in questo tamburo», gridò Lutero, indignato a quella profanità; ad alcuni che le aveano comprate, negò l'assoluzione se non riparassero il mal fatto e si emendassero. «Vi dico che l'indulgenza non è di precetto, di consiglio divino. Che le anime possono liberarsi dal purgatorio mercè dell'indulgenza io nol so e nol credo. Hai tu denaro? Danne a chi ha fame, e varrà ben meglio che darlo per compaginare pietre. Quel che dico scompaginerà la costoro bottega: ma che importa il loro brontolio? Teste vuote, che non han mai letto la Bibbia; che non intendono acca delle dottrine di Cristo; non si capiscono tampoco fra di loro». Così declamava: poi alla chiesa di Wittenberg, nella solennità d'Ognissanti, affigge novantacinque tesi; pronunziando maledizione e anatema contro chiunque negasse la verità delle indulgenze pontifizie382, ma esservi abuso in esse.

E abuso v'era; lo attestò il medesimo concilio di Trento: sarebbesi potuto confessarlo e toglierlo senza rompere l'unità della Chiesa; i vescovi di Meissen e di Costanza aveano proibito quelle vendite; ma la materia era preparata di maniera, che poca favilla destasse inestinguibile vampa.

La materia delle indulgenze non era stata molto discussa dai dottori, non mai dalla Chiesa congregata. La bolla di Clemente VI pel giubileo del 1350 le stabiliva, ma non quanto bastasse per confutare le ragioni di frà Martino: laonde il Tetzel che, dialettico robusto al modo degli scolastici, presumeva trionfare di tutto mediante le argomentazioni, anzichè angustiarsi nella quistione speciale, affrontò la generale, asserendo che il consenso de' dottori della scuola le confermava, che il papa, infallibile in materia di fede, le approvava, e ne davano segno col pubblicarle: laonde le indulgenze erano articolo di fede, e bisognava credervi. Lutero anch'esso dilargasi dal suo tema, e toglie in esame l'autorità pontifizia; e dietro a questa la remissione de' peccati, la penitenza, il purgatorio, tutti punti che s'attengono all'indulgenze. Altri sorsero contraddittori a Lutero; ma da una parte, col sentenziare d'eresia ogni divergenza d'opinione, spingevansi molti nel campo nemico; dall'altra le dispute faceano il solito uffizio di approfondare viepiù il frapposto fosso; dal censurare gli abusi si trascorreva ad intaccare i principj; dall'asserire che i prelati trascendevano, al revocare in dubbio la legittima potestà del papa e persino l'autorità sua in materia di fede; e quando appunto le minacce dei Turchi rendevano necessaria una più compatta unione, la cristianità spartivasi in due campi, dapprima avversi, ben presto ostili.

Gli studenti di Wittenberg colgono un frate che portava ottocento copie delle controtesi di Tetzel, gliele tolgono, e invitano chiassosamente a venir vedere bruciarle, e il fanno tra le grida di «Viva Lutero, morte a Tetzel». Lutero professava sottomettersi alla decisione del papa, ma intanto sbraveggiava in tono di sfida; e dall'applauso popolare fatto confidente in e ne' testi letterali della Bibbia, conculca la tradizione e la scuola, e richiamando ai primi tempi della Chiesa, apre l'avvenire con un appello al passato.

Come già erasi fatto col Savonarola, Tetzel proponeva a Lutero la pruova dell'acqua e del fuoco; e questi, men civile del Ferrarese, rispondeva: «Io me n'impippo de' tuoi ragli. Invece d'acqua ti suggerisco il sugo della vite; invece del fuoco, odora una buona oca arrosto».

I dotti di qua dalle Alpi mal si capacitavano che da un barbaro potesse derivare nulla di straordinario: e quali, invaghiti del bello, credeano bastasse opporre ai sillogismi la fabbrica del Vaticano o il quadro della Trasfigurazione; quali prendeano spasso di quelle controversie, e di scoprire a Lutero forza d'ingegno meravigliosa: e, sebbene scrivesse alla carlona, l'applaudivano di prendere pei capelli la screditata scolastica e i frati, ch'eran per loro l'ignoranza e la pedanteria incarnata. Gli spiriti forti ridevano del papa, messo in sì male acque, ridevano insieme dei riformatori, che davansi aria di rigoristi entusiastici, e collo scetticismo allora di moda, stavano a vedere chi prevarrebbe. Anime rette credettero in Lutero ravvisare l'uomo suscitato da Dio, non per demolire il dogma, ma per correggere le aberrazioni. Quei che s'ammantano col nome di moderati, deploravano quella scissura, ma credeano meglio non opporvisi per non esacerbare, per non impedire la riconciliazione, per non compromettersi: morrebbe di morte naturale, come tant'altre, nate negli ozj ringhiosi de' conventi. Tale la considerò dapprincipio Leone X: allettato da quelle arguzie, diceva: «Frà Martino ha bellissimo ingegno, e coteste le sono invidie fratesche»: poi messo in collera da insulti anche personali, scappava a dire: «Gli è un tedesco ubriaco, e bisogna lasciargli digerire il vino»383. Dopo nove mesi, per ribattere il novatore colla penna fu scelto Silvestro Mazzolini, da Priero presso Mondovì, maestro del sacro palazzo384.

Facile trovare nel costui dialogo futilità e cattivo gusto385; e lo beffò Erasmo, sempre in caccia di corbellerie de' frati; ma è ben lontano dall'esser l'ignorante che i Riformati vogliono dipingerlo.

Lutero risponde (1518); quegli replica De juridica et irrefragabili veritate ecclesiæ, romanique pontificis; dove stabilisce che la Chiesa è un regno, e regno monarchico; e il papa superiore al Concilio, di cui parla con disprezzo: ma perchè, abbagliato dalla grandezza papale, trovava insoffribile ogni resistenza, ogni esame, e trascendea nelle confutazioni, venne consigliato a tacere, pur costituendolo vescovo e giudice di Lutero. E Lutero rispondeva: «Non abbiam noi corde e spade e fuoco per castigare i ladri, gli assassini, gli eretici? Perchè non ce ne varremmo a castigare il papa, i cardinali, i vescovi, e tutta la schiuma della sodoma romana, avvelenatrice della Chiesa di Dio? Perchè non bagneremo le mani nel loro sangue onde salvar noi e i nostri nepoti386

Altri risposero al novatore tessendo argomenti in quelle forme sillogistiche, di cui erasi abusato nelle dispute e fino ne' Concilj precedenti387; e Lutero sguizzava loro di mano con una celia; diceva: «Voi discutete se Cristo è figliuolo di Dio, se Maria è sua madre, e non tollerate che noi mettiamo in dubbio le indulgenze?» Avea torto, perocchè quelle quistioni agitavansi ne' conventi o in adunanze ecclesiastiche per mera esercitazione scolastica, mentre ora egli le portava in piazza, le sottoponeva al senso comune che non è competente; coll'audacia propria ringalluzziva la scolaresca che moltiplicava applausi a lui, fischiate ai contraddittori, perchè sempre la forza anormale viene ammirata, e trascina chi ha bisogno di movimento, e chi trova più comodo il pensare coll'altrui che colla propria testa. Espiavasi così la tolleranza usata all'Aretino e al Berni; come la profanità dell'arte era espiata dalle migliaja di figure del Papa Asino, che si diffondevano per Germania.

Leon X, uscitegli invano le promesse e le minacce, non ottenuto dai principi che gli consegnassero Lutero, emana una bolla del 9 novembre 1518, ove dichiara legittime le indulgenze; e che esso, come successore di san Pietro e vicario di Cristo, aveva autorità di concederle. Lutero se n'appella al Concilio, e ricorrendo a frasi simpatiche, parla della schiavitù di Babilonia, della libertà cristiana: vindicemus communem libertatem, liberemus oppressam patriam, è il motto che a' suoi Tedeschi. I quali presero a riguardare la resistenza come una liberazione dalla tirannide italiana, e ripeteano le invettive che Hutten avventava al papa: «Sei tu che hai dilapidato la Germania: sempre il vangelo a te spiacque, o tiranno; tu ingojasti la Germania, tu la rivomiterai, coll'ajuto di Dio. Tu hai ciuffato, estorto il nostro denaro: cos'è che tu chiami la libertà della Chiesa? La facoltà di derubarci. Non v'ha che te di eretico, Leone X, tu divenisti vero leone e vorresti divorarci; non dimenticarti che il mio paese nutrisce altri leoni contro di te, se non bastano le tre aquile: Leone....»; il resto la creanza ci interdice di trascriverlo.

