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CAPITOLO VIII.
I DISASTRI.
L'uccisore di Rosalia frattanto, guadagnata la riva, traversò le rovine di Lecco, monumento di vendetta pubblica: rivide la macchia, fra cui esso aveva concepito la vendetta privata, che ora tornava d'aver compiuta; entrò nella rôcca, nella camera sua, e respirando come persona giunta al termine di un difficile cammino, buttandosi sui letto esclamò: - Alla fine son contento.»
Ma contentezza non segue al delitto, neppure in chi vi ha fatto il callo: le gioje che esso procura sono tempestose, come l'inferno da cui procedono. Quelle coltri, quel materasso riuscivano ispidi, pesanti per Ramengo; voltavasi, contorcevasi, volendo pure a sè medesimo simulare tranquillità, chiudeva gli occhi, si provava di dormire, ma rivenendo in sè, trovavasi averli spalancati, fisi, incantati sopra i fantasmi che l'immaginazione gli presentava. Non erano fantasmi di paura, ma quei della donna sua, del figliuolo, delle loro ambasce; e lì immobili, confitti alla proda del suo letto, al capezzale, alla porta: sicchè non potendo stornarli, procurava mutar lo spavento in un'atroce dilettazione. Balzò di su la coltrice, salì sulla vedetta: e quivi fermi gli sguardi lampeggianti sopra il lago, col fosco crine spartito sulle due tempia convulse, il pugno sopra la spada, l'altra mano aggrappata ad un merlo, si sarebbe detto una statua posta colà ad ornamento o a spauracchio. Tentennò poi risolutamente il capo, e proferì: - Sei là! là in mezzo. Maledetta! perchè non dura eterna questa notte? perchè non può colei sentir in essa tanti affanni, quanti da due mesi a me ne ha fatti soffrire!»
Poi mirò farsi bujo verso tramontana, e un nebbione, quasi densa fumea di fornace, avanzarsi radendo il lago: previde la burrasca, e ne tripudiò: tripudiò quando la vide scoppiare: ogni groppo di vento che rompesse, ogni fulmine che cascasse, egli trasaliva d'infernale piacere, nella frenesia della rabbia figurandosi quel che ne patirebbe la donna. L'acquazzone tutto il lavava; gli strideva tra le chiome il vento; - e' non lo sentiva; non sentiva altro che l'ardore della vendetta.
Solo al primo albeggiare si tolse da guardare il lago; e salito a cavallo, uscì furiosamente lunghesso la riva se mai essa vi fosse approdata, se piuttosto la procella ne avesse rigettato il cadavere. Nulla vide, nulla ne intese raccontare, onde fu al colmo della soddisfazione, sperando che, com'era stato suo disegno, il lago avesse inghiottito e la vittima e le traccie del delitto. Su quei primi giorni mascherò il rimorso con una smania di operare; spedì attorno a cercare se mai il nembo o la piena avessero fatto pericolare alcuno: sotto veste di esplorare gli andamenti di certe bande che infestavano la valle San Martino, mandò di qua, di là scorridori che gli riferissero a minuto quanto udivano, ma nessuno gli fe' cenno di una donna affogata: onde esclamò: - Hai pur dato l'ultimo tuffo! - Possa la tua agonia essere stata lunga, affannosa quanto te l'auguro io, quanto la meriti! Possa io un giorno, come ho goduto, della tua morte, così godere di quella dell'infame tuo drudo!»
A chiunque abbia idea della disordinata prepotenza dei governi militari in ogni tempo, e della confusione speciale d'allora, quando, per troncare un viluppo inestricabile, fu fatto uno statuto15 che nessuno si ricercasse per delitti commessi durante la guerra di Monza dal primo novembre 1322 all'undici dicembre 1324, sarà agevole spiegare come veruno giuridicamente chiedesse conto a Ramengo della donna scomparsa; in privato poi, coi subalterni gli valeva la superiorità per farli tacere: coi pari e coi superiori non gli mancavano sfuggite e pretesti. A Lecco diede voce che la Rosalia fosse andata a Milano: a Milano che fosse corsa ad unirsi co' suoi parenti forusciti; poi che era morta, morta lei, morto il bambino, e se ne finse accorato, celando il suo delitto sotto impenetrabili apparenze, come celato lo aveva la superficie del lago, cui unicamente l'aveva confidato.
La prima volta che di ciò fu inteso, il giovane Pusterla se ne mostrò tocco nell'anima, siccome succede allorquando vediamo peccare chi più ci pareva dabbene; allorquando vediamo chiuder il libro della vita chi non ne avea scritto ancora che pochi fogli. E non rifiniva di chiederne; e s'ingegnava di consolare Ramengo, prima colla speranza che certo ella tornerebbe al marito, al dovere: poi, dopo credutala estinta, coll'enumerarne le belle doti, e rammentare certi atti minuti, certe leggiere parole, che tra i casi ordinarj sfuggono innotati, ma che tornano a mente vivacissimi allorchè scomparve quello alla cui memoria erano attaccati.
Ma questa commiserazione, questi encomj, ben altro suono facevano a Ramengo. Non già ch'e' fosse cotanto geloso dell'onor suo che credeva oltraggiato: ma la commiserazione faceva dispetto a lui, bramoso di eccitare invidia: e nella ribalda anima sua il rimorso palliavasi sotto altri affetti, dei quali soli era capace: odio, disprezzo, vendetta.
Sebbene verun tribunale, veruna potente voce chiamasse conto a Ramengo dell'operato, sì lo interrogava fieramente una voce interna, quella che, se i gran malvagi asseriscono di non sentire più, o mentiscono, o il vero è che l'hanno soffocata sotto altre voci, principalmente sotto alla smania che gli invade di nuovi delitti. Come l'ubbriaco, allorchè il vino comincia a fargli dar volta al capo, crede ripararvi col berne del nuovo: come una donna che d'una prima infedeltà sentesi spinta a cancellare la memoria col commetterne di nuove, e sostituire la vorticosa illusione della voluttà alla severità dell'innocenza perduta e al salutare stimolo della coscienza; tale Ramengo per rapirsi allo strazio del primiero misfatto provava una diabolica necessità di consumarne di nuovi. E com'è sottilissimo l'amor proprio a trovare scuse fino alle atrocità; così Ramengo versava ogni colpa sua sul Pusterla: fingeva a sè stesso di avere amato Rosalia d'immenso amore, sinchè tra i loro cuori non si frappose quell'esecrato: esagerava le speranze che avea fondate su quel fanciullo; e col lungo fingere un tal sentimento, talvolta Ramengo ritrovava in sè un vero rammarico di avere perduta quella sposa, di cui gli ricorrevano a mente le rare doti del corpo e dell'animo, e le dolcezze ch'essa gli prometteva.
