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CAPITOLO XII.
Il giorno dappoi, all'ora che Lasagnone soleva portare alla Margherita una pagnotta, una scodella di zuppa ed una brocca d'acqua, le comparve dinanzi con volto più mansueto, a somiglianza d'un orso quando fa cerimonie. Obbediva egli così a colui, al quale egualmente avrebbe obbedito se gli avesse comandato, - Lasciala consumare di fame». E poichè le ebbe deposto per terra il vaso dell'acqua e accomodata la scarsa prebenda, a guisa di chi vuol mettere in sapore di cosa inaspettata, diceva: - Qui poi, ci ho un lacchezzo per vossignoria»; nel mentre che pian pianino, sto per dire con devozione, veniva rialzando i lembi di un tovagliuolo, di sotto al quale comparve un fragrante manicaretto. Tirò il fiato per le narici colui, come un segugio che fiuti il sito del selvatico, e mettendosi la mano sul cuore, esclamò: - Oh buono!» poi deponendolo avanti alla sventurata, che, a quei garbi così insoliti e così goffi, a quella voce così stranamente indolcita, così forzatamente cortese, apriva la fisonomia ad un malinconico sorriso, - Questo (le soggiunse) glielo manda l'illustrissimo signor Luchino: padrone nostro e di tutta Milano; e dice che glielo manderà tutti i giorni, dice; e che vuole sia trattata sempre da par sua: e dice che si ricorda di lei».
Questo cambiamento in meglio recò tutt'altro che conforto alla Margherita. Come succede al giusto conculcato dal prepotente, ella sentivasi di gran tratto superiore al suo nemico; e a guisa di una molla d'acciajo, più era calcata, più con vigore rimbalzava. Oggi però che ne riceveva una cortesia, e pur troppo non poteva recarsi a crederla da pietà o dalla acquistata certezza dell'innocenza sua, ma dovervisi celare qualche insidia; oggi le si apriva dinanzi all'immaginazione un'altra serie di patimenti e martirj nuovi che le sovrastavano. Quindi, allorchè il carceriere le fissava gli occhi guerci in faccia, aspettando di vederla tripudiare dall'allegrezza, un profondo sospiro mandò ella invece dal petto, e sollevando lo sguardo gonfio di lagrime al cielo, esclamò: - A voi mi raccomando».
Era corso il suo pensiero alla madre del bell'Amore: a lei si era votata contro i preveduti assalti. Si ricordò quando, bambina, le insegnavano ad offrire un fiore a Maria Vergine coll'astenersi, in certi giorni più devoti, da qualche vivanda che le facesse gola; buon avviamento a quelle abnegazioni che, in troppo più gravi cose, deve poi nella vita fare per forza chi non vi si abituò per virtù. Anche allora dunque voltasi Margherita a Macaruffo, e colla destra lievemente respingendo il tagliere ch'ei le sporgeva: - No (disse), no. Vedete? coteste delicatezze a me non s'addicono. Per reggere la vita n'ho assai di questo pane e di questa zuppa. Trovate di grazia un poveretto - qualche infermo che conosciate più bisognoso; dategli questo piatto, e raccomandategli che preghi per me.
- Come? la non lo vuole?» esclamava il carceriere, fuori di sè tra per lo stupore e per la fiducia di farne suo pro: e colla più tepida insistenza, che ingegnavasi di fare apparire sincera, ripeteva: - Senta, senta!» e annusava la pietanza e l'avanzava verso di lei: - Senta fragranza! È un pasticcino di beccafichi da serbatojo, tutti sugna. Ah buono! Un boccone da tornar il gusto a un morto.
- Tanto meglio (replicava la Margherita) quel poveretto lo mangierà più volentieri.
- Ma... a... a...!» riprendeva Lasagnone assumendo un'aria seria e contrita. - Il signor principe ha ordinato di darlo a lei, o sarebbero guaj. M'ha fatto una minaccia che... il Signore me ne scampi!
- Il principe non lo saprà. Io l'ho per accettato; fate conto che l'abbia goduto io: e destinatelo, vi prego, all'uso che vi ho detto.
- Deh che buon principe eh?» soggiungeva Macaruffo, pur collo sguardo incantato sopra la vivanda. - Ella può veramente chiamarsi fortunata d'essere nelle sue mani. Pare fino che abbia compassione di lei».
La Margherita chinava la testa, e colui seguitava: - Dunque darlo proprio ad un pitocco.
- Si, e che preghi per coloro che soffrono, ed anche per coloro che fanno soffrire.