In fatto, sotto la specie di libertà religiosa, intendevasi libertà politica, del resto connesse fra loro. E gran bisogno sentivasene in Germania, ove ancora l'imperatore dipendeva dal papa; i baroni dipendeano dall'imperatore; gli uomini gregarj dipendeano dai baroni; alla gleba era legata la gentuccia e a servizj di corpo; libertà, libertà, ripeteasi dunque dapertutto, e tal voce era compresa anche dalla plebe. La nazionale avversione contro quanto stava di qua dall'Alpi trovava pascolo in questa guerra di nuovo conio, e che non cagionava spese, pericoli, spostamento d'abitudini; laonde i Tedeschi s'affezionano al nuovo Erminio che muove guerra implacabile agli Italiani, abisso di vizj e culmine d'orgoglio; declamano contro malignità e finezze a cui essi non arrivano; contro la gaja cultura, da cui si trovano tanto lontani; contro questi Italiani da cui erano stati impediti, di soggiogare l'intera Europa; e ai quali Lutero portava ora colla penna tanti danni, quanti già i Barbari colle armi.

Inoltre Lutero parla tedesco, e il tedesco vulgare, quando il più de' predicatori, e tutti quelli mandati da Roma usavano il latino; e possedendo se alcun altri mai il linguaggio popolare e quel dell'ingiuria e del riso, tanto efficace in tempi commossi, egli «va, viene, spezza, brucia le siepi che non può oltrepassare, precipita come un sasso dalla vetta, travalica monti e valli come il diavolo», che sì spesso egli invocava e adoperava.

E nel suo proclama alla nobiltà cristiana di Germania, la ingelosiva delle progressive usurpazioni del clero e di Roma contro la sua nazione, e «Via i nunzj apostolici, che rubano il nostro denaro. Papa di Roma, dammi ben ascolto: tu non sei il maggior santo, no, ma il maggior peccatore; il tuo trono non è saldato al cielo, ma affisso alla porta dell'inferno.... Imperatore, sii tu padrone; il potere di Roma fu rubato a te; noi non siamo più che gli schiavi de' sacri tiranni; a te il titolo, a te il nome, a te le armi dell'impero; al papa i tesori e la potenza di esso; il papa pappa il grano, a noi la buccia».

Ma il potere che vien offerto dalla rivoluzione, non talenta a principi che abbiano senno; e Massimiliano imperatore, più vicino all'incendio, ne conobbe la gravezza, e sollecitò Leone a citar Lutero al suo soglio. Lutero, mentre riprotestavasi sommesso al pontefice, erasi procacciato appoggi terreni, e mercè dell'elettore di Sassonia impetrò che il papa deputasse uno ad esaminarlo in Germania. La scelta cadde su Tommaso De Vio, detto poi il cardinale Cajetano, perchè nato a Gaeta il 1469. Di buon'ora s'era egli salvato dal mondo vestendosi domenicano; lesse arti a Padova, e oltre sapere tutto a mente san Tommaso, ne imitava il modo d'argomentare, unendo cioè la dialettica d'Aristotele coll'ispirazione di Platone. Perciò correasi ad ascoltarlo, ma egli fuggiva i rumori, e s'ascose per sottrarsi a un trionfo in quell'università. Pure spesso interveniva alle dispute filosofiche e religiose, che molto costumavansi allora, e singolarmente in una del capitolo generale del suo Ordine a Ferrara, in presenza del duca e del senato, combattendo Giovanni Pico della Mirandola. Al conciliabolo di Pisa dal pulpito sfolgorò il cardinale Carvajal, e gli altri motori dello scisma, e compose un trattato sull'autorità del papa, sostenendone la supremazia monarchica sul concilio. Aveva anche pubblicato un'opera sulle indulgenze, lodata da Erasmo come di quelle che rem illustrant, non excitant tumultum, dove conferma l'efficacia di esse non solo nella remissione della pena ut est debita ex vinculo ecclesiæ, ma anche della pena ut est debita ex vinculo divinæ justitiæ: distinse i meriti di Gesù Cristo e de' santi, e l'applicazione di essi per modo di assoluzione e per modo di suffragio.

Fatto vescovo di Gaeta, poi cardinale da Leon X, si mostrò attivissimo nell'eccitare la Germania, la Scandinavia, l'Ungheria contro i Turchi: in Boemia represse le reliquie degli Ussiti; dimostrò come a torto si tacciasse d'avarizia la Chiesa romana per le decime, atteso l'uso che ne faceva; più tardi Clemente VII, udendo ch'egli era assalito dai saccheggiatori di Roma, mandò a supplicare per lui, acciocchè non s'estinguesse un tal lume della Chiesa. L'insigne teologo Michele Cano dice: «Io l'ebbi sempre in gratissima stima, e altamente giovò alla Chiesa, e poteva esser pari ai sommi edificatori di questa, se la dottrina sua non avesse macchiata di certa qual lebbra, e o per curiosità, o per sottigliezza d'ingegno non avesse esposte le sacre lettere piuttosto ad arbitrio suo, quasi sempre felicissimamente, ma in varj luoghi più acutamente che felicemente. Poco tenace dell'antica tradizione, molto versato nella lettura dei santi Padri, non volle apprender i misteri del libro suggellato da quelli che, non a proprio senso, ma secondo la tradizione dei maggiori, cioè la vera, apersero la chiave del verbo di Dio. Avendo scritto molte cose eccellenti, da ultimo con alcune nuove sposizioni della Scrittura scemò autorità a ciò che avea detto pensatissimamente»388.

A torto dunque si imputa Leone X d'avere scelto un debole avversario a Lutero. Questi propose una disputa pubblica in Augusta, ravvisando quanto vantaggio trarrebbe dal chiamare le turbe a giudici in punti positivi, fondati sull'autorità. Ricusato, Lutero tergiversa, vuol discutere, ringrazia il Cajetano d'avere usata carità con lui, che pur s'era mostrato violento, ostile, insolente verso il nome del papa, ma il Cajetano riduce la quistione ai veri e finali suoi termini, cioè l'obbedienza assoluta alla Chiesa come unica autorevole in materia di fede: «Il papa ripruova le vostre proposizioni: voi dovete sottomettervi. Il volete o no?» E Lutero ricusa l'incondizionata sommessione, e sostiene che anche ad un laico armato di autorità devesi credere più che al papa, che al Concilio, che alla Chiesa stessa.

Leone approvò l'operato dai distributori delle bolle d'indulgenze, e dichiarò eretico Lutero. Il quale al papa scrisse in tono di canzonella, compassionandolo come un agnello fra lupi, e ricantando tutte le abominazioni che di Roma si dicevano. «Gran peccato, o buon Leone, che tu sia divenuto papa in tempi ove nol potrebb'essere che il demonio. Deh fossi tu vissuto su qualche benefizio o del paterno retaggio, anzichè cercare un onore, solo degno di Giuda e de' pari suoi, da Dio rejetti».

Leone allora abbandonata la longanimità, scagliò la scomunica il 15 giugno 1520 in una Bolla studiosissimamente elaborata da Pietro Accolti cardinale d'Ancona. Invocato Cristo a sorgere in ajuto della Chiesa sua in tanto bisogno; e san Pietro a prendere cura di questa che gli era stata affidata da Cristo; e san Paolo, che, sebbene avesse giudicato necessarie le eresie per provare i buoni, trovasse conveniente estinguerle al nascere; e tutti i santi e la Chiesa universale perchè intercedessero appo Dio onde cessasse questa contaminazione, diceasi come molti errori, già condannati ne' Greci e ne' Boemi, alcuni asserti ereticali, altri falsi e scandalosi, si seminassero ora in quella Germania, che sempre fu cara a' pontefici, i quali da essa, dopo la traslazione dell'impero dall'Oriente in Occidente, sempre aveano chiesto i difensori.

Qui recita quarantun articolo intorno al peccato originale, alla penitenza, alla remissione de' peccati, alla comunione, alle indulgenze, alla scomunica, alla potestà dei papi, all'autorità de' concilj, alle buone opere, al libero arbitrio, al purgatorio, alla mendicità: tutti opposti alla carità, alla riverenza dovuta alla romana Chiesa, all'obbedienza che è nerbo della disciplina ecclesiastica. Dopo fattone diligente scrutinio con cardinali e capi d'Ordini regolari, e teologi e dottori, li condanna e ripruova come ereticali, scandalosi, falsi, contrarj alla cattolica verità; proibisce sotto pena di scomunica il tenerli, difenderli, favorirli, predicarli. E poichè quelli sono asseriti ne' libri di frà Martino, condanna questi e chiunque li serba o legge, volendo siano abbruciati. Martino, più volte ammonito e citato con promessa di sicurezza, se fosse ito non avrebbe trovato nella Corte tanti falli quanti spacciava, e il papa l'avrebbe chiarito che i suoi predecessori mai non errarono nelle loro costituzioni. Ma avendo sostenuto un anno intero le censure, e fatto appello al Concilio (locchè era proibito da Pio II e Giulio II) poteva il papa procedere a condannarlo; eppure, scordate le ingiurie, voleva ancora ammonirlo a desistere dagli errori, e fra sessanta giorni revocarli e bruciare i libri: altrimenti lui e suoi sostenitori dichiara pertinaci e notorj eretici: deva ognuno prenderli e consegnarli, o almeno scacciarli, dichiarando interdetti i luoghi ove dimorassero.

