Cesare Cantù
Margherita Pusterla

CAPITOLO XIII. RICONOSCIMENTO.

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CAPITOLO XIII.

 

RICONOSCIMENTO.

 

Camminerebbe pur bene il mondo, se, nell'effettuare lodevoli disegni, ponessero i buoni tanto impegno, quanto nei loro scellerati i ribaldi, pei quali le malvagità che non han potuto compire, sono un debito che si credono obbligati di spegnere. Luchino e Ramengo avevano raggiunto la Margherita e molti dei presunti congiurati: ma si eran lasciati sfuggire Franciscolo, e tanto bastava perchè considerassero il colpo come fallito. Ramengo specialmente rodevasi dentro, che il suo nemico avesse potuto camparsi col figliuolo; il figliuolo che tanto gli faceva stizza e invidia, come quello che gli rammentava l'unica gioia innocente che esso agognasse sulla terra, e che, come voleva credere, per colpa di Franciscolo, eragli stato tolto di godere.

- Che importa (diceva tra ) che costui deva andare ramingo sopra la terra? Egli ha un figliuolo. Io vivo in patria, ma solitario; non avrò mai un figlio, le cui bellezze e le glorie si riflettan sopra di me, che m'aiuti a salire, che faccia me invidiato quant'io invidio altrui.

E più smaniava di vendetta allorchè rifletteva come quel fanciullo l'avesse avuto in propria mano, e gli fosse stato rapito con forza e con ischerno da quell'abborrito Alpinolo, a cui sempre più male voleva, come sogliono i ribaldi a coloro che ne sfuggirono gl'inganni o la violenza. Nell'ebbrezza pertanto della sua scelleraggine, propose al signor Luchino di uscire all'inchiesta del gran cospiratore e dei complici suoi. Per colorire la cosa, Luchino comprenderebbe anche Ramengo nella lista degli indiziati e degli sbanditi: talchè egli, in aspetto di perseguitato, entrerebbe creduto e compatito in mezzo ai forusciti, e potrebbe così, sotto l'ombra d'una fraternità di sentimenti e di castigo, discoprirne le trame; ritrovare il nascondiglio del Pusterla, e forse trarlo nelle reti. Così leali mezzi adoperavano i principi - allora.

Ben fornito a denaro, ma in apparenza di fuggiasco, e travisandosi col mutar foggia di barba, di capelli, di vestito, uscì dunque Ramengo di città, e prima scorse lo Stato dentro ai confini, se mai s'avvenisse a qualche amico dei profughi che stesse macchinando, o che gli desse fumo di ciò che gli importava. Da per tutto ritrovava la gente bassa intenta ai lavori dei campi, al traffico, alla domestica economia; i baroni nei loro castelli desiderosi di godere la vita e di conservare il poco potere che avevano ancora; i giovani cupidi di imprese in guerra e in amore; e per mezzo a tutti, preti e frati che predicavano la necessità di amarsi, di compatirsi, di negar la propria volontà, chi voglia vivere meno male questi fugaci giorni dell'esilio. Ramengo entrava fra loro narrando, chiedendo, tentando; essi gli rispondevano senza sospetto, senza doppiezze; rimembravano migliori tempi, l'udivano volentieri quando esso per suggestione accennava la probabilità che rinascessero, ma tutto finiva qui; ed egli, domanda, guarda, rifrusta, nessuna potè trarre alla luce delle bramate iniquità. Fermò dunque in animo di proseguir le sue indagini verso il cuore d'Italia, e dirizzossi al Po. Schivando Pizzighettone e Cremona, come faceva di tutte le città lombarde, dopo Grotta d'Adda piegò in quel terreno che scende laddove l'Adda mette foce nel re dei fiumi; terreno allora del tutto incolto, ghiajoso e sterpigno, in cui le acque esercitavano a baldanza i loro guasti, non frenati dalla mano dell'uomo. Nel fendere quella lama, un improvviso temporale, come suol avvenire sul mettersi dell'autunno, colse Ramengo in sulla sera, ove, non che vedere alcun ricovero, tampoco un sentiero discerneva che lo avviasse. Cacciato dalla pioggia battente e dalla notte che cadeva, spronò il cavallo senza sapere verso dove, ma secondo il terreno gli pareva abbassarsi, sperando che in riva al fiume troverebbe una casipola, un navalestro, un pescatore. Di fatto la sua fortuna, o la disgrazia altrui, gli fece discernere un giovane mugnajo, che a mazzate cacciavasi innanzi l'asinello colla soma del grano, per riparare la quale erasi cavata la giubba, buttandovela addosso al modo di sargia.

- Ehi! quel ragazzo! c'è a trovar un ricovero da queste bande?