- Buon pranzo a vossignoria», esclamò Macaruffo, traendosi il berretto con un'insolita gratitudine, e tiratosi dietro l'uscio, se n'andò contento che non gli parea vero; e non era disceso da metà la scala, che si sedette, e postosi quel leccume sovra le gambe incrociate, si diede ad ingojarlo con avidità, nell'estasi di tutta la sua ingordigia lamentandosi che fosse poco, e leccandosi le dita, le labbra, i barbigi, il piatto: invidiando quasi all'aria gli effluvj che gliene avea rapiti.
Il giorno da poi narrò alla meschina d'averlo dato ad un mendicante. - Se l'avesse veduto! sciancato, lebbroso, che non lo guarirebbe l'arcivescovo il dì delle palme20; non poteva reggersi sulle gambe, e ogni po' che io tardassi, e' cascava certamente di pura fame. Con che gola ricevette il suo dono! Aveva ad essere qualche cosa di ghiotto, io credo: Bocconi di quella fatta non ne pappano nemmeno i pitocchi. Fu certo la sua vita. E sa? egli ha mandato una furia di benedizioni addosso a lei, ai suoi vivi ed ai suoi morti».
Era questo uno di quegli esordj per insinuationem, che in retorica c'insegnavano, giacchè alla conclusione di esso, discoprì e le presentò un altro intingolo, che, giusta il comando, egli era stato a prendere dalla cucina di Corte.
- Bene! (disse la Margherita) lodato il Signore che, anche in questo stato, mi presenta il modo di soccorrere i miei poveri fratelli! Ed oggi abbiate la compiacenza di fare altrettanto con quest'altro.
- Come? anche oggi?» saltò su il carceriere, fingendo meraviglia di quel che già aveva per lo meno sperato.
- Sì (ripetè la signora); anche oggi.
- E anche domani?
- Anche domani, e così l'altro, e finchè me ne manderanno.
- Ma (replicava il ghiotto), se egli, se il signor principe le domandasse, che cosa gli risponderà? Non vorrei che credesse...
- Gli dirò che l'ho sempre ricevuto.
- E che lo ringrazia, n'è vero?»
Così tutto a pasto uscì il leccarde, cantarellando sommessamente - Di peggio non capiti».
Ma domandandole che cosa avrebbe risposto al principe interrogata, egli avea fatto rabbrividire Margherita, la quale presentiva che dovrebbe trovarsi faccia a faccia col suo persecutore. Nè quella paura tardò a verificarsi. Pochi giorni dopo, Luchino, girando da quelle parti con un codazzo di soldataglia e di cortigiani, si volse di tratto al suo buffone dicendogli:
- Grillincervello, vogliamo noi fare una visita a madonna Pusterla?
- Questa volta non ci sarà pericolo che madonna colei la troviate partita», rispose il buffone.
Rinfrescavano queste parole al principe una memoria spiacevole se altra mai, onde, a guisa d'un mastino traditore, che repente si volge a morsicare la mano da cui lasciavasi quietamente palpeggiare, digrignò i denti stizzito, e vibrò la mazza contro il motteggiatore insolente. Il quale fu destro a schivarne il colpo, e cacciandosi fra la turba esclamava guajolando: - S'e' mi coglieva, poveri i grilli del mio cervello!» Poi Luchino toccò di sprone il cavallo, e s'avviò alla rocchetta. Al suo venire, si cala il ponte, guardie gridano, guardie accorrono, un ossequio universale, un pendere attenti ad ogni suo cenno; - e tutto questo perchè? perchè egli ha nome il padrone...
Gonfio di tanti omaggi, ebbro dell'universale obbedienza, della vigliaccheria universale, entra, scavalca verso un appartamento che egli avea fatto allestire onde in ogni caso potervisi, come in luogo più sicuro, riparare da una prima furiata del popolo; e lasciata nell'anticamera la comitiva, come fu in una stanza interna, mentre un paggio gli sfibbiava l'armatura, ordinò al carceriere che portasse colà la signora Margherita.
Lesto Macaruffo fece sonare un mazzo di chiavi; orribile armonia, onde tutta si risentì la nostra infelice, tanto più quando in quell'ora straordinaria l'intese drizzarsi verso la sua prigione ed aprirla. In fatto egli schiuse, e con un ghigno di maliziosa petulanza sporgendosi mezzo in quella camera, le disse: - Buone nuove, signora, buone nuove: l'illustrissimo signor principe è di là che l'aspetta».
Chi avesse detto alla Margherita - Sei condannata a Morte», non le avrebbe dato nel sangue una mano così gelata, come annunziandole che doveva trovarsi testa a testa con quel cattivo. Impallidì, sentissi venir meno, talchè le convenne appoggiarsi ad una seggiola; sudò, gelò, poi gettatasi ginocchione, pregò fervidamente.
La interruppe il carceriere con un - Andiamo; lesta, che il suo tempo è prezioso».