Questa bolla ammiravano alcuni come un modello di latinità, di scienza, di diplomazia; altri la criticavano come soverchiamente lunga; e che vi s'adoprasse stile di curia, anzichè i pronunziati scritturali; e che le quarantuna proposizioni vi si dichiarassero cumulativamente ereticali o scandalose o false, anzichè specificare le singole.

Lutero, imitando quel che il Savonarola avea fatto co' libri immorali, davanti agli studenti di Wittenberg brucia le Decretali, la Somma di san Tommaso, gli scritti avversi, e la Bolla, dicendo: «Oh potessi fare altrettanto del papa, il quale conturbò il santo del Signore»; e gittata la cocolla, sposa Caterina Bore smonacata, cangia forma al culto, e mentre Leone persiste a chiamarlo a penitenza, pubblica il trattato della Libertà cristiana.

Egli non aveva un programma prestabilito e compiuto, come non l'ha verun novatore; procedeva a tentone, come chi fra il bujo si orizzonta a poco a poco, e trae conseguenze dalla primaria quistione. E la quistione suprema era: «L'uomo decaduto in qual maniera può mettersi in unione con Cristo, e partecipare del frutto della redenzioneSvolgendolo, arriva al suo canone fondamentale, la giustificazione pei soli meriti di Cristo; donde qual corollario derivano il servo arbitrio e la predestinazione.

Tutto l'edifizio sacerdotale si compagina sulla credenza che le buone opere ci meritino la salute; Lutero, volendo demolirlo, nega che l'uomo possa cooperare alla propria salvezza; sola la fede ci salva, è scritto nel Vangelo; noi siamo corruzione e peccato, sicchè nulla possiamo se non quel che ci è dato dal nostro divin Salvatore, merito avvi o giustizia se non in esso; onde sono inutili, anzi nocevoli alla salute le buone opere dell'uomo, il quale non è libero della sua volontà più che nol sia la sega in man del legnajuolo; è pelagianismo il credere che l'uomo meriti la Salute, mentre la merita il solo Gesù Cristo. Che penitenze? Che sacramenti? Che suffragi pei morti, o altre opere satisfattorie? Il male è condizione d'ogni uomo finito; cioè il sentimento del peccato non può essere divelto da nessuna coscienza finita. Il cristiano non può raggiungere la pace se non coll'elevare lo spirito all'infinito, alla considerazione della bontà di Dio. Allora alla libertà morale annichilata si surroga la libertà cristiana; questa significa affrancamento dalla legge morale, che non si riferisce se non al mondo finito; ammette applicazioni a ciò che è perpetuo.

Se la fede è non solo un dono gratuito, ma una specie di forza che costringe l'assenso, mentre l'uomo, corrotto radicalmente, è incapace di ogni libertà, fino quella di desiderare e scegliere il bene, egli non coopera a un atto di fede, e la Grazia opera in esso non solo avanti, ma senza della libertà; laonde fede e libertà si escludono. Pe' Cattolici invece il libero arbitrio suppone la facoltà non di meritare la Grazia divina, ma di assentirvi o no, sicchè l'atto di fede è un atto di volontà: credere in voluntate credentium consistit, dice san Tommaso: si conoscono grazie che provocano, che eccitano, che attraggono la libertà, ma nessuna che la costringa o la sopprima.

Colla giustificazione al modo di Lutero, cioè se l'uomo diviene giusto pei soli meriti di Cristo, a lui applicati per mezzo della fede, è tolto via tutto quanto s'interpone fra Cristo giustificatore e il fedele giustificato; cioè tutta l'azione intermedia della Chiesa sull'uomo. Per tal modo, dalla negazione della libertà metafisica egli deduce la libertà ecclesiastica.

Se ogni uomo è guidato da Dio, che bisogno ha più d'autorità umana? Che bisogno di espiazione se i fedeli divengono di colpo perfetti mediante i meriti di Cristo? Basta eccitare la fede mediante la predicazione del vangelo; se i Cristiani credono, eccoli santi; se no, vanno perduti senza avere subìto la noja di confessioni, di digiuni, di scomuniche. Il culto esterno è inutile, bastando la fiducia in Dio; sicchè ogni Cristiano è sacerdote, e la gerarchia fu costituita solo per ambizione d'alcuni, per ignoranza servile dei più, a scapito della libertà dei figliuoli di Dio. Manca la ragione della progressiva educazione di esso alla santità; e la Chiesa, coi vescovi, col papa, coi sacramenti inalterabili non solo, ma cogli Ordini monastici, colle penitenze, le indulgenze e tutto l'organamento esteriore, modificabile secondo i tempi, diviene un assurdo, un effetto di pregiudizj e di cupidigie.

Ma se ci manca il libero arbitrio, per qual fine Iddio ci ha dato i suoi comandamenti? Lutero non esita a rispondere, che fu per provare agli uomini l'impotenza della loro volontà, beffandoli coll'ingiungere cose, ad osservare le quali non hanno forza389. Pecchiamo pure, pecchiamo fortemente; uccidessimo, fornicassimo cento volte il giorno; non serve, purchè crediamo alle dovizie dell'agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo390. Questa negazione del cooperamento dell'uomo fu intitolato Vangelo, e nemico al Vangelo si disse chiunque sosteneva il contrario.

Noi insistiamo sopra Lutero perchè una dottrina religiosa dev'essere giudicata alla sua sorgente e in ciò che ha di originale e primitivo: e perchè egli è il vero fondatore del protestantismo, avendo aperto una via propria coll'eriger la ragione individuale al posto di Cristo, che solo rappresenta l'umanità redenta e che non comunicò tal privilegio se non alla sua Chiesa. Le ragioni speciali che lo condussero a formulare il suo sistema, le prospettive generali del suo edifizio, le sue pruove dedotte dalla ragione e dalle opinioni, si riproducono nella interminabile figliolanza, per quanto sembri discorde; le passioni dell'anima sua possono separarsi dalle sue credenze.

Come si disse che Dio è l'unico autore della nostra santificazione, così, abolendo ancora ogni intervento della Chiesa fra il credente e la sacra scrittura, si disse che questa è unica sorgente, unica regola e giudice della fede. l'intelligenza del santo libro è studio solo di filologia e storia, ma ispirazione divina; giacchè lo spirito pone la verità ne' nostri cuori. Confondeasi così il lettore della Bibbia colla Bibbia stessa, quasi non sia diverso il leggere uno scritto infallibile, ed essere infallibile nell'interpretarlo. Con ciò Lutero rendeva superfluo un magistero per l'istruzione cristiana e per conservare la tradizione. La Chiesa non è infallibile, e può discordare dalla parola divina. Questa vuole essere interpretata dai singoli con sincerità e invocando lo Spirito Santo; solo in quella vuolsi avere fede, non badando a Padri o ai Concilj, ma al testo qual è da ciascuno interpretato.

Con questo criterio, Lutero vi leggeva, che Iddio è unico autore del bene come del male; che i sacramenti dispongono alla salute, ma non la conferiscono; che nella santa cena è presente Cristo, ma non transustanziato; che il ministro è un uomo in nulla diverso dagli altri, e in conseguenza non può assolvere i fratelli, deve distinguersene per voti e rigori; che la giurisdizione religiosa spetta intera ai vescovi, eguali tra loro sotto Cristo, che n'è il capo, e scelti dai principi. Nei due Testamenti, e nei quattro primi Concilj non si parla di purgatorio, d'indulgenze, di voti monastici, d'invocazione de' santi, di suffragi: dunque non si devono accettare. L'Ordine non è sacramento: Dio consacra interiormente l'intelligenza di tutti.

Insomma per abbattere l'autorità ecclesiastica prevalsa, per inaridire la fonte delle ricchezze e della potestà del papa e dei preti, togliea la distinzione di spirituale e temporale, d'ogni laico faceva un sacerdote, dandogli la Bibbia e «Interpretala come Dio t'ispira».

Bisogna dunque vulgarizzarla. Fin nel primo secolo essa erasi voltata dall'ebraico e dal greco in latino391, e sant'Agostino dice che ne correvano innumerevoli traduzioni, perchè, chiunque sapesse di greco, metteasi a farne una; onde s'aveano, a detta di san Girolamo, tot exemplaria quot codices; ma da noi preferivasi la itala. Era anche discussa, e Tertulliano scriveva nel libro delle Prescrizioni: «Gli eretici ripudiano i libri della Scrittura che a loro sconvengono; gli altri interpretano a loro fantasia; non si fanno scrupolo di cambiare il senso nelle loro versioni: per acquistare un proselito gli annunziano ch'è necessità esaminare tutto, cercare la verità in se stessa: acquistato che l'abbiano, non soffrono più ch'e' li contraddica: lusingano le donne e gl'ignoranti col farli credere che ben presto ne sapranno meglio dei dottori; declamano contro la corruzione del clero e della Chiesa; hanno discorsi vani, arroganti, pieni di fiele: camminano dietro a tutte le passioni umane».

