Cesare Cantù
Gli eretici d'Italia

DISCORSO XVI INCREMENTO E SUDDIVISIONE DE' PROTESTANTI.

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DISCORSO XVI

 

INCREMENTO E SUDDIVISIONE DE' PROTESTANTI.

 

Il protestantesimo non fu dunque un avvenimento straordinario, un fenomeno isolato nella storia. Cominciando dal discorso di san Paolo all'Areopago, la Chiesa dovette colla parola sostenere le verità che suggellava col sangue, e stretta attorno al successore di Pietro, discutere dogmi, e, secondo lo Spirito Santo, reprimere la superbia della ragione, la quale, uscendo dalla via degli umili, ch'è la sicura via dello spirito, a guisa dell'antico tentatore dice all'uomo, Tu sei Dio. Come sempre ci fu contrasto fra il diritto sociale e l'indipendenza individuale, così fu tra l'opinione personale e la credenza universale. Dietro ai Gnostici, fra i quali troviamo già tutti gli errori e intellettuali e morali413, Valdesi, Catari, Ussiti e l'interminabile varietà de' novatori diceano che la tradizione, parola umana, va soggetta ad errare; e sola rimane integra la lettera di fuoco della Scrittura: la libertà del senso individuale era stata l'aspirazione di ciascun eresiarca; e sulla grazia, sulla giustificazione, sul purgatorio non v'ha opinione che non fosse stata messa in dibattimento. Da secoli desideravasi la riforma della Chiesa; chiedendola gli uni dall'autorità, gli altri contro l'autorità, quelli abborrendo, questi esagerando gli impulsi individuali. Voleasi tornar il papato verso le sue origini, o per la via monarchica o per la aristocratica; e già a Basilea e Costanza erasi proclamato che il potere spirituale non ha a che vedere col temporale, e il papa non è capo costitutivo, ma ministeriale; e Tommaso, vescovo di Bologna, che fu poi Nicola V, diceva sapientemente: «I romani pontefici han senza dubbio allargato di troppo le braccia, fin quasi a non lasciare podestà alcuna agli altri vescovi: ma alla lor volta i Padri di Basilea strinsero troppo la mano al principe degli apostoli. è meraviglia: chi abusa del suo potere deve aspettare che altri faccia altrettanto; chi vuol dirizzare un albero incurvato, lo incurva dal lato opposto. Fermo mio proposito è di non usurpar i diritti de' vescovi, che vengono chiamati ad assistermi nella direzione della Chiesa»414.

La protesta fu dunque un fatto comune a tutte le età; se non che anteriormente limitavasi a punti speciali; questa volta si fe generale, per modo che tutte le susseguenti vi son comprese: prima erano ammutinamenti, allora rivoluzione.

Lutero stesso dichiara non avere inventato nulla, e solo disposte in corpo dottrinale opinioni correnti, innovazioni già introdotte o invocate. realmente egli ebbe un sistema preconcetto; ma via via raggranellava traverso ai secoli i dubbj, sostituendo alla costanza della tradizione la volubilità di spiegazioni esoteriche; e colla intrepidezza che non si briga di metterle d'accordo, gettolle in un mondo, ove tutte le potenze dell'errore cospiravano contro la verità, offuscata dall'indifferenza e dalle prevaricazioni.

Il primo anno di Leone X, un frà Bonaventura predicava a Roma d'essere il salvatore del mondo415, eletto da Dio, la cui Chiesa avrebbe capo in Sionne; e più di ventimila persone accorsero baciandogli i piedi come a vicario di Dio; scrisse un libro «Della apostatrice cacciata e maledetta da Dio meretrice Chiesa romana», ove scomunica papa, cardinali, prelati; predica che egli battezzerà l'impero romano, eccita i re cristiani ad accingersi d'armi e assisterlo, e massime esorta i Veneziani a tenersi in accordo col re di Francia, il quale è scelto da Dio ministro onde trasferire la Chiesa di Dio in Sionne, e convertire i Turchi. Nel 1516 fu arrestato e messo in castel Sant'Angelo.

«A Milano il vigesimoprimo d'agosto del 1515, venne un uomo secolare, di forma grande, sottile e oltremodo selvaggio, scalzo, senza camicia, col capo nudo, e capelli aggricciati e barba irsuta, e di magrezza quasi un altro Giuliano romita; solo avendo una vesta di grosso panno lionato; e il vivere suo era pane di miglio, acqua, radici e simili cose; e a dormire solo un desco, o vero la nuda terra gli bastava. Andò dal vicario dell'arcivescovo per intercedere licenza di potere predicare; ma esso non gliela volle concedere; non pertanto egli il seguente cominciò nel Duomo a predicare il verbo di Dio, e continuò sino a mezzo settembre, con tanta grazia di lingua, che tutta Milano vi concorreva. E dopo che avea finito il predicare se ne andava all'altare della Madonna, e a terra gittandosi, vi stava per un gran pezzo (credo) in orazione; e ogni sera poi alle ventitrè ore faceva sonare la campana di esso Duomo, donde molta gente vi concorrea con i lumi accesi a dire la Salve Regina; ma prima che la dicesse, stava circa mezz'ora in terra carpone. Denari in elemosina per modo alcuno non volea; e chi glieli offeriva, li facea donare all'altare della Madonna. Ma troppo era nemico de' preti, e molto più de' frati; e a ogni predica rimproverava loro grandemente, dicendo che la loro professione, la quale dovria essere povertà, castità e obbedienza, solamente era di rinunciare la fame e il freddo e le fatiche, e d'ingrassarsi nelle buone pietanze per amor di Dio; e quegli i quali non devono toccare denari, non solamente possedono de' suoi, ma e dell'avere d'altrui divengono guardatori.

«Era costui di età d'anni trenta, di nazione toscano, e disse lui avere nome Geronimo; e, per quanto ho potuto comprendere nel ragionare seco, una fantasma mi parea e non un uomo; e molte volte mi vacillava di proposito; ma era di parlare soave, e nella scrittura sacra credo fosse assai dotto. Esso da chi era invitato non volea ospizio, ma secondo che nell'animo li cadea, ora in uno ora in un altro loco andava, e di lui molte meraviglie mi è riferito; ma perciocchè io non le credo, non voglio anche perdere tempo inscriverle»416.

Questi vaneggiamenti palesano come si sentisse anche popolarmente e la prevaricazione degli ecclesiastici, e lo scandalo della loro impunità, e il bisogno di riformarli. Il piissimo cardinale Sadoleto ripete incessante la necessità di correggere la Chiesa417, e, secondo Girolamo Negro, «aveva in animo di scrivere un libro De repubblica, dove crivellare tutte le repubbliche del nostro tempo, præcipue quella, non della Chiesa ma dei preti».

Nello stesso Concilio di Trento il cardinale di Lorena, dipinti gli orribili mali a cui cadeva preda la Francia, invocava come rimedio principale la riforma della Chiesa, e doversi applicare al clero quello di Giona, «Per colpa nostra accadde questa procella: buttate noi in mare».

Il cardinale Zabarella, anima e talvolta capo di quel Concilio, nel Tractatus de hujus temporis schismate rimprovera acremente i disordini della Chiesa romana; e se è messo all'Indice fu solo l'edizione che ne eseguirono i Protestanti ad Argentina con prefazione in senso ereticale.

Per non allungarla, uno de' più zelanti difensori della fede non solo ma della curia scrive: «Annis aliquot antequam lutherana et calviniana hæresis oriretur, nulla ferme erat, ut ii testantur qui tum vivebant, nulla prope erat in judiciis ecclesiasticis severitas, nulla in moribus disciplina, nulla in sacris literis eruditio, nulla in rebus divinis reverentia, nulla jam propemodum erat religio. Eximius ille cleri et sacri ordinis decor perierat; gravi diuturnaque laborabant infamia sacerdotes, quod panum et piscium, hoc est proventuum, majorem quam animarum curam haberent»418.

Erasi dunque d'accordo sul bisogno d'una riforma. Ma una riforma conciliativa sarebb'ella stata possibile? Poteva un'alta e sincera volontà ricondurre a chiaro e cristiano scioglimento la sciagurata discrepanza delle idee pratiche e l'implicazione degli interessi ecclesiastici e religiosi coi politici e secolari, e ringiovanire la Chiesa, consolidando l'unità, anzichè distruggerla? Fu sperato dai buoni, ed è sempre difficile l'argomentare quel che sarebbe potuto accadere in circostanze ipotetiche.

Per verità, quanto ai dogmi, dapprincipio Lutero deviava sì poco, che fa meraviglia potesse suscitare tanta tempesta. Alcune delle sue tesi che allora levarono maggior rumore aveano buona parte di verità, come il definire la Chiesa assemblea de' santi, divinamente istituita, e dovere la fede avere una base soprannaturale. «Sua santità (scriveva il Muscetola) ha fatto esaminare da varj teologi nostri le confessioni stese da' Luterani, e n'ebbe in risposta che molte delle cose ivi contenute erano del tutto cattoliche; altre capaci d'un'interpretazione non contraria alla fede, se i Luterani volessero prestarsi a un accomodamento, il quale per altri rispetti ancora non sarebbe impossibile»419.

Sul punto così controverso delle indulgenze, il Concilio definì soltanto ch'esse sono utili, e che la Chiesa ha autorità di concederle, ma vuolsi farlo con moderazione, per non isnervare la disciplina ecclesiastica. Desiderando poi emendare gli abusi, per occasione dei quali dagli eretici sono bestemmiate, abolisce in generale qualunque guadagno per conseguirle; agli altri disordini che vennero da superstizione, ignoranza, irriverenza provedano i vescovi.

Lutero dapprincipio accettava sino il purgatorio e le applicate espiazioni, e nelle tesi del 1517 poneva: «Se alcuno nega la verità delle indulgenze del papa, sia anatema»420. Nessuno è certo della verità della sua contrizione, e tanto meno della pienezza del perdono421. E anche più tardi conveniva della eccellenza della Chiesa romana e della sua autorità422.