- La venga con me. Qua a mancina sta un macchione di pioppi, indi il fiume e il mulino di mio babbo».

Così rispose il ragazzetto, ma poichè il somarello andava più di buona voglia che di buon passo, Ramengo n'ebbe abbastanza di quell'indicazione, e toccò via di trotto serrato, sotto all'incessante acquazzone, finchè alcuni lastroni di macina l'avvertirono del mulino cui era già addosso, senza peranco vederlo. Un lampo gli mostrò sopra un dosserello la casipola, in riva al fiume, coperta da due pioppi piramidali e da un cespuglio di ontani, e vicina ad un barcone da mulino. Da un finestruolo e dalle fessure degli assi mal confitti sbucavano liste di fumo e traluceva la vampa di un fuoco allegro, sul quale una donna veniva rosolando una frittella, come ne davan l'avviso e l'odore oleoso e lo scroscio che confondevasi con quello della pioggia esterna.

Ramengo, scavalcato, bussò risoluto alla mal chiusa portella; un cane alzò subito vivi latrati: la donna di dentro abbandonando il fuoco e rompendo a mezzo un'Ave Maria, corse ad alzare il saliscendo, gridando:

- È lui: è Omobono: entra: tu devi essere lavato come un....

Interruppe il paragone al vedere, invece del somaro, un puledro che ansava e fumava, e invece del figliuolo ch'ella aspettava, uno sconosciuto; però men dispiacente che maravigliata, con rusticale cortesia l'invitò ad entrare. Entrò di fatto Ramengo in una cucina bassa, tuffata, fumicosa, col pavimento di terra battuta e disuguale; nel mezzo quattro sassi fermavano il focolare, dove ardeva una fiammetta, e sebbene fosse appena di settembre, la famiglia stava a godersela come di gennajo, mentre recitava il rosario. La vampa che se ne diffondeva mostrava gli utensili più necessari a preparare i cibi grossolani; la madia, una cassapanca, un par di scannelli; poi appiccati agli arpioni, alle rastrelliere, nasse, fiocine, bertovelli, lenze, e insieme vagli e sacchi d'un bianco polveroso come il vestire di quegli abitatori.

Al comparire dell'ignoto, un ragazzo ed un vecchio si levarono da sedere; Ramengo senza tampoco salutarli si fece al fuoco, dicendo: - Che tempo del diavolo! Ho dovuto ritirarmi qua entro per non annegare

Il vecchio, riponendo la coroncina e racchetando il cagnuolo, soggiungeva: - Se vossignoria si contenta di ciò che v'è, è a suo piacere

Egli, accomodandosi al fuoco, donde quelli con rispettosa cordialità s'erano ritirati, - Sopratutto (disse) vorrei riparato bene il mio cavallo.

- Oh per questo (replicò il sere di casa) vossignoria non si dia pena: ci abbiamo uno stallino pel nostro giumento, con riverenza parlando, e dove i bardotti stabbiano qualche volta i rozzi che tirano l'alzaia. Vi troverà anche la compagnia di un puledro, che le so dire vale il suo. Ehi! Dondino, va a riporlo

- Un altro puledro? (chiese sbadatamente Ramengo) e di chi? Vostro?

- Mi corbella, signoria? nostra una bestia di quella fatta? È d'un cavaliere nostro amico.

- Un cavaliere vostro amico? (ripetè Ramengo con un certo sogghigno beffardo). E come si chiama?

- Si chiama... Oh vossignoria deve conoscerlo... è tanto nominato! Si chiama il signor Alpinolo».

E proferiva questa parola con una dignitosa compiacenza, col tono solenne d'un medico che pronuncia il nome greco della malattia considerata, sicchè era una squisitezza il vederlo. Ma Ramengo a quel nome rizzò la testa, tese le orecchie, siccome il suo cavallo quando udisse schioccare la frusta, ed esclamò: - Alpinolo? che veniva da Milano? un tòcco di giovane ben complesso? sui diciott'anni, capelli neri, ricciuti, occhi di fuoco?

- Ma sì, ma sì, (interruppe il buon mugnajo a quella descrizione da passaporto). Forse che vi sono due torrazzi di Cremona o due Alpinoli a questo mondo? Signoria, sì, quel desso in petto e in persona.

- Oh come capitò da queste bande, che non ci verrebbe uno se non perduto? e lo dite amico vostro?» Ed ora dov'è? continuò Ramengo, mal celando l'ansietà messagli in animo da questa notizia.