Questo scriveasi avanti il secolo II, non nel xv o nel xix: tant'è vero che l'età nostra ci pare talvolta straordinaria sol perchè viviamo in quella, non nelle altre. Ulfila tradusse la Bibbia pei Goti, altri per gli altri popoli che si convertivano, forse v'è lingua che non ne possedesse versioni anteriori alla Riforma. La Biblioteca Imperiale di Parigi possiede ottomila ottocenventitrè Bibbie in sesto grande; novemila trecentottanta in medio; diecimila quattrocendicianove in piccolo; oltre trentasettemila quattrocentottantaquattro codici di alcune parti; e tutti, o la massima parte anteriori alla stampa. Nella Germania stessa noverano almeno sedici traduzioni nella lingua letteraria e cinque nella popolare, anteriori a Lutero392.

Restringendoci all'Italia, il latino vi era conosciuto da chiunque sapesse leggere: pure Giambattista Tavelli di Fusignano avea fatto una traduzione vulgare della Bibbia a istanza d'una sorella di Eugenio IV; un'altra Jacopo da Varagine vescovo di Genova; quella di Nicolò Malermi o Manerbi frate camaldolese fu stampata a Venezia nel 1471, in kalende agosto. In kalende octobrio è iscritta un'altra che pare dell'anno stesso, e alcuno dubitò essere quella del Varagine, ma certamente è lavoro più antico, e di veneziano, malgrado i toscanesimi393. Esso Malermi nel prologo dice che «già per passati tempi è stato traducto esso magno volume della Bibbia in volgare et in lingua materna», ma con grandi errori e mancamenti, atteso i quali egli ripigliò il lavoro. E fu stampato trentatrè volte, di cui nove innanzi la fine del secolo, e cinque di esse a Venezia394. Nel 1472 si stamparono pure a Venezia per Cristoforo Arnoldo Le epistole e gli evangeli che si leggono in tutto l'anno nella messa, vulgarizzamento toscano, più volte riprodotto in quel secolo, il che attesta come si leggessero dal pubblico; nel 1486 si produssero Li quattro volumini degli evangeli, volgarizzati da frate Guido, con le loro esposizioni facte per frate Simone da Cascia. Ora appunto si stampa una Bibbia che credesi tradotta dal Cavalca395.

È una delle rarità bibliografiche l'opera in-folio stampata a Venezia il 1512, per Zuane Antonio e fradeli da Sabio, col titolo Epistole, evangelii volgari historiadi, di cui alcune tavole sono intagliate in legno da Marcantonio Raimondi.

La biblioteca di Siena possiede un Vecchio Testamento in italiano, appartenuto ad una confraternita, che nelle adunanze festive ne leggeva alcuni brani. Altre versioni intere o di parti ha la Magliabecchiana di Firenze, che già furono di Santa Maria Novella, altre la Ricardiana, la Laurenziana, e due la imperiale di Parigi.

Anzi Jacobo Passavanti, nello Specchio di penitenza, si lagna che i traduttori della sacra scrittura «la avviliscono in molte maniere, e quali con parlar mozzo la troncano, come i Francesi e i Provenzali; quali con lo scuro linguaggio l'offuscano, come i Tedeschi, Ungheri e Inglesi; quali col vulgare bazzesco e crojo la incrudiscono, come sono i Lombardi; quali con vocaboli ambigui e dubbiosi dimezzandola la dividono, come Napoletani e Regnicoli; quali con l'accento aspro l'irruginiscono, come sono i Romani; alquanti altri con favella maremmana, rusticana, alpigiana l'arrozziscono; e alquanti, meno male degli altri come sono i Toscani, malmenandola troppo la insucidano e abbruniscono, tra' quali i Fiorentini con vocaboli squarciati e smaniosi, e col loro parlare fiorentinesco stendendola e facendola rincrescevole, la intorbidano e rimescolano, con occi e poscia, aguale, pur dianzi, mai, pur sì e berretteggiate».

Censuravasi dunque il modo, non si condannava il fatto. L'ascetico autore dell'Imitazione di Cristo non vieta di leggere la Scrittura, ma vuole «vi si cerchi la verità, non la dicitura; leggasi collo spirito con cui fu fatta». Alfonso d'Aragona re di Sicilia avea letto quattordici volte la Bibbia coi commenti di Nicolò da Lira, e la citava ogni tratto.

E lettura assidua ne faceva il Savonarola, come appare dalle postille che caricano le Bibbie che gli appartennero, o che (noi supponiamo) gli erano date da' suoi devoti perchè le impreziosisse con sue annotazioni. Egli poi ne' sermoni e negli opuscoli, ne faceva l'interpretazione spirituale, la morale, l'allegorica, l'anagogica. A cagion d'esempio, «Dio creò il cielo e la terra», oltre il senso letterale, ha il senso spirituale di creazione dell'anima e del corpo; il senso morale vorrà indicare la ragione e l'istinto; il senso allegorico o riguarda la Chiesa ebraica, e cielo e terra significheranno Adamo ed Eva, sole e terra significheranno il gran sacerdote e il re; o risguarda la Chiesa cattolica, e significheranno il popolo eletto e i Gentili, il papa e l'imperatore. Il senso anagogico si riporta alla Chiesa trionfante, sicchè cielo, terra, sole, luna, stelle significheranno gli angeli, gli uomini, Cristo, la Vergine, i beati, e così via396.

Egli vedeva però che per tal uopo occorre conoscere bene la lingua e la storia, avere molta famigliarità colla Bibbia, non urtare le opinioni della Chiesa romana, non trascinare i sensi a fini nostri particolari, per non mettere il nostro intelletto in luogo della parola divina, e lasciarsi guidare dalla Grazia divina, meritandola colla purità del cuore, col lungo esercizio della carità, coll'elevarsi sopra le cose terrene. Buoni avvertimenti, ch'egli ripeteva ogni tratto a se stesso onde tenersi in guardia; pure in fatto nella Bibbia trovava spesso i pensieri suoi, le sue speranze, l'allusione alle cose pubbliche e private, grandi e piccole, e le sue visioni e profezie.

Non per questo vogliamo negare che lo studio della sacra scrittura fosse negletto. Un frate esemplarissimo e d'eccellenti intenzioni, al Savonarola ancora novizio dimandava che servisse leggere il Testamento Vecchio, e qual frutto si raccolga da avvenimenti di tanti secoli fa397. In fatti il paese nostro e il tempo erano cattolici, occorrevano controversie con eterodossi; laonde la Bibbia era piuttosto serbata come un repertorio pei predicatori. Tutte le feste della Chiesa si riferiscono ai fasti di Cristo e alla ricordanza delle persone che più rifulgono nella storia di essa: onde il parroco, spiegando il vangelo, non ha bisogno di discutere verità, che non sono poste in controversia. La scarsità dei libri facea volgere più volentieri a catene, a compendj, a concordanze di autori che aveano scritto sulla Bibbia, e delle cui asserzioni si fiancheggiavano: e come per la medicina adopravasi la Somma di Taddeo e per la giurisprudenza quella di Azzone, così per la teologia si ricorreva alle Sentenze di Pietro Lombardo, alla Somma di san Tommaso e ad altre, prestandovi fiducia illimitata, come avviene delle materie non discusse, e tenendosi dispensati dall'esaminare la natura per le materie fisiche, i testi per le morali, limitandosi ad applicarli con argomentazione sottile; affare di logica e nulla più. I predicatori, allora come oggidì, spesso ne alteravano il senso, e per trarne edificazione amplificavano, esageravano i testi, oltrepassando i limiti del vero; o per lo meno obbligati a fare un discorso a tempi fissi, non han tempo di stare a esaminare colla filologia e coll'esegesi la lezione del vangelo corrente; l'accettano come i più, o come essi stessi lo presero, fino violentando la lettera per acconciarla al loro intento morale.