La confessione auricolare, che è uno degli atti più repugnanti alla umana superbia, ed una delle primarie cagioni per cui alla Chiesa si ribellò tanta parte del mondo423, aveva l'approvazione de' primi riformati. L'uso del calice era stato abbandonato per convenienze disciplinari che potrebbero scomparire424; e già coi Greci e cogli Ussiti erasi condisceso in molti riti.

Le spiegazioni a cui si venne posteriormente per tentar di rannodare le varie Chiese acattoliche, o per condannare quelle che si scostavano dalla così detta ortodossia protestante, chiarirono come i dogmi cattolici in proposito de' sacramenti e della giustificazione425 fossero osteggiati in un senso meramente arbitrario.

Melantone, il solo contro cui non inveiscano i nostri, spirito mite che cercava conciliare le due Chiese, e che contano variasse quattordici volte d'opinione intorno al peccato originale e alla predestinazione, diceva: Dogma nullum habemus diversum ab ecclesia romana; e in Augusta asseriva al legato Valdes che la controversia riduceasi a tre punti: comunione sotto le due specie; matrimonio de' preti; abolizione delle messe private426.

Pertanto non manca chi si persuade che, se, immediatamente e innanzi tutto corretta la disciplina, la Corte romana avesse receduto dalle pretensioni meramente curiali, non trasformate in dogmatiche le quistioni giurisdizionali, non tenuto troppo tenacemente a temporalità e privilegi, che col tempo le furono tolti senza scisma, ceduto insomma di buona voglia quel che poi dovette per necessità, avrebbe almeno tolto di mezzo il principale pretesto della Riforma.

Ma questa trasse importanza e carattere dal tempo; una di quelle epoche ove si manifesta il lavoro lento e graduale dei secoli, e sviluppansi i fecondati semi di miglioramento, di civiltà, di coltura. Il manto papale avea perduto il suo splendore a forza d'esser baciato, e l'autorità mozza ai pontefici lasciava facoltà a conventi e a capitoli di traviare. Le scienze, munite della stampa, credeansi capaci di edificare da ; la politica di governare da e con intenti nazionali; le arti di esercitarsi da ; la filosofia credeva sua propria la certezza ch'erale stata comunicata dalla rivelazione, onde non sentiva più bisogno di ausiliarj contro il dubbio sistematico; l'opinione ruzzava contro l'irresponsalità che di fatto sottraeva gli atti del clero, al sindacato; la sovranità, consacrata dal cristianesimo e sostenuta dai progressi della tattica, non temea più reluttanza di sudditi; ed, al par della forza e dell'ingegno, sottraevasi alle leggi dell'ordine imposto da un'autorità superiore in nome di Dio e per l'organo del suo vicario in terra.

Quanto ai particolari, non è della natura umana che le discussioni portino ad una conciliazione; anzi approfondano la fossa che divide due opinioni. La rivoluzione d'allora differisce, è vero, dalla odierna, perchè, se la beffa e lo scetticismo del secolo xviii che traeva a negar tutto, non poteano produr che calcolo, naturalismo, deismo, allora si usciva ancor religiosi, serbavasi gran parte del cristianesimo, per quanto si scemasse il timor di Dio, a misura che cresceva il timore dei governi. Ma i dissidenti sformavano a loro talento le dottrine che ci attribuivano; i nostri o esageravano le vere o difendeano imprudentemente anche errori, abusi, pretensioni curiali, e battagliavano del pari per la rivelazione infallibile come per opinamenti di scuola o d'alcuni dottori; entratovi il puntiglio, non voleasi confessare d'aver operato per bizza e spirito di contraddizione, senza seriamente riflettere alle conseguenze; pretendeansi dai Cattolici concessioni, ch'essi ricusavano, talora perchè sentivansi saldi nella verità, tal altra perchè aveanle negate dapprima.

È però più consueto spacciare che i papi sbagliarono nella condotta, che si ostinarono a torto, a torto esitarono; che non ebbero buoni campioni. Facile è il rimproverare dopo l'esito; facile e vulgare.

Entrante il luglio 1528, taluno da Parigi scriveva a Roma come avesse destato colà meraviglia «una Bolla, per la quale a giudici nella causa della fede si deputano tali, che Lutero non gli avrebbe saputo domandare più al suo proposito e favorevoli a' suoi seguaci». Non so che nuovo modo (seguiva) sia cotesto di commettere la causa della fede a giudici secolari e maritati, ed ignari della materia, escludendo tutti li teologi d'una Università, qual è la parigina, in cui sono più di cento maestri presenti, che hanno sempre pugnato accerrimi contro gli eretici per mantenere l'integrità della fede e l'obbedienza alla sede apostolica; che rimarrebbero nel loro dovere se anche tutti i Cristiani si voltassero a predicare le cose luterane: e se non fosse stato lo zelo e studio dei giudici precedenti, sarebbe talmente infetto questo regno dalla eresia luterana, che ne avreste visto il frutto molto tempo fa. Or eccoli revocati perchè hanno condannato un Brachino, che ha qualche favore d'alcuni: ecco commesse tutte le cause della fede a secolari, e utinam tutti almen buoni cattolici, mentre parte di loro sono signiferi de' Luterani...... Due Italiani sono fra essi, uno de' quali so io disse palam, quando intese la rovina di Roma. Ora è pur distrutta l'alchimia della Corte romana: l'altro non disputa mai altro che Lutero essere stato un arcangelo mandato dal Cielo; e son secolari, li quali, insieme con gli altri che non sono che poeti o meri giureconsulti, non han altra cognizione delle cose della fede, se non in quanto hanno udito qualche volta la santa messa, e cantare vespro. È possibile che tanta negligenza si sia usata in cosa di così grande importanza?.... Se nostro signore dirà, gli ambasciadori della maestà del re avergliene parlato, e avere fatto detta bolla a loro istanza, io rispondo che se il re medesimo, e tutti quelli del mondo instassero a che sua santità facesse giudici in le cose della fede persone che non fossero idonee o sospette, dovrebbe soffrire più presto il martirio che consentire. Ma vi dico che la maestà del re e madama sono di ottima e pia mente, e hanno altri pensieri che di instare e domandare tali giudici: ma sono cose fatte ad intercessione e per opera di qualch'altro: e vi so dire ancora che tutti questi eretici si intendono insieme, e si ajutano l'un l'altro più che non fanno i Giudei, e sono studiosissimi in disseminare le loro eresie.... In questa materia della fede bisogna zelo, fervore, studio, diligenza e cognizione; vogliono essere tanti giudici a castigare gli eretici; chè mal si accorda una moltitudine, se ben fossero tutti buoni e intelligenti.... I teologi (dell'Università di Parigi) essendo stati esclusi dal giudicio in materia della fede, se gli potrà commettere da qui innanzi la materia culinaria. Non so se tanto poco rispetto si dovea avere a quell'Università, che è la prima de' Cristiani, e che sempre pugna per la sede apostolica, con farle un tale sfregio sul volto, e massime in questi tempi, che se ne dovrebbe accrescere l'autorità perchè fossero più muniti ed armati in combattere contro gli eretici. In Alemagna, per essere stato maltrattato e sdegnato un fratuzzo dal cardinale della Minerva, vedete quello è seguito....»427.

Anche da qui trapela uno de' motori della Riforma, l'odio al papa non solo, ma all'Italia. Lutero avea profetizzato

 Pestis eram vivens, moriens tua mors ero, papa:

vedendo la irreconciliabile lotta de' pontefici coll'imperatore, volle abbatter quelli pel trionfo di questi, e così rese possibile la grandezza di Carlo V e di Casa d'Austria: vedendo nascere la libertà politica, divertì l'attenzione sopra la libertà religiosa, e assodò il despotismo monarchico e amministrativo per distruggere l'ecclesiastico: dipinse gli Italiani, i Wahlen, come abisso d'ogni vizio e culmine dell'orgoglio; rinnegando la maternità e supremazia dell'italica civiltà, rinnovò col pensiero quel che i Barbari ci avean fatto colla forza: all'universalità surrogava le chiese nazionali, come prima del cristianesimo, e perciò era adorato da' suoi Tedeschi come fautore dell'indipendenza.

Ovbene notare come i principi avversi ai papi carezzassero sempre gli eterodossi: così vedemmo di Federico II, così di Lodovico il Bavaro; Carlo VIII blandì il Savonarola; Luigi XII favorì il conciliabolo di Pisa; sicchè adesso i papi dovettero modificar la loro politica secondo la paura che l'imperatore parteggiasse cogli eretici.

Allorchè Leone X scagliò la condanna definitiva, Carlo V imperatore, che del papa aveva bisogno in quel momento, proscrisse Lutero e i suoi aderenti. Ma la Riforma erasi ingrandita col promettere ai principi gli ostensorj d'argento, ai frati la moglie, alle popolazioni la libertà. L'attrattiva d'unioni clandestine; l'abolirsi della confessione, del digiuno, delle riverenze, d'altre pratiche che mortificano la nostra superbia e i nostri sensi; l'austerità ostentata da coloro che chiedeano riforme, traevano tanti nelle nuove negazioni, da poter resistere all'imperatore. Alla dieta d'Augusta nel 1530 sporsero la loro professione di fede, perciò detta Augustana, compilata da moderati, che speravano vederla adottare anche dalla Chiesa cattolica. Questa non può accettare transazioni dov'è certa di possedere la verità; pure non perdette la speranza di conciliazione, e alla Germania deputaronsi prelati di gran sapere e grande prudenza.

Già abbiamo accennato del Priero e del cardinale Cajetano, eccessivamente sprezzati dagli avversi. Girolamo Aleandro, della Motta trevisana, lodatissimo da Aldo e da Erasmo per conoscenza del greco e dell'ebraico, da Alessandro VI dato secretario al duca Valentino, poi spedito per affari in Ungheria, chiesto da Luigi XII professore all'Università di Parigi, da Leone X tenuto al fianco in alti impieghi, quando fu deputato in Germania contro i Luterani parve esorbitare di zelo: eppure egli riprova alcuni per questo difetto. Da Spira il 16 ottobre 1531 scrive al Salviati: «Il Fabri dette fuora un libro De contradictionibus Lutheri, buono ma intempestive editur in ipso puncto concordiæ ineundæ. Similmente Ecchio quel medesimo giorno dette fuora un libretto sub titulo Cathalogi hæreticorum, dove nomina præcipue Melancthon; diceva il vero, sed non erat id tempus. Io certo siate sicuri che interterrò l'una parte e l'altra con dolci parole, ut malos lucrifaciam»428.