Più ancora compiangeva il perduto figliuolo: così è dolce cosa a tutti il vedersi crescere intorno un bambolo, col quale ritessere il cammino della vita: così all'ambizioso è caro il poter erigere su quello la speranza e i disegni dell'avvenire! Nè poteva Ramengo ripiegare con un nuovo matrimonio, poichè da una parte la vulgare opinione aggiungeva non so che obbrobrio alle seconde nozze e a chi le contraeva; i feudatarj ne esigevano una tassa a profitto delle loro stalle: obbrobrio che, a chi pretendesse trovar ragioni delle popolari ubbie, parrà strano davvero in tempi che nessuno se ne apponeva al concubinato, all'adulterio. Ma se questo riguardo era gittato alle spalle dai principi e dai maggiori cittadini, doveva rispettarlo Ramengo, smaniato com'era di salire, e quindi in necessità di accarezzare e i vizj de' magnati e i pregiudizj de' volgari. Dall'altra parte chiedendo una seconda sposa poteva indurre e questa e i parenti a cercare più sottilmente l'esito della prima moglie, e rimestare così una sucida pasta.
Doveva dunque dire addio alle casalinghe consolazioni, smettere la lusinga di potere, quel che a stento gli veniva fatto per sè stesso, montare sublime per via di un figliuolo. Ma, anzichè accettare ciò come conseguenza e punizione del suo misfatto, non volea vedervi che una ragione onde portare peggior odio al Pusterla, onde concentrare su lui solo tutto l'astio, che era un bisogno dell'anima sua, e che dapprima sfogava contro la povera Rosalia.
Però una vendetta subitanea e violenta poteva fallirgli, e venire punita, e non corrispondeva agli spasimi che nella sua immaginazione a lui preparava. Conservò dunque le apparenze di servitù e di amore verso i Pusterla, anzi le raffinò, come è stile dei traditori: non avresti detto potersi dare altri più zelante dell'onor di quella casa: ma intanto ne spiava ogni andamento, simile al lupo cerviero, che con lunga persistenza seguita la vittima che destinò pasto alla rabbiosa sua fame.
Corsero gli anni: al Pusterla incontrarono i casi che già accennammo, e si sposò colla Margherita Visconti. Ramengo, siccome cliente della famiglia, assistette alla pompa della benedizione conjugale: e quel sacro istante, in cui il cuore balza fra due vite, fra i desideri del passato e le promesse dell'avvenire, ricordò al feroce il momento in cui egli erasi giurato amore colla sua buona Rosalia. Vide poi la tenerezza e la felicità spargere fiori a gara intorno e sopra della Margherita: con invidioso struggimento vide il suo abborrito diventar padre d'un vezzoso fanciullo: la beatitudine che quello godeva nelle incolpate mura domestiche, gli riaprì, se mai erasi rimarginata, la ferita onde in grazia di lui dicevasi trafitto. - Ecco! a me rapita una moglie, un figliuolo: messa nell'animo mio questa procella.... tutto per colpa di lui... ed egli nel colmo d'ogni felicità! E quel bambino? Oh un figlio! se avessi io pure avuto un figlio! quanti ineffabili gaudj! quante floride speranze! Poter anch'io amare, poter destare invidia! E non l'avrò mai... mai! Colpa di chi? Ed egli lo ha... e così bello! Ha una donna... una tal donna! Oh potessi turbargli cotesti godimenti! oh potessi mescere alle sue labbra un sorso del fiele, di cui esso ha attossicate le mie!»
L'astio (tant'è versatile!) assunse perfino le apparenze di amore. Perocchè, o rimanesse veramente preso anche Ramengo alla virtù e alla bellezza della Margherita, come se un demonio s'invaghisse d'un cherubino: o non si tenesse per pagato fin a che non ricambiasse collo scorno lo scorno che dal Punteria pretendea aver ricevuto, incominciò a corteggiare la costui moglie. E prima le venne in atti ed in parole prodigando le lusinghe, da cui ella potesse argomentare come di lei vivesse passionato: spinse quindi la sfacciataggine fino al punto di richiederla apertamente di amore. La Pusterla vedevasi di così immensa distanza superiore a colui, del quale, se non sapeva tutte le nequizie, indovinava per istinto la maligna natura, che dalla sozza sua persecuzione affatto si trovava sicura, e senza farne motto a veruno, le parve assai castigarlo col disprezzo. Ramengo però non era uomo da fare come sbigottito e vinto al primo colpo: anzi viepiù s'infervorava, fosse per punta, fosse perchè, confidente nei meriti suoi, come suol essere chi non ne ha, credesse potere coll'assiduità riportare una vittoria, tanto più gloriosa quanto più difficile. Oltrechè fermamente erasi proposto di cominciare le sue vendette contro il Pusterla dal contaminarne la donna: e quando pure non vi dovesse riuscire nel fatto, anche le apparenze gli sarebbero bastate; bastato che la vulgare malignità trovasse onde appuntare la Margherita, e turbare i sonni a Franciscolo. - Ma costei (diceva tra sè) non è costei come tutte le donne? A qual di esse torna ingrato un omaggio che si presti alla loro bellezza? Oh cadrà, cadrà: venga solo l'occasione».
E l'occasione parvegli venuta nell'incontro che sto per dirvi.
Sebbene non ancora tanto divulgata come si fece poi nel secolo XVI e nel seguente, pure già correva allora l'opinione, che un uomo potesse far patti cogli spiriti dell'inferno, ed acquistare così una facoltà soprannaturale, alcune volte di giovare, più spesso, di nuocere altrui. Sapevasi che versiere e stregoni potevano destare i turbini e quietarli; ogni temporale si credeva da loro suscitato; e ne trovavano irrefragabili prove nelle strane apparenze che assumevano le nubi accavallandosi, e nelle quali l'immaginazione ravvisava figure di giganti, di bestie, di demoni. Gli astrologhi, generazione molto attenente alle cose della magia, davan norme ai principi, che dal cenno di essi facevano dipendere le azioni loro, le guerre, le partenze. Ove, per dirne una sola, ricorderò l'avventura del Petrarca che, mentre nel nostro duomo recitava un'adulatoria orazione per l'inauguramento di Bernabò, Galeazzo e Matteo Visconti, si vide sul più bello interrotto da quell'astrologo Andalon del Nero, che altrove mentovammo, il quale aveva scoperto esser quello il preciso minuto della combinazione di stelle migliore per fare la cerimonia. Ogni malattia poi alquanto bisbetica veniva attribuita a fascino e sguardo maligno: erano fatture di streghe gli accidenti, di cui l'uomo o non sapeva render ragione o non aveva coraggio d'incolpare sè stesso: e credevasi ch'elle si congregassero, certe notti, in certi luoghi, a tenere i loro conciliaboli infernali.
