Cesare Cantù
Gli eretici d'Italia

DISCORSO XVII L'APOLOGIA CATTOLICA. CONSEGUENZE DELLA RIFORMA

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DISCORSO XVII

 

L'APOLOGIA CATTOLICA. CONSEGUENZE DELLA RIFORMA

 

 

 

Continuando queste nostre escursioni, ci fermiamo un tratto per ripetere che non intendiamo farne un soggetto o un'occasione di polemica; eppure miriamo a combattere una grand'eresia de' giorni nostri, coll'ostinarci alla storia, all'accertamento de' fatti: eresia intendiamo non tanto in senso religioso, quanto nel senso che v'attaccavano i giureconsulti delle età passate.

E in vero già lo Spinosa avea stabilito «Ciò che la mia ragione non comprende, non può essere avvenuto»: i filosofi dell'età nostra si spinsero più avanti dicendo: «Ciò che la mia ragione comprende come possibile, deve essere». È la formola dell'uomo che crea tutto; è la conseguenza della critica della ragion pura, dopo la quale tutta la metafisica del panteismo piantasi sopra la teoria che tutto esiste nell'uomo e per l'uomo, nella ragione e per la ragione.

Anche la storia dunque non sarà il racconto di quel che fu; bensì di quel che la ragione riesce a trovare; e ne nasceranno quelle tante mostruosità, che la superbia letteraria e la goffaggine governativa oggi moltiplicano anche in Italia col titolo di filosofia della storia. La indagine de' fatti, la verificazione, il confronto, son vecchiaggini; ogni cosa si riduce a pretto empirismo, e l'empirismo è l'ultima degradazione intellettuale.

La storia consiste dunque nell'affermare intrepidamente; non badando alle tradizioni, ai libri, alle autorità, ai monumenti, al senso comune. Enunciata un'idea, non si curi di provarla; basta svilupparla, cioè offerirla sotto i più varj aspetti, come nel caleidoscopio; tanto meglio quant'è più strana; se da un motto torrà occasione ad abbattere una completa serie di avvenimenti; se con un epigramma manderà in aria tutto un sistema: subordinare tutta la storia alle leggi dell'automa umano s'intitola filosofia; come l'astrologia dell'astronomia, così le religioni non sono che le precorritrici della fisica, della quale è una continuazione l'ideologia.

Per verità da noi gli studj sono oggi così trascurati, che anche questi delirj non ebbero che qualche meschino divulgatore, e non conseguirono effetti durevoli neppure nell'opera del più applaudito fra' loro predicatori. Ma intanto le menti leggiere si lasciano affascinare da frasi, quanto più sono vaghe nel fondo ed assolute nella forma, e da libri ove la storia deve assumere il dogmatismo e la leggerezza d'un romanzo, e che studiata così, può appoggiare una teoria, non mai raggiungere il vero.

Per esempio, ci diranno: È indubitabile che per sola espansione naturale e spontanea delle sue facoltà, l'uomo un bel giorno improvvisò il linguaggio: - L'opinione che la Genesi sia opera di Mosè è al disotto d'ogni critica, noi dobbiamo discuterla: - Sono tre secoli che i pensatori tengono che il tutto è Dio, o che da Dio emana il tutto e a lui ritorna: - Il monoteismo non è idea propria che della stirpe semitica: - Le nazioni latine mancano di senso morale e d'ogni iniziativa religiosa: - La persecuzione è la prima delle voluttà religiose; e la coscienza cristiana lo comprese inventando quelle ammirabili legende, ove tante conversioni si operano per l'allettamento del supplizio: - Un pendio insensibile condusse dal paganesimo al cristianesimo, e la fede popolare salvò nel naufragio i simboli suoi più familiari: - Tutti i critici della detta Germania ammettono che i vangeli sono posteriori di almeno centrent'anni a Gesù Cristo, e sarebbe un ignorante chi credesse fossero conosciuti nel primo secolo: - Non v'è più chi dubiti che la dottrina di Cristo fu propagata arcanamente.....

Una volta libravansi gli attributi divini; i metafisici s'appigliavano all'ontologia; i teologi alla Scrittura; i poeti alle armonie del creato. Oggi la storia universale, che discute le origini e i progressi della società, hassi per un quinto vangelo, mentre i razionalisti ampliano i diritti e i limiti della ragione. Oggi la critica salta in mezzo colle civilità comparate, e colla superiorità di quelle ove esistono le credenze; e su queste posa il diritto, che altrove è sottoposto al successo e nelle coscienze all'utile. In conseguenza si confonde il soprannaturale col sopra intelligibile. Comprendere quello non possiamo, ma non perciò esso supera l'intelligenza. Dio è sovranamente intelligibile perchè sovranamente intelligente e base dell'intelligenza nostra, eppure trascende questa nell'essenza sua: ma ciò che in lui non comprendiamo non si discerne da ciò che comprendiamo. Altrettanto è nelle opere sue. Il soprintelligibile non è necessariamente sopranaturale, giacchè l'intelligenza nostra non è adequata a tutta la natura.

Oggi poi il lato storico di Dio e del suo Cristo è divenuto il principale studio della scuola teologica, e vedemmo di qual passo procedano i filosofi odierni della storia: l'asserire costa sì poco! Guai se il buon senso arresta queste indubitabilità, e dal vago dogmatismo richiama alla discussione! La taccia d'ignorante, di superstizioso è pronta: meravigliansi che costui non sappia che da non più di cinquant'anni esiste la vera storia: che solo a pochi genj è dato interpretare i documenti originali; genj abituati a svolgere l'eterno controsenso, che è il fondo della storia. Che se all'avversario non possono negare il merito d'erudito, gli rinfacciano che il troppo sapere è un ostacolo al creare; che ben si assimila soltanto ciò che si sa a mezzo; che le dottrine non si combinano se non coll'indovinare: gli diranno che, immerso nel passato, ignora l'ultimo stato della scienza, la neue philosophie, la quale ha diritto di sbeffeggiare tutte le precedenti, finchè domani non venga una neuste philosophie a sbeffeggiare lei a vicenda.

E il vulgo, che prima sbigottiva davanti a quelle demolitrici asserzioni, s'abitua ad accettarle, rinnega la propria ragione per siffatte intrepide autorità. Così viensi a ridere del miracolo, non si cerca se quella che ci danno è la storia dei fatti, o la storia della mente dell'autore; se questi, invece dell'umanità, non ha davanti Carlo o Giuseppe, e principalmente se stesso. In tempi dove nelle scuole più non s'insegna su di che si fondi la certezza, e quanta autorità abbiano i testimonj, e come si fili un raziocinio o si distrighi un sofisma e un paradosso, e a tener conto del senso comune, e valutare quella sincerità evangelica, che impone di dire sì al sì, e no al no, troppo è facile ottengano corso le più assurde temerità dell'orgoglio umano.

Tutto opposto è il procedimento evangelico; e perciò gli apologisti dovettero sempre usare la stessa arte, da Eusebio fino al Ghiringhello e al Perrone; fedeli alla sana critica, cercando le testimonianze storiche, chiarendo i fatti, accettando i soprannaturali che sorpassano l'intelligenza umana quoad modum, non quoad existentiam suam et per divinam virtutem; quanto cioè al modo con cui avvennero, non quanto all'avvenimento stesso: citando in prima i testimonj de' fatti, dappoi quelli che gli udirono dai testimonj, indi la storia; e l'esegesi adoprando severamente a mostrare con ingegnosi ravvicinamenti l'assoluta conformità dei vangeli colla storia, colle arti, coi monumenti.

Alle nostre ragioni, costoro dicono «Ma fate sempre le stesse risposte». Sì, poichè le stesse sono le objezioni, cioè il prodotto d'un orgoglio che non vuole accettare ciò che non intende. Dov'è a notare che i primi avversarj del cristianesimo non negavano gli atti, e tanto meno l'esistenza del Cristo, bensì quelli attribuivano a magia, a illusioni; e gli apologisti confutano questa supposizione pagana, non mai l'ipotesi mitica, che da nessuno era stata messa innanzi; e che il secolo nostro doveva attendere da qualche tedesco o francese, discosto xviii secoli da que' casi.

Ma l'apologia cattolica a' giorni del luteranesimo, non procedeva così maestosa, essendosi, come Dante si lamenta, derelitti l'evangelio e i dottori magni, e più ai decretali studiandosi. Baldanzosi nei diritti della ragione individuale, i predicanti dicevano al popolo: «Iddio ha parlato: qual bisogno che altri venga a spiegarvi quel ch'egli disse? Non è egli infallibile? Non vi diede il suo libro? e lume dell'intelletto per comprenderlo? I Cattolici fecero alla legge di Cristo quel che i Farisei aveano fatto alla giudaica, vi sostituirono le loro opinioni; levarono l'autorità alla parola divina per attribuirla all'uomo; il vaso conservò il nome, ma n'è svanito il profumo; il tempio di Dio fu convertito in bottega e in tana di ladroni. Sfogliate il Vangelo: dove trovate che comandi il celibato de' preti? o il digiuno, o la confessione auricolare? Una fede inculcata senza l'assenso della ragione, degenera presto in superstizione: la facilità dell'indulgenza e dell'assoluzione affida al peccare».

Di rimpatto, sbigottiti fino di quell'esame, il cui bisogno eleva e ingrandisce l'anima, ma che può inebriare nell'orgoglio del senso individuale, i pii cattolici inculcavano che una religione scandagliata e analizzata cessa di essere fede, e si lamentavano di vedere chiamate a scrutinio le cose che devono guardarsi con umile meraviglia, e che Iddio per occulti giudizj sottrasse all'uomo, ingiungendogli «Credi e adora».

Pertanto si rinserravano nel credo vecchio: pensavano vincere il nemico col negarlo; o, se il dovere li conducesse a combatterlo, com'avveniva degli ecclesiastici, usavano argomenti di senso comune. E dicevano a' loro avversarj: «O voi, che volete mostrarci in errore; non siete uomini voi pure? non siete voi pure all'errore soggetti? La458 protesta è sempre posteriore alla verità ch'essa impugna. Noi seguitiamo la tradizione di persone pie, e più vicine al tempo del Redentore: voi nasceste jeri. Noi ci atteniamo ad un'autorità di origine divina, al sentimento costante del genere umano: voi surrogate la più fredda delle umane doti, la ragione; il più variabile appoggio, la particolare persuasione. Voi ci apponete che santo abbiamo il precetto, cattivi i ministri; noi vorremmo poter supporre che i vostri predicanti siano migliori delle dottrine predicate. Eccoli annunziarci l'amor di Dio e del prossimo: eppure da voi nascono la scissura e la desolazione delle case e della patria. E che? l'augusto sacramento, di cui Cristo volle fare un simbolo di pace e di concordia, e che, assunto in sua commemorazione ricordasse ai figli suoi il sangue versato a salute comune, diviene pretesto d'acerbe contese: e sembra che ciascuna parte siasi proposto di mostrare colla condotta meno evangelica di possedere il vero vangelo. Se la vostra fede è la vera, se viene da Dio, provatelo col deporre questa rabbia anticristiana: la carità muove da Dio, la discordia dall'inferno: il nostro non è il Dio delle contese, bensì il Dio della pace e dell'amore459. Lo stesso Melantone, interrogato da sua madre che cosa dovesse insomma credersi fra tanto discordare di teologanti, le rispose: - Continuate a credere e adorare come sin qui; la nuova religione foss'anche più plausibile, l'antica è più sicura. - E voi, gregge nostro, non disertate gli altari, dove i padri vostri cibaronsi col pane della vita: non lasciatevi rapire la consolazione de' sacramenti, che mescono il gaudio e la sanzione del cielo alle più solenni circostanze della vita, dalla culla al letto di morte. E dopo morte su in paradiso, i padri vostri, che vi sono giunti credendo all'antica, stanno ad aspettarvi. Quanto dolore se vi vedessero precipitare coi nuovi alla perdizione

Non sempre così pacate procedevano le controversie sul pulpito e nelle scuole. I Cattolici avevano il vantaggio che un capo solo dirigeva tutti i movimenti, principe d'un bello Stato, colla potenza della tradizione e l'abitudine dell'obbedienza: ma ai Protestanti apparteneva la forza di chi attacca, di chi censura, di chi seconda gl'istinti umani, e vanta quale progresso la distruzione del passato.