Dalle lettere sue raccogliesi a che scompiglio fosse la Germania: e da Brusselle, il 26 ottobre 1531, scriveva al segretario Sanga429:

«Fummo invitati io e li precipui oratori di principi ed infiniti baroni e nobili di questa Corte ad un banchetto πρεσβ. τη̃ς Λυσιτανὶας, il quale διὰ τον πρωτὸτοκον του̃ Βασιλέως αύτου̃ ha fatto feste inaudite... dove fu recitata, præsente mundo, una comedia ὶβεριστὶ και λυσιτανιστὶ di una mala sorte, che sotto nome d'un giubileo d'amore, era manifesta satira contro di Roma: sempre nominando apertamente ogni cosa; che da Roma e dal papa non veniva se non vendizione di indulgenzie, e chi non dava denari non solo non era assoluto, ma scomunicato di bel nuovo: e così cominciò, e perseverò e finì la comedia. Ed era uno principale che parlava, vestito con un rochetto da vescovo, e fingeasi vescovo, ed aveva una berretta cardinalesca in testa, avuta da casa del reverendissimo legato, datagli però senza che li nostri sapessero per che fine. Ed era tanto il riso di tutti, che parea tutto il mondo giubilasse. A me veramente crepava il cuore, parendomi essere in mezzo a Sassonia ad udir Lutero, ovver esser nelle pene del sacco di Roma; e non potei far che con sommessa voce non ne facessi cenno di querela con Bari, e di poi eziandio l'ho detto ad alcuni de' precipui con bel modo, che questi non son atti da far in luogo di Cristiani, e tanto meno nella Corte d'un tanto e tam virtuoso e cattolico imperatore, ecc. Mi è stato risposto che certo non è cosa fatta ora, ma comedia d'altri tempi, della quale, per non aver altro, si servirono... Veda mo V. S. come va il secolo

Di troppo egli lusingavasi allorchè da Roma scriveva al Salviati430:

«Par pur che la Germania sia stanca de la tanta varietà di queste eresie. E se non fosse la aversione che acceca molti principi e private persone, così cattolici come eretici, che tengono li beni altrui, e præsertim della povera Chiesa, mi par che non saria molto difficile cosa mettervi qualche ordine con la assistenza de' detti principi ed altri divoratori delli beni ecclesiastici, che pochi vi sono ora in questa Germania netti da questa macchia».

Esso cardinale Aleandro alla dieta di Germania chiariva quanto si esagerasse intorno alle ricchezze, che dalla spedizione delle bolle, dalle annate, dall'altre grazie affluivano a Roma. Basterebbero appena a mantenere un principe mediocre; e il papa, che pure spende meno d'alcuni non grandissimi principi, v'adopera quel che gli è dato dai proprj dominj. E quel mediocre ricavo gli viene da tutti i regni cattolici: tant'è poco quel che i singoli contribuiscono. - Una volta non aveano neppure questo. - Oh sì: ma ritornate gli uomini a pascersi di ghiande, i principi a stare senza anticamere guardie o corte; le figliuole dei re a rasciuttare i panni, come una volta leggiamo si facesse. Siccome ne' corpi umani si mutano le complessioni e i bisogni secondo l'età, così accade de' corpi politici. Posto che, per l'unità e la maestà, vi debba essere un capo supremo della Chiesa, per non dare diffidenza ad alcuno è necessario non abiti nello Stato d'altri, ma nel proprio, con Corte e ministri proprj. Or chi gliene somministrerà i mezzi? Ogni terra ne al suo piovano, ogni diocesi al suo vescovo, ogni popolo al suo signore. si considera aggravio che da un paese vada in altro il denaro, se con questo si procura la merce più di tutte preziosa, cioè la legge e la conservazione della giustizia. Direte che sta bene nutrir la reggia del cristianesimo per la necessità, ma non per le pompe. Se intendete le pompe per la struttura e gli addobbi de' tempj, questi certo mancavano alla Chiesa primitiva, ma per malignità del secolo. Del resto e Dio nell'antichità e i Gentili vollero i tempj ornati, affinchè i popoli se ne invaghiscano, confortando la ragione coi sensi, la devozione col diletto. E anche voi, o principi, volete pompa di corte, e il popolo vuol teatri. Quanto alle pompe private, a Roma si commenda la vita povera, si venerano gl'istitutori della mendicità volontaria, ma tal perfezione può desiderarsi più che sperarsi. Ma se vogliamo che la reggia spirituale del cristianesimo, sia frequentata da persone d'ingegno, di nobiltà, di lettere, le quali abbandonino le patrie per sottoporsi al celibato o ad altri scomodi della vita ecclesiastica, bisogna possano sperare onori e stipendj. Perocchè Roma non è Corte di Romani natii, bensì d'ecclesiastici congregativi per elezione da varj paesi del cristianesimo. I giudici de' tribunali, i magistrati, i governatori, i nunzj sono scelti da tutti i paesi, sicchè a tutti sono comuni gli onori, le ricchezze, i vantaggi della Corte pontifizia».

Troppo ci darà a dire Pietro Paolo Vergerio vescovo di Capodistria, mandato nunzio in Germania. Nel 1536 vi andava il cardinale Morone milanese, e il papa gli raccomandava di pagare tutto e non lasciare debiti alle osterie, non isfoggiare lusso, visitare le chiese senza fasto ipocrisia, presentare nella sua persona la riforma romana: prevedeva che Lutero e Melantone non vorrebbero mai fare una ritrattazione: pure manderebbe una formola che non gli offendesse, stesa da persone savie e rispettabili.

Ma Lutero di buon'ora rese impossibile ogni accordo, proclamando ricisamente la condanna d'ogni tradizione ecclesiastica, d'ogni autorità della Chiesa; e sulle attinenze dell'uomo con Dio piantando un dogma, ch'egli stesso diceva sconosciuto alla Chiesa dagli apostoli in poi. Non chiedevasi dunque, come nelle licenziosità precedenti, che la Chiesa si riformasse nel capo e nelle membra, ma che s'annichilasse da ; all'adorazione e al sacrifizio surrogasse la predica; sfasciasse l'organamento che teneva riuniti tutti i popoli431. Anche allora il papa dovea rispondere la parola più grande che siasi udita nel secolo di universale vacillamento, qual è il nostro: Non possumus; ma quella negazione potea formularsi colle parole che il De Maistre scriveva ad una Ginevrina: «Noi non possiamo fare un passo verso di voi; ma se volete venire a noi, noi spianeremo la via a nostre spese».

E già da particolari negazioni si era asceso a canoni generali: e principalmente al dogma della giustificazione. Nel Vangelo, Cristo dice all'adultera: «Va in pace e non peccar più»; dice al giovane: «Se vuoi conseguire la vita eterna, osserva i miei precetti»; Cristo accettò l'amore e il pentimento della Maddalena; accettò la buona volontà dell'operajo che arrivò all'ultima ora. Sempre insomma si vede che, nell'effettuare la giustificazione del peccatore, la volontà dell'uomo coopera alla Grazia, e ne conseguita una nuova vita, giusta l'osservanza della legge divina, e il produrre opere meritorie. Che se Paolo, nella lettera ai Romani, insiste che l'uomo viene giustificato non per le opere della legge, ma per la fede, intende degli Ebrei, i quali, per repudiare la necessità d'un redentore, asserivano che, mediante la legge e le opere da questa prescritte, uno possa colle sole forze umane divenire giusto e accetto a Dio. Contro di essi pertanto scrive che l'uomo viene giustificato non dalle opere della legge mosaica, ma dalla fede, cioè dalla credenza in Cristo. In niun luogo però dice che la sola fede giustifichi senza le opere432: bensì valere in Cristo quella fede che opera per la carità433.

Da ciò i Cattolici dedussero che della giustificazione (la quale è inerente all'anima, la tramuta, e porta il rinnovamento dell'uomo interiore) sono costitutivi necessarj la fede e le opere, e che si può perderla con nuovi peccati. I Protestanti all'incontro insegnano che essa non è se non la giustizia di Cristo, applicata a noi in modo, che le colpe, pur durando nell'anima, non ci possono essere imputate: ad ottenerla basta si creda che, pei meriti di Cristo, ci sono rimessi i peccati; non vi si richiedono opere buone, conciliabili con sentimenti cattivi, e non si può perderla più.

Da entrambe le parti i disputanti fondavansi su quel passo di san Paolo ed altri consimili; neppure tutti i Padri del Concilio tridentino caddero d'accordo sulla differenza tra la fede che giustifica, e le opere che non giustificano ma sono effetti della giustizia; e solo vi fu proferito che «la fede è il principio della umana salute, il fondamento e la radice della giustificazione, senza di essa è possibile piacere a Dio, ed entrare nel consorzio de' suoi figliuoli»434. E spiegossi poi che, non la legge de' Giudei le opere dei Pagani han valore, bensì la fede, che opera per la carità, che è informata dall'amore; giacchè senza le opere la fede è morta435.

Lutero prorompeva: «Quando questi pazzi sofisti insegnano che la fede dee ricevere dalla carità il suo modo, la sua forma, delirano mostruosamente: la fede giustificante è la fiducia d'essere rientrati nella grazia di Dio, e aver ottenuto il perdono de' peccati pei meriti del Salvatore». E Melantone definisce più preciso: «La fede è un'assoluta confidenza nella divina misericordia, senza riguardo alle nostre azioni buone o malvagie».

Dunque l'uomo non può perdere la salute per qualsiasi peccato, e nemmeno volendolo, purchè non gli venga meno la fede nelle promesse di Dio436.

Alla negazione della vera dottrina intorno alla giustificazione tenne dappresso quella del Sagrifizio; e come per la prima i Protestanti misuravano della lettera di Paolo ai Romani, così per la seconda appoggiaronsi alla lettera di lui intitolata agli Ebrei.