Ella rincorata si alzò, e ripetendo - Andiamo», si avviò: mentre Macaruffo le teneva dietro replicandole: - La si ricordi che le pietanze io gliele ho portate: - e se non le volle, colpa sua: e che le ho detto che il principe si ricorda di lei; - e che l'ho trattata sempre come va...» La aspettava Luchino in un salotto, assiso in un seggiolone a intagli dorati, coperto di damasco: aveva deposto la corazza, l'elmo, gli schinieri, ed incrociando le gambe, appoggiava ad uno dei bracciuoli il gomito sinistro, e al dosso della mano la guancia. Due vivissimi occhi scintillavano nel viso di maschia bellezza, quale tutti l'avevano i Visconti; un viso, su cui la virilità aveva reso stabile qualche ruga, disegnatavi prima dall'orgoglio e dal dispetto. Ricca capellatura gli scendeva inanellata dal capo scoperto sopra le larghe spalle; e fissato alla porta, lasciava trapelare sul volto una mistura di turpi speranze, e di appagate vendette.
La Margherita gli comparve dinanzi in un vestito bruno, dimesso e trito, ma nelle pieghe di quello e nell'acconciatura del capo si rivelavano ancora le graziose consuetudini della donna elegante, la quale un tempo dalle labbra di chiunque la vedesse, strappava un grido di ammirazione. Da quel tempo oh come era mutata! eppure fra tanti segni di patimento compariva ancora troppo più bella, che non avrebbe essa desiderato per isfuggire alle malnate voglie del suo tiranno. Ma più bella ancora la rendeva quell'aspetto di superiorità, che la fronte dell'innocente conserva, allorquando, per le non rare combinazioni sociali, si trova chiamato a giustificare la propria virtù innanzi all'iniquità prevalente; superiorità così sublime, che un savio disse, essere lo spettacolo più maraviglioso agli occhi degli Dei.
Poichè all'uomo abituato alle nequizie poco costa una nuova, Luchino stava aspettandola colla indolente attenzione onde l'uccellatore attende la preda al paretajo. Forse, erudito come era, gli veniva in mente quell'imperatore romano che, carezzando la testa d'una sua amata, le diceva: - Mi piaci tanto più, perchè penso che con una parola posso fartela balzare ai piedi».
Vero è che nell'animo suo non aveva fatto disegno di usare violenza con essa: dirò più retto, non aveva pensato che dovesse tornarne bisogno. L'anima abjetta crede gli altri somiglianti a sè. Luchino nei volubili suoi capricci rado o non mai aveva (miseri tempi!) trovato la bellezza resistente alle lusinghe dell'oro, della vanità, del potere. Come credere che l'avrebbe fatto questa? questa, a cui i passati patimenti dovevano aver fatto chiaro da chi pendesse ogni sua fortuna; come un cenno di lui potesse ridurla infelicissima, o sollevarla a primeggiare nella Corte fra le sue eguali, e tornarla, che è più, al marito, al figlio, che importa se contaminata? - Il temere di essi, lo sperare in essi, il vivere per essi è pure l'unico sentimento, che nei sudditi suppongono i tiranni, e che credono bastante a frenar sino il pensiero; che dico? a farli sino amare. Quindi cortese salutò la tribolata, e - In quanto diverso stato io vi riveggo, madonna.
- In quello (rispose la Margherita) in cui piacque alla vostra serenità di ridurmi.
- Ecco!» esclamava Luchino, rizzando il capo e battendo della mano sulla sedia. - Ecco già sulle prime una parola schifa e superba. I casi dunque non vi avranno rintuzzato cotesto orgoglio? Perchè non riconoscere piuttosto i vostri errori? perchè non dire: Sono nello stato ove mi trassero le mie follie - e le altrui?
- Principe (replicava la signora con una dignità accorata), vi prego ricordare che non fui per anco giudjcata: e che il giudizio potrà mostrare come a torto mi si appongono delitti che ignoro. La sicurezza della mia fronte dovrebbe del resto attestarvi della mia innocenza».
Sogghignò egli col freddo e crudele orgoglio, che suole il potente ribaldo al nome di virtù, e - La sicurezza (soggiunse) l'ostenta anche il ladrone, reo del sangue di molti. Non ho veduto mai un ribelle, che sulle prime non abbia in ogni atto, mostrato quell'innocenza che poi alle prove scomparve. Ben forti ragioni, o signora, ben forti devono essere quelle che m'indussero a trarre qui una persona, che voi sapete se io stimo... se amo».
E sorgendo le si avvicinò con aria di procace dimestichezza; essa dava indietro taciturna e sospirosa. Come feriscano al vivo le proteste d'amore fatteci da colui che ci perseguita, neppure al mio più atroce nemico augurerei di sperimentarlo.