Nè tutte queste opinioni erano germogliate unicamente nelle teste plebee: forse anzi si apporrebbe chi dicesse al contrario non essersi tra il vulgo radicate se non in grazia delle discussioni e degli ordinamenti di chi dirigeva il vulgo. Le città dettarono leggi contro i maliardi: qualche chiesa introdusse formole per esecrarli e scongiurarli; i sapienti ne discutevano di proposito e sul serio; quando poi i tribunali processarono per delitti di malía, la credenza diventò certezza: volevate che i giudici e i tribunali s'ingannassero? Da una parte dunque ridotta a sistema, questa opinione si confermò in coloro che pretendevano di sapere, dall'altra, sparsa tra il vulgo da parabolani d'ogni abito e d'ogni condizione, acquistò fin al segno, da parere bestemmiatore ed eretico chi ne dubitasse.
Crescendo adunque il potere e il numero degli streghi a misura delle persecuzioni, anche i ripari e gli antidoti si moltiplicarono: e mentre la classe culta aveva scongiuri e fiamme, il popolino ne praticava di meno empj e atroci; ad ubbie opponeva ubbie; e tra siffatti rimedj, efficacissima era tenuta la rugiada della notte di San Giovanni. Chi si bagnasse a quella, asserivano poter tutto l'anno vivere sicuro da fatucchiere: certe erbe sbocciate e côlte in quella notte, erano il tocca e sana degl'incanti. La quale opinione si collega ad altre che qui non è il posto di commentare, ma di cui alcuna traccia è rimasta viva fin nel secolo delle macchine a vapore, sì in Italia, sì fuori. In tutto il nord, dalla Svezia alla Sassonia e sul Reno, si accendono ancora grandi falò pel San Giovanni; un Inglese trovandosi in Irlanda la vigilia di quel giorno, fu avvisato non si meravigliasse se a mezzanotte vedrebbe accendersi dei fuochi su tutte le alture del contorno16; a Newcastle le cuciniere fanno quella sera fiammate di gioia, a Londra gli spazzacamini vi menano danze e processioni in vestire grottesco; in una valle della contea di Oxford, detta Caval Bianco, si raccolgano tutti i vicini a ripulire, come essi dicono il cavallo17, cioè a svellere l'erba da uno spazzo sterrato, che rappresentava un cavallo colossale, ed a passarvi la giornata fra campestri allegrie. Io so di paesi lombardi ove, malgrado le proibizioni, quella notte suonano continue le campane: fanciulletto fui più d'una volta, da qualche femminella all'antica, condotto a ricevere la guazza di San Giovanni, e in diversi luoghi mi furono mostrati enormi noci, i quali, fin a quella sera conservatisi aridi come di gennajo, la mattina si trovano verdeggiare del più folto e gajo fogliame.
Ai tempi della nostra Margherita, in proporzione della fede o della corrività, più solennemente celebravasi la vigilia di San Giovanni. Dal cadere della sera fino all'alba successiva non tacevano mai le squille sui centoventi campanili della città, affinchè le streghe, a cui, se nol sapeste, è spaventosissimo lo scampanio, non potessero cogliere le erbe nocevoli, nè impedire con loro malizie che fossero côlte le preservative: intanto la gente non velava occhio per uscire garagollando a ricevere la guazza miracolosa. Era quindi una specie di festa, un berlingaccio notturno. Nei villaggi, adunati tutti alla campagna, su qualche aja, in certi luoghi da ciò, i villani, al suono di zampogne e cornamuse, canticchiavano, ballonzavano, pregavano: dico la gioventù, nel mentre che i vecchi strascinatisi anch'essi pigramente al lampaneggio, ripetevano una litania di storie di streghe: una donnicciuola assicurava d'avere ella stessa veduto il tale o tal caso: l'altra di avere conosciuto due, tre, più fatucchiere: quale, intender ogni notte un gatto miagolare sul tetto della vicina: quale sentir la sua pigionale, di mezza notte, massime quando il marito non fosse in casa, aprire e bisbigliare, certamente, col foletto; il maggior numero e le più sincere si erano quelle che assicuravano in vita loro non aver mai patito di malíe, perchè mai non aveano lasciato di bagnarsi alla rugiada del San Giovanni.
La Chiesa, che in tutto allora interveniva, neppur qui mancava: come si continuò fino a noi nella solennità del Natale, così allora in quel giorno si celebravano tre messe, una a mezzanotte, l'altra all'alba, la terza sull'ora nona. Durante e dopo la messa notturna, si cantava un ritmo, cioè un inno, una sequenza, lunga e di metro variato, della quale pongo qui sotto per saggio alcune strofe18; la cantavano preti e chierici; e il popolo, a tutta gola e cogli spropositi onde suol rifiorire i cantici latini, rispondeva per ritornello:
In Milano, senza ch'io vel dica, immaginerete che la solennità era più raffinata e clamorosa. Niuno sarebbe rimasto fra le mura: tutti uscivano chi di qua, chi di là; i più verso una selva, posta dove ancora si dice San Giovannino alla Paglia: ed era una gara delle donne di venirvi in begli abiti bianchi e divisati, che facevano singolare spicco al bujo della notte; scollacciate secondo che portavano l'usanza e la stagione, e con una vaghezza di fiori in capo, in mano, alla cintola, al lembo delle vesti. Molte in coro intonavano certe canzoni, di semplici note, cui gli uomini tenevano bordone; altre ad allegre sinfonie menavano vivaci carole: non potendo nel recinto di quella selva penetrare nè lettighe nè cavalli, e trovandosi a ronzare tutti a piedi, indistinti i nobili dai plebei, i ricchi dai pezzenti, tolto di mezzo l'oltraggioso ricordare della diversità delle fortune, nasceva una libertà sicura e procace, somigliante a quella dei balli mascherati in carnevale. La notte, la folla, l'allegria non è mestieri ch'io vi dica di quanti disordini fossero cagione od incettivo in tempi come quelli.
Se la Margherita credesse anch'ella e temesse le streghe e le altre superstizioni, non ho argomenti nè per asserirlo, nè per negarlo; è probabile di sì, giacchè, quando un errore è divulgato, troppo poche sono le menti privilegiate che ne siano tenute monde dallo spirito di osservazione e dal rifiuto dell'opinione popolare. Fatto è che colla folla soleva anch'essa colà condursi, ed unita alle compagne, prendersi onestamente sollazzo, andando in ronda quanto la notte durava.
Credette valersene agli effetti suoi il vile Ramengo, e standole indivisibile al fianco siccome un rimorso...
I cronisti, da cui ricaviamo tutta questa serie abbastanza sconnessa di fatti, sebbene in alcune particolarità usino troppo più licenza che nol comporti la raffinatezza degli orecchi moderni, qui non discendono a chiarire la cosa; nè altro appare, se non che Ramengo si avvicinò alla Margherita; e quanto insolente si comportasse il possiamo argomentare da ciò, che ella, tutta gentile e temperata che era, lo percosse d'uno schiaffo.