L'altro, tutto pacato, se non che un'aria del più perdonabile orgoglio rideva sul suo volto, proseguiva: - Ebbene, ha da sapere vossignoria.... Oh, l'è una favola a dirla. Ma prima si accomodi. Ehi, Omobono, (così diceva a quel tale garzoncello, figliuol suo, ch'era giunto anch'esso, e che tanto volentieri avrebbe trovato sgombro il focolare e lesta la cena), accosta un trespolo, reca una bracciata di legna, poi va a dare un'occhiata al mulino se tutto è bene. Vossignoria si faccia presso al fuoco, che non abbia a pigliarsi una infreddatura. Oh, questa pioggia le ha passato la gabbanella: la dia qui alla mia donna da sciorinare.

- Sì, sì, ma continuate quel che v'ho chiesto.

- La sappia dunque che il signor Alpinolo.... tale quale mi vede, io son suo padre... cioè... egli deve a me la vita. Anzi sono più che suo padre, perchè suo padre è stato... che so io?... qualche crudelaccio che lo buttò via; che, quanto fu da lui, tentò di mandarlo a male e...

- Non dite così» gli dava sulla voce la Nena, sua moglie; giacchè il lettore può essersi accorto ch'erano quel Maso e quella Nena, da cui Ottorino Visconti avea portato via Alpinolo ancor fanciullo. - Non dite così; siete troppo facile a pensar sinistro.

- Eh!» rispondeva Maso, dimenando il capo e stringendo le labbra con un garbo fra di bonarietà e di importanza: - Tu non hai perduto mai di vista i pioppi di questa riva. Ma io del mondo n'ho veduto la parte mia, e ho sempre trovato che chi pensa male pensa bene. Fatto è che Alpinolo moriva se non ci fossi stato io.

- Ed io?» soggiungeva la donna.

- Sì; anche tu: ma la storia è lunga e vossignoria vorrà dormire, neh?

- Contate, contate» insistette Ramengo, non tanto desideroso d'incantare la noja coll'apprendere la storia d'Alpinolo, come intento a scavare dove egli si trovasse, avendo per fermo che con lui sarebbe anche il Pusterla. E chi dirà se quell'anima truce non meditasse anche di ricambiare l'ospitalità del pescatore coll'accusarlo d'avere tenuto mano coi ribelli e d'averli ricoverati? Purchè gli tornasse conto, purchè si avvicinasse alla sua meta, che importavano all'ambizioso quelli che doveva in sul cammino calpestare? Ma il mugnajo, sicuro dell'innocenza sua, proseguiva: - Per rifarmi dunque da capo, vossignoria deve sapere che... un pezzo fa... vogliono ben essere sedici o diciasette anni, n'è vero, Nena

- Fate il vostro conto» rispondeva la moglie. - Sapete che allora io aveva al petto il nostro Omobono che è qua.

- Appunto! or mi raccapezzo; sconta dall'anno che passarono di qua i Fiorentini soldati, con tutte quelle croci segnate sulle spalle; e dicevano che il papa per ogni milanese che ammazzassero, gli assolveva da un peccato mortale».

Il buon uomo voleva dire dei crociati che, al tempo della guerra di Monza, mossero contro de' Visconti sotto al cardinale legato. Ma Ramengo, ristucco di tante digressioni quanto n'è il nostro lettore, - Facciamola un po' corta», gridava risoluto.

- Or bene (seguitava il pescatore); diciott'anni fa, salvo errore, una mattina appena l'alba, come è costume di noi molinaj, m'alzavo per cacciare in alto il barcone: quand'ecco basso, dove il fiume fa una ritorta o un gorgo sotto agli ontani, vedo attraversato un barchetto, fatto in tutt'altra foggia dai nostri, e nessuno che lo guidasse. Qualche disgrazia, diss'io tra me; i barcaroli si saranno annegati. Corriamo a tirarlo alla riva, se mai capitasse il padrone: se no, sarà legna per st'inverno. Ma indovini mo

Qui Maso alzavasi sulla predella, e traendo la mano dalla giubba, la sporgeva distesa verso Ramengo.

- Dentro v'era una donna con un bambino».

A queste parole, uno sbadiglio che errava sulle labbra di Ramengo, si convertì in un Oh! e sentendosi tutto rimescolare, balzò in piedi di scatto; l'attenzione sua cambiò di natura, e spalancò gli occhi addosso il vecchio, il quale proseguì: - Una donna e un bambino; signor sì: non c'è meraviglia che tenga: ma una donna vestita bene: n'è vero, Nena? doveva essere di condizione: giovane, bella che non le dico altro: e il bambino non finiva forse un mese. Ma l'uno e l'altro erano bagnati, fradici, e inoltre morti.

- Mortiurlò Ramengo.