In questa vuol egli insegnarci che i peccatori non potevano evitare la morte se non surrogando chi morisse per loro. Finchè sostituirono sagrifizj d'animali, non faceano che attestare di meritar la morte: e poichè la giustizia divina non potea rimanerne soddisfatta, ricominciavasi ogni giorno l'olocausto inadeguato. Dopo che Gesù Cristo morì pei peccatori, Dio soddisfatto non aveva più ad esigere altro prezzo del nostro riscatto. Non occorre dunque sacrificare altre vittime dopo Cristo, e Cristo medesimo non dev'essere sagrificato che una sola volta.

I Protestanti inducevano da ciò l'inutilità di ripetere il sagrifizio della Messa. Ma la Chiesa non ritrae il suo linguaggio da un passo isolato, e in quell'epistola san Paolo intende soltanto spiegare la perfezione del sagrifizio della Croce, e non già escludere i varj mezzi che Dio ci ha dati per applicarlo. Or la parola offrire spesso nelle sacre scritture indica presentare; onde la Chiesa non dice che Gesù Cristo si rifaccia vittima attuale nell'eucaristia, ma che si offre a Dio, comparendo per noi al suo cospetto437. Gesù Cristo una volta si immolò vittima della giustizia di Dio; ma non cessa d'offrirsi per noi; e la perfezione di quel sagrifizio consiste in ciò, che ad esso si riferisce tutto quanto lo precede come preparamento, o lo segue come consumazione e applicazione. Il prezzo del nostro riscatto non si ripete, essendo perfetto la prima volta; ma continua ciò che applica a noi quella redenzione.

Ora il sacramento dell'altare è centro di tutto il culto, è la comunione intima dell'uomo con Dio: onde il mistero della fede completa la ragione; l'ordine sopranaturale serve di pienezza all'ordine naturale. Il nostro intelletto debole li distingue; in realtà si continuano l'un l'altro; objettivamente si confondono nello stesso vero: ed anzichè esser contradditorj, tampoco diversi sono. Al Cristiano bisogna sempre combattere, e perciò bisogna rinnovar sempre le forze alla fonte eterna del vero, del bello, del buono.

E fu attorno a quest'epistola e a quella ai Romani che si moltiplicarono spiegazioni e quistioni esegetiche sulla fede, sulle buone opere, sulla grazia, sul libero arbitrio, sulla predestinazione, sulla vocazione, sulla glorificazione: e i punti non essendo a quel tempo ancora decisi, molti fermaronsi in giudizj diversi da quelli che poi furono sanzionati.

Pure al tirare de' conti tutto riduceasi alla suprema quistione dell'autorità della Chiesa, o dell'esame individuale.

Chi legge in san Paolo che l'ossequio nostro dev'essere ragionevole, capisce ch'è una trivialità il ripetere che i Cattolici escludono l'esame in materia di religione. Cristo disse: «Scrutate le Scritture, e vedete come rendono testimonianza di me»; cioè impose un esame d'adesione. Unico è il motivo della fede; moltissimi i motivi di credibilità; e v'è tante dimostrazioni della verità della fede, quanti motivi di credibilità. Non vi è dono di Dio che l'uomo non deva attuare colle proprie forze, e da sant'Agostino fino a noi si chiamò prodromo della fede l'esposizione delle pruove della rivelazione e dell'autorità della Chiesa. La qual fede ha per motivo immediato la veracità di Dio, e per regola l'autorità della Chiesa, ma suppone titoli ragionevoli. Quando so che Dio ha parlato, che stabilì per sua interprete la Chiesa, più non posso discutere la parola di Dio contrariamente alle definizioni di quella, darle il senso che voglio; bensì posso rendermi conto della fede che professo o, per quei che non credono, ponderare secondo la critica e l'argomentazione se realmente Iddio ci rivelò la sua legge, e se stabilì un'autorità regolatrice della fede. Queste pajonmi dottrine elementari e universalissime, lontane così dalla fede ciecamente passiva come dal razionalismo, che esagera i diritti della ragione costituendola giudice della parola di Dio, e confonde la luce soprannaturale della rivelazione colla naturale dell'intelligenza umana.

Il problema dell'umana destinazione, della riunione misteriosa della natura umana che espia e della divina che perdona, è supremo; eppure la ragione è incompetente a darne soluzione adeguata, e perciò si richiedea la rivelazione divina: la parola umana è insufficiente a trasmettere la fede, e per ciò si richiede la Chiesa viva che la interpreti. Ne' suoi dettati non troviamo assurdità, contraddizione: il cristianesimo è fuor del dominio della semplice ragione: le verità d'ordine geometrico mal vorrebbonsi applicare ai dati del sentimento e dell'immaginazione, che pur sono legittimi quanto quelli dell'intelletto: vi manca la evidenza matematica, perocchè allora non sarebbe più fede dono di Dio.

Il Cattolico sa che la Chiesa, istituita per applicare i meriti dell'Uomo Dio all'umanità in generale e a ciascun uomo in particolare, operar la santificazione del genere umano, che in essa e per essa unicamente è possibile, ha sola il dono sopranaturale di conoscere infallibilmente la verità rivelata, e perciò china la sua intelligenza per adottare ciò che è prescritto come bontà e verità. Sa che la libertà è la potenza d'eseguire le proprie leggi: e che per farle abbisogna ch'essa possieda la certezza di queste, tale certezza può darsi senza l'infallibilità. Le decisioni della Chiesa vincolano la nostra libertà, come la stella polare vincola il pilota. O forse l'uomo cessa d'esser libero perchè è credente, perchè virtuoso? Se c'è libertà nell'uomo, vale a dire facoltà di far il bene e compier la sua destinazione, mentre ha la possibilità di far il male, dev'esserci un'infallibilità che lo renda sicuro nel suo operare.

L'uomo può accettare le affermazioni divine semplicemente, e allora egli non è che un credente; può chiarire le relazioni fra esse e i fatti interni ed esterni dell'universo, e allora la sua fede diviene scientifica. La certezza in materia di fede va distinta dalla scienza delle cose della fede: ciò che pruova la verità della rivelazione, da ciò che la difende dalle accuse. E appunto la teologia è la scienza che discorre di Dio e delle cose secondo le verità rivelate, proposte dalla Chiesa; la scienza degli sforzi fatti per isnodare il problema divino. Due oggetti distinti essa ha. L'uno, esporre la verità e i dogmi dati dalla Scrittura e dalla tradizione, e rigorosamente definiti dalla Chiesa, parte invariabile: perocchè, accanto ai principj necessarj della ragione v'ha dottrine elevatissime, non semplicemente razionali, invariabili come il vero, e la cui invariabilità attesta esserne divina la sorgente. Sopra questa base divina elevasi l'edifizio della ragione, secondo oggetto della teologia, sottoposto alle condizioni d'ogni opera umana, svolgimento, mutazione, successione, progresso, regresso, a proporzione del sapere e delle attitudini dell'uomo e della società: e però anch'essa non si restringe nella categoria dell'essere, ma passa in quella del divenire; essendovi un solo modo di credere, ma molti di dimostrare e appoggiar la verità.

Tale l'assunsero i Padri, cercando con essa la rigenerazione intellettuale, identificata colla rigenerazione morale, poichè si proponeva la salute delle anime, primo, collo svellere il dubbio, che col sottile argomentare avea scosso le credenze più vitali; secondo, col riordinare le scarmigliate idee del dovere. Atteso che si attaccano i misteri in apparenza, in realtà si rinnegano i comandamenti.

Emancipare la coscienza individuale dalla tutela ecclesiastica, tenere ciascuno responsale delle proprie credenze come de' proprj atti, ed obbligato ad acquistare coll'esame convinzioni proprie, a seguire la coscienza propria, anzi che obbedire alla Chiesa o ascoltare il prete, costituisce il gran divario fra i Protestanti e noi.

Ma una generazione di rado s'accorge dell'opera che essa intraprende e compisce; i riformatori d'allora aspirarono a quel che, al cospetto dei moderni, ne costituisce il merito, la libertà di esame. Contro di questa impennavasi Lutero, ed esclamava: «Non v'è angelo in cielo, e molto meno uom sulla terra che possa ed osi giudicar la mia dottrina; chi non l'adotta non può andar salvo; chi crede ad altri che a me, è destinato all'inferno. Al Vangelo che io ho predicato devono sottomettersi papa, vescovi, preti, monaci, re, principi, il diavolo, la morte, il peccato, e tutto ciò che non è Cristo. La mia parola è parola di Gesù Cristo, la mia bocca è la bocca di Gesù Cristo»438.

Anche enunciandosi principj malvagi di filosofia o di politica, l'esister la dottrina cattolica impediva gli eccessi e le storte applicazioni. Ora, scosse le credenze, invocavasi, come dopo ogni rivoluzione, il rassettamento; in parte l'abitudine antica, in parte l'indole delle moltitudini faceano sentito il bisogno di conservare la libertà, eppure costituirsi in comunità, formare una Chiesa, aver concistori che autorizzino a predicare439. Vero è bene che, sostenendo la giustificazione per mezzo della fede, venivasi ad accampare la coscienza individuale contro la tradizione secolare; ma direttamente all'autorità della Chiesa sostituivasi l'autorità della Bibbia.

Eppure questa da chi era trasmessa? da quella tradizione che essi rinnegavano. L'interpretarla poi rimettevasi al sentimento individuale, sicchè alla perfine si ritornava al libero assenso della coscienza. Così il Protestante aveva il testo della Scrittura colla mescolanza di verità di fede e verità di ragione, senza la certezza del senso che contiene; il Cattolico ha il senso indefettibilmente conservato di un testo, in cui stanno tutti i dogmi di fede. Ma la fede è l'adesione dello spirito umano alla testimonianza di Dio. Essa non solo il presentimento della verità, ne la certezza. Libero esame è il diritto dello spirito umano di non ammettere in qualsiasi ordine di cose se non ciò che riconosce per verità. Dunque, prima di credere i misteri rivelati, dee aver certezza che sono rivelati: s'ha da adoprare la ragione fino al punto ov'essa ci conduce a riconoscere la Chiesa. Ecco l'esame previo alla fede, il quale non è punto interdetto ai Cattolici.