Per un'anima bieca che, simile ad un vaso fetido ove si corrompe anche la rugiada che vi caschi, convertiva in occasioni di scelleraggine fino i più soavi affetti, non domandate se questa fu profonda, immedicabile ferita. Nol rimorse la propria colpa: solo vide l'orgoglio suo oltraggiato, il contaminato onor suo: la sete di vendetta, che già lo stimolava contro dal Pusterla, altrettanto e più fiera s'accese ora contro della donna di lui: - Sì, sì; un colpo solo le farà scontare tutte. Orgogliosa! ti avrà a tornare a mente la notte del San Giovanni!»
Di questo accidente la Margherita non credette opportuno far cenno al marito: infatti a che pro? quanto a sè, tenevasi più che abbastanza sicura contro un essere tanto spregevole: dal manifestarlo allo sposo potevano nascere e turbazioni e guai vicendevoli. Ramengo però da quell'ora non osò comparire in casa i Pusterla; le prime volte che si avvenne in Franciscolo, il cansò studiosamente; ma dal modo con cui egli si comportava seco qualora lo trovasse in altre case, o nelle comparse, o sotto ai coperti, ebbe a chiarirsi che nulla sapeva dell'occorso; si rassicurò, non si mitigò. Prese anzi maggior corruccio dal conoscersi disprezzato, e nè tampoco creduto degno di ira: e poichè l'odio dei tristi grandeggia di tutta l'altezza onde il nemico sovrasta ad essi, gli pareva non aver bene di sè, finchè coloro non avessero redento col sangue i fattigli oltraggi. Sulla casa ove più non ardiva portare i passi, teneva aperti gli occhi indagatori: già vedemmo con quali seduzioni lusingasse Luchino a voler contaminare la bella donna: sapendo poi la ruggine che era tra il Pusterla e i Visconti, confidava non tarderebbe l'occasione di rovinarlo. Un'accusa è così presto trovata!
Quasi un anno era passato dal caso che vi raccontai, ed il prossimo ritorno della solennità di San Giovanni aveva rincrudita in Ramengo la mal saldata piaga. Le disposizioni dei cittadini per festeggiare quella notte, da cui tre giorni appena li dividevano, i preparativi delle donne, il tripudio con cui ne ragionavano i fanciulli, pei quali un dì festivo è un avvenimento, suscitavano in lui una maggiore furia di dispetto. Or pensa, lettor mio, se a gran disegno gli venisse l'imprudente colloquio di Alpinolo, il quale gli poneva in mano uno stilo avvelenato, onde colpire non la sola Margherita e il consorte di essa, ma quegli altri amici, ch'egli esecrava appunto perchè amati da loro; e nel tempo stesso gli lastricava la via di sollevarsi nel favore del principe con questa prova di zelo. Ambizione! l'idolo suo: e per raggiungerlo v'era di mezzo la testa dei suoi nemici.
Recatosi dunque alla Corte, e ottenuto accesso al signor Luchino, gli rivelò la gran trama, e ben crederete che trovò i colori più neri per aggravare la colpa e l'idea del pericolo. Il tornare secreto del Pusterla a Milano, abbandonando la sua destinazione, già dava titolo a sospettare: fresca era la memoria di Piacenza, perduta da Galeazzo, (noi l'abbiamo accennata parlando di frà Buonvicino), appunto per maneggi d'un marito oltraggiato: Luchino poi e sapeva di meritar l'odio di molti, ed agognava l'occasione di punire su Margherita le virtuose ripulse. Quando il tristo può ritrovare un pretesto onde, sotto velo di giustizia, mascherare l'iniquità, non ha egli il suo voto?
Dalla relazione di Ramengo appariva che i primi da cogliere dovevano essere o il Basabelletta o Alpinolo: e secondo le deposizioni di questi, regolarsi per gli altri. Ma Alpinolo era conosciuto come un fiero, che avrebbe resistito a qual volessero maggiore tormento, anzichè peggiorare in nulla la causa dei suoi benefattori: avrebbe anzi voluto in ogni guisa scaricarli, a costo della propria vita: vita d'uomo oscuro, e quindi di poca importanza. Parve dunque miglior consiglio porre lo mani addosso al Basabelletta; poco interesse aveva costui a tacere: e la corda gli strapperebbe quante confessioni bastassero per procedere, non importa se giustamente, ma legalmente, contro degli altri che più stavano a cuore.
Coll'abituale suo passo violento, e balestrando gli occhi in qua e in là, attraversava Alpinolo la piazza del Duomo, sempre infervorato nelle medesime fantasie; allorchè ode chiamarsi con voce sommessa e incalzante. Si volge, e ravvisa uno dei sergenti del capitano di giustizia, col quale egli soleva non di rado trovarsi in radunanze popolari, al giuoco, negli spettacoli, sulla taverna, luoghi che Alpinolo bazzicava per moltiplicare a sè ed alla buona causa amici e fautori tra la plebe e tra la gioventù. E gli giovò: poichè colui, passandogli a fianco, con aria di misterioso sgomento, gli disse: - Seguimi»; e senza mostrare che fosse fatto suo, piegò verso il Broletto nuovo, e quivi ridotti in uno di quei chiassuoli, badato ben bene che nessuno gli ponesse mente, - Va, (disse ad Alpinolo con voce affannata) va, e fuggi, e fa fuggire subito il Pusterla.
- Ma perchè?
- Il signor Luchino manda ordine che siano incarcerati lui, la moglie, tutti voi altri.
- Ha forse scoperto?...
- -Sì: ogni cosa; hanno messo alla tortura il Menclozzo ed ha schiodato...
- E chi fu la spia?
- Dio lo sa! Nessuno ha parlato oggi col principe fuorchè Ramengo.
- Ramengo!» proferì Alpinolo, spalancando gli occhi con aspetto e con voce d'un terrore disperato. Dunque era un traditore quello di cui egli si era interamente assicurato! dunque di un tal precipizio era colpa la sua imprudenza! Urlando e bestemmiando sè e lui, neppur fece motto al benevolo sergente (dei ribaldi ci conservarono il nome le cronache; questo benedetto non parve degno di menzione; stile vecchio), e viepiù che di passo corse Alpinolo giù per la via dei Mercanti d'oro19; fu alla Balla, e fattosi alla porticina posteriore della casa Pusterla, bussò violentemente. - Oh, oh? volete sfondare l'imposta?» gridò una vociaccia di dentro; e si vide da un finestruolo da lato sporgersi una testa nera e barbosa, con due occhi sdrusciti e uno sberleffe attraverso alla gota. Costui, che chiamavasi Franzino Malcolzato, erasi acquistato pel paese un tristo nome di fastidioso e manesco, a molti appoggiando e pugni e brave coltellate, ora per conto suo proprio, ora per l'altrui, finchè fu tolto al servizio del Pusterla. Un signore anche buono tenevasi sempre agli stipendj alcuno di questi bassi scellerati, sì perchè fosse uno strumento di meno in pugno dei suoi nemici, sì anche per potersene all'uopo servire contro di essi, in tempi che la giustizia si faceva troppo spesso a punta di spade e di pugnali, o almeno a bastonate.