Come battagliassero i dissidenti lo vedemmo e il vedremo. Anche i nostri, considerandosi unici custodi della verità e censori autorizzati della giustizia, troppo spesso posavano la disputa non fra errore e verità, ma fra santità e inferno, e tutte le objezioni dichiaravano empie, immorali tutte i ragionamenti. La polemica e l'apologia assumeranno sempre caratteri diversi ed evoluzioni conformi alle aspirazioni del tempo; altrimenti mancherebbe alla Chiesa viva quel progresso di lume e di certezza, che sempre i Padri e i fedeli domandarono460. Ogni nuovo errore è una nuova riflessione, ed esige scienza nuova, sicchè non bastano i vecchi metodi; le idee non si cangiano che nel complesso e per sistema, si può persuadere un altro se non facendogli accettare una delle proprie conseguenze.

Scarsi d'iniziativa, di larghezza, di sintesi, sopratutto di vivacità, con un futile armeggio di sillogistica discutendo i singoli punti, vedeano tutto da quell'aspetto solo, che nulla prova a quei che guardano da un differente; filavano sillogismi, di cui era impugnata la maggiore; davano come concesso dagli avversarj ciò che deve essere sentito solo da chi crede come loro, e parea non propendessero che a raddormentar nella tradizione. Durava poi il gergo tecnico, argomentazioni opponendo ad argomentazioni col metodo geometrico, il cui apparente rigore stanca lo spirito senza sostenerlo; sicchè i teologi sprezzavano i letterati come gente da frasi, ed erano sprezzati da questi come pedestri scolastici. Il sant'uomo Gregorio Cortese da Modena, dapoi cardinale, deplora la scurrile polemica allora usitata, mentre d'una savia e dotta egli porgeva ottimo modello461: e Melchior Cano domenicano spagnuolo (-1560), i cui Loci son la più bella introduzione alla dogmatica, accusava i nostri di adoprare contra i nemici non armi di buona tempra, ma arundines longas.

La vera eresia di Lutero consisteva nell'impugnare l'autorità, rompere l'unificazione su cui è fondata l'indefettibilità della Chiesa, disperdere quelli congregati attorno all'unica mensa, col dare all'uomo la superbia di pensare da , e invece dell'umile acquiescenza alle definizioni dogmatiche e disciplinari della Chiesa, volere la comparazione tra l'infallibilità del vicario di Cristo, e la corruzione del papa figlio d'Adamo. I nostri avrebbero dunque dovuto insistere nel consolidare l'autorità della Chiesa, che conserva i comandamenti, le dottrine, i sacramenti, cioè le regole della verità e i mezzi della virtù. Ma non basta cogliere alcuni barlumi del vero, bisogna seguirlo fermamente in tutto il labirinto, coordinarne le parti, mostrarne l'insieme e la filiazione, evitare ogni soluzione di continuità, convincere che tale teoria è una dimostrazione, che con essa tutto si spiega, e niente v'è ad opporle. Religione inventata da uomini è un'assurdità: non può essere tale se non data da Dio: e come tale non può venire messa in discussione; ove compare il dubbio scomparisce la fede.

E appunto i gran savj c'insegnavano che la Chiesa è società d'anime legate innanzi a Dio da identiche credenze: e che, rappresentando la natura umana prima del peccato, decide tra le contenzioni, senza lasciare luogo a negare le sue asserzioni; mentre gli uomini, incapaci di qualificare gli errori, vacillano nella libera discussione. Chi dunque dice Chiesa, intende permanenza delle verità di fede; chi dice cattolica, intende unione di persone, che sopra esse verità ritengono quel che si ritenne sempre, da tutti, dapertutto. I nostri vescovi derivano in linea retta dagli apostoli; insegnano quel che essi insegnarono, sia ne' libri, sia a voce; e secondo la Chiesa lo interpretò nel modo che piacque allo Spirito Santo. Una sola fede, un solo battesimo, dice il Vangelo; adunque l'unità è carattere della vera Chiesa, come l'immutabilità è solo propria della verità; e, siccome Bossuet ben lo formolò, dice agli altri: «Tu cangi, e ciò che si cangia non è la verità».

Qual sublime spettacolo quell'armonico movimento d'innumerevoli intelligenze in ogni tempo e luogo, sicchè i popoli, discordi od anche ostili per politica, per invidia, per interessi, per indole, aveano una casa stessa dove, colle parole e coi sentimenti stessi, quasi all'ora stessa cantavano al Signore, e supplicavano i santi suoi per ottenere quella pace che il mondo non può rapire! E questa Chiesa è una, perchè figlia dello stesso Redentore; come lui è vera, è visibile; e se fu necessario un Dio presente per rigenerare il mondo, è necessaria la permanenza di esso nella Chiesa per conservare e svolgere l'opera della redenzione.

Ora quest'unità sarìa possibile ove a ciascuno fosse libero interpretare la Scrittura a suo talento? Iddio ha imposta un'autorità, che l'uomo sia obbligato riconoscere per conseguire il suo fine supremo? o lasciò che la nostra stirpe barcolli462 fino al termine tra l'abuso dell'autorità e l'abuso della libertà individuale?

I Cristiani credono il primo fatto: i Protestanti ritengono che tale autorità sia il codice scritto. Dicono che il proferire «Noi crediamo alla Chiesa mercè della Scrittura, e alla Scrittura mercè della Chiesa» è un circolo vizioso. Eppure al modo stesso l'autorità delle leggi deriva dal Parlamento, e il Parlamento esiste in forza della legge. Ma realmente alla Chiesa crediamo per l'autorità di Cristo; è un'accidente che quella fede sia deposta nella Scrittura; potrebb'essere in un altro libro o nella tradizione. Anzi nel Nuovo Testamento non vi è parola che mostri avere Cristo voluto diffondere la sua dottrina mediante la Bibbia; parla d'ascoltare, di predicare, di parole; non mai di leggere o di libro: non disse «Mandate un libro»: questo tampoco era scritto quando ordinò, «Andate e predicate»: potrebbero essere guasti i trentaquattromila suoi versetti: non vi si leggono gli articoli del Credo, che pure sono adottati da tutta la Chiesa.

Male si confonde la lettera della Bibbia, cioè l'involucro, colle verità divine che vi stanno: queste sole importa raggiungere; su queste sole fondansi le convinzioni religiose. Ma se a ciò adopriamo il senso personale, chi ci assicura che la nostra interpretazione sia conforme alla verità? introduciamo in quel libro un pensiero, concepito senza appoggio d'autorità superiore; e così non siamo certi di riposare sulle verità divine. Laonde quei soli che udirono Cristo avrebbero potuto erigere la loro fede su fondamento divino; gli altri divagarono, perfino a dedurre dal libro stesso la negazione della divinità di Cristo.

In realtà la Scrittura è infallibile, ma fallibile l'uomo che la legge, sicchè ha mestieri d'un'autorità che gliene ricavi la verità, e null'altro che la verità. Ora la Chiesa si professa custode del vaso ove fu deposta la dottrina di Cristo, e garante che lo spirito maligno non v'introdusse alcun errore: e colloca la sua autorità suprema nel ministero d'insegnamento, istituito da Cristo, nella parola vivente di Dio, nella promessa ch'e' diede agli apostoli d'essere con loro fino alla consumazione dei tempi, e «Chi ascolta voi ascolta me».

Pertanto l'autorità insegnante della Chiesa s'applica nel conservare perpetuo il senso e lo spirito della viva parola di Dio, e nel mantenerla pura e integra mediante un ajuto soprannaturale. Senza di ciò, la credenza non sarebbe che umana e subjettiva.

Ora l'uomo non apre l'anima se non a ciò ch'è improntato di superiorità; concede il suo assenso al pensiero, non alla forma; e questo pensiero divino è il solo che faccia autorità pel pensiero umano; l'anima vi si tranquilla; e l'autorità e la libertà si riconciliano.

La Chiesa è società governata da provvidenze sopranaturali. Il semplice credente accetta e adora; il pensatore svolge la propria ragione sopra i termini logici prodotti dall'analisi. Ma se in tale sviluppo analitico si trascendono i confini del soprannaturale, ecco rotta l'armonia che stabilisce la reciproca incolumità fra la ragione e la fede. Ripudiamo l'autorità vivente per attenerci unicamente alla Scrittura? Infinito stuolo d'opinioni umane pretendono impiantarsi su questa, quasi a provare che la Scrittura ammette ogni senso, cioè non ne ha veruno. Se ogni fedele può interpretarla a suo modo, bisognerà conchiudere che non è rivelazione divina, giacchè ci lascia in dubbio su quel che contiene, arriva a produrre fra' suoi seguaci un'intelligenza comune, durevole, inconcussa; e quindi disordine nell'intelletto, anarchia nella dottrina, dubbio e negazione nel pensiero. Ciò evita il Cattolico, credendo che la Scrittura contenga un senso unico e preciso, e l'ufficio dell'intelletto umano nella Chiesa consista nell'appropriarsi quel senso con sempre maggior precisione e chiarezza, alleando l'argomentare umano colla fede divina. Essenziale alla forza è l'unione; all'unione è necessaria l'unità della dottrina; questa non si conserva che sottomettendo l'individuale giudizio all'autorità, e vero cattolico non è chi non ha prosternata la debole sua ragione davanti l'autorità infallibile.

Il Protestante invece, tolta ogni connessione fra la coscienza del fedele e la direzione del sacerdote, pretende l'interpretazione privata, sia per lume di ragione, sia per ispirazione superna; laonde la religione, ridotta a mera opinione, non ha maggior valore che una scuola filosofica; abbandonata a cieca sentimentalità o ad immaginazione esaltata, oppure alle sottigliezze dell'argomentazione.

Ma o non v'è autorità superna che diriga la libertà degli uomini, o quella si trova nella Chiesa cattolica. E questa autorità non si estende che alle verità annunziate da Gesù Cristo: e non risiede in ciascun vescovo, bensì nel corpo dei vescovi uniti col pontefice.