Ma il protestantismo disgrega tutto ciò che Dio aveva unito; la società spirituale dall'autorità su cui si fonda; la parola scritta dalla tradizione vivente che ne scopre l'origine e il senso; il sacrifizio unico della redenzione dalla perpetua sua offerta sugli altari del nuovo patto; la Grazia dai sacramenti che ne sono le grandi e divine arterie; la fede dalle buone opere che la mostrano viva; l'amore dal culto che n'è l'espressione; la preghiera dai gradi per cui ascende a Dio mediante gli angeli, i santi, la madre di Cristo: e per tal modo prepara il distacco totale della ragione dalla fede, della natura dalla Grazia, di Dio dall'uomo coll'ateismo o il panteismo, col deismo o il naturalismo.

E non meno di eresia religiosa fu eresia politica, combattendo la religione e la civiltà cristiana come nel pensiero così nell'azione: ergendo a principio supremo del vero e del bene l'io umano, in contrasto all'unificazione pontifizia: ergendo lo Stato in divinità; posponendo gli interessi di Dio che fin allora aveano primeggiato, sicchè, dopo aver gridato «Date a Cesare quel ch'è di Cesare», si dimenticherebbe di dar a Dio quel ch'è di Dio.

Così rinnegato il primato nell'ordine religioso, intaccavasi pure nel civile, mentre parevasi assodarlo. Le conseguenze non si conobbero che tardi, e ai nostri giorni, quando ormai a un'apparenza di unità non si arriva se non a spese della fede, e la fede non si produce che in contrasto coll'unità: ma subito si sentì il disordine.

Gaspare Contarini, veneziano (1483-1562), entrato ne' Pregadi della sua patria, appena l'età gliel permise, non sapea mai risolversi a prendere la parola, sebbene, quando il faceva, parlasse alla semplice, ma con profondità. Eruditissimo di filosofia e matematica, versatissimo in gravi maneggi politici, essendo stato savio grande del Consiglio, capo dei Dieci, riformatore dello studio, Paolo III lo elesse cardinale con altri sette di gran virtù e dottrina, benchè ancora laico e lontanissimo dal pensarvi: fu ambasciadore della Serenissima presso Clemente VII, col quale s'adoprò di tutta forza per isviarlo dalla politica tentennante, mostrandogli come recasse a precipizio l'Italia. Colla filosofia aveva egli studiato la teologia, propendendo per san Tommaso ma conoscendo tutti i santi Padri, e ancor giovane aveva scritto contro il Pomponazio suo maestro, poi due libri De Ufficio Episcopi (1516) e un altro sull'origine divina della podestà del papa, con semplice gravità e meno triche di scuola che non solessero i teologanti: e di lui diceva il cardinale Polo, non essergli sconosciuto nulla di ciò che lo spirito umano scoprì colle sue ricerche e la divina grazia ha rivelato; e v'aggiungea l'ornamento della virtù.

Gaspare sedeva in consiglio quando gli giunse la notizia del cardinalato, e tutti ad applaudire; solo Alvise Mocenigo, costante avversario di lui e degli ecclesiastici, brontolò: «Codesti preti ci hanno rubato il miglior gentiluomo che la città avesse»440. Solo alle calde preghiere e all'idea del dovere egli rassegnossi ad accettare quel gravoso onore, e «non accortigianato nelle cose di Roma», insisteva sulle riforme: e scrisse, fra le altre, due lettere a Paolo III, intorno alle composizioni e alla potestà pontificia. «Il dispensiero (diceva), non può vendere ciò che non è suo ma di Dio, foss'anche il lucro destinato a far guerra al Turco o a riscattare schiavi, o qual altro siasi scopo; tutti convenendo nella sentenza di san Paolo che non può farsi il male per conseguire il bene, acconciare la verità di Dio agli esempj e alle costumanze nostre. Coloro che ampliarono in ciò l'autorità del pontefice sino ad affermare non abbia altra regola che la particolare sua volontà, porsero occasione agli avversarj di negarla del tutto. Qual cosa potrebbe immaginarsi tanto repugnante alla legge di Cristo che è legge di libertà, quanto il sottomettere i Cristiani a un capo, al quale sia attribuito l'ordinare leggi, il derogarle, il dispensarne a capriccio, anzichè a regola di dovere? Ogni potestà è potenza di ragione, ed ha per iscopo di condurre con retti mezzi alla felicità. Così anche l'autorità pontificia, conferita da Dio al beatissimo Pietro ed a' suoi successori sopra uomini liberi, vuol essere usata secondo la regola della ragione, dei precetti divini e della carità. Santo Padre, voi che soprastate agli altri in dottrina, senno naturale e sperienza delle cose, esaminate se dalla contraria dottrina non abbiano pigliato baldanza i Luterani a comporre i loro libri della cattività di Babilonia. E davvero, qual cattività peggiore di questa, professata da alcuni esuberanti sostenitori della podestà pontificia? Abbia la S. V. a cuore quella suprema potenza e libertà del volere, che viene dall'ossequio alla grazia divina e alla ragione; non pieghi all'impotenza della volontà, che sceglie il peggio, e alla servitù che mena al peccato; perocchè solo allorquando quella vera facoltà del volere sarà congiunta alla podestà pontificia conferitavi da Cristo, sarete potentissimo, affatto libero, e vera vita della repubblica cristiana»441.

E trattando della giustificazione nelle epistole stesse, dichiara aperto che «l'uomo propende al male, in grazia dell'impotenza della volontà; dalla qual malattia, che è servitù dell'animo, non può liberarsi per le virtù morali acquistate coll'abito delle opere buone, ma solo per la grazia di Dio e la fede nel sangue di Gesù Cristo». Tale dottrina enucleò nel Tractatus  seu epistola de justificatione, lodato immensamente dal cardinale Polo, dal cardinale Sadoleto e da altri, che ammiravano come quell'arduo punto egli avesse sì ben chiarito, e con verità inaspettate, che pur erano nella sacra scrittura442. Onde può dirsi che il Contarini esibisse il vero programma di ciò che poi compì il Concilio di Trento, sia quanto alla riforma, sia quanto alla definizione dogmatica di quel punto scabrosissimo.

Insisteva egli presso papa Paolo acciocchè attuasse le riforme; e da Ostia l'11 novembre 1538 scriveva al cardinale Polo: «Il papa mi menò seco in carrozza a Ostia. Tra via, il nostro buon vecchio si intertenne meco sopra la riforma delle composizioni. Diceva d'aver sopra di il trattatello da me scritto in proposito, e d'averlo letto la mattina. Io avea perduto ogni speranza: ma ora mi ragionò in modocristiano, che concepii di nuovo la speranza che Dio gli farà compiere qualcosa di grande, e non permetterà che le porte dell'inferno prevalgano nel suo spirito».

Ma il papa era intricato in idee politiche; quando il Contarini gli faceva objezioni sul nominare cardinali che a lui non pareano dover riuscire di onore alla Chiesa, gli diede sulla voce: «Già siamo stati cardinali anche noi, e sappiamo come ripugnino che altri abbian lo stesso onore». Al che il Contarini non potè trattenersi dal replicare: «Io non reputo che il maggior mio onore sia il cappello».

Spedito alla dieta di Ratisbona del 1541 per tentare la conciliazione fra Luterani e Cattolici, e almeno indur quelli a riconoscere i principj fondamentali, cioè il primato della santa sede, i sacramenti, e altri punti appoggiati alla Scrittura e all'uso costante, domandò al papa che, se mai da articoli indifferenti alla fede dipendesse la riconciliazione, potesse condiscendere sul celibato dei preti, sulla comunione d'ambe le specie ed altri simili; sempre coll'autorità del pontefice: ma non pare n'avesse il consenso443. Bensì è meraviglioso come riuscisse ad accordare i congregati in quattro articoli essenziali, della natura umana, del peccato originale, della redenzione, della giustificazione per mezzo della fede viva e operosa. «Quand'io vidi questa concordia d'opinioni (scriveva al cardinale Polo) sentii riempiermi di supremo gaudio, non tanto pel buon fondamento gettato alla pace, quanto perchè qui consiste tutta la dottrina cristiana».

Anzi l'elettore di Brandeburgo assentiva al primato del pontefice, trovandolo necessario colà dove una era la fede, una la chiesa444: Bucero stesso confessava che la disciplina dei Protestanti era molto scadente, e convenire che i vescovi esercitassero il loro potere spirituale in ordine gerarchico, benchè pensasse che il celibato, i digiuni, le penitenze non potessero affarsi coi tempi445.

Ma le conciliazioni mal possono sperarsi in tempi turbinosi: e Lutero protestò che era la coda del diavolo che conduceva questo tentativo di pace446; le Corti mal gradivano la concordia; i principi di Germania temeano che coll'unità religiosa non s'aumentasse la potenza dell'imperatore; gli entusiasti voltavano in beffa la moderazione; il re di Francia, con ipocrito zelo pel papa e per la Chiesa, biasimava il Contarini come freddo e ligio all'imperatore. Ne restò questi scoraggiato, secondo scrive Girolamo Negro che l'accompagnava, vedendo «il corpo, infermo talmente e indebolito, che dieta, medicina gli può giovare...... e intertenimenti secreti di principi, li quali non vorrebbero vedere che Cesare con questa unione si facesse patrono di queste provincie..... e i Protestanti far grande istanza contro le messe private, il celibato, i voti monastici, le invocazioni de' santi ed altre ordinazioni nostre non istituite da Cristo dagli apostoli»447, e così l'opera fu mandata in fumo. Gli Italiani, al solito, ne versarono la colpa sul Contarini, il quale, se si dolse che «di tal moneta pagassero le sue fatiche», più dovette piangere dell'imminente disastro della Chiesa. La solita genìa dei buffoni facea scene a suo carico, e il Beccatelli racconta che, mentre tornava in Italia, un vecchio amico a Brescia domandogli: «Come stanno, monsignor reverendissimo, que' capitoli che ai Luterani avete sottoscritto tanto esorbitanti?» E avendo il Contarini risposto che le erano baje da Pasquino, l'amico gli mostrò lettere da Roma ove se ne parlava. Sicchè il Contarini dovette scrivere al papa di sospendere il suo giudizio finchè gli avesse chiarito il vero, come poi fece così splendidamente, che il papa stesso l'esortò a non vi badare, citandogli quel d'Ovidio, Summa petit livor, perflant altissima venti448.