- Ma voi (continuava Luchino) come rispondeste alle prove del mio affetto? Alterigia, fastidiosi dispregi e scherni, e dietro a questi, facile passaggio, congiure, tradimenti. Or chi siete voi da volervi alzare contro il vostro padrone? Miserabili! egli soffia, e vi fa polvere».
Così ora placido, ora severo egli veniva da varie bande tentando l'animo di essa, che sempre dignitosa, ne riprovava gli argomenti, lasciava sfogare le sue escandescenze; aveva ragione e gli chiedeva perdono, mentre egli la ingiuriava e chiamavasi offeso: - vicenda tanto consueta nei fasti della povera umanità. Sovratutto poneva essa ogni studio a sviare, a troncare un discorso che egli pur sempre rappiccava, il discorso d'amore: e poichè Luchino insisteva, essa gli disse: - Ma se è vero, o principe, che mi amate, perchè non inchinarvi alla preghiera mia, la prima e forse l'ultima che io vi faccia? Salvate il mio sposo, salvate mio figlio!» e gettatasegli ai piedi, gli abbracciava le ginocchia, con tutta l'eloquenza d'una bellezza innocente ed infelice ripetendo: - Salvateli!
- Sì (rispondeva egli): sta in voi; voi ne sapete il modo. Meno orgoglio da parte vostra, ed io li salvo, ve li rendo».
Il timore che i suoi cari fossero già caduti vittima del nemico, aveva sempre straziato quella meschina. Non saprei accertare se con arte e per meditazione le fosse uscita quella preghiera, onde scoprire la verità: ma dalla risposta veniva rassicurata che erano vivi; onde tripudiando nel cuore e non celando di fuori l'interna gioja - Che? (esclamava), vivono dunque tuttora? rendetemeli; sono innocenti... io sola sono rea; me punite, me: ma loro... O signore! ve ne prego col calore, onde in punto di morte voi pregherete Dio a perdonarvi... Deh concedetemi ch'io li veda; una volta sola vederli, poi fate di me lo strazio che vi piace».
Era venuto per tormentarla, e l'aveva contro voglia consolata: avea fatto conto sullo scoraggiamento di essa, e senza accorgersi le era stato egli medesimo cagione di sorger d'animo, di esaltarsi. Di ciò non poco s'inquietava Luchino, e come succede a chi incontra inaspettati incagli, viepiù si avviluppava quanto ingegnavasi d'uscirne e perdeva dell'abituale sua freddezza; ora volendo farsi un merito di questa involontaria rivelazione, ora procurando, strapparle la speranza ond'ella si lasciava lusingare: e - Non dubitate no (replicava esso) li vedrete, oh li vedrete e ve ne rincrescerà. Dovunque siensi trafugati, non tarderò a raggiungerli. Allora... oh allora...
- Trafugati? come? sono dunque sfuggiti?» proruppe la donna quasi fuor di sè dalla insperata consolazione. - Dunque non sono in vostro potere? Vivi e non in poter vostro! Oh gioja!» Sorgeva, alzava al cielo le mani, e sulla faccia lacrimosa scintillava un raggio d'ineffabile contentezza. - Gran Dio! (esclamava) ti ringrazio! Io mi lamentava che tu m'avessi dimenticata nel fondo delle sciagure, e non era: no, non m'avevi abbandonata. Che mi fanno ora i martirj? O principe, più non mi lagno, più: soffrirò che che spasimi volete; tacerò: raddoppiate pure, raffinate i tormenti miei; se essi sono salvi, più non mi cale della mia vita».
Colla gioja di essa cresceva il furore del tiranno, indispettito dell'aver rivelato una notizia, che non sapeva da lei ignorata, del vedersi messa a nudo e rinfacciata così la sua ingiustizia, nè altro sperarsi da lui se non un esacerbamento di castigo. Ora dunque raddoppiava le minacce, ora tentava profittare del turbamento di lei per gl'indegni suoi istinti: ma se ella aveva resistito prima a lusinghe ed a paure, pensate ora, che sapeva vivi e liberi i suoi cari, ora che si teneva dall'ira di lui sicura, poichè n'erano sicuri gli oggetti per cui palpitava.
Accorciamo ai lettori l'ansietà di quel colloquio, più facile a immaginare che onesto a riferirsi, e basti il conchiudere che la Margherita trionfò.
- Trema! tu non sai fin dove possa giungere la mia vendetta!» furono le ultime parole che le gridò dietro l'iracondo, mentre ella sollevando gli occhi, ridenti di quella illibata serenità che è un raggio di cielo sul volto della virtù campata da grave pericolo, ringraziando Iddio, s'avviava alla sua prigione.