- Morti: sì, signore» continuò Maso. - Io dissi: Bella pesca ho fatt'oggi! Li trassi a riva; chiamai gente, li levammo fuori, li portammo in casa, e qui mia moglie, che tiene della medichessa, si pose intorno a loro ostinata di farli rivivere. Ma tutti li tenevamo per ispacciati; pallidi, freddi, non polsi, non fiato: Che vuoi? le dicevamo, vuoi rinnovare la risurrezione di Lazzaro? le dicevamo. Ma ella, questa buona donna incapricciata che fossero vivi ancora, tanto fece e tanto, che li vide ancora a respirare.

- Erano dunque vivi» interruppe Ramengo con viva impazienza.

E il pescatore: - Gnor sì, vivi, ma se non fu un miracolo questo, io per me non credo neppur a quelli del santo di Padova. Il bambolo, appena riavuto, si attaccò al seno della mia donna, e in poco tempo tornò vispo e bello.   - L'avesse vedutoentrava in mezzo la Nena. - Un bambino che pareva pitturato: bianco, sodo, come di cera: certi occhietti da mangiarlo; dritto come un fuso: e solamente aveva manco l'indice della mano sinistra.

- E si vedeva (interrompevala Maso) che gli era stato tagliato via: che'l vi avesse qualche brutto male. Ma per seguitare, signoria.... o l'ho ristucco con queste chiaccole?

- No, no, seguitate; ma presto; come andò a finirediceva Ramengo: e se la stanza non fosse stata così buja, lo avrebbero veduto divenire a tratto a tratto smorto e divampante, e il suo labbro e le sopracciglia contrarsi e squassarsegli tutto il corpo in violenta convulsione. Maso intanto, con quel misto di bonarietà e di rustichezza che distingue i costumi campagnuoli ed insieme coi sentimenti generosi senza ostentazione, che meglio si trovano quanto più basso si discende nella scala sociale, proseguiva pacatamente:

- E sicchè... ma dove son restato? Ah si! ora mi raccapezzo. E sicchè il bambino a vedere e non vedere si rifece sano e in tono. Ma colla madre fu un altro cantare. Tornò sì in vita: quando aperse gli occhi si guardava intorno e chiamava... un certo nome...., un nome bisbetico.... Nena, lo ripeschi tu quel nome?

- Diceva, Ramengo, mio Ramengo dove sei?

- Chiamava Ramengotonò lo sconosciuto.

- Sicuroseguitava il pescatore. - Proprio Ramengo; non m'è uscito mai di mente quel nome. La non sapeva dir altro: ed anche quando delirava non faceva che ripeter quello, e....

- E qual altro? chiese il fellone, spalancando gli occhi incontro alla nuova parola che aspettava.

- E diceva anche: Povero bambino, e molte altre volte, Caro, perchè non vieni? tanto aspettarti? ma avesti paura, eh? Egli è burbero, ma è buono» ed altre cose senza senso, perchè era fuori di . Già del guarirla non ne fu nulla. Quel che la mia Nena le fece intorno non si potrebbe mai dire.

- Oh belloripigliava la donna con una compiacenza tutta ingenua. - Ho fatto il mio dovere. Non siamo nati per volerci bene, per farci del bene uno all'altro? Dico vero, signor forestiere? E poi, chi non avrebbe ajutato quella povera creatura! A vederla si capiva ch'era fresca di parto: bella che doveva essere stata un angelo: ma sfinita e tutta pesta, e guardava con due occhi da ammansare una tigre».

Ramengo si scostava dal fuoco, e sciorinandosi e soffiando passeggiava pel camerotto.

- Che, le fa caldodomandava Maso. - Pure badi che le fumano ancora gli abiti indosso.

- Sì, sì» gridò questi con un tono dispettoso: ma finite cotesta cantafavola, prima che vi venga un canchero nella lingua. Non so come diavolo c'entrino queste bubule con quanto io vi ho domandato.

- Come c'entrino? bubuleripigliò il molinaro, un pocolino meravigliato di quelli sbattimenti. - Ora lo sentirà. La donna dunque andò di male in peggio. Entro quella barca, sole, acqua, fame, lo sa lei sola ed il Signore quel che ha sofferto: e quando a riciso ce ne contava alcuna cosa, bisognava piangere come ragazzi. Pure anche un cieco avrebbe veduto che qualch'altra cosa le stava sul cuore, peggio che i patimenti del corpo, una passione, ma di quelle! Perchè, appena si trovava in , dava in pianti dirotti, e non c'era più via di farla parlare. Quando vide il suo fantino riavuto, si fece serena come un occhio di pesce, lo prese, lo baciò, il guardò fisa fisa: poi ricadde in delirio: - E l'ha voluto ammazzare?... e non lo vedrà più... e non conoscerai nemmeno tuo padre - e altre parole da vera delirante.

- Per venirne a una, costei è viva o mortasaltò su Ramengo impazientito.