Ripudieremo la tradizione? Questa sussisteva già nella legge ebraica: viepiù occorreva nella nuova, tanto meno particolareggiata. Fino dai primi anni del cristianesimo gli apostoli si adunarono per decidere intorno all'osservanza delle pratiche mosaiche, cioè intorno a punti, sui quali il Redentore non si era espresso. San Paolo scriveva a Timoteo: «Le cose che hai udite da me come testimonio, confidale a uomini i quali sieno idonei ad insegnarle anche ad altri»463. E san Giovanni: «Molte cose avrei a scrivere a voi, ma non l'ho voluto fare con carta e inchiostro, perchè spero venire a voi, e parlarvi faccia a faccia»464. Non tutto dunque si scriveva. Anche senza di ciò, come credere al testo sacro se questo non ci fosse trasmesso da un'autorità conservatrice, della cui infallibilità è garante Iddio? Ora quest'infallibilità del testo sacro, e la conservazione sua traverso ai tempi è ammessa anche dai Protestanti, come da noi l'infallibilità della Chiesa. Alla quale noi attribuiamo pure il diritto d'interpretare le sacre carte; e già san Pietro ne ammoniva: «Ponete mente che nessun pronunziato della Scrittura è di privata interpretazione»465: e delle epistole di Paolo diceva: «V'ha passi difficili, a intendersi che gl'ignoranti stravolgono, come le altre Scritture, per propria ruina»466. E san Paolo aggiungeva: «Fratelli state fermi, e tenete le tradizioni che imparaste sia per le parole, sia per le lettere nostre»467.

La Chiesa, spiegando le parole apostoliche dovette usarne di differenti. Anzi gli stessi evangelisti non hanno conservato l'identica forma della parola del Salvatore: e uno la riferì a un modo, l'altro all'altro. Viepiù bisognava farlo quando la Chiesa prendea di mira un dato errore, il quale aveva una propria terminologia e tesi proprie, che doveansi ribattere con antitesi convenienti. La dottrina sta invariabile: la forma differisce secondo il transitorio e l'umano.

L'accusa dunque di predicare la dottrina della Chiesa, anzichè quella di Cristo, quasi fra queste due soggetti v'avesse contrarietà, è assurda: giacchè, come il verbo s'è fatto uomo, e l'uomo e Dio in Cristo sono un solo figliuolo di Dio, così la parola divina s'è incorporata nella parola e nella società sensibile della Chiesa, venendo trasmessa e conservata per azione umana: non sono già due parole, ma la parola divina, umanamente promulgata.

Nel deposito della fede ci sono verità, non ancora state avvertite, o formolate, o esplicitamente insegnate. Fino dall'origine la Chiesa credette la divinità di Cristo, e la procedenza dello Spirito Santo, e la divina maternità di Maria, eppure questi dogmi formolò solo quando furono impugnati. E sempre, nel repulsare nuovi errori, più viva e decisa luce viene diffusa sopra quistioni supreme. Innanzi che san Paolo ribattesse quei che difendeano il Mosaismo, nessuno avea sì ben espressa l'eccellenza della fede evangelica. Col vagliare i dissensi nati tra i fedeli di Corinto, egli chiarisce gli oracoli divini sulla costituzione della Chiesa. Gli errori de' Gnostici e de' Manichei fanno porre in sodo la natura e l'origine del male, il contrasto fra la natura e la libertà, le relazioni della prima creazione coll'edifizio cristiano. Ario costringe ad esplicare la divinità di Cristo e la sua natura. Disputando co' Pelagiani si misura la debolezza e miseria umana coll'ajuto della Grazia.

Volendo all'intelligenza umana mettere meno vincoli che sia possibile, la Chiesa, finchè non si sollevi un errore patente e sostenuto da molti, non viene a una decisione ponderata, la quale dilucidi e stabilisca la verità. Possono dunque trovarsi espressioni poco esatte fino ne' più cauti; ma opinioni e sistemi particolari, usi o discipline d'un tempo, non sono la Chiesa, essa li consacra. Per quanto essa veneri sant'Agostino, non fe sue tutte le sentenze di quel massimo fra i dottori intorno al peccato originale e alla Grazia. Onde a torto gli avversarj attaccano, come fossero dottrina della Chiesa, alcune opinioni speciali, talvolta ripescandole in autori oscuri; ovvero usanze e riti che la Chiesa non sanzionò mai; distinguono l'accidente dall'essenza, dalle opinioni d'alcuni teologi i dogmi; vale a dire ciò, e ciò solo che qual parola di Dio viene proposto dalla Chiesa468. Di questo ella è custode, non giudice di opinioni subjettive, sinchè a quello non si oppongono469.

V'ha preghiere e riti che, indipendenti da fede intima, non racchiudendo veruna santa emozione, non diffondendo unzione raccoglimento, pure rispondono agl'indelebili istinti dell'uomo; esprimono l'amore di lui per Dio in tutte le cose, e per tutte le cose in Dio; la penitenza d'un fallo primitivo, origine d'ogni male in terra, il proposito di espiare le colpe personali mediante la fede e le opere, queste essendo morte senza di quella, e quella essendo vana senza di queste; la speranza in un Dio vivo, e di possederlo nella beata eternità.

La poesia, l'entusiasmo hanno un linguaggio, che non pretende a dogmatica precisione. Perchè cercare in un inno, in qualche legenda, nel calore d'una predica, nell'immaginoso idioma del vulgo, espressioni che non reggono al crogiuolo della rigorosa teologia? Il tenere le immagini era proibito dalla legge mosaica. Che monta? non era proibito da quella il lavorare al sabato o il mangiare majale, e ordinato il circoncidersi, e tant'altre prescrizioni e divieti accidentali? Di rimpatto la Chiesa adottò moltissime usanze che già erano de' Pagani, o che s'attengono alla natura stessa dell'uomo nel fondo loro come nell'abuso; o convertì a santa significazione quel ch'era profano, ergendo coi vasi tolti all'Egitto un tabernacolo al Dio vivente. Già s'avea luoghi dedicati a un dio speciale; divinità invocate per certe malattie, per certi eventi, o scelte a patrocinio di alcuni mestieri o professioni; si faceano voti e pellegrinaggi: si usava l'acqua lustrale; si feriava in certi tempi, appunto come fa il cristiano. Che importa? il fedele, quand'anche nol professi dottrinalmente, pone il debito divario fra Dio e i santi suoi; non riconosce in questi se non speciali intercessori, quasi l'uomo, sentendosi indegno di avvicinarsi immediatamente al trono supremo anche dopochè gliene aprì l'accesso il Cristo, interponga altri che furono sottoposti ai bisogni, alle debolezze, ai peccati suoi stessi; veneriamo le ossa che aspettano la glorificazione; baciamo le reliquie per attingerne una virtù benefica e proponimento e forza d'imitarli. E Maria? culto pietoso e consolante, che presentando il tipo de' sentimenti più dolci in natura, il pudore della vergine e l'amor della madre, la rassegnazione dell'afflitta e il trionfo della martire, immacolata fin dal concepimento, eppure avvocata de' peccatori; si addatta alle miserie della vita porgendosi interceditrice innanzi al giusto, qual madre dell'uomo e donna de' dolori, e realizzando fuor di Dio tutte le qualità affettuose, di cui l'umanità non può far senza, sia nel culto, sia al focolare470.

Chiunque crede Dio, crede che nulla è a lui impossibile. In conseguenza non ripugna da que' fatti che Dio compie indipendentemente dalle cause seconde, e che si chiamano miracoli. Ciò non porta a credere tutto, degradando le legittime ragioni della critica, ad accettare i delirj della superstizione, le illusioni dell'ignoranza, i vezzi della fantasia, costituenti una mitologia cristiana, che ogni credente discerne dalla verità471. Filosoficamente ogni miracolo è un fenomeno; teologicamente ogni fenomeno è un miracolo: quanto al finito, tutto è opera di natura; tutto è opera di Dio quanto all'infinito.

Il miracolo, in tempi di credenza, diveniva una delle condizioni ordinarie dell'azione di Dio sopra il mondo; il risultato naturale dell'innocenza, restituita per mezzo del sagrifizio; e talvolta, a forza di fissar l'attenzione nell'ordine della Grazia e del soprannaturale, si perdè l'intelligenza della semplice natura e della giustizia umana.

Venuti secoli d'esame, si ripudiò una quantità di quelle legende; pure sono registrate secondo le pie tradizioni di età abituate a vivere di fede; registrate però e senza mettere limiti all'onnipotenza di Dio, il quale ha ricchezze infinite pe' cuori semplici e fedeli; e senza assegnare quanta certezza abbiano472.

Tutto insomma si concorda, purchè si ami. Caddero abusi nella Chiesa? Chi il nega? Scopriamoli, correggiamoli, ma è egli giusto ripudiare la verità perchè se n'abusò?

Nella Chiesa accanto alla verità e ai precetti rivelati, stanno l'insegnamento, la giurisdizione, il ministero. Il dogma eleva l'intelligenza fin al soprannaturale. La morale segna chiaramente la giustizia, e la inculca mediante la carità. Il ministero deve perpetuar nella Chiesa sotto segni visibili la divina istituzione della giustificazione pei meriti di Cristo, e del santificamento per la comunicazione dello Spirito Santo.

Il dogma dev'essere annunziato e in parte spiegato: la morale dev'esser ridotta a notizia de' fedeli; il ministero deve compiersi per provvedere ai disegni della comunione de' Fedeli: laonde son elementi necessarj della Chiesa il dogma, la legge, il sacerdozio.

Pertanto il clero non può separarsi dalla Chiesa cattolica, se vuolsi ch'ella sia organata e vivente. Se venisse modificato nel triplice suo cómpito, le relazioni colla Chiesa ne resterebbero lese. Ad esso venne affidato il giudizio delle azioni umane in ordine alla vita eterna, «Come il padre mandò me, così io mando voi»; ciò è detto agli apostoli e legittimi successori, non ad altri; come agli apostoli fu detto di far in commemorazione la santa Eucaristia, cioè i ministeri più elevati.

Nella costituzione storica e giuridica della Chiesa coesistono dunque, i battezzati, semplici credenti: gli apostoli, con prerogative comuni a Pietro, quali sono la speciale vocazione473, la podestà di legare e sciogliere474, il magistero dell'insegnare475, la missione di rigenerare e salvare i credenti476, la facoltà di ordinare i successori477, l'indefettibilità dei doni e delle promesse478. A tutti sovrasta Pietro, fondamento singolare della Chiesa479, a cui sono affidate le chiavi del regno de' cieli480, l'offizio di pascere e di reggere gli agnelli e le pecore, cioè e i fedeli e i loro capi481; la stabilità della fede e l'uffizio di confermarvi i fratelli482; promettendogli l'indefettibilità, come fondamento della Chiesa483.