Luchino, sbuffante, scalpitando, digrignando i denti e mordendo le dita passeggiò alcun tempo di su, di giù pel salotto; indi, prese le armi, uscì buzzo, taciturno, agitato: passò senza far motto nè cenno tra i cortigiani, che inchinandosegli, si tentavano un l'altro col gomito, ed ammiccavansi malignamente. Come fu sul pianerottolo della scala, ecco farsegli incontro l'impertinente Grillincervello, e presentargli una pezzuola, dicendogli: - Perchè vi forbiate la bocca».
L'insulto era pungente, il momento scelto male, e la baja tornò sul capo del beffardo, giacchè Luchino d'un calcio il trabalzò sino al fondo della scala onde restò sì mal concio, che per tutta la vita ebbe ad andare sciancato. I cortigiani, la famiglia: che tutti gli volevano il peggior male del mondo in grazia di quella lingua, onde per dritto e per traverso scornacchiava ognuno, accennavansi un coll'altro, e gonfiando le gote, e a fatica reprimendo gli scrosci delle risa, si dicevano sottovoce: - Ve' ve': e' rotola come un battufolo. Questa è lezione col sale e col pepe!» Alcuno anche più caritatevole tentava aizzargli contro i cani, e passando dappresso a lui che sanguinava dal capo rotto e sdolorava delle peste membra, gli sgrignava sul viso ripetendogli a mezza voce: - Ben ti sta malignaccio!»
Quindi tacitamente s'avviavano dietro a Luchino, che saltato a cavallo, si cacciò di carriera verso il palazzo. Non era amore che lo martellasse, - poteva mai tale sentimento pigliar vigore in un'anima logorata dalle voluttà? Era corso di piacere in piacere sfiorando quel che di bello gli occorreva sulla perversa sua vita; se costei resisteva, che doveva importarne a lui? Cento altre il potrebbero compensare. Ma, d'altra parte, ebbro d'orgogliosa ambizione, aveva veduto i signorotti d'Italia cercarlo amico o paventarlo nemico; avea veduto umiliarsegli davanti quelli che, mentre durava in condizione privata, lo soperchiavano: avea veduto (quel che più valutava) inchinarsegli certi cittadini, gran vantatori delle patrie libertà: all'intorno tutto pendeva da un suo cenno: ed ora una donna, una sua prigioniera, osava resistergli, insultarlo, - poichè nel vocabolario dei tiranni chiamasi insulto il protestare contro le loro iniquità. Di ciò l'amor suo proprio non sapeva darsi pace, e si rodeva entro, e il ciglio corrugato, e l'aggrondatura della fronte davano spia dell'animo esagitato. La gente, che lo vedeva venir via per le strade a spron battuto, con dietro la turba e la famiglia, salvavansi a precipizio; e se alcuno gli alzava gli occhi in volto, avvertendo quello iroso cipiglio, esclamava: - Acqua grossa oggi!» e facendo di berretto, tirava muro muro.
Non ebbe questa precauzione un fanciullo di forse dieci anni, il quale era stato messo da' suoi genitori sull'uscio di via con un canestrino di ciliegie primaticcie, per offrirlo al principe, sperandone, come altre volte gli era successo, una buona mancia. Attento ad ubbidire senza più altro guardare, il garzone si postò in mezzo alla strada con un ginocchio a terra e il canestro sovra il capo: ma Luchino quando se n'accorse fe' un cenno ai mastini suoi fedeli compagni, e questi gittatisi sul malcapitato, l'addentarono, lo pestarono, senza che nessuno, nemmanco i parenti, ardissero dare il ben gli sta a quegli animali.
Arrivato poi al palazzo, Luchino smontò senza far parola; salì, stette un poco da solo; chiamò quindi il cancelliere, come per distrarsi dalle proprie cure collo spacciare gli affari altrui, e chiese che l'informasse. Prese questi alcune pergamene, e scorrendole coll'occhio - Qui (diceva) il castellano di Robecco avvisa che fu colto un pastore, il quale tagliava un palo nei boschi di vostra serenità.
- Segargli le mani», diceva Luchino.
Il segretario inchinavasi, e proseguiva: - Nel borgo di Abbiategrasso, dove è la villa della magnificenza vostra, alloggiò un pellegrino proveniente di Toscana: e s'è scoperto qualche caso di peste.
- S'abbruci l'albergo, il pellegrino, gli ospiti e tutto», rispondeva Luchino.
- Scrive da Lecco il connestabile Sfolcada Melik, come uno dei suoi soldati rubò la marra ad un bifolco.
- S'impicchi colla marra a canto.