- E Maso: - Vede quelle foglie, , entro quel bugigattolo, con sopra un po' di materassuccia? Sono il nostro letto, e quivi, potè ben farne la mia Nena, ma quella poverina dopo pochi giorni spirò.

- E quando spirò (seguitava la Nena asciugandosi gli occhi col grembiule) l'avesse vista! Mi stringeva le mani sode sode. Capivo ben io quel che voleva dire! Voleva dirmi: Tenete da conto il mio bambino e...

- E voi che n'avete fatto?

- Che vuoi che ne facessi? lo allattai del mio petto, diventò grandicello, e buono come il pane, ma vivo come un pesce e ardito come un capriuolo, e stette al nostro mestiere, fin quando un signore, che aveva il nome di quelli che comandano a Milano, il menò con , ed ora è il signor Alpinolo.

- Ma chi fosse costei non ve lo disse? nol poteste saperedomandava Ramengo con ombrosa curiosità.

- Mah» rispondeva la Nena. - Cosa non avrei dato per saperlo! Una donna così gentile, un puttino così innocente, qual crepacuore pei loro parenti d'averli perduti! E se io avessi potuto presentarmi ad essi, e dire: Io so quel che n'è successo; la gioja loro mi sarebbe stata cara un mezzo mondo.

- E conti poco il gusto di saperne la storiaparlava Maso. - Perchè, Dio buono! la doveva venire da lontano: che barche di quella generazione sul Po, lo conosco tutto quanto è lungo, non ce ne vanno».

 E la moglie ripigliava: - La storia sarà che suo marito un giorno l'avrà menata a spasso: lui cascò nell'acqua; i fiumi erano grossissimi, e la poveretta fu menata giù.

- Ah! sarà» rispondeva Maso dimenando il capo: - ma ti ricorda come esclamava, - Perchè lo ferisci? quel coltello piantalo nel mio cuore! - Io sarei piuttosto di credere che un qualche suo nemico l'abbia ridotta così.

- E perchè avevano a lasciarla vivasaltava dentro Omobono.

- Come sei materiale! per farla penare di più. Dei cattivi ce n'è di molti, credilo a me che so del mondo; ed essi conoscono bene che il morire è poco: ma il bevere la morte a sorsi a sorsi, come ha fatto questa creatura...

- Oh, babbo mio, chi gli fosse bastato il cuore di far ciò, aveva ad essere non un uomo, ma un demonio in carne e ossa».

Quali dovessero sonare a Ramengo tali discorsi, lo immagini il lettore.

Ai rimproveri della coscienza opponeva lo spietato gusto della vendetta, più sentito ora che comprendeva quanto essa fosse stata atroce; ora che la vedeva non finita ancora; e che senza saperlo, trovava d'aver già contro il frutto del delitto, preparato nuove trame onde perderlo, e ciò che più il dilettava, perderlo insieme coll'autore dei suoi giorni, e d'un sol colpo sterminare quanto al mondo aveva di esecrato. Quindi, dopo un breve silenzio, che i buoni villani aveano creduto di compassione, addimandò: - E Alpinolo dov'è?

- Lo sa lei?» rispose il mugnajo, contraendo il capo fra le spalle. Quattro o cinque settimane fa, una notte tardi tardi, eramo a letto, e sentiamo un cavallo arrivare: fermasi: bussano: - Qualcuno, diss'io fra me, al quale faccia male l'aria di qua del Po, e voglia passarlo. Mi affaccio, domando. - Chi è? - Son io. - Chi io? - ed egli - Padre (perchè m'ha sempre conservato questo nome), son Alpinolo: apritemi». Corsi io, corse la Nena, corsero Omobono e Donnino; per tutti era una festa il suo arrivo. Ripone il cavallo: entra... Se l'avesse visto! che cera! che occhi! - Al figlio di mia madre non la si ad intendere, gli diss'io; te n'è capitata una grossa: di' su: possiamo nulla per te? E mia moglie e i miei figliuoli a confortarlo, ad esibirsi, a interrogarlo; non rispondeva; stava come trasognato; poi scrollava il capo, pestava i piedi, esclamando: - Infame! maledetto! E quella meschina? ed io dargli ascolto? - e simili voci, da cui nulla si raccapezzava. Volevamo indurlo a mettersi a letto con noi: non volle: ci pregò d'andar noi a dormire: ma era possibile? sedemmo dunque sui sacchi di farina e sullo spento focolare: egli stava appunto ove ora lei, colla testa fra le mani, così; e noi attorno a guardarlo, a sospirare anche noi, finchè cominciò a farsi giorno. Allora alzossi, passeggiò innanzi indietro, appoggiossi alla spalletta dell'uscio, e stette intento all'alba che spuntava. Certo allora gli rivenivano per la mente i giorni di sua fanciullezza, quando non era che figliuolo di Maso, e correva spensierato e folleggiante con questi altri a diguazzarsi nella rugiada. Eh! loro signorie hanno de' grandi piaceri nel loro stato, ma non è poi tutto oro; e noi poveri abbiamo anche noi i nostri, e meno scese di capo. Insomma è che Alpinolo parve un tantin sollevato; ci chiese scusa, povero giovane! del dolore cagionatoci la notte; che erano avvenute a Milano gravi disgrazie; cacciati a prigione dei suoi più cari amici; che per lui non v'era pericolo, ma andava per certe sue bisogne ad un luogo qui poco oltre, onde ci lasciava il cavallo; e se mai tardasse oltre una settimana, era buon segno, e vorrebbe dire che aveva preso altra strada, e il cavallo diventasse nostro e i denari. Ci baciò tutti, e piangeva: e se n'andò; e dopo d'allora l'ha visto lei?