Pure non mancava chi la Bibbia commentasse. Pantaleone Giustiniani, che fu frate Agostino da Genova, poi vescovo di Nebbio in Corsica, e intervenne al Concilio lateranese, e sapea greco, ebraico, arabo, caldeo, e fu adoprato da Francesco I a stabilire nell'università di Parigi l'insegnamento delle lingue orientali, deliberato a pubblicare la Bibbia in latino, greco, ebraico, arabo e caldeo, cominciò dal Salterio, dedicato a Leone X il 1516, in otto colonne, una col testo ebraico, le altre con sei interpretazioni e colle note; ma di duemila esemplari in carta e cinquanta in pergamena, appena un quarto trovò compratori; il resto naufragò con lui. L'università di Alcala in Spagna, fondata dal cardinale Ximenes, pubblicò la prima Bibbia poliglotta, dedicata a Leone X. Sante Pagnini lucchese, autore del Thesaurus linguæ sanctæ, opera mirabile per tempiscarsi di mezzi, e che neppure oggi troverebbe chi osasse rifarla, compì una nuova traduzione latina della Bibbia; Leone X ne pagò la stampa, che, morto lui, fu pubblicata a Lione nel 1527. Il padre Spirito Rotier, inquisitore a Tolosa, passava da Lione nell'agosto 1541, e sentendo sonare a morto tutte le compane, e vedendo trecento uomini abbrunati accompagnare una bara fra tutto il popolo accorso, domandò chi fosse morto, e gli fu detto, Sante Pagnini, un buon domenicano da Lucca, di settantun anno, la cui voce e l'esempio avea tenuto lontane le innovazioni luterane; che aveva istituito un ricovero pei facchini, e indotto la città a fondare una leproseria, massime coi doni dei ricchi mercanti fiorentini, e ogni giorno facea questue a favore de' poveri398. La sua Bibbia, lodatissima da Huet e Touron, è criticata acerbamente da Richard Simon; ma qui non è quistione del merito, bensì399 del fatto. Il cardinale Adriano di Corneto, adoprato in nunziature ed alti uffizj, sbandito da Giulio II e da Leone X, dirige a Carlo V un trattato De sermone latino, nella cui prefazione racconta come egli erasi accinto a voltare dall'ebraico in latino il Vecchio Testamento; ma avendo dovuto, dallo sdegno del papa, rifuggire fra le Alpi trentine, dove nessun ebreo ardisce venire per l'antica uccisione del fanciullo Simone, erasi applicato a questi studj.

E solo per l'intelligenza della Bibbia si studiava l'ebraico; e il Concilio di Vienna del 1311 stabilì che nelle Università di Oxford, Parigi, Bologna, Salamanca, e dove siede la curia romana, v'avesse due professori di lingue orientali; ordine inserito nel Corpus juris canonici400. Il primo cristiano che ne desse lezioni in Italia, pare Felice da Prato, israelita convertito, che nel 1515 pubblicò la versione latina dei Salmi, e da Leone X fu invitato a Roma nel 1518. In quel tempo lo insegnava anche Agatia Guidacerio di Catania, chiamato poi da Francesco I nel collegio delle tre lingue, dove gli succedette Paolo Paradisi di Canossa. L'Italia fu la prima che stampasse ebraico: nel 1475 a Reggio di Calabria e a Pieve di Sacco nel Padovano n'erano tipografie, e subito dopo a Mantova, Ferrara, Bologna. Le sole edizioni della Bibbia ebraica in quel secolo furono: 1a quella di Soncino cremonese nel 1488; 2a quella del 1491 dai tipografi stessi di Soncino trasferitisi a Napoli; 3a quella del 1494 a Brescia. Nel 1482 stampossi a Bologna il Targum di Onkelos, ch'è la migliore e più antica versione caldaica del Pentateuco.

I migliori codici della versione dei LXX gli abbiam in Italia, e valga per tutti il vaticano401. Nel secolo XV si fecero tre edizioni del Salterio greco: a Milano nel 1481, a Venezia nel 1486; poi da Aldo nel 1497 e 98. In Italia è la maggior raccolta di codici biblici, e la sola di Bernardo De-Rossi a Parma ne possiede settecendodici del testo ebraico: cioè più che non ne siano in tutto il resto del mondo. Meglio di cento edizioni della Vulgata si fecero in Italia. A Fano si stampò nel 1514 una raccolta di preghiere in arabo, nella stamperia fondata da Giulio II402. Il suddetto Pagnini cominciò a Venezia l'edizione originale del Corano403. Nel 1513 erasi pubblicato a Roma il Salterio in etiope; poi nel 48 il Nuovo Testamento per cura di Mariano Vittorio di Rieti, che quattro anni più tardi diede la prima grammatica abissina404; Teseo Ambrogio dei conti d'Albonese insegnò a Bologna le lingue caldaica, siriaca, armena, delle quali e di dieci altre diede un'introduzione (Pavia, 1539) coi caratteri di quaranta alfabeti.

Risorta la filologia, la critica, addestrata sopra autori profani, volgeasi ai testi sacri; e nella baldanza d'un nuovo acquisto, ciascuno volea cercarvi interpretazioni a suo senno. L'illustre tedesco Reuclin fece molte emende alla Vulgata; e se le menti anguste ne riceveano scandalo, Roma lo difese, tollerante fin dove non ne pericolasse l'unità della fede. Dicemmo come la traduzione di Erasmo fosse da Leone X francheggiata contro i censori. È dunque ciancia che soltanto dopo Lutero venisse divulgata la Bibbia; anzi son tanti i lavori d'esegesi sacra a quel tempo, che il protestante Mac Crie ammira la Provvidenza, la quale faceva dai Cattolici stessi affilare le armi che doveano trafiggerli.

Ma si ha da questo a indurre che la lettura della Bibbia abbia a diffondersi tra il vulgo?

I Protestanti, per togliere importanza al clero, proclamarono il diritto che ha ciascuno d'interpretarla; e asserirono che essa è facile, accessibile a tutti. E così? Ma tutto fra noi è autorità e tradizione, cominciando dal parlare, col quale riceviamo un'infinità di idee e di giudizj. Persino le verità fondamentali di fisica, di matematica, di giurisprudenza, di medicina pochi le attinsero alle prime sorgenti: e la pluralità non trae la scienza che dalla asserzione altrui. Che sarà poi d'una storia che in poche pagine compendia gli avvenimenti di quattromila anni, che espone l'origine e la destinazione del mondo e dell'uomo, le profezie e il loro adempimento, le costumanze pastorali e lo sfarzo delle reggie, la predica dell'apostolo, la disputa del dottore, le sentenze del savio, l'osanna della vittoria e il gemito della schiavitù? Un libro scritto la più parte in una lingua conosciuta da pochi, fedeli a una religione caduta; in uno stile che va dal più semplice racconto fin alla più sublime lirica; collo spirito di lontanissimi tempi e di civiltà diversissima, con allusioni, idiotismi, sarà egli spiegabile da qualunque lettore?

La verità divina v'è espressa colle forme del pensiero umano, colle condizioni dell'umano linguaggio, e però con tutte le condizioni di questo, coll'arte dello scrivente, le figure, l'iperbole; ora s'annunzia col mistero, ora per allusione e parabola; dirigesi all'immaginazione, al cuore, alla coscienza, non soltanto all'intelletto, a convincere il quale potrebbe dare una formola più precisa.

Quindi la varietà nell'intender le Scritture, e perciò nelle differenti versioni la Bibbia fu alterata, a seconda de' traduttori. La più antica, quella dei Settanta, è avvivata di spirito neoplatonico, e discosta dalla parafrasi caldaica, fatta per tutt'altri lettori. Differisce da entrambe la versione latina, fatta da san Girolamo, e che divenne la base di quella che la Chiesa cattolica adottò poi come vulgata. Lutero la repudiò e fece una versione tedesca pel comodo della nuova Chiesa; gli altri riformatori lo imitarono, sicchè v'ebbe Bibbia calvinista, metodista, sociniana, e via discorrete.

Più variate ancora sono le induzioni de' commentatori. Ogni errore vi trova appoggio; ogni sistema, anche filosofico. Quanti dottori, quanti libri disputarono sul vero senso di alcuni passi! Prendansi due de' principali: «Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue»: e «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa»405. Quanto discuterne e fuori e dentro del cattolicismo! or come mai un semplice fedele pretenderà averne raggiunta la vera significazione? Un passo di san Paolo a Timoteo eccita un'infinità di discussioni; e fondamento alla moderna quistione intorno alla natura della theopneustia406. Quella risposta tanto precisa di Cristo al giovane, Se vuoi entrare alla vita osserva i miei comandamenti407, Lutero la dichiara non compresa da nessuno, perchè reca impaccio al suo sistema, e porge buon appoggio all'edifizio cattolico. Anzi, chi assicurerà che la Bibbia è ispirata, se non ce lo dica la Chiesa? Lutero stesso parte accettava, parte repudiava del testo sacro. Per esempio, l'epistola di san Giacomo sulle relazioni tra la fede e gli atti del Cristiano contrariava le opinioni sue, ed egli la dichiarò falsa, indegna, straminea; così d'altri libri, che dappoi i suoi seguaci hanno ammessi.

Come dunque trovarvi quella solidità incrollabile ch'è necessaria alla fede? come trarne lume al credere e all'operare? Per la sapiente distribuzione della Scrittura, molti passi di essa non possono intendersi se non confrontati con altri e col complesso; lavoro a cui non possono essere capaci se non menti profondamente esercitate. In un luogo leggiamo, Qui credit in me habet vitam æternam, ma in un altro, Fides sine operibus mortua est. Alcuni possono fin riuscire di scandalo, per esempio il Cantico de' Cantici, o le dispute di san Paolo nella epistola ai Romani sovra il prepuzio e la circoncisione e alcuni de' Proverbj408.