Viene così a costituirsi un accordo di monarchia, aristocrazia, democrazia, come tre elementi, non tre poteri. L'aristocrazia de' vescovi partecipa di tutte le prerogative del capo, eccetto il primato: ad essi soli Gesù Cristo impartì la gerarchia della giurisdizione: i preti son loro cooperatori, con giurisdizione non ordinaria, ma delegata e varia, che ricevono potenzialmente, non effettivamente coll'Ordine.

Sotto alla gerarchia sta la democrazia, l'universalità de' fedeli, la plebs, tutti figli di Dio, fratelli di Cristo, senza distinzione di classi o di nazioni, godendo la fratellanza, l'eguaglianza, la libertà.

Hanno essi diritto nel governo ecclesiastico?

La Chiesa è d'origine soprannaturale, sicchè opinioni o volontà umane nulla valgono nello scopo suo, ch'è di effettuare e propagare il sacramento di Dio per Gesù Cristo. E Cristo, il cui regno non era come quelli del mondo, non la affidò a re o a popoli, ad assolutismo o a suffragio universale, bensì all'ispirazione dello Spirito Santo. La consacrazione ai pastori non è data dalla plebe: onde neppur la giurisdizione; la sua forma può andare mutandosi, come ne' governi umani. Però noi plebe de' Fedeli abbiamo diritto di essere ben governati, con carità e riverenza, rettamente ammaestrati, fatti partecipi de' sacramenti: la scienza ci diritto di rimostrare, come abbiam veduto fare i più gran santi; la giustizia deve aver le sue forme, i suoi gradi, i suoi appelli; se ne devono accettare le pene, e il potere coattivo interno ed esterno secondo i tempi. Tal è la costituzione ecclesiastica.

Siffatti press'a poco saranno stati gli argomenti addotti dai nostri contro i novatori, e già indicammo i primi combattenti. Per toccare qui solo de' nostri, il già lodato cardinale Contarini484 scrive con garbo e chiarezza, ma mostrasi filosofo arguto più che profondo teologo; tradusse gli Esercizj di sant'Ignazio, del quale era amico: poi fallitagli la concordia di Ratisbona, si restrinse a cercare la riforma morale dei vescovi di Germania. Messo legato a Bologna, potè spiegare e zelo, e carità, e qui serva ricordare come, avendo saputo che un gentiluomo parlava licenziosamente di Dio e della religione, lo prese suo domestico, e coll'esempio e le ragioni lo vinse di modo, che anche dopo la morte del suo benefattore egli ripeteva: «Di questi prelati ci vorrebbero, che sapessero cavare le anime di mano al diavolo fin sotterra».

Alvise Lippomano, pur di Venezia, vescovo di Modena, di Verona, di Bergamo, versato nelle lingue, essendo nunzio in Germania cercò «sterpar la mala erba luterana», compilò il catalogo degli antichi interpreti greci e latini della Genesi, dell'Esodo, dei Salmi, e stese la Confermazione e stabilimento di tutti i dogmi cattolici, con la subversione di tutti i fondamenti delli moderni eretici (Venezia 1553), e in sei volumi le vite dei santi, con critica maggiore della consueta, e conservando molti preziosi racconti di greci e latini. Possiamo aggiungere il cardinale Marino Grimani vescovo di Ceneda e patriarca d'Aquileja, che l'epistola ai Romani commentò in senso opposto ai reluttanti; Girolamo Amedei, servita senese, spedito in Germania; il domenicano Silvestri che fece un'Apologia della convenienza degli istituti cattolici colla evangelica libertà; Ambrogio Fiandino da Napoli, agostiniano, che già aveva confutato il Pomponazio, senem delirum, maledicum, patriæ vituperium, e dettò contro Lutero tre opere non mai stampate; Cristoforo Marcello veneziano, arcivescovo di Corfù, e famoso per dottrina non meno che per disgrazie. Alla Magliabecchiana conservansi in cinque grossi volumi manuscritti Disputationes variæ v. fr. Nichola Stufæ O. Pr. habitæ in variis locis Galliæ et Germaniæ contra hæreticos calvinistas et luteranos, ma non ci parvero di forza sufficiente485.

Spesso lo zelo dava ombra; e Andrea Bauria, ferrarese agostiniano, vigorosissimo predicatore contro i vizj, fu messo in sospetto a Leone X, il quale fece sospendere la stampa del suo Defensorium apostolicæ potestatis contra Martinum Lutherum. Anche frà Girolamo da Fossano, che abbondevoli frutti coglieva nelle valli subalpine dei Valdesi, fu sospettato d'eresia e sospeso dal predicare finchè si provò innocente, e scrisse una delle migliori difese della messa contro Lutero (Torino, 1554).

Maggior rumore levò Ambrogio Caterino. Nel secolo era stato Lancellotto Politi senese, studioso delle leggi quanto solevasi nella sua patria, della cui libertà fu fervoroso difensore. Studiò anche dieci anni a Parigi, e di trenta resosi frate, mostrò elegante dicitura, chiarezza, metodo, leale esposizione delle objezioni, ampio sviluppo degli argomenti, estesa dottrina ma litigiosa, per la quale vedendo eresie dapertutto, s'abbaruffò anche co' teologanti cattolici; e spirito indipendente, non si chinava all'autorità di san Tommaso o di sant'Agostino o d'altri. Benchè domenicano, asseriva l'immacolata concezione di Maria; contro san Tommaso sosteneva che Gesù Cristo sarebbe venuto al mondo, quand'anche Adamo non avesse peccato; nei commenti sui primi capitoli della Genesi e sulle Epistole canoniche, non esita a combattere spesso il cardinale Cajetano, imputandolo d'interpretazioni umane e opinioni singolari; nel trattato della Grazia, asseriva potersi esser certi della giustificazione, dottrina simile alla luterana, che gli fu ribattuta; sulla predestinazione credeva che pochi fossero eletti assolutamente, ma per un gran numero il decreto fosse condizionale; che i bambini morti senza il battesimo godono una felicità conveniente, e sopratutto non esser necessario che il ministro de' sagramenti abbia l'intenzione di far cosa sacra, purchè ne adempia le cerimonie. Lettere di gran lode gli scriveva il Sadoleto, e trovava eccellente il libro suo sul peccato originale e sulla giustificazione, materia tanto difficile, intorno alla quale erangli rimasti certi dubbj, che a tempo più calmo intendeva comunicargli; pure assicurandolo non aver letto nulla di più erudito e dove gran dottrina fosse accoppiata con tanta prudenza e vera religione486. Oltre un Discorso contro la dottrina e le profezie di frà Girolamo Savonarola (Venezia 1548), dove attacca i costui seguaci, scrisse De cælibatu adversus impium Erasmum; Quæstiones duæ de verbis quibus Christus SS. Eucharistiæ sacramentum instituit, opera che fu proibita; e un trattato De libris a christiano detestandis et a christianismo penitus eliminandis, ove un capitolo è intitolato: Quam execrandi sunt Machiavelli discursus, et institutio sui principis. Osteggiò i varj eretici nel Rimedio alla pestilente dottrina di frà B. Ochino (Venezia 1544, nel Compendio d'errori ed inganni luterani (Firenze, 1520) dedicato a Carlo V. Nei Libri V adversus Lutherum, egli diceva all'eresiarca: «Se la Chiesa non è che in ispirito, come si potrà riconoscerla sulla terra

Lutero rispondea che la Chiesa è unicamente interiore, ma che i caratteri ai quali distinguerla sono il battesimo, la cena e sopratutto il Vangelo. Ma non sono questi appunto che fan della Chiesa una istituzione visibile?

Il Caterino fu vescovo di Minore, poi arcivescovo di Consa ed uno dei più operosi al Concilio di Trento, ove i suoi discorsi erano volontieri ascoltati per una certa franchezza, per la quale pareva inchinar verso gli eretici, mentre era soltanto vaghezza di farsi nominare colle novità: uomo (dice il cardinale Pallavicini) di somma reputazione ne' suoi atti, di minore nelle sue opere, forse non favorito in esse dalla universale opinione altrui; ma nelle contese cogli eretici e nelle funzioni del Concilio non inferiore d'applauso a veruno de' coetanei e de' colleghi. Morì settuagenario nel 1553.

Altri potremmo cercare, e avremo occasione di nominare, ma una rigorosa ed assoluta confutazione dell'errore, una sapiente e compita esposizione della verità non apparve; tampoco sorse tra' nostri chi, come il tedesco Erasmo e lo spagnuolo Melchior Cano, ristabilisse le vere nozioni sulla teologia e le pruove di cui essa si vale. Confutavasi dialetticamente, anzichè sistematicamente; dissertavasi sovra punti particolari, e davanti al tribunale inferiore della ragione individuale, anzichè incalzare gli avversarj entro barriere solidamente piantate, col mostrare che l'individuale interpretazione distrugge l'essenza della società spirituale, distruggendo la fede. Togli alla verità il carattere obbligatorio, essa rimane indistinta da qualsivoglia errore, il Protestante può condannare l'ebreo, il deista, l'ateo, se non coll'opporre alla ragione di questi l'autorità.

Poi ad ogni quistione s'immischia una turba di bersaglieri, che vuol venire alle braccia senza sapienza, gusto, modestia, e perciò temeraria e trascendente. Nel procedere del racconto incontreremo scritti di rabbia, ed esagerazione, e titoli beffardi. I Protestanti chiamavano noi papisti, poi s'adontavano se noi li chiamavamo luterani; quelli della Confusione Augustana; a troppi mancava quella salutare diffidenza dei proprj giudizj, che si chiama umiltà.

Tipo di costoro fu Girolamo Nuzio, nome che mutò in Muzio (1496-1576), aggiungendo justinopolitano perchè, sebben nato a Padova, era oriundo e cittadino di Capodistria; uno de' più fecondi scribacchianti del suo tempo. Servì da segretario a varj personaggi, fra cui al marchese del Vasto, a don Ferrante Gonzaga governator di Milano, al conte Claudio Rangone, col quale passò in Francia; azzeccò risse con molti letterati, e si segnalò nella scienza cavalleresca, come chiamavano allora la teorica de' duelli; i quali vedendo non si potevano abolire, pensò sistemare, dandovi un'infinità di regole minuziose, come interviene ogniqualvolta s'introduce il casismo.