- E dell'anellodiede su la vecchia.

- Oh questo che cos'ha a che fare?

- Ha che fare moltissimo» riprendeva essa. - Conviene ben dire che gli frullasse pel capo qualche fatto assai rischioso, se depose quelle robe che mai non aveva divise da .

- Che robe sono?» domandò Ramengo. E il mugnajo, quasi per supplire all'inettitudine di sua moglie che tartagliava nel cominciar il racconto, proseguì: - Essa vuol dire che Alpinolo, già uscito di casa, fermossi, pensò, esitò un tratto, poi si cavò dal seno un arnese e dal dito un anello che sempre portava; baciò il tutto affettuosamente, e li diede a mia moglie, dicendo: Custoditeli con ogni cura: è quanto or mi resta di caro nel mondo: e replicò i pianti, tornò a baciarli, poi se ne fuggì a precipizio.

- E cotesto arnese che cos'è» richiedeva il traditore.

- È tutta l'eredità di sua madre», gli replicava la Nena.

- Essa nelle ultime sue ore non faceva che baciarli e guardarli; poi mi fece promettere gli avrei dati al bambino, perchè li portasse sempre, in memoria, diceva, delle due persone che più di tutte, diceva, essa amò al mondo. E sono, un anello di diamanti, e un borsellino con cuciti entro due pezzetti di carta, due lettere, mi hanno detto.

- Due lettereproruppe con voce tonante Ramengo, i cui occhi gettavano faville. - Due lettere di Rosalia? Ove sono? a me: voglio vederle: datemele: presto: le voglio.

Quel tono imperioso, quel gridare, quel muoversi violento, parvero cosa straordinaria alla rustica famiglia, che in muta ammirazione guardava al forsennato, mille sospetti formando: ma poichè egli instava, la donna si volse al marito e - Ch'io glieli mostri

Questi fe' spalluccie; ma l'altro replicava: - Sì, sì, datemeli: li voglio, o vi mostrerò chi sono: porrò a soqquadro la casa: li torrò per forza»; e tanto minacciò e promise, che la donna aprì la cassapanca, e con occhio sospettoso rivoltasi a colui - Ma mi promette di restituirmeli

Prima di rispondere, esso glieli aveva strappati di mano, e con un tremito febbrile strinse Fanello: - era l'anello ch'egli avea dato alla Rosalia quando la promise sposa. A guardarlo, che pensieri gli corsero alla mente, che tempi si ricordò! Tempi d'amore, di pace; che avevano lampeggiato un istante sul bujo dell'anima sua, come se una rosa germogliasse fra le cocenti arene del Sahar. Colle dita tremanti fece un moto quasi volesse avvicinarlo alle labbra, poi dispettoso lanciollo per terra. E mentre la Nena premurosa ne seguiva il fosforico brillare fra le tenebre, e raccolto lo riponeva, gli uomini con un silenzio pieno di aspettazione si fissavan sopra quell'uomo, alla cui figura cresceva terrore la rossastra luce del fuoco. Egli stracciava il sucido involto dell'amuleto, e svolgeva due brani di pergamena, indi accostatosi ad un tizzone, leggeva tra :

Poichè il destino della nostra patria è deciso, la abbandono, e vo contro gl'infedeli. Solo m'affanna il discostarmi da te che sopra ogni cosa amo. Cinque giorni rimango da queste parti. Se puoi eluder la vigilanza di lui, fa ch'io possa una volta vederti, abbracciarti. Il valletto che ti reca questo, doman sera tornerà per la risposta. Qualunque rischio a me non parrà troppo per poterti dire a voce quanto ti ami

il fratel tuo.