Quest'arnese, come vide e conobbe Alpinolo, tosto gli ebbe dischiuso.
- Dov'è il signor Franciscolo?» chiese il giovane pressato.
- È fuori.
- E Margherita? la signora?
- Attorno anch'essa.
Il Malcolzato non rispose che facendo spalluccie. Ed Alpinolo imperversando e bestemmiando, corse alle scuderie, saltò sul cavallo più corridore, e lanciollo a tutta briglia per correre dove potesse immaginare che i Pusterla si fossero condotti; e l'ultima parola che ne intese il Malcolzato fu: - Maledetto Luchino e chi fa per lui!»
- E maledetto sia,» replicò egli guardando dietro al garzone, il quale se n'andava che nè anche il vento: poi, per incantare la noja del far la sentinella, sedutosi s'un muricciuolo daccanto alla porta, diede occhio alla serpe viscontea che era dipinta quivi sur uno stipite, e zufolando la guardò beffardamente. Già aveva mal sangue coi Visconti perchè gl'impedivano di esercitare liberamente le sue prepotenze; in quella casa era solito udir parlarne tutt'altro che col miele sulle labbra; ora, ispirato anche dalla sonora imprecazione di Alpinolo, così per celia raccolse un pezzo di carbone, e attorno a quell'arma disegnò, come sapeva, due pali ritti ed uno traverso, che dovevano significare una forca, dalla quale scendeva una soga che si attortigliava al collo del biscione. E guardando la sua fattura colla compiacenza onde Hayez può aver guardato la Giulietta o la Stuarda da lui create, sghignazzava, e ripeteva con una certa buffa intonazione: - Il biscione impiccato! impiccato il biscione! così vada il suo padrone».
Stava il tristo nella goffa estasi sua, quand'eccogli addosso il temporale. Perocchè all'ordine di Luchino, il connestabile Sfolcada Melik, con una grossa banda di quei mercenarj suoi compatriotti, che Luchino comprava per sua difesa perchè ignoravano il parlar nostro, non badavano alle scomuniche del papa, nè cedevano a lusinghe di novatori, mosse tosto per sorprendere in casa i gran ribelli. Allo scalpitare dei cavalli, al grave passo dei pedoni, uscivano dalle botteghe, facevansi alle finestre le persone; - Che è? Che non è? - È Sfolcada Melik, che Dio ce ne scampi! - Dove vanno? perchè vanno? - Guarda, guarda, hanno seco picconi, arieti, scale. Che vadano a pigliare una fortezza?»
I più quieti lavoratori si accontentavano di guardar dietro alla truppa, stando a sportello o sui balconi; altri, come facchini, carbonari, macellaj, correvanle dietro, e domandavansi un l'altro dove andassero, e nessuno sapeva soddisfarne la curiosità. Vedendoli drizzarsi alla Balla: - E che si che vanno a far la festa al signor Barnabo? o al bel Galeazzino? Già, dà ombra a Luchino - già ne è geloso».
Ma la sbirraglia volta. - Sta a vedere! si fermano al vicolo Pusterla; - appoggiano le scale al verone. - Vedi ve' colui come s'arrampica! e' par tutto un orso! - Come? - Chi? - I Pusterla? - O Madonna di San Celso! Son miei protettori. Scappa, scappa, che non mi credano del loro partito».
E i più scappavano: il che chiamasi prudenza; gli altri stavano a guardare, ma nella rispettosa distanza in cui li tenevano le labarde dei soldati di Sfolcada Melik: parte dei quali dava da qui l'assalto alla porta, alle finestre, fino al tetto; un'altra, alla guida di uno, che la buffa calata sul viso impediva di conoscere, svoltò nella via dei signori Piatti, e arrivò addosso a Franzino Malcolzato, intento a quel giuoco che dicemmo.
- Una forca! impiccato il biscione! minacciata la forca ai Visconti! Ecco: fin ai servi sono nell'intelligenza!» Così diceva alcuno, forbottando e legando il Malcolzato, a cui una sbarra cacciata in bocca impediva di gridare, come le corde gl'impedivano di rispondere ai molti pugni, onde valorosamente il percotevano i Tedeschi.
Per quell'usciuolo intanto, e giù per le finestre e dal tetto erasi versata nel palazzo la piena assalitrice, prendendo i pochi servi trovati; poi si diffuse per le stanze come assaltasse un castello nemico, cercando i gran malfattori, e tra via facendo profitto per sè col cambiar di padrone al buono e al bello che capitasse sotto le mani.
Ma innanzi a tutti davasi da fare quel tale dalla visiera calata, e che, mostrandosi pratico della casa, con vera passione frugava le camere, e pareva scontento a mano a mano che, entrando in una, la trovava deserta, od occupata da tutt'altri che da quelli che cercava. Quando in una galleria vide Venturino, il bel fanciullo della Margherita, che infantilmente trescava con uno sparviero, senza udire o temere il fracassìo che attorno al palazzo succedeva. Col labbro tremante nel più amaro sogghigno, si avventò contro lui quel malvagio, il ghermì, lo fissò quasi volesse sbranarlo cogli occhi; e mentre il meschinello strillava a tutta gola, e chiamava il babbo, la mamma sua, egli lo serrava ferocemente contro al petto, e gli chiedeva con istanza, - Dov'è tua madre?» Ma poichè egli non rispondeva se non con urli e lacrime, esso lo minacciava, il percoteva, e senza un istante abbandonarlo, continuava le indagini per ogni camera, per ogni ripostiglio più secreto. Che se non poteva trovare nè il Pusterla, nè la Margherita, raccoglieva però le armi, le valigie disposte, tutto ciò che potesse attestare o la presenza di Franciscolo in Milano, o i preparativi di una rivolta: singolarmente fu lieto al trovare la lettera che Matteo Visconti, per mezzo del Pusterla, avea da Verona inviata ai suoi fratelli. Fatti poscia incatenare i servi, già s'accingeva a partire non del tutto soddisfatto, quando, nel metter il piede sul ponte levatojo, vede affacciarsi la Margherita.
Nella carestia che allora dominava, molte donne, per vera fame, aveano fatto getto della loro onestà. Là verso Sant'Eufemia abitava una famigliuola, ridotta a tale necessità, che i genitori diedero ascolto alle sozze sollecitazioni di un ricco, promettendo alle voglie di esso una loro figliuola, purchè egli provvedesse ai loro bisogni. La fanciulla, allevata nelle massime dell'onestà e nel timor di Dio, non reggeva all'idea desolante d'un amore senza virtù e senza avvenire; supplicava il cavaliero, supplicava i parenti; ma quello al mal talento, questi alla fame più volentieri porgevano orecchio. Ridotta alle strette, la zitella ricorse alla Margherita, e non fu invano, che i soccorsi di lei risparmiarono un delitto. Ora, sopraggiunta a lei l'inaspettata partenza, volle dapprima compire l'opera sua, e sebbene affaccendata nell'allestirsi al viaggio, trovò un momento da correre a casa della meschina, nell'ora che sapea d'incontrarvi il nobil uomo. E quivi, non dandosi per intesa degli indegni patti ond'egli entrava colà, tolse a lodarlo della carità usata con quella gente; gli espose come ella avesse trovato un marito alla fanciulla, un onesto cardatore di pannilani, e che domani si farebbero le promesse; talchè egli era in tempo a mostrare la sua generosità.