- Fu fatto così appunto, ed al villano pagata la marra. Ma costui la notte, andò a levar via dalla forca quell'arnese
- Ebbene, si appenda anch'esso alla forca medesima, e la marra fra loro due.
- Sarà obbedita. Qui poi c'è una lettera di Ramengo da Casale...
- Ramengo? e donde?» l'interruppe Luchino con sollecitudine.
- Da Pisa sul punto d'imbarcarsi: e scrive in cifra che ha fiutato, dice, il covile della preda che vostra serenità, intende, e fra breve confida di consegnargliela.
- Sì? bene, bene! approposito davvero!» esclamò Luchino battendo palma a palma come per applaudire a sè stesso, e con un riso di selvaggia consolazione.
- Ma (ripigliava il segretario) esso Ramengo, oltre gli augurj e baciamani di formalità, fa a vostra serenità una domanda.
- Una domanda? che non è mai sazio? Genia infame cotesti spioni! non basta la confidenza che se ne mostra? Feccia vilissima, che si schiverebbe fino di toccar col piede, se non tornasse necessaria a tener in dovere cert'altri. Ma cosa vuole? dite su, udiamo.
- Egli rammenta che, a chi consegna un bandito, il capo 157 degli statuti di Milano concede di poter liberare un altro da qualunque...
- Che viene ora a metter in mezzo gli statuti? La legge sono io. Ma insomma cosa vuole, cosa chiede?
- Implora che la vostra serenità conceda, senza restrizione, impunità d'ogni delitto commesso sì a lui, sì a suo figliuolo.
- Suo figliuolo? Dove l'ha? nol conosco.
- Soggiunge in fatto che si riserba di farlo conoscere alla serenità vostra.
- Sì sì bene!» rispose Luchino - Speditegli subito il breve d'impunità la più intera, la più assoluta, ma a patto che al più presto abbia consegnato nelle mie mani chi deve. Largheggiate pure in promesse; ma insistete perchè sia presto, infallibile. Capite? presto.
- Sempre nuovi argomenti della sovrana clemenza» esclamò il cancelliere strisciando una riverenza e ritirandosi: e Luchino, lieto in viso più che non potesse essere in cuore, stropicciava le mani, chinava a scosse il capo con una ferina voluttà e pensava: - Ecco, il castigo segue davvicino all'oltraggio. Superba! sarai contenta. Mi sentiva proprio bisogno di questo balsamo. Ora mi trovo sollevato».
Non occorre dirvi che dei severi ordini di quel giorno, buona parte ricadde sopra la Margherita. Non solamente esso le levò quel ristoro giornaliero, ma la fe' gettare in una prigione assai peggiore e, sotterranea. Il carceriere, essere miserabile, contento di bistrattare a baldanza le persone a lui consegnate, come le vide tolto quel cibo ch'era un sacrifizio gradito alla sua ghiottoneria, le divenne oltre misura severo, quasi per vendicarsi di lei che avesse demeritato un favore, unicamente a lui profittevole. Che se dapprima il corruttibile animo suo scendeva con essa a qualche cortesia, almeno di parole e a modo suo, ora con atti dispettosi, con arguzie che fan tanto male a chi soffre, compiacevasi esacerbare le vendette del suo signore.
La carcere dove essa fu mutata nel recinto istesso del castelletto di porta Romana, era proprio conveniente a quei tempi, in cui furono fabbricate le Zilie di Padova da Ezelino, e da Galeazzo i Forni di Monza, nei quali i condannati si calavano per un foro della volta, e posavano sopra un pavimento scabro e convesso, in tanta angustia di spazio, da non potersi nè tirar ritti sulla persona, nè distendere per terra. In quei forni era stato custodito Luchino per alcun tempo dall'imperatore Lodovico il Bavaro: e poichè la sventura ai tristi non fa se non peggiorarli, volle che poco migliori riuscissero queste, che stava fabbricando.
La Margherita nella sua poteva appena mutare quattro passi: nessun'altra luce che la scarsa d'un alto finestruolo, il quale usciva a fior di terra in un cortile, per modo che nei giorni piovosi l'umidità vi scolava e ne rivestiva d'afronitro le pareti. Passati i giorni vernerecci, era allora incominciato il maggio, quando le tiepide arie fanno brulicare la vita nei campi, e infondono un ineffabile sentimento di gioja negli animali e nell'uomo. Dalla primitiva sua stanza, Margherita aveva veduto rinfrescarsi il verde dei prati, le gemme degli alberi gonfiare e sbocciarne le foglie primaticcie, delle quali, coll'amore e colla compiacenza che solo i prigionieri conoscono, ella osservava dì per dì e misurava il crescere, il dilatarsi, il verdeggiare; aveva sentito i venticelli fecondi alitarle sul viso: garruli stormi di augelletti rinnovare i canti e gli amori sotto al soave raggio del sole, che più sempre inalzandosi, faceva men lungo il tedio delle notti, sì caro il rosseggiare della mattina e del tramonto, invitando i mortali a ringraziare il Signore, che all'inverno fa succedere la primavera, ai patimenti le consolazioni.