Per interpretare giusto bisognerebbe sapere tutto, giacchè chi ignorasse una cosa sola può dubitare che il conoscerla modificherebbe l'opinione sua sopra le conosciute. Ora l'ortodosso non sa tutto; ma sa che quel che sa è vero, perchè glielo dice la Chiesa che tutto esaminò409.

Fu dunque prudenza il non divulgare la Bibbia, quand'anche non sapessimo che tale era pure la sorte di tutti i libri prima che la stampa li moltiplicasse. Divulgata che fu, ognuno v'attinse quel che alla passione sua giovava: Mattia Harlem e Muncer vi trovarono il comunismo; Giovanni de Leida il rimpasto della società; Fox feroci delirj; chi la bigamia, chi l'entusiasmo, chi l'annichilamento, e tutti la fierezza dei mezzi nell'attuare i loro delirj410. A fronte ai quali, l'intelligenza, posta tutta sola in presenza della rivelazione biblica, mai non può tenersi sicura, e precipiterà nello scetticismo. Ma la Chiesa destina un interprete, se stessa, o vogliasi dire ispirata continuamente, o vogliasi infallibile custode della primitiva tradizione, che non dimenticò, falsò giammai.

Perocchè la Chiesa è anteriore al vangelo, avendola Cristo fondata, e istituito i sacramenti, dato i precetti, fissato la gerarchia, insegnato l'orazione, prima che tutto ciò fosse scritto. E agli apostoli non disse, «Eccovi il libro che dev'essere norma del vostro credere: questo mandate attorno»: bensì «Andate e predicate a tutti». La Chiesa dunque, incarnazione permanente e continuazione dell'Uom Dio, ha certezza immediata de' suoi insegnamenti: e ne' primi Concilj non allegò verun passo scritturale in appoggio delle sue decisioni, giacchè esponeva le verità ricevute immediatamente dalla bocca di Cristo, il quale «sarà con essa fino alla consumazione de' secoli».

V'è di più: non ogni cosa fu scritta nel Testamento; san Giovanni professa aperto essere innumerevoli i fatti che non pose nel suo vangelo: san Paolo ripete nelle epistole d'avere parlato come ad uomini carnali, e sottratto un cibo di cui non erano peranco capaci411. V'è dunque una tradizione orale, di cui è parimenti depositaria la Chiesa, e che viepiù le conferma l'autorità di unica interprete de' libri santi.

Questo titolo però non implica quel che i Protestanti asseriscono, che fra i Cattolici non rimanga campo all'esegesi, e anzichè confondere la fede colla disciplina, le opinioni d'un teologo col dogma, bisogna discernere la fede dalla teologia, che è scienza umana, e non ha promesse d'infallibilità. La Chiesa espone le sue decisioni sul dogma e la morale, non altro: si cura dell'interpretazione filologica delle parole e de' versetti singoli, delle particolarità archeologiche, dell'ordine cronologico, del perchè san Giovanni, abbia pubblicato il suo vangelo, o san Paolo indirizzato un'epistola anche ai Romani, chi sia l'autore del libro di Giobbe, di che patria, di che tempo, a quale scopo: tante altre quistioni, palestra scientifica. La Chiesa proferì e approvò: di da quei limiti l'arringo è schiuso; non si può pensare contro le decisioni di essa, bensì di da quelle. Ma la Chiesa non può essere tale, eppure permettere che ogni individuo si formi un proprio simbolo, o che si affermi e si neghi la stessa dottrina, che s'intenda in modo differente il Cristo, che variino i modi di conseguire la salute. Chi ad essa obbedisca quanto alla fede e alla morale, al di è sciolto da vincoli, e può svolgere il talento e l'erudizione, applicare la cognizione crescente delle lingue e delle usanze, e il Concilio tridentino vietò solo di «interpretare la Scrittura contro l'unanime consenso de' Padri». Ora i Padri professano la stessa fede, la stessa morale, ma differiscono grandemente nel commentarle e svolgerle, secondo il genio particolare, la Chiesa ammise mai come proprie le opinioni di alcuno di essi per quanto grande412; e si riporta alla dottrina de' Padri quando rappresentano le opinioni dell'antichità, cioè testimoniano la fede della Chiesa.

A questo modo la Chiesa cattolica, volendo non solo l'unione, ma l'unità, esclude tutto ciò che non è lei, eppure è universale; mentre l'eresia unisce tutto a , eppure rimane locale. Si credette agevolar il progresso col sopprimere ogni intermedio fra la ragione individuale e la parola di Dio, e invece si crebbe la confusione.

 

 

 





368                Quali fossero i collegi di dell'Alpi lo raccogliamo, per tacere altri, da due che avemmo occasione di nominare. Erasmo racconta che, nel collegio di Montaguto a Parigi, avea per direttore un Giovanni Staudin, non cattivo, ma privo di giudizio; non dava che letti duri, cibo insufficiente, veglie penose, lavori stanchevoli. Molti giovani di belle speranze ne morirono, o divennero ciechi, o furon presi dalla lebbra o da follia. E non solo maltrattava i poveri, ma anche giovani di ricche famiglie. Di fitto verno non dava che un tozzo di pan duro, e mandavali alla fontana attinger un'acqua fetida, malsana, gelata. I dormitorj erano al pianpiede, presso a latrine puzzolenti, e con muri coperti di muffa (Colloquia: Ichthyophagia). Rabelais fa dire a Ponocrate, intorno al collegio stesso: «Seigneur (Grandgonfier), ne pensez pas que je l'aye mis au collège de pouillerie qu'on nomme Montaigu; mieux l'eusse voulu mettre entre les genoulx de saint-Innocent, pour l'énorme cruaulté et villenie que j'y ai cognue: car trop mieulx sont traicté les forcés entre les Maures et Tartares, les meurtriers en la prison criminelle, voyre certes les chiens en votre maison, que sont ces malautrus au dit collège».



369                Opere di Lutero, ediz. di Walch, tom. xxii, pag. 786 e seg.



370                Opere di Lutero, tom. xix, pag. 1509, si legge espresso: «Prima ch'io finissi il vangelo, il mio vicino avea finito la messa, e mi si diceva, passa, passa». I biografi posteriori esagerarono questo racconto per tramutare una celia in una bestemmia, e più rilevare la corruzione de' preti. Selneccer (Oratio de divo Lutero, pag. 31, traduce: «Passa, passa, idest, festina et matri filium remitte». Mathesius lo copia, se pure non fu lui che l'inventò. E i biografi moderni si fecero belli di quest'empio scherzo contro la dottrina della transustanziazione.



371                Tischreden, pag. 464, 607. Dopo le tante vite di Lutero, uscì or ora Leben und ausgewählte Schriften der Väter und Begründer der luterischen Kirche, eingeleitet von K. J. Nitsch. Elberfeld 1860 e seguenti.



372                Nell'originale "fisssa". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



373                Nell'originale "cooporazione". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



374                Opere, T. i, op. 5.



375                Nelle regole di san Bonifazio, Michelet (Hist. de France, T. i, p. 286) lesse che «se un monaco peccò con una donna, digiuni due giorni in pane e acqua». Ora il testo dice: Si quis monachus dormierit in una domo cum muliere, tres dies in pane et acqua: si nescivit quod non debet, uno die. Del resto in quel Penitenziale, ducento colpi, che è il massimo delle sferzate, equivalgono a due giorni in pane e acqua.



376                Il concilio di Firenze definì intorno allo stato delle anime dopo morte, «che quelle de' veri penitenti, morti nella carità di Dio prima di aver fatto frutti degni di penitenza in espiazione dei loro peccati di commissione e di ommissione, sono purificate dopo morte colle pene del purgatorio, e sollevate da queste per suffragi de' fedeli viventi, come il sacrifizio della messa, le preghiere, le limosine e altre opere di pietà, che i fedeli fanno per gli altri fedeli, secondo le regole della Chiesa. Le anime di quelli che hanno peccato dopo il battesimo, o che, caduti in peccato, ne furono purificati in vita prima d'uscirne, entrano subito in cielo, e vedono puramente la Trinità, gli uni più] perfettamente degli altri, secondo la differenza de' meriti loro. Le anime di quelli che son morti in peccato mortale attuale o nel solo originale, precipitano nell'inferno per esservi puniti, quantunque inegualmente».