Il celebre Flaminio, scrivendo a messer Luigi Calino di Brescia intorno al fiorire delle buone lettere dice: «Fra gli ingegni ho sempre numerato quello del nostro messer Muzio, del quale avendo concetto una bellissima speranza, come potrei fare che non mi dolesse sommamente vedendo che così nobile pianta, per essere mal coltivata degeneri, e donde si aspettavano frutti soavissimi ed eccellentissimi, si raccolgono lambrusche e sorbe487? Innumerevoli sono le opere sue, ed egli stesso il titolo di quelle che uscirono «dalla penna ad uomo, che dal xxi anno della sua età fino al lxxiv ha continuamente servito, ha travagliato a tutte le Corti della cristianità, e vissuto fra gli armati eserciti, e la maggior parte del suo tempo ha consumato a cavallo, e gli è convenuto guadagnarsi il pane delle sue fatiche». In dieci canzoni celebrò separatamente il viso, i capelli, la fronte, gli occhi, le guance, la bocca, il collo, il seno, la mano, la persona della sua amata; insieme traduceva i testi greci per comodo della storia ecclesiastica del Baronio. Côlto da grave malattia nel 1552, protestò voler «dare al servizio di Dio questo poco tempo che avanza, rivolgendosi tutto agli studj sacri»: ma don Ferrante lo persuase a rimanere a' suoi ordini. Morto che questo fu nel 1557, il Muzio passò ajo del principe Francesco d'Urbino, cui diresse un Trattato del principe giovinetto. Ne' viaggi avendo osservato i costumi de' Protestanti, non gli parvero quali dai lodatori erano vantati, e la loro dottrina confusione ed abusione; e accintosi a combattere la comunione del calice a' laici, il matrimonio de' preti e le altre novità, sostenne che non fosse necessario adunare un Concilio; dissuase Lucrezia Pia de' Rangoni dall'abbracciare gli errori diffusi tra i Modenesi; ebbe dall'Inquisizione romana l'incarico di far bruciare tutte le copie del Talmud nel ducato d'Urbino, e d'informarla di quanto scoprisse di men religioso, principalmente a Milano. Ove udendo predicare Celso Martinengo, lo denunziò al Sant'Uffizio, e poichè questo non osava prenderlo, citollo egli stesso ad esame, e lo incarcerava se non fosse fuggito. Di ciò i Milanesi gli presero un male a morte qual a persecutore, finchè non seppero che il Martinengo era stato assunto pastore degli Evangelici in Ginevra, dove l'effigie del Muzio fu chiassosamente bruciata. Del Vergerio, vescovo di Capodistria, era stato amico d'infanzia; ma come questo sviò, non che lasciarsene sedurre, non ommise alcun tentativo per richiamarlo al vero, e frustrati i consigli amichevoli, scrisse contro di lui al popolo di Capodistria (1550), e più dopo ch'ebbe apostatato.

Nei Tre testimonj fedeli, librando le dottrine de' santi Basilio, Cipriano, Ireneo, convince di falsità Erasmo ed altri; a sostegno del sinodo di Trento scrisse principalmente il Bullingero riprovato; l'Eretico infuriato contro Matteo Giudice professore di Jena; la Cattolica disciplina de' principi contro il Brenzio. L'Antidoto cristiano, la Selva odorifera, la Risposta a Proteo, il Coro pontificale, le Mentite Ochiniane, le Malizie Bettine (1565), la Beata Vergine incoronata, erano i bizzarri titoli d'opere sue, buttate giù con violenza e scarsa critica, svelenendosi colle persone, anzichè teologicamente incalzare l'errore; modo di farsi leggere dal vulgo, non di vantaggiare la causa del vero.

Pio IV avealo favorito; viepiù Pio V, che l'usò ancora a scrivere contro gli eretici, principalmente contro l'Apologia per la chiesa anglicana del vescovo Jewel; poi contro le Centurie Magdeburghesi che pretese confutare in due libri di storia sacra (1571). La morte di quel papa lasciò il Muzio sprovvisto488, sicchè al duca Emanuele Filiberto di Savoja scriveva qualmente, in cinquantaquattro anni di servizio, non avesse saputo assicurarsi cinquanta quattro soldi di rendita. Fedele alle pratiche, frequentava la messa e i sacramenti, recitava ogni giorno i salmi penitenziali: eppure qualche sua egloga sente di carne, come confessa che in fatto di continenza era «ancor atto più ad esser ripreso che a riprendere».

L'Aleandro al Sanga scrive da Ratisbona il 14 marzo 1532 d'un Paolo Riccio medico, da lui conosciuto in Italia trent'anni fa, dotto ebreo convertito, passato poi a' servigi della Casa d'Austria, ed entrato anche nel consiglio dell'imperatore, il quale scrisse libri in difesa della fede, ma inserendovi cose che sentono di giudaismo. Allora essendo ancora i tempi che tutto tiravasi a buona interpretazione, non vi si badò. Nate poi le discussioni, il Riccio cercava convertire Luterani, ma sempre mettendo avanti qualche dottrina men sana: poi fe stampare un libro, ove, supponendo la Chiesa divisa in due parti quasi eguali, mostrava volersene far mediatore. Cascò in molti errori, contro i quali scrisse il Fabro; e il Riccio, convinto si ritrattò489.

Alberto Pio signore di Carpi, che molto figurò nelle vicende del suo tempo e come principe e come ambasciadore, studioso quanto devoto, in mezzo a tanti affari coltivava l'amicizia dei dotti, e scrisse egli medesimo varie opere, anche sulle controversie d'allora, e contro Lutero. S'indispettiva egli degli incessanti frizzi da Erasmo lanciati agli ecclesiastici; pareagli indebita la cortesia usatagli da papi e prelati; e ne sparlava alla sbracciata in Roma. Erasmo, tenero in fatto di lode, se ne lagnò con Celio Calcagnini, il quale interrogatone Alberto (1525), n'ebbe una lettera lunghissima, dove, lodando l'ingegno di Erasmo, l'imputa d'aver dato origine o fomento alle nuove eresie, ed analizza molte opinioni di esso, trovandole o simili o identiche a quelle di Lutero.

Intervenne in quel tempo il sacco di Roma, dal quale tanti letterati ebbero a soffrire ed anche il Pio; il quale poi a Parigi stampò essa lettera, cui Erasmo ne replicò un'altra, che ebbe postille dal Pio. Ivi Erasmo gli risparmia le ingiurie, ma in epistole private lo malmena, fino a supporre che quello fosse lavoro di Giovan Genesio Sepulveda di Córdova. Il Pio stese poi un'opera ove censura le opinioni di Erasmo, e confuta lui e i novatori del tempo, massime intorno al libero arbitrio, schivando l'argomentazione scolastica, e procedendo con erudizione ed eleganza, più che con forza. L'opera comparve postuma490, sicchè Erasmo potè con sicurezza attaccarla: anzi in un dialogo De funebri pompa Alberti Pii lo beffa dell'esser voluto morire in abito da francescano491.

Ma Erasmo stesso, eminentemente letterato, sicchè il principio intellettuale lasciava prevalere al principio mistico, non potea gradire la Riforma, che rinnegava492 il bello493. Come tant'altri avea sperato che il progresso delle lettere e delle arti addolcirebbe i costumi, e schiarirebbe gli spiriti, per modo da dissipare le superstizioni; lo studio della Bibbia purificherebbe le credenze e raddrizzerebbe gli errori; i monaci si restringerebbero nella propria sfera, facendo dei conventi tanti ricoveri di studio, di pace, di pietà; Leone X, avviluppato negli intrighi politici della sua famiglia, frenetico d'armi come Giulio II, attuerebbe la riforma e il trionfo della verità insieme e del bello: egli stesso credea contribuirvi col saettare i disordini, gli eccessi, le abjezioni.

A queste illusioni lo strappavano le trasmodanze della Riforma, che violentemente diroccava ciò ch'egli non volea se non rimpedulare. Confessò che sulle prime aveva ammirato questo Lutero, il quale a testa alta veniva flagellando i vizj del suo secolo e i vescovi imporporati, chinavasi ad alcuna maestà, neppure all'antistite supremo; e con mano santamente libertina svelava fino le nudità del padre494. Al cardinale Campeggio scrive: «Non lessi dodici pagine di Lutero, e anche queste fretta fretta: pure vi ho riscontrato di belle qualità naturali, e una singolare attitudine a scoprire l'intimo senso delle Scritture. Ho inteso persone savie, d'esemplare pietà, d'intera ortodossia compiacersi d'averne letto i libri; anzi, quanto i suoi avversarj aveano maggior virtù, e s'avvicinavano alia purezza evangelica, tanto erano meno ostili a Lutero, e, pur non partecipando alle sue opinioni, ne lodavano grandemente la vita». E meglio esclamava: «Piacesse a Dio che ne' libri di Lutero s'incontrasse meno di buono, o che il bene non fosse corrotto da tanta malizia!» Ma colla solita ironia, al priore degli Agostiniani che gli chiedea «Finalmente che cos'ha fatto quel povero Luterorispose: «Ha fatto due grossi peccati: attentò alla tiara dei papi e al ventre dei frati».

Leon X avea scritto ad Erasmo per tenerlo in fede, e perchè adoprasse il suo ingegno a difesa della verità495. Ma per difendere la verità ci vuol coraggio, e nulla lo toglie più che la smania della popolarità.

Celio Calcagnino, illustre filologo, pure non ciceroniano, che a Ferrara aveva complimentato Erasmo in un latinopuro e facondo da renderlo mutolo e incapace di rispondere496, spedì ad Erasmo un suo manuscritto De libero arbitrio in confutazione di Lutero: ed egli lo ammirava, e «Per gloria del vostro nome lo farei stampare, se non fosse uno sciagurato passo, ove mostrate credere che io mi compiaccia a questo spettacolo di religiose capiglie, standomene a bocca badata e colle mani in mano davanti al cinghiale che devasta la vigna del Signore».

Come cercò mitigare le escandescenze di Lutero contro il pontefice, così disapprovava questo d'aver proceduto con rigore. Appena salì papa Adriano VI, ch'era stato suo condiscepolo nella famosa scuola di Deventer, Erasmo gli scrisse persuadendolo alla mansuetudine, ma presto s'accertò che non era più a sperare una riconciliazione. E diceva: «Ciò che mi colpisce di più in Lutero è che, qualunque cosa tolga a sostenere, e' la spinge all'estremità. Avvertitone, non che mitigarsi, cacciasi più avanti, e pare non voglia che passare ad eccessi maggiori. È un Achille, la cui collera è indomita. Aggiungetevi la gran riuscita, il favore dichiarato, i vivi applausi di tutta la scena, e c'è di che guastare anche uno spirito modesto».

Incalzato a confutarlo, Erasmo rispondeva: Nunc Luterus scribit in se ipsum, videns rem alio verti quam putarat, et exoriri populum non evangelicum sed diabolicum, cum interitu omnium bonorum studiorum.

E nelle lettere: «Qual cosa più detestabile che l'esporre le ignoranti popolazioni a udir trattare pubblicamente il papa d'anticristo, vescovi e preti da ipocriti, la confessione da pratica abominevole; le espressioni di merito, di buone opere, di buone risoluzioni da pure eresie, e professare che la nostra volontà non è libera, che tutto avviene fatalmente, e che poco monta di qual sorta siano o possano essere le azioni degli uomini497Dopo gli onori dell'attacco voleva dunque anche gli onori della resistenza. Ma conservarsi neutrale fra partiti debaccanti era egli possibile a personaggio sì in vista? Sospetto agli uni e agli altri, troppo indipendente per Roma, ove Pasquino applicavagli il virgiliano Terras inter cœlumque volabat; troppo esitante per Lutero: i Protestanti, che, atteso il suo odio pei frati, s'erano immaginati d'averlo per corifeo, perduta questa speranza, gli si avventarono, attribuendogli occhio d'aquila, cuor di capretto; ed egli allora uscì a combatterli sul punto vitalissimo del libero arbitrio. Non combatteva però da avversario o da papista, e solo indignavasi di tanti o sbagli o frodi nelle citazioni: ma se l'opera mancava di nervi, traeva autorità dal nome: e Lutero, che prima celiava della costui pretensioni di camminare sopra le ova senza schiacciarle, e ripeteagli che lo Spirito Santo non è scettico, allora gli s'avventò con ingiurie, quali solevano suggerirgliele i bicchieri. Anche l'insigne Girolamo Accolti, che poi fu cardinale, da amico di Erasmo divenuto avversario, ne dipinse sinistramente il carattere. Altrettanto fece il Sadoleto, che fu detto il Fénélon italiano.