Ma qui, nulla di tutto ciò, non più il sole, non più spaziare colla vista sopra le sterminate campagne, e lontan lontano, verso occidente, posarla sulle montagne, appena distinte dall'orizzonte: qui non più una pianta, non una zolla erbosa, non vedere un uomo che a suo talento vada o resti o torni; non potersi affissare nei melanconici splendori della luna: solo tenebria e lezzo e il tacere di un deserto, o le querule bestemmie di un inferno. Eppure le lagrime della Margherita scorrevano più libere, meno angosciose.
Al primo entrare in quella tana, si prostrò ginocchione a ringraziare la Madonna; aveva salvato il suo pudore, e di più aveva appresa quella vitale novella. Oh come lo disacerbavano i patimenti! come le sorrideva l'immaginazione! E poichè il prigioniero ama gettarsi lontano colla fantasia, e fermarsi su casi che possono succedere dopo molti anni, anzichè considerare quelli più vicini che troppo crudamente lo richiamano alla spietata sua situazione, le veniva nel pensiero e nella speranza un giorno, in cui col marito e col figliuolo ritornerebbe libera nella città, alla campagna, a tuffarsi nelle onde di luce, che così limpido versa il sole sulle terre lombarde, a rivedere le rive del lago Maggiore, piene delle vergini memorie dell'età sua più gioconda perchè più spensierata; e poi invecchiare nella propria casa, colmata di dolcezza da un figlio, degno di tutto l'amor suo, e con lui, coi figliuoli che nascerebbero da lui, ritesserne piacevolmente il viaggio della vita. Immaginando quel tempo, se ne figura al vero le gioje, e ne ringrazia Dio, e già le pare essere con Francesco suo, col suo Venturino, nei luoghi usati, fra cari amici, e più di tutti gli amici caro quel Buonvicino, che le aveva dato la maggior prova possibile di amore, quella di trionfare del proprio amore.
Nulla era accaduto che l'avesse pur d'un capello avvicinata all'avveramento di questi sogni: ma era fatta certa che que' suoi cari vivevano tuttavia; e la speranza è tanto ingegnosa a ordir le sue tele, appena trovi un filo pur debole a cui attaccarle!
Quindi, allorchè la mattina un tardo raggio di fioca luce scendeva attraverso le ferriate della sua prigione, col primo pensiero ella correva ai suoi cari, che godrebbero intera la delizia della luce; ad essi mille volte fra le monotone cure del suo giorno; ad essi principalmente nell'ora che il dì se ne andava; ora feconda di tanti sospiri all'esule, al solitario, a chiunque ama, a chiunque patisce. Li sapeva liberi; dunque ne andava seguitando le orme; - dove? con chi? non poteva indovinarlo, ma poteva essere per tutto ove non giungesse la tirannide viscontea: tanto più vasto campo alla fantasia della paziente. E le idee carezzate fra il giorno le si riproducevano poi nel dormire, e le facevano consolati almeno gli istanti del sonno. Soffriva, deh se ancora soffriva! pure un pacato raggio a volta a volta diradava quell'oscurità, sicchè talora l'avresti fin detta allegra.
Più d'una volta Macaruffo si accostava origliando all'uscio della prigione, forse per il barbaro gusto di sentirla mormorare e indispettirsi, e tutt'al contrario l'udiva, con sommessa voce ma soave quanto un flauto che risuoni di lontano fra il tacer della notte, cantare le litanie, pregando la Madre degli afflitti che pregasse per noi. - Malann'aggia costei!» esclamava lo scortese. - Che mai non deva io vederla impazientirsi?» Egli ignorava che ella sapeva invocare Iddio. A sturbarle però almeno un istante quella calma, il villano bussava, rumoreggiava attorno alla porta, alzava in tono minaccievole quella sua voce rantolosa e squarciata: un ribrezzo correva per la persona alla Margherita, e lunga pezza il cuore le batteva convulso: il canto per tutto quel giorno era interrotto: lugubri fantasie si attraversavano alla sua mente, e piangeva, e invocava il nome del Signore, e lo supplicava di potere una fiata, una sola, per un sol momento rivedere lo sposo, il suo figlioletto!