377   Essendo morta Monica sua madre, Agostino racconta come Evodio prese il Salterio e cominciò a cantare un salmo, a cui tutta la casa rispondeva: Misericordiam et judicium cantabo tibi, Domine. E molti fratelli e religiose donne accorsero, mentre egli cercava reprimere l'intenso dolore. «Quando il corpo fu portato via, andai e tornai senza lagrime; e neppur nelle preghiere che a te, o Signore, porgiamo mentre ti si offriva per essa il sagrifizio del Salvator nostro (Cum tibi offerretur pro ea sacrificium pretii nostri), posto il cadavere vicino al sepolcro, come colà si usa, io non piansi» (Confessioni, lib. ix, cap. 12). Pure si accusa di averla troppo deplorata, e guarito dall'eccesso, prega Dio per essa colle lacrime che vengono dal riflettere ai pericoli d'ogni anima che muore in Adamo. Perocchè, sebben essa fosse vissuta santamente, pure non era certo che non le fosse uscita qualche parola contro il precetto divino: e guai alla vita più lodevole se venga scrutata senza misericordia! E però lo esortava pei peccati di sua madre, non allegando i meriti di essa, ma pel redentore che pendette in croce, e che sedendo alla destra di Dio implora per noi. «E poichè operò essa misericordiosamente, e perdonò ai debitori, perdona ad essa pure i suoi debiti. Se contrasse alcuna macchia in tanti anni dopo il lavacro di salute, perdonale, o Signore, te ne prego, e non entrar in giudizio con essa. essa desiderò monumento o aromi, o il sepolcro patrio. Non questo ella ci raccomandò, ma di commemorarla all'altare tuo, al quale s'era prostrata ogni giorno infallantemente, dove sapeva dispensarsi la vittima santa dalla quale fu cancellato il chirografo a nostro carico; O Signore Dio mio, a' tuoi servi, ai fratelli miei, a chiunque leggerà queste carte, ispira che all'altare tuo si ricordino di Monica e di Patrizio che fu suo marito» (cap. 13). Inoltre nel sermone xvi, de verbis apostoli, dice: Injuria est pro martyre orare, cujus debemus orationibus commendari. Boezio, Della consolazione della filosofia, lib. iv, 4, scrive: Nullane animarum supplitia post defunctum morte corpus relinquis? Et magna quidem, quorum alia pœnali acerbitate, alia vero purgatoria clementia exerceri puto.

                Il Muratori, nella Dissertazione LVI delle Antiquitates medii ævi, reca molti lasciti, anteriori all'800, per far dire messe anche quotidiane.



378                Gian Galeazzo Visconti desiderando evitare i pericoli causati dall'esser in guerra coi Fiorentini, e ammassar denaro per la fabbrica del duomo di Milano, impetrò da Bonifazio IX che i suoi sudditi potessero acquistar il giubileo senza andare a Roma, ma visitando quattro basiliche di Milano. Il Corio asserisce che la bolla portava che, «se anche non fosse contrito confesso, fosse assolto da ogni peccato in questa città, dimorando dieci giorni continui». Or noi possediamo tal bolla, del 12 febbraio 1391, e dice espresso che sieno vere pœnitentes et confessi.



379                Vedi la nota 5 del Discorso XII.



380                Da ciò nacque il tribunale della reverenda fabbrica di San Pietro, che esiste tuttora.



381                Il Guicciardini scrive avere il papa assegnato il prodotto delle indulgenze di Germania a sua sorella madonna Cibo. Esiste la bolla pontifizia che gli la mentita.



382                Proposizione 71.



383                Ein wohl betrunkener Deutscher. Lutero, Opere, tom. xxii p. 1337.



384                San Domenico ottenne da papa Onorio III il convento di Santa Sabina in Roma nel 1218, e parte del palazzo pontifizio per collocarvi i suoi religiosi. Consigliò al papa di deputar alcuno che istruisse nella morale e nella religione gli addetti a questo palazzo, e il papa ne affidò l'incarico allo stesso san Domenico, che tolse a spiegar le epistole di san] Paolo. Piacque a Onorio perpetuar tale istituzione, affidandola sempre a un domenicano, col titolo di maestro del sacro palazzo. Così si succedettero settantasei maestri, i quali ora, l'avvento e la quaresima, predicano ai famigliari palatini, e tengono tre giorni di catechismo avanti ciascuna delle quattro comunioni generali annue che si fanno nel palazzo apostolico. Al maestro venne poi commessa la censura de' libri. Vedi Annio da Viterbo, De dignitate officii magistri sacri palatii: Catalani, De magistro S. P. apostolici, libri duo. Roma 1751.



385                In præsuntuosas M. Luteri conclusiones de potestate papæ dialogus. Ho alla mano Replica fratris Silvestri Prieiratis ad fratrem Martinum Lutherum, senza data, in dieci carte, ove difende dalle dategli incolpazioni.



386                Luteri Opp. Jena, tom. I, pag. 60.



387                Per esempio, al Concilio di Basilea erasi argomentato: «Per presedere alla Chiesa universale bisognerebbe che il papa presedesse ai capi e ai membri di tutte le Chiese stabilite nell'universo. Ora il papa non presiede al capo della Chiesa romana, perchè non può presedere a se stesso. Dunque non presiede a tutte le Chiese che costituiscono la Chiesa universale».



388                Federico Borromeo racconta che il duca Lodovico il Moro, recatosi nel convento de' Domenicani a Milano per conversare, come soleva, con que' frati, vide il padre Vio, di piccola e spregevole statura, e domandò al priore perchè tenesse omicciatoli siffatti. Il priore rispose: Ipse fecit nos et non ipsi nos: e introdotto a ragionar con esso il Vio, lo chiarì quanta ne fosse la sapienza e la virtù, sicchè dappoi il duca l'ebbe in maggior credito che gli altri frati.



389                De servo arbitrio. Invano gli si nega un insegnamento così repugnante all'intimo senso morale e alla sana ragione. Nelle sue opere dell'edizione di Wittenberg, 1572, tom. vii, fol. 18, si legge: «Un'opera buona, compita il meglio possibile, è un peccato quotidiano davanti la misericordia di Dio, e un peccato mortale davanti la sua stretta giustizia». Nella Cattività di Babilonia: «Ve' quanto un cristiano è ricco! non può perdere la sua salute neppure volendolo. Commetta peccati gravi quanto vuole, finchè non è scredente nessun peccato può dannarlo. Finchè la fede sussiste, gli altri peccati sono cancellati in un istante dalla fede». E nella Libertà Cristiana: «Di qui si vede come il Cristiano è libero in tutto e sovra tutto; giacchè per esser giustificato non ha mestieri di veruna specie di opere, e la fede gli tutto a sovrabbondanza. Se alcuno fosse tanto stolto da credere ch'e' può giustificarsi e salvarsi mediante le opere buone, perderebbe subito la fede con tutti i beni che l'accompagnano». Quando nel 1541 a Ratisbona Melantone cercò accordarsi coi Cattolici, dicendo che per la fede che giustifica doveva intendersi una fede operante per la carità, Lutero dichiarò ch'era un misero ripiego, una toppa nuova s'un abito vecchio, che lo straccia di più.



390                Esto peccator et pecca fortiter: sed fortius fide et gaude in Christo, qui victor est peccati, mortis et mundi - Peccandum est quamdiu hic sumus - Sufficit quod agnovimus per divitias Dei Agnum qui tollit peccata mundi; ab hoc non avellet nos peccatum, etiamsi millies, millies uno die fornicemur aut occidamus. Lettere di Lutero, raccolte da Giovanni Aurifabro. Jena 1556, Tom. i, pag. 545.



391                Sull'uso primitivo della liturgia nelle varie lingue delle provincie convertite, può, senza ricorrere a opere pesanti, consultarsi Martigny, Dict. des Antiquités chrétiennes. Parigi 1865, principalmente all'articolo Langues liturgiques. Sol quando le antiche lingue si mutarono nelle nuove, non parve prudenza il mutar la liturgia. Nulla però vieta di farlo, e, per esempio, ai Cinesi fu conceduto l'uso della lingua loro.



392                Panzer, Not. lett. delle Bibbie tedesche anticamente stampate.



393   Le legende del reverendo Jacobo da Varagine furono riprovate da Melchior Cano e da Lodovico Vives; ma fin nel secolo xiv eransi riconosciute favolose, e frà Bernardo Guidone domenicano fu spinto dal suo superiore ad opporvi un legendario attinto a migliori fonti. Altri modernamente il difese, mostrando ch'egli non per accertato quel ch'è mera tradizione; talvolta ripudia certi fatti; giova poi immensamente come testimonio delle credenze del tempo, e a spiegare passi di poeti e opere d'artisti del medioevo.

            Il Malermi nel 1475 volgarizzò il legendario del Varagine, e dice che chiamò a «il dilecto Hieronymo clarissimo citadino fiorentino, non meno erudito nelle sacre lettere quanto di virtù adornato, adciochè qui rivedesse e ad arbitrio suo emendasse quello ritroverebbe da essere correcto».