Primo Conti milanese, uno dei primieri discepoli di san Girolamo Miani, andato in Germania per opporsi alla propagantesi eresia, si lusingò di convertire Erasmo, al quale scrisse firmandosi Primus Comes mediolanensis. Il dotto credette questo il titolo di qualche gran signore, e gli si fece incontro con molta cerimonia; poi vistolo arrivare senza nemmanco uno stalliere, rise dello sbaglio, pur protestando veder più volentierivalente letterato che qualsifosse grande. Ma il Conti non fece alcun profitto col tepido.

L'Aleandro da Brusselle, il 30 dicembre 1531, scrive al Sanga che Ecolampadio a Basilea assicurò aver molti fautori in Fiandra, Inghilterra, Francia, Italia: in Ispagna pochi per le diligenze dell'Inquisizione; ma soggiunge che gli Ebrei s'industriano di farvi penetrare il luteranismo, sol per danneggiare la fede nostra. E che colà, non osandosi parlare liberamente di Lutero, perchè già condannato, mettono in cielo Erasmo, e fanlo «adorare in quel paese, dove ci sono de' suoi libri assai, già tradotti in quell'idioma; dico di quelli pericolosi: di modo che, trattandosi per la Inquisizione di condannare le sue opere, per favori diversi fu fatta inibizione che non procedessero. Ed ora che è condannato a Parigi, costoro impazziscono, perchè ben vedono che la Chiesa universale seguiterà quella sentenza parigina in questa parte. E già undici anni, io lo dissi ad Erasmo in questa propria terra, pregandolo che mutasse alcune cose ne' suoi scritti ed alcune altre mitigasse, altramente tenesse per certo che, lui vivo o morto, sarieno condannati detti luoghi.... E ben si sa che, se non fosse per irritarlo a far peggio, già la sede apostolica avria condannato molte delle sue cose, non ostanti i favori che gli si usano etiam per li nostri summati, e da quelli che fanno il santo, per essere laudati da lui in un'epistola: e così abnegat Christum minimæ gloriolæ causa»498.

Erasmo vedea benissimo d'avere insegnato quanto or insegnava Lutero499: diceasi proverbialmente, aut Erasmus luterizat, aut Lutherus erasmizat; ma egli è un altro esempio del quanto potesse spingersi innanzi la critica sopra la Chiesa, pur senza rompere il legame della carità; e ci spiega la franchezza di quelli, che a torto i Riformati vollero considerare come loro precursori, e la speranza che lungamente si nutrì di riconciliare i dissidenti colla Chiesa universale500.

Disgustato da quel gran movimento, a cui avea dato di sprone, ma non valeva a mettere il freno; aborrendo la scostumatezza e i disordini soliti dei fuorusciti501, incapace di essere capitano, insofferente di servir da gregario; conculcato, come sogliono essere tutti i precursori, dalla folla che li trascende; invano ricredendosi, e fin ritrattandosi su molte parti di quel suo ghigno letterario, ch'era stato il lampo ai tuoni della calunnia e della negazione, moriva in Basilea, dopo provato quanto facilmente un popolo tramuti i suoi idoli dall'altare al dimenticatojo. E un altro retore, capoameno, che aveva egli pure fatto un elogio della pazzia, il bizzarro milanese Ortensio Lando, ne canzonava la fine col Dialogo lepidissimo502. Così era beffato il beffardo; il quale rimarrà tipo di quel torbido d'indifferenza, che fattosi una gloria della propria perplessità, si attribuisce a merito il risparmiare qualche tradizione; che posa principj, e non ardisce tirarne le conseguenze; che non applaudisce all'errore ma lo titilla; che vede la verità, ma non osa abbracciarla, come Pilato dondolandosi fra la giustizia e la popolarità, fra Cristo e Barabba.

Pure Erasmo avea toccato un punto principalissimo della controversia allorchè intimava: «Voi vi riferite tutti alla parola di Dio, e ve ne credete gl'interpreti veraci; ebbene, mettetevi d'accordo tra voi, prima di volere dar legge al mondo».

In quella vece il disordine dagli intelletti trasfondeasi alle volontà e da queste alla vita e privata e sociale: e prima ne risentì la Germania, volta tutta a capopiede. Le quistioni religiose, per quanto pajano astratte, non può farsi che non penetrino nelle viscere della società, e in un sistema teocratico quale avealo introdotto il medioevo, non si tocca la fede senza scompaginare lo Stato. Il cristianesimo avea dato soluzioni, non negative come la scienza d'oggi, ma positive alle quistioni capitali dell'uomo e della società, e conduceva a conseguenze effettive nella religione, nella morale, nella politica, nell'arte; donde istituzioni e leggi certe e un andamento storico sociale. Ora il protestantesimo lo sovvertiva, rivocando in dubbio i canoni fondamentali. Tendendo esso non tanto a condur l'uomo alle azioni più benefiche, quanto a trasformare i moventi dell'essere suo, ruppe nell'economia religiosa e sociale dell'umanità i due legami a cui si attiene la suprema nozione del diritto; il legame intimo che stringe l'uomo a Dio nell'eternità, mediante la coscienza; e il legame imperioso universale che lo sottomette ad una legge objettiva, ad una autorità esteriore nel tempo; e presumendo sistemare la vita umana senza riflesso al dogma, non surrogò all'antico un nuovo sovrano di diritto, ma abbandonò la società alle potestà temporali, sovrane di fatto; all'autorità che persuadeva surrogò il comando che costringe; trasferì l'infallibilità dall'intelligenza e dalla rivelazione alla forza e ai decreti. L'individuale interpretazione toglieva l'universalità dei principj, e i canoni accettati come senso comune; non era più la Chiesa che giudicasse gl'individui, ma essi lei; e l'individuo era nel bivio di rinunziare a credere, di compaginarsi da la propria credenza. I figli dunque dissentivano dal padre; i fratelli ai fratelli contraddicevano, le mogli ai mariti; la scossa domestica si propagava alla società civile, dove ciascuno pretendeva operare a proprio senno, dacchè a proprio senno pensava; al diritto, alla morale, fin unicamente piantati sulla religione, mancava ogni appoggio al mancar di questa; e ribellato il pensiero alla fede, gli uomini trovarono spento il faro che gli avviava, allora appunto che imperversava la procella. Ognuno fonda una Chiesa nuova, che domani cessa per mancanza d'accordo e d'autorità: ogni predicante del minimo villaggio credesi autorizzato a divenire fondatore di una religione, senza che alcuno valga a mettervi ordine. I vulghi sorgevano domandando ai nuovi apostoli «Che cosa dobbiamo fare?» Ma è appunto in tempi siffatti che i guidapopoli non sanno quel che fare, e una mano scassina quel ch'è posato dall'altra.

Il fedele, trovatosi sacerdote e papa, volle anche esser re; possedendo le doppie chiavi, ne' dubbj non ricorreva all'autorità, ma al proprio giudizio; l'indagine dal sistema ecclesiastico si voltò sul laico, ch'era tanto peggiore, e ne cominciarono rivoluzioni e il predominio della forza. Erasi elevato il potere spirituale affine di impacciar il temporale; ora si volle restituire ai re la dittatura pagana: sempre l'eccesso.

Melantone, che tanto aveva procurato prevenirle, allora gemeva sulle sconcordie, e ne presagiva di peggiori da quella sfrenatezza, da quel rinnegamento d'ogni autorità, e «Tutte l'acque dell'Elba non mi basterebbero a piangere le sventure della religione e del paese».

Il cardinale Sadoleto, nell'orazione ai principi tedeschi esclamava: «Quest'anni passati vedemmo di voi quel che giammai avremmo creduto. Dianzi vivevate in pace e concordia tra voi, ora siete nel dissenso più atroce. Dio e i celesti tutti con somma pietà veneravate; ora, estinta la pietà, gli studj della vera religione per la più parte abbandonaste; stavate alle leggi, che per la sobrietà e l'astinenza dagli avi vostri, santi personaggi, e dagli antichi padri erano state fatte, poi accettate e comprovate dall'osservanza di tutti i secoli; ora, sovvertite le leggi, tolta la distinzione delle cose, lentati i freni della continenza, tutto voleste libero e sciolto».

E continua a deplorare questo scapestrarsi delle ire, questo togliere ogni rispetto alle leggi divine e umane, ogni divario di superiori e inferiori, non accordandosi che nel vituperare il sacerdozio e straziare la romana Chiesa, che n'è capo. «Eppure in questa città di Roma, per reprimere e moderare i vizj urbani, e principalmente l'avarizia di cui più si pecca, e revocarla al costume antico, casto e modesto, furono dal sapientissimo e ottimo pontefice invitati da ogni parte del mondo personaggi, e posti nel sommo grado di onore, acciocchè con maggiore autorità e diligenza attendano a quest'uopo»503.

E ben tosto tutta Europa fu in fuoco, e un secolo e mezzo di fierissime guerre minacciarono una nuova barbarie. E un'altra ne sovrastava.

I papi erano stati motori e centro della resistenza contro i Turchi. Oggi, che vediam questo popolo in quell'ultima decadenza dove più non lo sostiene che la volontà dei forti, l'Europa vanta la sua tolleranza nel rispettare fino il Musulmano, la sua indifferenza fino a sorreggere un governo che ha per canone politico il fratricidio, per canone domestico la poligamia, per canone economico la pirateria. Ma ai giorni di Lutero i Turchi minacciavano una conquista senza pietà, una preponderanza senza freno: si trattava ancora di decidere se l'Europa sarebbe di Cristo o di Maometto; se si progredirebbe col Vangelo fino al pieno trionfo della democrazia, o si retrocederebbe fino ai serragli, agli eunuchi, alla legge incarnata in un uomo. E appunto allora i Turchi, comandati da principi eroi, avendo conquistate le coste dell'Adriatico e alcune isole, minacciavano l'Italia, corseggiavano a baldanza le nostre marine, tentarono fin sorprendere in una villeggiatura Leon X e la famosa Giulia Gonzaga. Pio II aveva evocato tutta la cristianità a questa tardiva crociata, ed egli stesso andava a porsene a capo, quando morì. I successori proclamarono sempre la guerra santa, e fervorosamente Leon X. Ma che? Ulrico di Hutten gridò alla sua Germania non gli si desse ascolto: sotto quel pretesto il papa vuole squattrinare il popolo ignorante, munger il latte delle genti, inebbriarsi alla mammella dei re504. E Lutero argomentava: «Noi dobbiamo volere non solo quel che Dio vuole che noi vogliamo, ma assolutamente tutto ciò ch'egli vuole. Ora egli vuol visitarci col mandare i Turchi; il respingere questi è un resistere alla sua volontà». E ripeteva: «No, Cristiani; tutti io vi scongiuro a pregare per i nostri poveri principi tedeschi, acciocchè non un soldato, non un soldo diano al papa contro i Turchi; meglio i Turchi e i Tartari che la messa. La guerra, ve lo canto chiaro, mi spiace contro il turco, non men che contro il cristiano505. I Turchi empiono il cielo di beati: il papa empie l'inferno di Cristiani. Se il Turco arrivasse a Roma, non sarei io che ne piangesse»506.