In quelle carte Ramengo cercava, voleva trovare il delitto, e scopriva invece l'innocenza della Rosalia! Come intontito rimase alcun tempo sopra quei caratteri; poi ripensando, svolse a furia l'altro viglietto: - Chi sa che non trovi in esso quello che cerco?» ma era della medesima mano, e vi stava scritto così:

Tutti questi giorni aspettai il valletto, colla risposta; l'un l'altra arrivò. Che sarà? Parto dunque senza vederti, sorella diletta, ma dovunque io sia, qualunque sorte m'attenda, te porterò sempre in cuore, sempre il Cielo pregherò di concedere a te la felicità, ch'io non devo conoscere più. Addio.

- Dunque ella era innocenteproruppe Ramengo in un tono che fece sbigottire tutta l'intenta famigliuola. Sorse furibondo, mugolando, cosperso di bava, digrignava i denti, morsicò e fece a brani quei viglietti, e cacciavasi le mani nei capegli, stracciandoli a ciocche. Gli ospiti, ad uno spettacolo di cui nulla comprendevano, eransi tutti insieme ristretti da un canto, e la donna si segnava dicendo: - Ch'e' sia indemoniato?» Egli per la rozza cucina trascorreva a passi concitati, ora bestemmiando, ora gridando con voce senza parole; poi d'un calcio sfondò la porta e uscì. Era una notte fosca come i suoi pensieri; la pioggia ingagliardita e tuoni e lampi l'accompagnavano; ma egli non vedeva, non udiva la notte, l'acqua, il vento, il cielo malvagio. Donnino, che gli tenne dietro così di lontan via, lo vide a gran passi traversare la campagna, e poi ben tosto il perdette di vista, e tornando al casolare, ne contava fra meraviglia e paura, le smanie, l'agitazione, esclamando: - Deve aver le lune ben a rovescio».

Altro che lune! era un demonio, col quale in cuore Ramengo continuò l'errante corso. L'aver ucciso una innocente ed a quel modo, sarebbe stato ragione sufficiente per giustificare quel turbamento disperato in un animo molto ribaldo. Ma nel suo non era commozione di pentimento, bensì una foga di ire, di dispetti, poichè il tristo, non che indursi a dar torto a medesimo, dai proprj peccati trae motivo di nuovi odj: vaso guasto, ove sin la rugiada si corrompe; serpe, nel cui seno perfido il miele diventa succo mortale. Quella donna egli l'aveva pure amata: aveva provato le dolcezze dell'essere riamato, come si suole di cosa perduta, ne rammentava tutti i pregi, nessuno dei difetti, il peccato in lei supposto era scomparso. Ed egli l'aveva uccisa! Aveva privato dell'unica incolpevole dolcezza che in vita sua gustasse mai! - Foss'ella vissuta, oh come diversa sarebbe trascorsa la mia vita! Placido in grembo della famiglia, padre di cari bamboli.... Padre! oh! essere padre! questa consolazione l'ho libata, ma solo quanto bastasse per sentire più grave la maledizione del non poterla provare mai più. Fosse ella vissuta; che importerebbe a me questa superba di Margherita? che invidiar alle gioje del Pusterla? E di tutte queste privazioni, chi fu la causa? se non il Pusterla istesso? Maledetto! egli mesce il veleno nella mia tazza; egli appuntò un coltello fra me ed il seno delle mia donna. Scellerato! S'ei non l'amava perchè farne le mostre? perchè tentar di sedurre quell'angelo? perchè, se non per farmi onta e dispetto

E stringendo il pugno, e stralunando gli occhi verso il cielo, scagliava sopra di quell'innocente le imprecazioni più rabbiose e più immeritate. - Se tu non fossi stato (proseguiva) sarei con onore vissuto tra gli uomini, non trascinato sopra una via, per la quale ora mi è forza camminare. Sì... è forza ch'io ne tocchi l'estremo; e se per tua cagione perdetti i gaudj dell'amore, possa io almeno inebbriarmi in quelli della vendetta! Rosalia! Rosalia! te lo giuro! ti vendicherò! ti vendicherò

Così la conoscenza del suo delitto a nuovi delitti lo traeva; somigliante a chi, nel terrore di un incendio, getta nuova esca al fuoco, sperando di soffocarlo.