Colla concordia di Ratisbona sarebbesi conservata l'unità nella nazione germanica, senza temere le usurpazioni di Roma; ma Lutero ripudiò ogni conciliazione; non potere l'opera di Dio ravvicinarsi a quella di Satana. Anche a Roma se ne prese scandalo; temendo che l'imperatore, capo di tutta Germania, divenisse onnipossente, Francesco I di Francia si oppose: e il Contarini scrive al cardinale Farnese che Granuella, ministro di Carlo V, «mi affermò con giuramento avere in mano lettere del re cristianissimo, il quale scrive a questi principi protestanti che non si accordino in alcun modo, e che lui avea voluto vedere l'opinioni loro, le quali non gli spiacevano»449.

Ai 15 giugno 1540 Nicolò Ardinghelli, a nome del papa scriveva ad esso cardinale Contarini450 come fosse ormai impossibile la tolleranza, «essendo gli articoli che restano controversi tanto essenziali alla fede, che, senza procura di Gesù Cristo Nostro Signore, noi quaggiù non possiamo pigliarne sicurtà; anzi abbiamo la legge che non sunt facienda mala ut veniant bona; perchè essendo la fede indivisibile, non la può accettare in parte chi non l'accetta in tutto, quanto al potersi dire cristiano e fare un corpo medesimo nella Chiesa. E però nostro signore con tutto il collegio, nemine discrepante, ha risoluto di non poter dare orecchio in alcun modo a quella tolleranza che si domanda, , per quel che toccherà a sua beatitudine, macolare quella sincerità della fede, che i suoi predecessori hanno fin qui conservata, comprovando con segni che questa è la cattedra di san Pietro, per la fede del quale pregò Gesù Cristo Nostro Signore».

Ciò che v'avea di troppo reale era il disordine gettatosi nelle intelligenze come nella vita, al moltiplicarsi di tanti discepoli, ognuno dei quali era un dissidente. Nella Confessione d'Augusta gli eterodossi aveano preteso raccogliere ciò che di comune aveano la loro e la cattolica fede, a tal uopo ricorrendo a termini ambigui, che la Chiesa non accettava perchè poteano, come esprimere la verità, così ratificar l'errore. Carlo V nel 1548 decretò l'interim, pel quale convenivasi che «interinalmente gli Stati erano liberi in religione, salvo a renderne conto a Dio e all'imperatore»: ma nulla attribuivasi alla Chiesa cattolica, la quale, oltre che emanato dall'autorità secolare incompetente, trovava lesivo quell'atto, dacchè ella erasi già pronunziata sui capitali dissensi. Fra' Protestanti medesimi fu chi lo disgradiva, e designavano gli accettanti col nome di rilassati, adiaforisti, indifferenti.

Ed ecco, al rumore della nuova dottrina, all'annunzio che i predicanti rompono la catena storica della tradizione, e ognuno può a suo senno interpretare la Scrittura, sorgono veggenti in ogni parte; i meno atti al ministero pretendono avervi più evidente vocazione; la Bibbia diviene stromento alle passioni; e i villani, lettovi che gli uomini sono eguali, scatenano l'irreconciliabile ira del povero contro il ricco, bandendo guerra all'ordine come tirannia, alla proprietà come usurpazione, alle scienze come distruggitrici dell'eguaglianza, alle arti belle come idolatria.

Ne gemeva Lutero, e diceva: «Appena cominciammo a predicare il nostro vangelo, fu nel paese uno spaventevole stravolgimento; si videro scismi e sêtte, e dapertutto la rovina dell'onestà, della morale, dell'ordine: la licenza e tutti i vizj e le turpitudini trascorrono, peggio che non facessero sotto il papismo: il popolo, dianzi tenuto in dovere, non conosce più legge, e vive come un cavallo sfrenato senza pudore freno, a grado di materiali desiderj. Dacchè noi predichiamo, il mondo diventa più tristo, più empio, più svergognato: i demonj s'avventano a legioni sugli uomini, che alla pura luce del Vangelo mostransi avidi, impudichi, detestabili peggio che non fossero sotto il papato: dal più grande al più piccolo non v'è dapertutto che avarizia, disordini vergognosi, passioni abbominevoli. Io stesso son più negligente che non fossi sotto il papismo, e vengo meno alla disciplina e allo zelo che dovrei avere più che mai. Se Dio non m'avesse celato l'avvenire, non avrei mai osato propagare una dottrina, da cui doveano conseguir tante calamità, tanto scandalo»451.

Per verità, abbattuta l'autorità ecclesiastica, per non abbattere anche tutto l'ordine sociale si richiedeva un'incoerenza, un rifuggire dalle conseguenze necessarie; sicchè, più non dirigendo i venti che avea scatenati, Lutero rinnega il proprio canone della ragione individuale, e agli esagerati oppone la sacra scrittura e i libri simbolici452: poi scostandosi dal popolo, di cui s'era fatto un appoggio, tende a ingagliardire il principato: e di qui comincia l'azione politica della Riforma, qual fu d'attribuire ai principi l'autorità anche in materie ecclesiastiche, talchè ogni suddito dovesse credere e adorare come voleva il sovrano; cujus regio ejus religio; e i principi più non conobbero ritegno da che diressero anche le coscienze453.

E d'una direzione queste aveano bisogno, quando i fratelli uterini della Riforma pugnavano tra loro. Indarno Lutero s'arrovella contro ogni fede diversa dalla sua454: Melantone, Carlostadio, Ecolampadio, Engelhard, Brenzio modificano i dogmi, ciascuno a suo senno o a norma della costituzione del proprio paese; sbranamento inevitabile dove a ciascuno è libero l'interpretare.

Contemporaneamente a Lutero, e senza sapere di lui, Ulrico Zuinglio, che aveva militato in Italia come cappellano di Svizzeri assoldati, insorse (1518) a Zurigo contro le indulgenze, che ivi erano predicate da Francesco Licetto bresciano, generale dei Minori, poi da frà Bernardo Sansone milanese, e dietro a ciò sostenne che bisogna fondare la fede sulla sacra scrittura, non su dettati clericali, e repudiando i quindici secoli della Chiesa per ricorrere alle fonti, studiò il greco, si mise a mente le epistole di san Paolo, riprovò i pellegrinaggi che al santuario di Einsideln si faceano; il pane e il vino della Cena essere meri simboli del sacrosanto corpo e sangue, e altri asserti che furono accolti in molta parte della Svizzera. Mentre sosteneva che il dogma della libertà conduce al panteismo, perchè facendo gli uomini indipendenti li pareggia a Dio, egli rendeasi vero panteista, asserendo che unica essenza è quella di Dio; tutto ciò che è, è Dio e proprio Dio.

Veramente egli ha un'importanza storica piuttosto che dottrinale, non avendo lasciato opere di rilievo; e fu assorbito nell'azione di Giovanni Calvino, francese. Questi, a Bourges studiando sotto il famoso nostro leggista Alciato, deplorò i disordini derivati dalla Riforma, e pensò emendarli coll'andare più innanzi, venire a un assoluto distacco. Ancora si conservavano altari e crocifissi: pregavasi in ginocchio; si facea la lavanda dei piedi. Calvino proclama un antagonismo perpetuo alle tradizioni stabilite. Così nella dogmatica parte da un'idea preconcetta, da un partito preso: perfin Zuinglio455 erasi piegato alla sacra scrittura; Calvino si ispira da essa, ma la fonde nel suo pensiero. Zuinglio oppone la Scrittura alla tradizione; Calvino si spinge più avanti, non è solo esegetico, ma dogmatico: in faccia alla tradizione non vuol solo appurarla, ma distruggerla.

Ginevra avea cominciato il suo risorgimento dal rivoltarsi contro al duca di Savoja, che la supremazia feudale volea ridurre a signoria assoluta. N'era seguita la solita disordinata prepotenza dei riottosi, per rimediare alla quale Calvino ricorse al despotismo. Lutero aveva abbattuto la monarchia cattolica per favorire i vescovi tedeschi, Calvino sagrifica questa aristocrazia luterana alle idee repubblicane di Ginevra; e se i Luterani alzavano il principato per opporlo al papa, egli lo deprime per sottoporlo ai rivoluzionarj456. Posta la scure alla radice, impugna il mistero, colloca la certezza nella rivelazione individuale: l'arbitrio non è libero, e per iscegliere il bene fa duopo d'una Grazia necessitante, e questa sola produce la giustificazione, senza che v'abbia parte la volontà dall'uomo; Iddio è padrone assoluto delle sue creature, e ab eterno ha destinato queste al paradiso, quelle dell'inferno, qualunque siano le loro azioni. Il fedele dee mirare principalmente a tenere per sicura la propria salute: e per acquistare una tale sicurezza, crederla non fondata su opere od elezioni umane, ma sulla volontà suprema ed eterna.

Niuna efficacia dunque rimane al battesimo, i figli degli eletti appartenendo per nascita alla società redenta; niuna alla penitenza, poichè chi una volta fu eletto non può ricadere; nella santa cena non sono transustanziate le specie, ma sotto que' simboli il Signore comunica Cristo, per nutrire la vita spirituale. Abolito l'episcopato, le comunità religiose scelgonsi un ministro, distinto dagli altri soltanto per l'abito nero; ne' tempj nudi null'altro che il pulpito e una tavola su cui esporre il pane e il vino; allontanato tutto ciò che era proprio de' Cattolici, il culto resta non solo semplice ma nullo. Con quest'odio Calvino rendesi onnipotente, e stabilisce un ordinamento vigoroso, sotto il governo de' pastori, ma uniti cogli anziani; tolta ogni separazione fra ecclesiastici e laici, fra la Chiesa e il coro.