I Cattolici, è vero, continuarono a tener testa ai Turchi; ma dacchè la cristianità fu divisa in due campi, non bastò più a cacciarli507; le forze doveano logorarsi nelle lotte interne, gl'ingegni s'aguzzavano nello scassinare la fede romana. Anche per convertire i paesi infedeli scemavano i mezzi: missionarj non partivano più che da Roma, e in mezza Europa trovaronsi distrutti i frati, che n'erano i principali stromenti.

 

 

 





458                Nell'originale "". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



459                I Ep. ad Corinthios, xiv, 33.



460                Già san Vincenzo di Lerino diceva: Nullusne ergo in Ecclesia Christi profectus habebitur intelligentiæ? Habebitur plane et maximus, sed ita tamen ut vere profectus sit ille fidei, non permutatio. Commonitorium, c. 29.



461                Vedi nel Discorso XI.



462                Nell'originale "barcoli"



463                Ep. 2, ii, 2.



464                Ep. 4, Joann. ii., v. 12, e iii., v. 13.



465                Ep. B. Petri ii., cap. i, 20.



466                Ep. ii., cap. iii, v. 16.



467                II ad Thess. v. 14.



468                Catholici tenent unum esse principium fidei: verbum Dei ab Ecclesia propositum (Wallenburg). Illud omne et solum est de fide catholica quod est revelatum in verbo Dei, et propositum omnibus ab ecclesia catholica, fide divina credendum (Veronius, Regula Fidei cath.).



469                Il parigino Francesco Véron (1575-1649), nella Regula Fidei, e nel Metodo di trattar le controversie, espose con chiarezza e precisione le verità di fede canonicamente decise, distinguendole da altre che sono opinioni teologiche. È noto come ciò abbia pur fatto Bossuet, a segno che i Protestanti di buona fede domandaronsi in che cosa diversificassero essenzialmente dai Cattolici. Capitale in queste senso è la Esposizione delle antitesi dogmatiche fra Cattolici e Protestanti di G. A. Moehler, 1840.



470   A quanto dicemmo sulla cattolicità di Dante aggiungiamo ch'egli fe di Maria Vergine il centro di tutta la sua visione: ritrasse in questa tutto quanto la Chiesa crede, insegna o pratica ad onore di Colei che a Cristo più s'assomiglia, e «in cui s'aduna quanto in creatura è di bontade»: simboli, immagini, canti vi rappresentano il culto di lei colla scienza del teologo e la legenda del popolo, e la figurano in «cielo qual meridiana face di caritade, e giuso intra i mortali qual di speranza fontana vivace». Sant'Antonino scrisse: Qui petit sine ipsa duce, sine pennis, sine alis tentat volare. E Dante avea cantato:

 

            Donna, se' tanto grande e tanto vali,

         Che, qual vuol grazia e a te non ricorre,

         Sua desianza vuol volar senz'ali.

 



471   Sulla mitologia cattolica, Giuseppe De Maistre scrive ad un amico (Lettres, tom. i, 235).

            «Sans doute toute religion pousse une mythologie. Mais n'oubliez pas que celle de la religion chrétienne est toujours chaste, toujours utile, et souvent sublime, sans que, par un privilège particulier, il soit jamais possible de la confondre avec la religion même». Écoutez un exemple: «Un saint eut une vision, pendant laquelle il vit Satan debout devant le trône de Dieu, et ayant prêté l'oreille, il entendit l'esprit malin qui disait: Pourquoi m'as-tu damné, moi qui ne t'ai offensé qu'une fois, tandis que tu sauves des millières d'hommes qui t'ont offensé tant des foisDieu lui répondit: «M'as tu demandé pardon une fois

            «Voilà la mythologie chrétienne. C'est la vérité dramatique, qui a sa valeur et son effet indépendamment même de la vérité littérale, et qui n'y gagnerait même rien. Que le Saint ait ou n'ait pas entendu le mot sublime que je viens de citer, qu'importe? Le grand point est de savoir que le pardon n'est refusé qu'à celui qui ne l'a pas demandé».

                L'osservazione è argutissima; ma perchè fosse del tutto vera bisognerebbe un fatto assolutamente contrario all'indole della mitologia, cioè che esistesse qualche autorità, la quale scegliesse, tra i mille parti delle fantasie e dell'ignoranza, le favole che sono caste, morali, sublimi. Vero è che la più parte di quelle che furono foggiate da Cristiani recano onore al genere umano e profitto alla virtù, e attestano una vittoria della debolezza sopra la violenza, del bene sopra il male.



472   Bridgewater lasciò una grossa somma perchè si facessero otto trattati in cui, secondo le varie scienze, si dimostrasse la verità della rivelazione. Fra queste scienze non figurava la matematica, e dopo che Chalmers ebbe trattato della morale natura dell'uomo, Buckland della geologia, Whewell dell'astronomia ecc., Babbage volle far un Nono trattato per dimostrare che colla matematica e la meccanica pure si potea dimostrarla ancor meglio. È facile capire come un intelletto che si ribella a tutto ciò che non è algebra, e che fa dipender la rivelazione tutt'affatto da testimonianze umane,] cozzi spesso coll'ortodossia, e confondasi con quelli, che, abbassando il Creatore alla propria misura, pretendono nel sopranaturale ciò che sta solo nel naturale. Ma è bello vederlo raccoglier tanti argomenti, da svergognare coloro che ridono d'ogni miracolo. Nella famosa sua macchina da calcoli mostrava potersi introdurre anche una legge arbitraria, per un periodo più o men lungo, dopo il quale essa n'addotterebbe un'altra, impostagli dall'inventore sin da principio: potersi anche disporne il meccanismo in modo che, a un dato tempo, ricomparisse la prima o un'altra legge: o che durante l'azione di una, questa potesse esser sospesa per far luogo a un'altra che opererebbe solo in quell'occasione, o tornerebbe a determinati intervalli.

            Al modo stesso Iddio, nella creazione, prevedendo le necessità avvenire, potè provedere a tutte le eventualità: imporre alla natura leggi che operassero per un tempo, indi cedessero ad altre, o che bastassero per deviazioni temporarie. Se il sole s'arrestò alla voce di Giosuè, tal fatto poteva esser compreso nei disegni primitivi del Creatore, e prodotto dall'azione transitoria d'alcuna legge acconcia. Se morti resuscitarono, fu effetto d'una forza che opererebbe solo a rari intervalli, benchè compresa nel piano primordiale del creato. Più facile è l'applicar tale ragionamento alle epoche geologiche, segnate dall'apparir di nuove specie animali e vegetali.

            Secondo il nostro matematico, può dunque ammettersi che Dio previde tutte le circostanze contingibili che potrebbero reclamar un'effimera o durevole alterazione nell'economia del creato, e proveduto ai mezzi di farle arrivare. Così chi facesse un oriuolo che andasse sempre, che sospendesse i movimenti a un dato tempo per un minuto, che a un momento assegnato tornasse indietro le lancette, attesterebbe un'abilità stupenda, ma le variazioni sarebbero dovute a un disegno primitivo, a una legge grande e unica: e l'intelletto capace di abbracciar d'un colpo tutte le combinazioni possibili, è superiore a quello che intervenisse periodicamente a cambiare meccanismo o a invertire le proprie regole.

            Tutto ciò può ispirare a una mente colta un sublime concetto della sapienza che presedette alla creazione, e sventa il sofisma di coloro che trovan indegno dell'Ente Supremo l'interromper le proprie leggi e cambiar il corso della natura per qualche bisogno dell'uomo, per qualche preghiera: o per coloro che dicono che il venir d'un'altra età geologica attesta l'imperfezione della precedente, e che il mondo fu fatto alla bell'e meglio. Pure bisogna confessare che c'è qualcosa di arido in questo mondo che va per puro meccanismo: lo spirito può contentarsene, il cuore no. Direbbesi che all'Onnipotente costi il mantener il mondo in buona condizione, il presedervi in persona, anzichè per mezzi secondarj, il governare per atti diretti di volontà, anzichè rimettersi a leggi inviolabili. L'Onnipotente può del pari e far un miracolo a dato tempo, e averlo preparato centomila anni prima; perchè dunque c'invidieremmo la consolazione di vederlo operar ad ogni caso direttamente, anzichè per un prestabilito meccanismo?

                Il cardinale De La Luzerne, nella dissertazione sui miracoli, li stabilisce appunto sull'autorità dei testimonj umani e i fondamenti della certezza; e sol dopo fissate le regole della critica storica ne fa l'applicazione ai racconti evangelici. Anche Frayssinoux, volendo difendere la verità de' miracoli evangelici, consacra un'intera conferenza sull'autorità de' testimonj umani; stabilendo che un miracolo, anzitutto, è un fatto; e bisogna provarlo o distruggerlo, invece di costituir sistemi a priori.



473                Vocavit discipulos et elegit duodecim ex ipsis, quod et apostolos nominavit. Matt. x, Marc. iii, Luca vi.



474                Quæcumque ligaveritis super terram, erunt ligata et in cœlo, etc. Matt. xviii.



475                Qui vos audit me audit: qui vos spernit me spernit. Matt. x, Luca x, Joann. xiii.



476                Data est mihi omnis potestas in cœlo et in terra. Euntes ergo docete omnes gentes, baptizantes eos, etc. Matt. xxiii. Euntes in mundum universum, prædicate evangelium omni creaturæ. Qui crederit et baptizatus fuerit, salvus erit, etc. Marc. xvi.



477                Accipite Spiritum Sanctum. Quorum remiseritis peccata, remittuntur eis, et quorum retinueritis, retenta sunt. Joann. xx.



478                Ego vobiscum sum omnibus diebus, usque ad consummationem sæculi. Matt. xxviii.



479                Tu es Petrus, et super hanc petram ædificabo Ecclesiam meam. Matt. xvi.



480                Tibi dabo claves regni cœlorum. Ib.



481                Pasce agnos meos ... pasce oves meas. Joann. xxi.



482                Ego rogavi pro te ne deficiat fides tua; et tu conversus confirma fratres tuos. Luca xxii.



483                Portæ inferi non prævalebunt adversus Ecclesiam. Matt. xvi.



484                Vedi il Discorso xvi, pag. 314.



485   Ne' manuscritti della Magliabecchiana, D. 743, è una raccolta di sonetti contro le varie eresie. Per esempio

 

            Wittemberga ed in lei la setta luterana.

 

            Qual Pentapoli in fiamme od in faville

         S'erghino l'alte torri e vasti campi:

         Nelle tue cieche vie piede non stampi,

         Ma l'onde sol di Stige a mille a mille....