Taceva, seguitava, errando come una cosa pazza per la landa uliginosa, affondandosi nelle pozze, saltando i fossati, poi si fermava, apriva il pugno coi brani dei viglietti lacerati, che macchinalmente stringeva, fissava su di essi gli occhi cristallini, dimenava il capo: - Ecco! essa gli avrà baciati tante volte, vi avrà sparso sopra chi sa quante lagrime; sarà morta premendoli al cuore, col nome di suo fratello sulle labbra, mentre avrà traboccate l'ira e le maledizioni sopra colui che la uccideva... Sopra lui, e non sopra quello che ne era la causa! Col latte avrà stillato l'odio nel mio bambino, gli avrà insegnato ad abborrirmi... Ma no! oh no! egli ignora l'autore dei suoi giorni, e spasima di saperlo, per poter con lui comparire nella società, ed ottenere quell'onore della cavalleria che gli fu negato, sol perchè d'ignota razza. Certo lo cerca, e non sa che quel desso erasi posto sulle orme sue per trarlo a rovina. Ma ora il troverò ben io, me gli paleserò: gli dirò che son suo padre. Qual tripudio per lui aver trovato un padre! come mi amerà! ed io amerò lui, compenserò lui dei torti fatti a quella sciagurata; potrò ricomparire nel mondo tenendomi ai fianchi un figliuolo, che sarà il mio decoro, il sostegno e la consolazione dei miei vecchi giorni. Ma che? no! neppur questo mi sarà dato forse. Eccolo involto nella malvagità del Pusterla. Perdio! avrà dunque il Pusterla a presentarsi traverso a tutte le mie gioje, a tutte? essere causa sempre dei miei tormenti? Maledizione sul capo di lui!»

E imperversava di nuovo: poi fermavasi a guardare la

notte, ad ascoltar lo scroscio dell'acqua, unica voce nel silenzio della campagna disabitata. Quella campagna, quella notte un'altra gliene ricordava, un'altra in cui aveva ricevuto dalla Margherita quell'affronto; un affronto che omai non si poteva lavare se non col sangue. A tale rimembranza viepiù ribolliva il suo furore; nell'istante che scopriva il proprio misfatto e la innocenza dell'uccisa e del perseguitato, invece di pentimento, concepiva i più atroci disegni di vendetta.

Pure tra quell'inferno gli tornava innanzi giocondo il pensiero del sapersi padre! padre di un figlio che, ignorando l'antica sua colpa, l'avrebbe amato come quello che gli porgeva il modo di collocarsi con onore nella società; sostituendo così sempre il calcolo al sentimento, come uomo avvezzo a non vedere negli uomini che mezzi od ostacoli al salire. E quel figlio era vicino; e forse coll'alba poteva vederlo; forse tornando nel casolare vel troverebbe. Appena dunque la nuova luce gli lasciò distinguere gli oggetti circostanti, s'avviò per rintracciare la strada. Molto era corso quella notte, l'acquazzone aveva cancellato ogni sentiero, ogni pedata per la selvaggia lama; pure il muggito del fiume si udiva, dietro al quale dirigendosi, arrivò dopo lungo cammino, alle sue rive, secondando le quali distinse finalmente la baracca de' mulinai. Vi si accostò come uomo che va ad intender la sentenza di sua vita o di sua morte, entrò, ed alla Nena, che stava accosciata al fuoco, e che tutta si risentì al vederlo, chiese: - È tornato?

- Chi?» domandò ella.

- Chi! chi! Alpinolo.

- Signor no... ho gran paura... Dio nol voglia, ma qualche disgrazia deve certo essergli accaduta. Un animo me lo fischia all'orecchio. Povero giovane

E fra il così dire, dava pure qualche sguardo sospettoso e di sottecchi a quell'ignoto, ripensando in che gran bestia l'avea veduto la sera antecedente. Egli fece sellare il cavallo, e se n'andò, lasciando detto che, se mai Alpinolo capitasse, ad ogni patto il ritenessero finchè egli tornasse, importandogli come la vita di parlargli. Quel giorno, il domani, e i seguenti vagò alla ventura, secondo che il capriccio, il caso, il cavallo, qualche idea, qualche superstizione lo portassero: fermavasi in un paese senza un perchè, camminava, tornava indietro, finchè ricapitava pur sempre al mulino. Quivi il suo giungere turbava la vita ingenuamente spensierata di quella buona gente, che ricordandosi quelle furie, avrebbero visto meno male il traboccare del Po. - Fosse almeno la febbre costui (talvolta diceva la Nena) che con una messa a san Sigismondo me ne libererei». E qualche altra: - Fin Giuda a casa del diavolo trova riposo la domenica: ma per costui non c'è festa che tenga».

Così colla testa ingombra di pregiudizj e col miglior cuore del mondo, non sapeva perchè, ma non poteva tollerare quell'uomo: - E neppure il nostro cagnuolo (soggiungeva) si è potuto mai assuefare a vederlo senza guaire come se lo pelassero».

Ma poichè per gli importuni ci vuol meglio che augurj e imprecazioni, Ramengo tornava sempre, assiduo come un creditore; la prima domanda che faceva era sempre di Alpinolo se fosse comparso; la risposta era sempre il medesimo no.


 

 

 


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