Il ricco, preso da siffatta bontà, che non tocca mai tanto come quando è vôlta sul consolare gli altrui patimenti, fece come la Margherita volle; fu chiamato lo sposo, dato l'anello, e la Margherita se ne partì tra mille benedizioni di quella povera gente, che instava perchè ella domani assistesse ai contenti da lei preparati.
Oh le benedizioni dei poveri fruttano sempre, ma non nell'infeconda terra delle tribolazioni.
Mentre, imbaccucata nella mantiglia, la Margherita tornava, vede trar gente; avvicinandosi, s'accorge d'un serra serra intorno al palazzo: - Che sarà?» al cuore di una sposa, di una madre, quanti spaventi! Tra la folla, tra la soldatesca si apre il passo; più d'uno le diceva: - Fuggite, salvatevi!» ed ella stessa, giunta al lembo della calca, vedendo quell'invasione nel palazzo, stava in forse d'andarsene, allorchè mirò uscire dalla porta quel mascherato, recantesi in braccio il suo diletto bambino.
In simili casi una donna conosce pericoli? una madre? Si slanciò alla volta di quello; ma neppure di raggiungerlo ebbe tempo; giacchè l'incognito, non appena la scorse, diede un guizzo d'infernale compiacenza, che fece guaire il fanciullo abbracciato; e additando la donna a Sfolcada Melik, - Eccola: è dessa; legatela».
Il connestabile diede l'ordine; ma come, assalendola, ne ebbero fatto cascare lo zendado, ed apparvero quella bellissima fronte maestosa, quegli occhi avvivati dall'amore, dalla temenza, quelle bianchissime carni impallidite, quell'aspetto, su cui con tanta eloquenza si dipingevano e l'accoramento e la generosità che le faceva dimenticare il suo pericolo nell'altrui, ristettero anch'essi quasi tocchi da sacro sgomento. Ma lo Sfolcada, che poco capiva delle affettuose parole da lei indirizzategli, e che non voleva rincrescersi di far male a quella razzaccia di Lombardi, contro dei quali era lautamente stipendiato, le fece por le manette, e strascinarla via; non prima però che quel malnato, nascosto dalla visiera, si accostasse alla infelice, e mostrandole il figliuolo, le dicesse in voce sommessa, ma rabbiosa: - Margherita, vi ricordi la notte di San Giovanni».
Poichè allora non adopravasi cura per illudere il popolo, gli arresti si facevano clamorosamente, a suon di campane. E la campana del Broletto nuovo aveva cominciato a tempellare; a' cui rintocchi alzando il capo, gli operosi dimandavano: - Che s'attacchi fuoco?» Ma poi intendendo che non era altro se non un atto di giustizia, esclamavan beati i loro tempi, perchè più non erano, al suon della squilla, costretti interrompere i lavori per accorrere sull'armi. Propagandosi però quei tocchi a martello di chiesa in chiesa, moltiplicandosi il rumore di vicinanza in vicinanza, mano mano che i satelliti andavano pei varj quartieri imprigionando or l'uno or l'altro, una sollecita curiosità, un panico terrore invadeva i cittadini: tutta Milano andò sottosopra; i bottegaj chiusero: i privati stangarono gli usci. Quando tale scompiglio si dilatò, era sulle ventitrè: l'ora che, di solito, chi ne aveva, mettevasi a cena: e che dai telonj, dalle officine tornavasi ai tugurj suoi la plebe operosa. All'intendere quella novità, avresti veduto i Milanesi arrestarsi un l'altro, farsela ripetere, poi fitto fitto ripeterla essi stessi ai sopravvenuti, al compare, al collega, al camerata. - Che? anche questa? nuove vittime? nuove crudeltà?»
E sorgeva in ciascuno un sentimento misto di pietà, di indignazione, di ritorno sopra sè stessi: sentendo così in confuso che, quanto oggi accadeva agli altri, poteva domani toccar a loro. I più deboli, i denarosi, i pusillanimi, stringendosi nello spalle ed esclamando, - Poveri noi! poveri noi!» si ritiravano chiotti chiotti a pollajo, senza rivolgersi indietro; chiudevano ben bene le porte, e fattosi attorno un cerchio della sbigottita famiglia, si davano a pregare, raccomandarsi al Signore; come il contadino allorchè vede in aria certi nugoli bianchicci, per così dire stracciati, ed ascolta un sordo continuo brontolar del tuono, che lo fa pensare alle fatiche durate, alla messe spigata, all'inverno imminente.
Ma gli animosi (e in quel secolo non erano i meno), quelli i quali alla loro vita s'erano bagnati di sangue nelle frequenti scaramuccie, e di tempo in tempo alimentavano l'abito della bizzarria e della fierezza coll'attaccar risse e col mischiarvisi, od almeno star a vedere, appena udito il caso, buffonchiavano, sbattevano per terra i berretti, arruffavano i mustacchi e il ciuffo, poi sui crocicchi, nelle piazzuole, facevano capannelli, ove comunicando un all'altro l'ardore, come più faville che unendosi formano un incendio, se prima mormoravano, allora prorompevano in sonanti imprecazioni; e senza guardare che fosse padrone o non padrone, facevano a chi peggio dicesse del signor Luchino; lodavano il Pusterla, forse non per altro motivo se non perchè era perseguitato; rammentavano i tempi de' loro vecchi, quando si faceva senza d'un padrone, e si viveva da papi.
- Come? - che? nuove catture; nuovi sbandimenti? (così dicevano con varie voci e discordanti) Arrestato il cavalier Pinalla? un fior di galantuomo di quella fatta! Io ho servito per cinque campagne sotto la sua bandiera; egli è mio protettore spacciato.
- E suo fratello Martino? Pensate! domenica udiva messa in San Lorenzo a due passi da me.
- E me? gli è mio vicin di casa, e non mi scontrava mai che non mi dicesse, - Schiavo, Pizzabrasa.
- Anche Beltramolo d'Amico fu menato su ripiegato ripiegato, sai?
- Ah! quello gli sta bene: è un ghibellino marcio. Non l'ho inteso io a dire che il papa ha fatto male a scomunicare l'imperatore e il signor Matteo? Malann'aggia! Se non ci fosse il papa a fare star a segno questi cani grossi, che ne sarebbe di noi e del popolo!