Questi dogmi austeri, dove erano negate la bontà e la libertà dell'uomo, sosteneva egli con inesorabile intolleranza, non presentando la sua come una dottrina che ammette la discussione, o cerca accordo con altre credenze. I Calvinisti, come eletti di Dio, sono autorizzati a schiacciare tutto ciò che si oppone alla loro esclusività; come ispirati, abborrono il ragionamento. Calvino ha il rigore del Vecchio Testamento, più che la mitezza del Nuovo: esigente, dittatorio, all'amministrazione ecclesiastica subordina la civile; moltiplica regolamenti fin sul vestito e sulla mensa, proscrivendo il lusso, gli ori, ogni squisitezza d'arti, per raffaccio alle frivolezze di Parigi e alle magnificenze di Roma. Divieto di sposare papisti; stampatori e libraj non si prestino a questi, pittori e scultori, vetraj, orefici, avvocati; non tengansi a fitto beni di Chiesa, per cui si devono offrire cera o incenso, che favorirebbero l'idolatria. Una fanciulla che si vestì da uomo; un proprietario che maltrattò i suoi lavoranti, lenti all'aratro; fanciulli che all'Epifania giocarono alla fava; uno che avea letto le Facezie del Poggio...... erano puniti, e più chi dicea male de' fuorusciti, martiri della verità. Così profondato l'abisso fra il credo antico e il nuovo, Calvino sbigottì le anime timide, e disingannò coloro che ancora fantasticavano un accordo; e quella risolutezza, quel sarcasmo, quell'irosa eloquenza contro Roma e la Sorbona e tutto il clero, trascinava, come tutto ciò che è violento. Allora parve la protesta avesse trovato l'ultimo suo termine; colla predestinazione rimetteasi tutto agli ineluttabili decreti di Dio; annichilamento dell'uomo, che causava una contentezza austera; che formava dei martiri, e che dovea piacere a coloro che si trovavano perseguitati.

Novatore così radicale, pure Calvino volea conservare molti articoli primitivi; anzi spiegava fierezza contro chi li intaccasse; quasi che la trinità, la rivelazione, l'incarnazione, il peccato originale, l'espiazione di Cristo non si fondassero sulle stesse basi che gli altri dogmi cattolici.

Più tardi la critica, nata dalla filologia, dovea scassinare le idee tradizionali sopra l'origine e l'autorità dei libri sacri. Ma già allora gli Anabattisti gl'impugnarono; gli Unitarj, che vedremo prevalenti in Italia, escludeano la Trinità; insomma si ripudiava il cristianesimo, riducendosi a negazione sistematica dei dogmi della Chiesa.

Alcuni Protestanti si vergognavano di tanti disaccordi, e voleano negarli o attenuarli; altri invece faceansi belli delle variazioni457, e diceano: «Noi non abbiamo unità di credenze: ma questo è vanto; perocchè la ragione individuale esercita così il proprio uffizio, e procediamo a seconda dei tempi. Le continue variazioni sono naturali al nostro principio: avvegnachè, mentre i Cattolici si ancorano nell'autorità, noi ci atteniamo al giudizio de' singoli, al che ripugna la dogmatica immobilità.

Le moltitudini però non erano venute alla Riforma per argomentazioni teologiche, bensì alcuni per ismania di libertà, altri per bisogno di coscienza e pietà; sicchè adottavano, senza troppo analizzarli, i simboli e le confessioni, in cui i novatori formularono le loro dottrine. E furono due principali; la Confessione Augustana o de' Protestanti, a cui aderì la Germania; la Confessione Elvetica o degli Evangelici, nella quale si confusero gli Zuingliani. Al 1550 le credenze già eransi costituite decisamente ostili, e ciò ch'è notevole, nei limiti geografici che press'a poco conservarono, restando la principale divisione de' riformati in Luterani e Calvinisti: i primi che accettano il senso letterale delle parole della Cena, gli altri il figurato.

Fuvvi un nostro pittore che formò un quadro in tre piani. Sul più basso, Calvino distribuiva il pane benedetto, e pronunziava: «Questa è la figura del mio corpo». Nel successivo, Lutero nell'atto medesimo, diceva: «Questo contiene il mio corpo». Di sopra era il Salvatore che, comunicando i suoi apostoli, diceva: «Questo è il corpo mio».

Vi sottopose la domanda: «A quale dei tre crederemo?» Il quadro piacque, e dicono che molti convertisse; forse impedì si pervertissero.

 

 

 





413                Sant'Epifanio descrive le più turpi sporcizie de' Gnostici, tali che neppur in latino oseremmo produrle. Asserisce che uxores habuerunt communes.... impudica fœminarum et virorum contractatio nota fuit ejusdem professionis in religione.... Synaxim ipsam turpitudine multiplicis coitus polluerunt, comedentes ac contingentes tum humanas carnes, tum immunditias.... Vir quidem concedens alteri uxorem, Surge, dixit, fac dilectionem cum fratre... Voluptatis gratia tantum, non generationis coierunt: hanc enim aversati sunt... Si quæ prægnans facta fuit mulier, detractum fœtum in mortario pistillo contuderunt, et admixto melle ac pipere et aliis quibusdam aromatis ac unguentis ad avertendam nauseam, sic congregati omnes porcorum et canum horum sodales participes facti sunt pueri contusi... Animam dixerunt esse virtutem menstrui sanguinis et genitalis seminis; quam colligentes et edentes, sive carnes, sive olera, sive panem, sive aliud quod vorarent, gratificare se creaturas dixerunt, animam ab omnibus colligentes, et ad cælestia secum transferentes. Animam enim et in animalibus et in plantis et in hominibus eandem esse docuerunt... Exarsere etiam in seipsos, viri in viros, fœminæ in fœminas..... (Hæres. xxvi). Eusebio di Cesarea asserisce che usavano anche l'arte magica: magicas Simonis præstigias non clam ut ille, sed palam ac publice tradendas esse censebant.



414                Koch, Sanctio pragmatica Germaniæ illustrata. Cap. ii, § 45.



415                A Piacenza un frate fanatico annunziò, nel 1420, che da tre anni era nato l'anticristo in Babilonia, col che costernò i cittadini, finchè lo confutò il vescovo Alessio da Seregno.



416                Prato, Cronaca di Milano.



417   Jacobi Sadoleti cardinalis, De Christiana Ecclesia, Ad Johannem Salviatum cardinalem.

                ... Majores nostri sapientissimi homines, optimis illis temporibus, quibus ecclesiastica vigebat disciplina, quæ nunc tota pæne nobis e manibus elapsa est, tales eligebant et consacrabant sacerdotes, quos doctrina vitaque eximios, egregie et posse et velle intelligerent docere populum publice, habere conciones, præcipere plebibus quæ facienda cuique essent.., Solis tum presbyteris et sacerdotibus Dei hæc concionandi et dicendi provincia in templis et sacris locis erat demandata; reliquis omnibus de populo, etiam ex ea vita quam monasticam vocamus, quamvis doctis et prudentibus ab hoc omni munere penitus exclusis.



418                Bellarmino, Concio XXVIII in dom. Lætare.



419                Lettera 19 agosto 1532 nelle Cartas al emperador Carlo V escritas por su confesor. Berlino 1848.



420                Proposizione 71.



421                Proposizione 31.



422                Quando gli Anabattisti e gli altri fanatici spinsero all'eccesso l'interpretazione individuale, Lutero sosteneva verità oppostissime a quelle che tennero poi i suoi seguaci. «Il dogma della presenza reale non fu inventato dagli uomini, ma è fondato sul vangelo e sulle precise irrefragabili parole di Cristo, e fin dal principio fu uniformemente predicato e creduto. In mancanza d'altre prove basterà la tradizione di tutte le chiese per respingere i sofismi de' settarj: poichè è pericoloso il dar ascolto a cosa alcuna contro la testimonianza unanime della Chiesa e la dottrina ch'essa c'insegnò da quindici secoli. Chi mette in dubbio questo dogma, nega la santa Chiesa cristiana. Ora negar la Chiesa è condannar Gesù Cristo, gli apostoli e i profeti. Se Dio non può mentire, la Chiesa non può errare». E prosegue a sviluppar le idee stesse. Vedasi la sua lettera ad Alberto di Prussia. E dice anche: «Noi riconosciamo che nel papismo vi è molto di buono, anzi tutto il buono cristiano, il vero battesimo, il vero sacramento dell'altare, le vere chiavi, il vero perdono de' peccati, la vera predicazione, il vero catechismo. Io dico che sotto il papa vi è il vero cristianesimo, o a meglio dire il fior del cristianesimo».



423   Lo dice Pascal, ne' cui Pensieri se ne vede una stupenda spiegazione e giustificazione.

            E Lutero e Melantone riteneano anche l'assoluzione: perocchè il primo nella disputa del 1518, e l'altro nell'apologia della Confessione Augustana, sostennero, absolutionis ministrum, etiamsi contra prohibitionem superioris absolvat, vere nihilominus absolvere a culpa, et coram Deo. Lutero dice: Occulta confessio, quæ modo celebratur, etsi probari ex Scriptura non possit, miro modo tamen placet, et utilis, imo necessaria est, nec vellem eam non esse; imo gaudeo eam esse in ecclesia Christi. De Captivitate Babylonis, tom. ii, pag. 292.

                E negli articoli smalcaldici, p. iii, c. 8: Nequaquam in ecclesia confessio et absolutio abolenda est, præsertim propter teneras et pavidas conscientias, et propter juventutem indomitam et petulantem, ut audiatur, examinetur et instituatur in doctrina christiana. La confessione fu conservata lungo tempo dai Protestanti, e il famoso Spener fondatore de' Pietisti, nel 1686 era confessore dell'elettor di Sassonia: ma allora appunto Schaden trovò che quell'atto fosse fonte di superstizione, ingannandosi i penitenti sull'effetto dell'assoluzione: ne nacque gran disputa, e Spener riuscì ad acquetarla, facendo decidere fosse libero ai fedeli premettere o no alla sacra cena la confessione. Ciò la fece cadere in disuso.



424   Möhler che, nella Simbolica, diede la più bella esposizione delle contrarietà

            dogmatiche fra Cattolici e Protestanti, dice «vedrebbe con piacere l'uso del calice

            lasciato all'arbitrio di ciascheduno: locchè avverrà certo allorquando il voto generale in

            amore e unità si pronunzii in favore di tal pratica con tanto vigore, con quanto la avversò

                dopo il secolo xii». § xxxiv.