            Il Fontanini dimostrò che non esiste una versione della Bibbia del Varagine, vissuto a metà del xiii secolo. Ben si conosce una traduzione dell'Apocalissi, con sposizione continua, fatta in rozzo veneziano da frà Federico de Renoldo, che visse nel 1300, e fu stampata dal Paganini a Venezia nel 1515 col titolo «Apocalypsis J. C. hoc est revelatione fatta a sancto Giohanni Evangelista con nova espositione in lingua volgare composta per el Reverendo Theologo et angelico spirito Frate Federico Veneto ordinis Predicatorum, cum chiara dilucidatione a tutti soi passi».

                Aldo Manuzio, nella lettera premessa al salterio greco del 1495 prometteva pubblicare l'intera Bibbia in latino, greco, ebraico, e aver già preparato i caratteri ebraici, de' quali in fatto trovasi un saggio alla biblioteca della Sorbona (vedi Foscarini, Della letteratura veneziana, lib. iv). La Bibbia dei LXX comparve per gli Aldi sotto la direzione di Andrea Asolo nel 1518, e il paragone colla vulgata diede esercizio alla critica.



394                Haym porge l'edizione del Malermi per Vindelino da Spira a Venezia, 1471: un'altra dell'anno stesso senza nome luogo: una Bibbia italiana, Pinerolo per Giovanni de' Rossi, 1475: altra del Malermi, Venezia per Antonio Bolognese, 1477: e dell'anno e luogo stesso per Pietro Trevisano: e del 1484 per Andrea Paltafichio di Cataro, e del 1494 per Giovanni Rosso vercellese ad istanza di Luc'Antonio Giunta. Le epistole, vangeli e lezioni di tutto l'anno: Bologna 1473: Venezia 1483, poi 1487 per Annibale da Parma: Roma 1483: Venezia 1507 e 1522, senza nome del traduttore.



395                Sarebbe quella del Genson del 1471. La Crusca si valse d'un testo manuscritto, senza ben comprendere che cosa fosse; e lo citò come annotazioni evangeliche; poi nella stampa che or fa del Vocabolario, come volgarizzamento di pistole e di vangeli.



396   Nella Bibbia edita a Basilea nel 1491, ch'è nella Magliabecchiana, oltre le postille in margine, ha molti fogli in principio e in fine, scritti così minuto, che vuolsi la lente a leggerli. Nell'altra edizione di Venezia 1492, or nella Ricardiana, le note son molto più chiare; vi si dan notizie storiche e geografiche, il senso d'alcune parole ebraiche per trarne poi le varie interpretazioni, ma ben di rado entra in discussioni meramente teologiche, e non si ferma ai passi che viepiù furono discussi dai Riformati.

                Consimile lavoro faceasi anche da altri frati, come può vedersi in varie Bibbie, e senza scostarsi da Firenze, in due che stanno a San Marco, in pergamena, e che erroneamente si attribuiscono al Savonarola stesso. V. Villari, La storia di Girolamo Savonarola, 1859.



397                Savonarola, Sermone per la V domenica di quaresima.



398                Quetif et Echard, Script. Ord. Prædic., tom. ii, pag. 114, 115.



399                Nell'originale "bensi"



400                Clementine, lib. v, tit. De magistris.



401   Il cardinale Ximenes per la sua Bibbia ebbe molti ajuti dalla Biblioteca Vaticana, e nella dedica a Leon X dice: In ipsis exemplaribus græca sanctitati tuæ debemus, qui ex ista apostolica bibliotheca antiquissimas tum veteris, tum Novi Testamenti codices perquam humane ad nos misisti.

            Erasmo, esaminando qualche varianti del codice vaticano del Nuovo Testamento, si stupì della conformità di esso colla vulgata latina, ove questa discorda dai codici greci, e pensò fosse corretto sulla versione latina. Ma più saviamente il cardinale Cervini da Trento scriveva a Roma a monsignor Maffei: «Li testi delle due lingue (greca ed ebraica) sono spesso più scorretti che li latini: anzi, quanto più sono di esemplari antichi e fedeli, tanto più si trovano conformi alla nostra vulgata». Così i legali del cardinale Farnese scriveano: «Quanto più li testi greci et hebrei sono migliori, tanto più comprovano la lettione di questa vulgata». Vedansi le dissertazioni del Vercelloni. Ed oggi in fatto i migliori critici vorrebbero si possa valersi della traduzione detta Itala per correggere il testo greco del Nuovo Testamento e la versione dei LXX.

                Il Prayer Book, o Libro di preghiere adottato dalla Chiesa Anglicana, si valse, per tutti i passi biblici, della nostra vulgata. Ristampandolo testè, si conservò il medesimo sistema, del che menarono gran rumore i rigoristi. Ma si mostrò che Routh, preside del collegio di Oxford, raccomandava a' suoi scolari la vulgata come eccellentissimo commento sulla Scrittura.



402                Schnurrer, Bibl. Arabica, pag. 231-34.



403                Id. pag. 402. Le Long, Ediz. Masch., vol. i.



404                Colomesii, Ital. oratores, ad nomen.



405                Eck racconta che Lutero diceva che Cristo disse a Pietro: «Tu sei pietra», poi toccando se stesso, soggiunse: «E su questa pietra sarà edificata la Chiesa». Il dottore Thiess (Incompatibilità della potestà spirituale colla profana, p. 17) annovera ottantacinque diversi commenti della parabola del castaldo infedele, e centocinquanta di quel testo, Mediator autem unius non est: Deus autem unus est. Ad Gal. iii, 20.



406                Cioè, Dell'ispirazione divina delle sacre scritture. È il versetto 16 del c. ii, ep. ii ad Timoth.



407                San Matteo xix, 17.



408                Nelle regole per l'Indice è detto esser manifesto che, se la Bibbia in vulgare passim sine discrimine permittatur, ne vien più pericolo che utilità; si stia dunque al giudizio del vescovo o dell'inquisitore per concederla a quelli che possano trarne non danno, ma aumento di fede e pietà. Regola IV.



409   Pietro Nicole, famoso avversario de' Gesuiti, nei Préjugéz légitimes contre les Calvinistes (1671), toglie a mostrare che «la via proposta dai Calvinisti per istruir della verità è ridicola e impossibile». E vuol provare che giovarsi di questa via non è possibile se non assicurandosi, se i passi allegati son veramente tratti da un libro canonico; se son conformi all'originale; se non v'è maniera differente di leggerli, la quale ne affievolisca la pruova. Ne trae la conseguenza che quei che nel xvi secolo uscirono dalla comunione romana nol poterono che con eccesso di temerità; salvo che avessero esatta conoscenza delle ragioni che la favoriscono, di quelle che la combattono, e di tutte le objezioni che possono farsi sui passi scritturali addotti da una parte e dall'altra.

                Claudius pretese confutarlo mostrando che altrettanti studj occorrono per essere accertati delle verità cattoliche. Non parmi. Ammesso che la Chiesa possa dire «Chi ascolta voi ascolta me», tutte le dubbiezze sono tolte dalla decisione di quest'autorità vivente. Vedi sopra ciò la Conferenza collo stesso Claude sur la matière de l'Eglise.



410                Bartolomeo Caranza, arcivescovo di Toledo, che vedremo vittima dell'inquisizione spagnuola, così discorreva delle Bibbie in vulgare. «Prima che le eresie di Lutero sbucassero dall'inferno, non so che in nessun paese siasi proibita la Bibbia in vulgare; se ne fecero versioni in Ispagna, d'ordine del re cattolico al tempo che Ebrei e Mori poteano viver tra' Cristiani, governandosi a leggi proprie. Cacciati che gli Ebrei furono di Spagna, i presidi alla religione s'avvidero che alcuni convertiti istruivano i figliuoli nel giudaismo, avezzandoli alle cerimonie mosaiche mediante queste Bibbie vulgari, che poi si stamparono a Ferrara in Italia. Per questo motivo giustissimo proibironle in Ispagna: pure si fece eccezione ai collegi, ai monasteri, a persone superiori al sospetto, dandosi loro licenza di tenerle e leggerle». Segue narrando tali proibizioni in altri paesi, e conchiude: «In Ispagna, dove, per grazia di Dio, si dura immuni dalla zizzania, si vietò ogni traduzione vulgare della Bibbia per toglier occasione ai forestieri di trattar delle loro quistioni con persone semplici e illetterate, e anche perchè si ha pruova di casi particolari e di errori, che rampollavano in Ispagna, nati dall'aver letto qualche passo scritturale senza capirlo. Così sta il fatto, e per ciò si proibirono le Bibbie volgarizzate». Commenti al Catechismo cristiano.



411                Et ego, fratres, non potui vobis loqui quasi spiritualibus, sed quasi carnalibus, tamquam parvulis in Christo lac vobis potum dedi non escam, nondum enim poteatis: sed nec nunc quidem potestis, adhuc enim, carnales estis. I ad Corinthios iii. 1, 2.



412                Basta citar ad esempio alcune vedute proprie di sant'Agostino sulla Grazia e sul peccato originale che non furono mai adottate dalla Chiesa come dottrina universale.



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