- Ma pel popolo e per Sant'Ambrogio si sarebbe fatto a pezzi Borolo da Castelletto; e anch'egli è col muso alla ferrata. Quanto me ne sa male! Un avventore di meno al mio macello.
- Il peggio è però di quella buona signora Margherita.
- Ad un pitocco non diceva mai, Andate in pace; nè, Tornate domani.
- Colla penuria che corre, in porta Ticinese nessuno ha patito la fame.
- Alla mia nonna inferma ogni dì ne mandava un fiaschetto».
E seguitavano innanzi con questi encomj finchè dandoci alle furie, gl'interrompevano certe vociaccie sgangherate e risolute: - Ah cane! - ah demonio! - Così becca via un per uno i nostri bravi signori! - Che razza di città ha da diventar questa mai? Non ci resteremo che noi pitocchi. - E allora chi verrà alle botteghe? chi ci toglierà per servitori? chi ci pagherà da bere? - Bel vivere, perdio, vorrà essere allora?
- Vivere? (soggiungevano altri). Se pure ci lascerà vivere. Perchè io lo vedo come in uno specchio; una volta che colle sue manifatture abbia spazzato via i grossi, ingojerà i piccini in una boccata; come il lupo colle agnella dopo squartato il cane.
- Oh se avremo giudizio (replicava Antellotto Braccioforte, fabbro ferrajo tutto affumicato, e con voce usata a vincere il fragore delle incudini); se avremo giudizio, non aspetteremo che arrivi sino a questo: e vi piglieremo sopra un bravo rimedio a tempo.
- Un rimedio: sicuro: Un bravo rimedio; dice bene Antellotto (davano su a molti insieme). Già non è il primo che si fa freddo. Abbiamo snidato anche i Torriani: abbiamo strascinato per le strade anche Beno dei Gozzadini. - Oh sì certo! bisogna pensarvi di maledetto senno, perchè ormai chi è più sicuro nemmeno in casa propria?
- Oh, in quanto poi a casa mia (gli interrompeva il bottajo Calcintesta) com'io son dentro del mio uscio, l'ho a vedere quel muso bravo che ha da portarvi dentro i barbigi, l'ho a vedere.
- E anch'io - e anch'io», replicavano altri, destinati, tutta la vita loro ad essere, come i più, null'altro che l'eco delle voci altrui, che l'ombra degli altrui gesti; e imitando Calcintesta, col capo e colle pugna facevano terribili atti di minaccia, che Dio ne scampi. - E se (ripigliava il ferrajo) se si avrà a fare qualche fazione, a menar le mani, ehi, camerati, mi avete visto delle altre volte. Per qualche cosa mi dicono il Braccioforte.
- E nemmen io non son mai dato indietro ai pericoli. - E nemmen io»; replicava il solito coro.
- Ohe! (saltava su il Pizzabrasa) suonano il terzo segno della campana! la ritirata. A casa, a casa. Io non ho lanterna, e non mi sento di pagare le venticinque lire di multa.
- Neppur io: dunque buona sera.
- Tutt'ora che mi vogliate, sul terraggio di porta Tosa, lo sapete. Addio, compare, buona sera.
- Schiavo, Beccalò. - Dormi bene, Peregrosse»; e quei crocchi si scioglievano, come un muro sotto alla mano del mastro che demolisce; versavansi per le vie ad uno, a due, a più, difilandosi alle loro casipole, al Guasto, alla Vetra, al Broglio, dove la poveraglia abitava, stivata sino a venti per camera, uomini, donne, fanciulli alla mescolata. Tra via seguitavano a parlottare, a brontolare, a rinfocolarsi a vicenda. Giunti ciascuno sulla propria soglia, nel dividersi dalla compagnia, in atto di far mari e monti, si danno certe strette di mano che fanno spalancare le bocche, ed entrano nelle loro cameruccie. Colla prima sera i poveri allora si mettevano a letto per potere colla prima alba essere ai mestieri; e i lumi erano una rarità. V'è dunque bujo, se non quanto le rischiara qualche raggio di luna, che batte attraverso le impannate di carta oliata. All'aprire risoluto ed impetuoso dell'uscio, la moglie alza il capo dal piumaccio, domandando perchè più tardi del solito; quattro o cinque fanciulli, che le posano daccanto, e che furono tenuti svegli fin allora dalla fame, chiedono al babbo che cosa portò da cena: ma i babbi infuriati non badano, non rispondono nè a donne nè a ragazzi, ed acceso un lumicino a mano, s'inviano a spiccar dal muro, a trarre di sotto al letto le loro armadure: scoprono la barbuta che era stata di loro padre e del padre del loro padre, ammaccata dalle asce fraterne e dalle straniere; cacciano a mano lo stocco; tentano il ferro della lancia, e si danno a spazzarne la polvere e i ragnateli, a dirugginare, ad ugnere, ad affilare, a provarsele in capo, al dosso, in pugno, ad armeggiare, facendo fischiare gli spadoni a due mani sovra il capo dei coricati.
A tale scena le povere donne balzano sgomentate dal letto, avvolgendosi un cencio intorno alle nude carni, che le camicie erano un lusso di pochi, ed - O cara Madonna, di San Satiro! (esclamano) cosa c'è - che fai? - perchè così scalmanato? - T'è accaduto qualche incontro? - Te n'hanno fatto una grossa?» e piangono, e fansi il segno della croce; e i ragazzi, vedendo la madre a piangere piangono anch'essi, s'aggruppano con una meraviglia paurosa attorno al padre, pregandolo a dire cos'è, cos'ha da succedere, a non lasciar piangere la mamma. Egli, così fra l'allestire l'armatura, risponde con parole ricise e a spizzico! - Eh, niente... non v'è niente... Toglietevi fuor dei piedi... Che volete mai saper voi, tenerume? preparo le armi perchè... perchè... è sempre bene trovarsi all'ordine. Non è niente, vi replico: via, volete finirla? che serve piagnucolare? ci vuol altro che lagrime. Sangue ha da essere: sangue. - Per me non sarò il primo, ma giuraddio se mi schiacciano la punta d'un dito... Cani! gliela faremo vedere. - I Milanesi son buoni, ma non di là da buoni. Pazienza e pazienza va bene; ma poi la scappa, e rotto una volta il ghiaccio, saranno guai. Brutti mostacci!...»
Queste e più violente parole, dette coll'energia del dialetto e coll'espressione dell'ira, sono atte a ben altro che a tornare tranquille le agitate famigliuole; onde per quella sera è un sbigottimento, una sospensione, un trambusto. Di cenare nemmanco si parla: ma ogni tratto affacciarsi e tender l'orecchio ansiosi al minimo bisbiglio: e sgomentarsi, ed accorrere ad ogni ubbriaco che schiamazza, ad ogni battente che si rabbatte più risoluto: poi da un balcone all'altro chiamarsi a nome, e - Compare, niente di nuovo?
- No, niente; e voi?
- Neppur io»; e tacere un istante per replicare un momento dopo con un altro la stessa domanda, la stessa risposta.