425                Oggi la dottrina di Lutero sopra la giustificazione è ormai abbandonata da tutti i Protestanti.



426                Vedi la relazione di Spalato ap. Seckendorf II, 165.



427                Lettere di Principi a Principi, vol. iii, pag. 16, senza indicazione di nome.



428                Vedi Monumenta Vaticana, Num. LXIII, pag. 84. E pag. 89 dove torna più ampiamente su questo punto.



429                Monumenta Vaticana, Num. LXVIII.



430                31 agosto 1532, nel vol. v, 224 delle lettere della legazione di Germania nell'Archivio Vaticano.



431                Döllinger (La Chiesa e le Chiese), per mostrare ch'è illusione l'attender l'unione de' Cattolici coi Protestanti per mezzo della Scrittura, fa osservare che la disputa fra Luterani e Riformati sulle parole con cui Gesù Cristo istituì l'Eucaristia, dopo infiniti colloquj e migliaja di libri per tre secoli, non ha fatto un passo.



432                Al testo di san Paolo sulla efficacia della fede, Lutero aggiunge la parola sola: e scrivendo a Link nel 1550, dice: «Se il papista vuol seccarci per la parola sola, rispondetegli chiaro: Il dottor Martino vuol così, e dice: Papista e asino è tutt'uno. Sic volo, sic jubeo, sit pro ratione voluntas. Mi rincresce di non aver messo anche senz'alcun'opera d'alcuna legge, che esprimerebbe più netto il mio pensiero. Perciò voglio che questa parola rimanga nel mio nuovo Testamento, e dovessero tutti questi asini di papisti impazzirne, non riusciranno a levarla».]



433                Ad Galatas, v, 6.



434                Sessione vi, cap. viii.



435                Ibid., cap. vii.



436                Homo christianus, etiam volens, non potest perdere salutem suam, quantiscumque peccatis, nisi nolit credere. Nulla enim peccata eum possunt damnare, nisi sola incredulitas. Lutero, De captiv. Babyl.



437                Nell'epistola stessa è detto che Gesù Cristo si offre a Dio entrando nel mondo (10,5); che si mette al posto delle vittime che a lui non piacquero (9,24); che continua a comparire per noi davanti a Dio (9,26), e non cessa d'intercedere per noi (7,25); senza che con ciò l'apostolo accusi d'insufficienza l'oblazione sulla croce e l'intercessione fatta morendo.



438                Lutheri Opp. ediz. Witenberg. Tom. II, p. 44, T. vii, p. 56.



439                L'istituzione de' concistori per autorizzar alla predicazione è in aperta contraddizione colla missione che vien attribuita a ciascun fedele. Fu sancita nella Confessione Augustana, art. xiv, e in conseguenza si dovette imporre alle Chiese d'aver un ministro e di mantenerlo. Ma il popolo non intendeva questa campana, e Lutero se ne lagna spesso, e «Il popolo non vuol offrire niente: la sua ingratitudine è tanto nauseante, che, se la coscienza non mi distogliesse, gli leverei e curati e predicanti, perchè viva da bestia, qual è in fatto».



440                Lettera di Daniel Barbaro a Domenico Venier nelle Lettere Vulgari. Venezia 1542, pag. 94. Era egli a Siviglia nel 1522 quando fece ritorno la nave Vittoria, che per la prima avea fatto il giro del globo; e stupivano d'aver perduto un giorno, benchè esatto giornale avessero tenuto. Nessuno sapeva darne ragione, ma il Contarini la spiegò.



441                Bibliotheca maxima pontificia. Roma 1698. Ad Paulum III P. M. de potestate pontificis in usu clavium et compositionibus, duæ epistolæ, pag. 179-183 del vol. xiii.



442                Su tal punto tenne qualche opinione particolare; non accettò pienamente quella di sant'Agostino, che pel peccato originale gli uomini siano riprovati: ed esorta i predicatori a toccare con gran riserbo tali quistioni.



443                Il fondamento di tutto ciò è principalmente nella raccolta delle epistole di Reginaldo Polo. Una vita del Contarini per monsignor Lodovico Baccadelli, contemporaneo, fu stampata il 1827 a Venezia.



444                Il Contarini scriveva al cardinale Farnese da Ratisbona, 28 aprile 1541: «Quanto al primato del pontefice, l'elettore di Brandeburgo non vi fa una difficoltà al mondo; Imo dice che gli pare necessarissimo, essendo fra cristiani una fede ed una Chiesa» Ep. Reginaldi Poli, tom. iii, pag. 254.



445                Sua lettera del 19 gennajo 1541 al vescovo Nausea di Vienna, in Doellinger, die Reformation. Ratisbona 1848, tom. ii, pag. 49.



446                Vedi la sua lettera all'elettore di Sassonia nella raccolta del De Wette, tom. v, pag. 353, 377.



447                Lettere di Principi a Principi, lib. iii, pag. 169.



448                Un'ampia apologia del Contarini trovasi nella diatriba del cardinale Quirini alle epistole del cardinale Polo.



449                Quirini, Diatribæ III, CCLV. Le opere principali del Contarini sono: De immortalitate animæ contro il Pomponazio; Conciliorum magis illustrium summa,] compendio più volte ristampato e giudizioso, cui spesso va unito il trattato De potestate pontificis: Scolj sulle epistole di san Paolo; Dei doveri de' vescovi; molte opere di controversia.



450                Lettere di XIII uomini illustri. Venezia 1564.



451                Ediz. di Walch, V, 114. - IX, 1310. - X, 2666. - VI, 620. - VIII, 564 ecc.



452                Libro simbolico è chiamato da' Protestanti una esposizione della dottrina ricevuta in una Chiesa particolare, insieme coll'enunciazione degli articoli su cui una dissente dalle altre sètte. Applicando tal denominazione anche alla Chiesa cattolica, chiamano primo libro simbolico il Concilio di Trento, secondo la professione di fede tridentina, terzo il catechismo romano.



453                Non è fuor di tempo ricordare uno dei Discorsi da Tavola di Lutero: «Dice il proverbio che la roba dei preti va in crusca; e di fatto quei che ghermirono i beni delle Chiese finirono per restare più poveri. Burcardo Hund, consigliere di Stato dell'elettor di Sassonia, soleva dire: «Noi nobili abbiamo aggiunto i beni de' conventi ai nostri, e quelli mangiarono questi in modo, che gli uni ci restarono, gli altri». E voglio raccontarvi una favoletta: «L'aquila rapì un pezzetto di carne arrostita dall'altare di Giove, e lo portò agli aquilotti del suo nido, e riprese il volo per cercare altra preda. Ma un carbone ardente era rimaso attaccato alla carne; cadde nel nido: vi appiccò il fuoco; e non sapendo gli aquilotti ancora volare, bruciarono col nido. Così avviene a coloro che pigliano per i beni della Chiesa, i quali furono dati per onorar Dio, o per sostenere la predicazione e il culto divino: devono perdere il loro nido e i pulcini, e soffrire nei corpi e nelle anime. Tischreden, p. 292. Jena 1603.



454   In modo differente argomentava il re d'Inghilterra Enrico VIII contro Lutero: «Emilio Scauro, accusato da persona di niun conto al popolo romano, rispondeva: Quiriti, Varo afferma ed io nego: a chi crederete voi? E il popolo applause, e l'accusatore n'andò confuso. Questo solo argomento opporrò io alla questione del potere delle chiavi. Lutero dice che le parole d'istituzione s'applicano a' laici: Agostino nega: a chi crederete? Lutero dice di sì: Beda di no: a chi crederete? Lutero dice di sì, la Chiesa tutta levossi, e disse di no: a chi crederete

            Un'altra imitazione de' forestieri nel 1865 fu l'introduzione in Italia de' Liberi Pensatori. Essi non appartengono agli eretici, perchè ripudiano ogni religione positiva: pure, colla solita incoerenza, impongono una fede. In fatto «Non ammettono altri veri che quelli dimostrati dalla ragione, altra legge morale che quella sancita dalla coscienza».

                Qui è già supposto nell'uomo qualcosa d'innato, una morale naturale, una coscienza anteriore e indipendente da ogni legge. Poi la ragione potrebbe benissimo dimostrare che il cristianesimo o qualunque altra religione è vera. Eppure i Liberi Pensatori soggiungono un dogma esclusivo, che «considerano come negazione della coscienza e della ragione umana le religioni dogmatiche e rivelate». basta: come conseguenza di questo loro dogmatismo impongono degli atti, con tanta assolutezza con quanto lo farebbe il papa o il gran lama, volendo che i loro associati professino di «vivere e morire fuori del seno di qualsiasi Chiesa o credenza dogmatica, e di uniformare a questo morale impegno tutti quegli atti che hanno rapporto alla nascita e morte de' figli non ancora in istato di libero discernimento, ecc.». L'intolleranza poi è spinta al segno di scomunicare quelli che, non solo propaghino, ma professino principj contrarj a quelli dalla società affermati. Vi sarà pure un sant'Uffizio, perchè la scomunica verrà proferita «da un giurì di nove socj, eletto nel seno della società». V'è la sua propaganda: v'è la solidarietà: tutte insomma le forme della servitù che rinfacciasi alla Chiesa costituita.



455                Nell'originale "Zunglio". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



456                Calvino commentando il capo vi di Daniele, dice: Abdicant se potestate terreni principes cum insurgunt contra Deum: indigni sunt qui in numero hominum censeantur ideoque in capita potius eorum conspuere oportet quam illis parere.



457                Melantone professava «doversi gli articoli di fede mutar sovente e accomodarli ai tempi e alle circostanze». Infatto variò fin nelle asserzioni più solenni, per esempio, intorno alla presenza reale. I Luterani lo riprovarono, e in pieno sinodo (Colloq. Altenburg.) dichiararono: Cambiando e ricambiando di continuo, apprestò armi ai papisti, ridusse i fedeli a non conoscere più che cosa devono tenere per vera dottrina. I suoi Luoghi teologici son piuttosto a dire Giuochi teologici.



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