Qualche volta anche le giungeva all'orecchio il vagire di un bambino, una voce fanciullesca che chiamava la mamma, o ripeteva la parola dell'innocenza sicura. Erano forse figliuoli di qualche soldato, o chi sa? di qualche prigioniera, con cui dividevano e della quale alleviavano il castigo. Ma alla Margherita quanti pensieri suscitavano, quanti affetti! che non avrebbe dato per poterli vedere, vedere quell'età, somigliante agli angeli, quei cari occhi da cui non traspare che ingenuo affetto e un amore non simulato, non calcolatore, e una placida curiosità; nulla di maligno, nulla di crudele, nulla di bugiardo! Se mai potesse almen da lungi rimirarli, inerpicavasi ella verso il pertugio da cui riceveva lume ed aria. Ah! non vedeva che mura scabre, altissime, con alte finestruole ferrate, entro alle quali altri languivano, forse innocenti al pari di lei, forse il ladro, l'assassino. Ne intendeva le voci: per lo più erano o sucidi parlari, o bestemmie, o un batter rabbioso dei ceppi contro le spranghe: nessuna parola di pace, nessuna di benevolenza, di perdono. Per implorare su di essi il dono della pazienza, essa pregava il Signore, e in quell'atto alzando i begli occhi, vedeva un piccolo campo di aria, e fermavasi a contemplarlo. Oh come il prigioniero conosce ogni stella, ogni nube, ogni accidente del palmo di cielo, in cui tante volte ha fissato lo sguardo!
Poi se miravasi dinanzi, a fiore della sua finestra era lo sterrato del cortile, per cui passeggiava una sentinella: tratto tratto vedea giungere qualche nuovo infelice, e rabbrividiva; qualche altro uscirne liberato, e con lui consolavasi: alcuno anche partire pel patibolo, ed era volta che esclamava: - Almeno quegli ha finito». E l'occhio le si empiva di lagrime; scendeva, pregava; poi, come se l'idea del morire, la quale fa tanto spavento ai fortunati, recasse a lei la consolazione di sapere che quei mali non durerebbero eterni, e che un altro ordine doveva venire appresso, sedevasi più tranquilla sul rozzo suo trespolo, e quivi rincorreva i tempi passati, tempi di virtuosa giocondità, di benefica floridezza; pensava a' suoi cari, alle speranze.
Talvolta perfino intonava le canzoni che aveva intese, che aveva ella medesima ripetute mentre giovinetta attendeva al donnesco lavoro, o quando colle compagne vagava di primavera cogliendo mazzolini di primolette e virgulti di mirtillo, ovvero nell'estate, in una barchetta, lungo le floride rive del Vergante, lasciandosi in balìa di un placido venticello, salutava le bellezze della natura, e al creatore di essa porgeva l'omaggio di un cuore puro e giocondo. Erano cantilene di amore; più spesso erano arie melanconiche, la cui mesta armonia meglio si addiceva allo stato dell'animo suo. Singolarmente le andava al cuore una romanza, in altri tempi composta da Buonvicino, e che egli medesimo più volte aveva accompagnata col liuto, mentre essa la cantava sopra le note, pure da lui ritrovate. Ed era questa:
S'addormì.
Sul suo cuore il cuor ne intende
Il dolor.
Che patì.
Ahi, fu un sogno! Spirto lieve
Mai gioir.
Le presentano un cimier:
Ha il suo Pier.
Te chiamò. -
Canta Iddio, ma al caro estinto
Presso a te la tua diletta
Fermavasi alquanto la Margherita, poi ripeteva:
Il dolor.
E dopo un altro istante di silenzio pensierosa tornava a cantare:
Mai gioir21.
A che pensava ella? di chi si ricordava? Un giorno, là, sul far della notte, le interruppe questo canto uno scalpicciare nel cortile, maggiore del consueto, un tuono di sghignazzi, d'insulti, fra cui si distingueva un rammarichio più gentile che non soglia fra prigionieri, ed affatto discorde dalle aspre voci che oramai sole era abituata a udire. Il cuore dello sventurato è così aperto sempre alla paura! Coll'ansietà di una colomba, che abbia veduto il cuculo fissare gli occhi sul fecondo suo nido, balzò la Margherita allo spiraglio, colle delicate mani si ghermì alle grosse sbarre, gettò lo sguardo verso quel rimescolamento, vide un fanciulletto che, scomposta la bionda capellatura sopra gli occhi, strillando e dibattendosi fra le braccia degli sgherri, andava gridando: - Babbo! babbo!» verso di un altro che tutto in catene e col volto dimesso, lo seguitava.
Ah! - La Margherita mise uno strillo come d'uomo percosso nel cuore, e cadde svenuta sul pavimento. L'occhio, l'orecchio, benchè di lontano, benchè a lume incerto, le avevano in quei due infelici fatto avvisare il suo Franciscolo, il suo Venturino.
Poveretta! Si fosse almeno ingannata.