A poco a poco però quell'ardore sbollisce: le donne pietose, i vecchi prudenti riescono a mandar a letto gl'infuriati: l'ultima parola è una minaccia, ma intanto le impannate una dopo l'altra si ravvicinano; i lumi appena trapelano dalle accostate finestre, poi si spengono, e tutto rientra nell'oscurità, nella quiete.
Alla mattina, svegliati tra il sì e il no, in mezzo al pacifico sbadiglio consueto si risovvengono del tramestio, della furia schiamazzante di jer sera; se ne vanno lentamente rivocando alla memoria le ragioni, i successi: traggono il capo di sotto la coltre; - Come? già chiaro!» Tendono l'orecchio, sentono la calma solita, il solito tranquillo ronzío delle altre mattine. Sbaldanziti dunque e tutti calma, tranquillamente stirandosi, tranquillamente mettendosi in dosso, tra il fare si affacciano alla finestra. - Tutto è quieto: le botteghe ancora chiuse: le campane non suonano che a mattutino o a messa; lattivendoli, ortolani, mastri muratori, braccianti s'avviano alle loro faccende consuete.
- Tanto meglio! (esclamano). Sia ringraziato il Signore».
Al coraggio della paura è sottentrata la viltà della sicurezza: a quel grand'impeto, a quella viva stizza, un languore d'inferno: se non che per codarda apprensione vorrebbero non aver fatto, non aver detto quel che si ricordano di jeri: - Ma erano molti, e di ragione nessuno avrà badato a me. Al caso dirò ch'io era in cimberli».
Riprendono le scuri, le seghe, le cazzuole; raccomandano alla moglie di riporre le armi tratte fuori, di far dire le orazioni ai puttini, di avere scodellata la zuppa per quando suona la zavatara (così, dal podestà che la fece fondere, chiamavasi un campanone in Cordusio che annunciava il mezzodì): e sbocconcellando un pezzo scusso di pan di miglio, goffi goffi tornano ai lavorieri, docili, spensierati, come se nulla fosse accaduto. Di quel cacciare di lingua, delle fragorose imprecazioni, delle minaccevoli smargiassate della sera innanzi, null'altro è sopravvissuto che un rumore misterioso, una curiosità piena di diffidenza, un cauto mormoracchiare coi vicini di bottega, cogli amici di più specchiata confidenza.
- Mah! non ho inteso niente: quando capiterà qui un mio avventore, che è tutta cosa del cuoco del luogotenente del capitano di giustizia, saprò il fatto a minuto.
- E degli arrestati che ne sarà?
- Daran da fare a mastro Impicca (quest'era il nome del boja d'allora). Gli statuti parlano chiaro: Suspendatur eo modo ut moriatur.
- Volete dire, eh? E noi andremo a vedere, dico bene?
- Mah! non so che dire. Chi ha buono non rimescoli. Che gerarchie entrano per la testa a questi signori? Toglier a cozzare coi muricciuoli! È proprio come se le lumache facessero a testate coi montoni. Dico bene?
- Voi dite come un predicatore.
- L'è il caso di quell'asino che, jer l'altro passando per di qui, s'impuntò di non voler più andare innanzi. Che ne seguì? il padrone lo mazzicò finchè poteva portarne; e la bestia, scalcia, ragghia, ricalcitra, alfine dovette cedere e seguitare.
- Già il proverbio non falla: legar l'asino dove vuole il padrone.
- Tal quale. Gli uomini sono nati parte per obbedire, parte per comandare, dico bene? Poco su, poco giù, comandi un solo o comandino molti, le cose vanno dello stesso piede; e ad ogni modo noi, se vogliamo trarre in castello, ci convien lavorare tutta la giornata: dico bene?
- Benissimo. Quanto a me, io sto coi frati e zappo l'orto. Se oggi odo gridare Popolo e Viva Sant'Ambrogio, grido anch'io Popolo e Sant'Ambrogio; se domani urlano Viva i Visconti, ed io urlo più forte Viva il biscione.
- Bravo! così si sta amici con tutto il mondo.
Quindi si danno a fischiare una cadenza, a cantacchiare un motetto, a sollecitare i battimazza perchè lavorino, a dare uno scapellotto al fattorino impertinente, a far sentire più vivo lo strisciar delle piale, il ronzare dei tornj, l'affollare dei mantici, lo stridio delle lime e delle seghe, il picchio dei martelli: mentre la folla dei curiosi, dei ricchi, degli scioperoni, degli affaccendati, dei divoti, seguita a riempire le strade, le case, le piazze, le chiese, secondo l'usato, allegro e melanconico ciascuno secondo gli accidenti suoi proprj; e nessuno in particolare dolendosi di quello che era male di tutti.
La domenica seguente fu una memorabile solennità in Milano. Poichè i tiranni hanno l'amor proprio di volere che i loro sudditi sieno allegri - ottimo preservativo da quell'incomodo vizio del pensare - pompe e feste si ricordano ogni tratto, introdotte o praticate dai principi lombardi. A noi vaglia il ricordarne due in Milano, cominciate nel 1335 da Azone Visconti: l'annua processione del Corpus Domini, e la festa della Natività di Maria, in cui ogni città e borgo doveva, per suoi deputati, mandare a Milano la propria insegna e un drappo di seta da offrire alla metropolitana; i quali drappi, il primo anno, sommarono a centoventidue, del valore di settemila fiorini.
Alla solennità celebrata nel giugno, ove ci troviamo col nostro racconto, avea dato occasione il capitolo generale dei Domenicani, tenuto nel convento di Sant'Eustorgio, sotto alla direzione di Ugo Vantemann, sedicesimo generale di quell'Ordine recente e vigoroso; e vi fu dato compimento col trasferire il corpo di Pietro martire da Verona, stato ucciso a Barlassina da chi mal soffriva lo zelo di esso nello stabilire ed esercitare fra noi l'inquisizione contro l'eresia. Giovanni di Balduccio da Pisa, uno dei primi ristoratori della scultura, aveva in Sant'Eustorgio preparato quell'arca di sì stupendo lavoro che tutti avete veduto; e nella quale Giovanni Visconti, fratello di Luchino, in gran pontificale
depose le sacre reliquie, con una sfarzosa processione, decorata da tutti i vescovi della provincia, dalla Corte, dal fior della nobiltà, dai paratici, voglio dire dalle sessanta badie d'artefici e negozianti, ciascuna con divise particolari e collo stendardo del proprio Santo protettore. Dalle città vicine, da tutto il contado accorse il popolo a folla, e tutto il dì fu uno scampanare a Dio lodiamo, e corse di barberi, e rappresentazione di misteri, e preghiere, e ubbriachezze, e una devozione, e un'allegria da non dire; poi la sera canti e suoni e luminare e fuochi di gioja - che il vulgo non distingue mai dai fuochi d'artifizio.
In hac solitudine.