 

            Fonte de' prischi e de' novelli errori.

         Che nel tuo sen disseminò Lutero

         Contro alla fede, all'opre, al maggior duce.

 

            E a Ginevra:

 

            Crudele arpia che t'eleggesti in prova

         D'impietà asilo, acciò ch'ogni alma pera...

 

            Del tuo lago infernale il ciel commova

         L'onde sovra di te chi al tutto impèra...

 

            Geneva d'eresie l'eletto albergo

         Di Farello empia sede e di Calvino

         Ove Anticristo l'ampie vie disserra...

         D'ogni altra la peggior, Sodoma in terra.

 

            E meglio in altro all'Eresia:

 

            Da chi vieni? da chi? rea, da qual banda

         Senza patente aver teco o missione?

         Se 'l tuo spirto privato n'è cagione

         Adunque non è Dio quel che ti manda.

 

            Più sfacciata di Flora e più nefanda,

         Se miracol non fai: dunque a ragione

         O vien da facoltà che ha successione,

         O di' che 'l diavol è quel che t'arranda, ecc.

 



486                Sadoleti Epp. 11 e 12, lib. xiv.



487                Lettere vulgari.



488                Nell'originale "sprovisto"



489                Monumenta Vaticana, LXXXI, LXXXII.



490                Alberti Pii Carporum, comitis illustrissimi et viri longe doctissimi, præter præfationem et operis conclusionem, tres et viginti libri in locos lucubrationum variarum D. Erasmi Roterodami quos censet ab eo recognoscendos et retractandos. Venezia 1531.



491                Lo riprodusse poi ne' Colloquj col titolo di Exequiæ seraphicæ, cambiandone il nome in Eusebio, ma lasciando le allusioni a colui, ex principe privatum, e privato exulem, ex exule tantum non mendicum, pene addideram sycophantem.



492                Nell'originale "rinegava". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



493                Ubicumque regnat lutheranismus, ibi literarum est interitus. Ep. 1101 del 1528). Evangelicos istos, cum multis aliis tum hoc nomine præcipue odi, quod per eos ubique languent bonæ literæ, sine quibus quid est hominum vita? Amant viaticum et uxorem, cœtera pili faciunt. Hos fucos longissime arcendos censeo a vestro contubernio. Ep. 946 dell'anno stesso.



494                Ep. 736.



495   Roma, 15 gennajo 1521.

            «Caro figlio, gratissima ci fu la tua lettera, poichè ci chiarì di quello su cui ci davano a dubitare non solo l'asserzione di pie e prudenti persone, ma alcuni tuoi scritti stessi, che tu conservi buona volontà verso noi e la santa sede, e per la pace e concordia cristiana: il che perfettamente conviensi e all'egregio ingegno che Dio ti ha donato, e alla pietà che sempre professasti. E noi che, sebben lontano, ti avevamo sempre in memoria, e pensavamo dar qualche premio alle esimie tue virtù, se eravamo stati smossi da questo pensiero, lietamente ci vedemmo dalla tua lettera restituiti alla primiera intenzione. E deh come ora è certo a noi, fosse così agli altri, la benevolenza tua verso questa sede apostolica e la comune fede di Dio! No, mai non vi fu tempo più opportuno o causa più giusta di opporre l'ingegno e la dottrina agli empj, alcuno sarebbe di te più adatto a tale offizio, al quale pur s'adoprano molti in fama di pietà e scienza somma. Ma Iddio diresse i loro cuori, e alla tua prudenza vuolsi ciò rimettere. Noi, contro le contumelie degli uomini sediziosi, armati di pazienza e del soccorso divino, siamo viepiù dolenti che colla zizania molta buona messe si corrompa; ed ogni danno del gregge a noi commesso ne affligge, non potendo non dolerci del veder le buone menti tratte in errore, mentre desidereremmo salvi anche gli autori dell'empietà. Ma Dio mancherà a noi, noi al nostro dovere. Quanto alla tua lettera, essa ci assicura della tua ottima intenzione, e la tua venuta qui, quando ch'ella sia, riceveremo volentierissimo.

                Nella Biblioteca Vaticana, Nunziatura di Germania. Vol. i, pag. 40.



496                Sul suo epitafio fe scrivere: Ex diuturno studio hoc didicit, mortalia contemnere, et ignorantiam suam non ignorare.



497                Ep. 601.



498                Monumenta Vaticana lxix.



499                Videor mihi fere omnia docuisse quæ docet Lutherus, nisi quod non tam atrociter, quodque abstinui quibusdam ænigmatibus et paradoxis. Ep. a Zuinglio.



500                Più tardi il nome di Erasmo sonò ereticale. Nella biblioteca di San Salvadore a Bologna, l'inquisizione, sotto Paolo IV, ne portò via le opere; e le traduzioni di Ecolampadio ch'erano postillate da Erasmo, furono lavate con acqua di calce per farle scomparire; al qual modo fu pure guasta un'edizione di san Girolamo, postillata dallo stesso, e confiscato uno Svetonio che portava il nome di Erasmo.



501                Civitates aliquot Germaniæ implentur erroribus, desertoribus monasteriorum, sacerdotibus conjugatis, plerisque famelicis ac nudis; nec aliud quam saltatur, editur, bibitur ac cubatur, nec docent, nec discunt; nulla vitæ sobrietas, nulla sinceritas. Ubicumque sunt, ibi jacent omnes bonæ disciplinæ cum pietate. Erasmi ep. 902 del 1527.



502                In Erasmi funus dialogus lepidissimus. Basilea 1540.



503                Anche il cardinale Comendone veneziano alla dieta germanica nel 1561 insisteva sui disordini d'intelletto e di fatti, venuti dietro alla riforma. In quos, Deus bone, et quam devios anfractus deflexistis! quibus vos erroribus implicuistis! quibus mentes vestras tenebris mersistis! at etiam iniquo animo ferri ad principibus vestris nuper dicebatis quod nos varia ac multiplici religione agitari impellique Germanos vobis adjecimus, idque inficias ire verecundia non fuit. An potest clarius, an evidentius esse quidquam, vestris esse inter vos de tota cœlestium rerum ac divinarum cæremoniarum ratione dissidiis et concertationibus? Una est vestrum omnium consensio et conspiratio adversus nos, Ecclesiamque a qua defecistis; cætera nihil dissimilius, nihil disjunctius, nihil discrepantius. An vero id non testatum omnibus? an non omnis referta libris Germania est, contraria et propugnantia docentibus? an adeo hebetes nos ac rudes germanicarum rerum esse putatis, ista ut ignoremus? at Lutherus quidem ipse, Paulus alter ut vos vultis, qui præceps se ex Ecclesiæ navi in mare dejecit, a quo jactata a vobis Augustana formula conflata est, quando sibi, aut in quo satis constitit? an istam ipsam formulam non quotannis quamdiu vixit commutatam, diversasque in sententias contortam edidit? An qui postea ipsum secuti sunt, non æque licenter trahendo eam, quo cujusque libido rapuit totam aliam fecerunt? Sed quod jam vixæ inter vos de dictis sententiisque Lutheri? Et quotus quisque est, qui quæ placita illi sunt probet? quot Melanchthon? quot œcolampadius? quot Zuinglius? quot denique Calvinus trahit? quot alii sexcenti, qui omnes de summis rebus a Luthero, atque inter se dissentiunt? Non modo civitas, aut municipium, sed ne domus quidem in Germania et ulla horum certaminum expers. Cum viro uxor, cum parentibus liberi, de fide sacrorum, de divinarum literarum intelligentia altercantur. Fœminæ, pueri in circulis, in cauponis, inter pocula ludosque, quod miserandum est, de religione constituunt. A vobis denique ipsis, hoc ipso in conventu, quanto laboratum est opere ut aliquam uniusmodi mentis speciem præferre possetis? Quod assequi tamen nequivistis; scilicet ut discrepare inter se vera, ita conjungi et convenire falsa non possunt etc. Gratiani, De vita Johannis Fr. Commendoni card. Parigi 1669, pag. 92.



504                Verum sub hoc prætextu, per hanc fictam pietatem, sub hoc umbrato nomine expoliare imperitiorem populum, sugere lac gentium, inebriari mamilla regum vult. Oratio de non dandis decimis.



505   Ut libere animum meum aperiam, hoc aperte de me prædico, quod tam invitus Turcam gladio impeterem quam christianum fratrem. Confut. determinat. doctorum Paris.

            Ich Martinus bitte alle Cristen wollten helfen Gott bitten, für solche elende, vorblendte teutsche Fürsten, dass wir ja nit folgen wider den Türcken zu ziehen, oder zu geben.

                Ja viel lieber den Türchen und Tattern lèyden, dann dass die Mess solt bleiben. Tisch Reden.



506   Die Türck macht den Himmel voll heyligen. Der Papst aber füllet die Höll mit eitel Christen... Würd der Türck auf Rom ziehen, so sehe ichs nicht lugern. Tisch Reden. Ultimamente Michelet, nella sua opera sulla Riforma, mista di profondo e di buffo, con stile sempre a sorprese, con un dubbio sistematico, trova che si avea torto di favorir il papa contro l'eresia e contro il Turco. Sarebbe stato un male se il Turco avesse occupato Napoli? Tutt'altro. Come nella Cina i Tartari furono inciviliti dai conquistatori, così il Turco sarebbesi ridotto europeo.

                Di fatto, occupando la Grecia, hanno i Turchi migliorato di civiltà! Tanto acceca l'odio contro il cattolicismo.



507   Il solo cardinale Ippolito De' Medici, figliuolo naturale di Giuliano, e uno de' migliori capitani del secolo, essendo legato a latere di Carlo V in Germania, armò del suo ottomila Ungaresi e sette compagnie di cavalleggieri, e contribuì non poco a respingere i Turchi dall'Austria. Adriano VI, trovato esausto il tesoro, non potè che mandare quarantamila ducati agli Ungaresi per sostenersi contro i Musulmani; ma il cardinale Palmieri napoletano offrì denaro e truppe, e di condurle egli stesso a Rodi, quando udì] ch'era stata presa. Clemente VII, nel 1526, creò luoghi di monti per dare armi e truppe a Carlo V contro i Turchi. I Veneziani contavano imporre ai beni del loro clero un decimo de' frutti per cinque anni: ma Paolo III nol consentì, esibendo invece un milione di ducati del suo. Vuol dunque dire che il decimo da levarsi doveva essere per lo meno altrettanto, cioè almeno ducentomila ducati l'anno: il che porterebbe a due milioni di ducati la rendita annua de' beni del clero veneto. Pio IV concesse al re di Spagna settecentomila ducati sui benefizj di Spagna, e impose a' proprj sudditi un tributo di quattrocentomila scudi d'oro per la guerra turca. Alla battaglia di Lepanto assistevano dodici galee pontifizie, oltre legni minori assai, con millecinquecento uomini.

                Dal 1520 al 1620, Roma donò agli imperatori di Germania sedici milioni di scudi e sei alla repubblica veneta per combattere i Turchi.



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