Cesare Cantù
Margherita Pusterla

CAPITOLO XIX. FUGA.

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

CAPITOLO XIX.

 

FUGA.

 

Così esclamava Alpinolo nell'amarezza del cuore, quando al suo abbattimento trovava unico appoggio il disprezzo; ma poi a molte eccezioni gli andava la mente, e sopratutto a una persona, sulla quale sentiva di non poter dubitare: fratel Buonvicino. A lui avrebbe potuto aprire alla libera il suo pensiero; a lui che, tornando, avea trovato tale appunto qual nel fuggire lo aveva lasciato; ma qui medesimamente  v'eran ostacoli, esitazioni, paure. - Se gli spiego tutta questa matassa (egli pensava), mi riprenderà; vorrà far prediche; troverà un mondo di ragioni da opporre; la prudenza sarà d'impaccio al coraggio; vorrà la meta e non la via che vi conduce; parlerà di giustizia, quasi al mondo ve ne sia più la semenza. Sebbene... giustizia? non è egli diritto l'adoprare ogni sorta di armi contro chi ogni sorta ne adopera a danno dell'umanità? E che? Dunque il ribaldo perchè non teme l'inferno, sarà tanto avvantaggiato sopra il giusto? Perdonare!... soffrire!... Sì! sì! belle parole: ma non fanno che crescere baldanza in chi mette il piede sul collo all'umanità. E poi alla fine, che male può tornarne? O l'effetto mi riesce a disegno, ed ecco salvata l'innocenza, ecco impedito un delitto, ecco lavatami dalla coscienza questa macchia, questo verme che giorno notte riposa. Se il tentativo fallisce, se la fortuna mi disajuta... pei Pusterla nulla è peggiorato. Non sono essi già al colmo del pericolo e della miseria, dacchè si trovano in tali mani? E quando pure ne accelerassi di alcuni giorni la morte, non è acquisto il sottrarli più presto alla barbarie dei manigoldi? Quanto a me la vita mia cessò da un pezzo di appartenermi: è appassita prima di neppur sviluppare intero il suo fiore. Come potrei spenderla meglio che tentando lo scampo degli innocenti? Se muojo, avrò soddisfatto in parte al grande obbligo che mi rimane a scontare: troverò finalmente la quiete... cesserò di fremere, di esecrare.

Durata molti giorni la lotta coi suoi pensieri, e sempre più riconfermandosi di tentare ad ogni costo l'impresa, deliberò di rivelare al frate quel tanto solo che fosse indispensabile, cioè il fine, non i modi. Un , tra il chiaro e il fosco, si al convento di Brera; contempla un momento quella soglia, ricordandosi con qual devota gratitudine l'avesse baciata il giorno che vide sopra di essa salvato il Pusterla; e al portinajo chiede di veder frà Buonvicino.

Angiolgabriello da Concorezzo, antica nostra conoscenza, nol misurò da capo a piedi coll'occhiata scrutatrice, abituale ne' portinaj ma, tutto dolcezza e benevolenza, rispose: - Fratel Buonvicino? Volete forse confessarvi, signor soldato? Dio vi benedica! entrate in chiesa; lo chiamerò. Vado e torno.

- No, non l'incomodate; se c'è, anderò io stesso alla sua cella. So dove sta.

- Ah, siete pratico della casa? Lo conoscete quel sant'uomo?» e qui cominciava per recitare una leggenda di sue virtù, ma come vide che Alpinolo gli avea vôlte le spalle, badandogli come un pedante al buon senso, gli esclamò dietro: - Passate, passate pure, che Dio vi benedica

Stava frà Buonvicino nella piccola camera, le cui masserizie, secondo la regola, si riducevan al paglione con un capezzale e due lenzuola di lana e a un predellino di legno. Su questo sedeva il frate, inchinata la fronte, le mani intrecciate sulle ginocchia, cogli occhi fissi sopra un qual si fosse oggetto indifferente, e senza vederlo. Alle rughe anticipate della sua fronte, alle guancie pallide e scarne, all'occhio affossato, ognuno avrebbe potuto dire «Per costui il pensare è soffrire»; ma nel dolore di esso non v'era abbattimento, e potevasi scorgervi frammista una speranza - o forse una memoria.

Al passo incerto, all'ansioso occheggiare, al tono della voce, ben avvisò frà Buonvicino nel soldato qualche cosa di straordinario; onde, sorto dal meditabondo riposo, se gli fece incontro col consueto saluto: - La pace sia con voi, o fratello».

Non rispose l'altro al benedetto augurio se non interrogando:

- Padre, siamo soli?

- Soli con Dio.

- Nessun pericolo che altri c'intenda?

- Nessuno», rispose il frate, e fissava attentamente il nuovo arrivato, il quale, fattosegli più vicino, chiese:

- Padre, amate voi Margherita? la Pusterla

A una domanda così inaspettata, una domanda che egli schivava di fare a stesso, per quanto la maestà della sventura avesse resa più venerabile e santa agli occhi suoi quella che un tempo aveva amata d'amore, tutto si risentì frà Buonvicino: rizzò la testa abbattuta, pose la mano sulla bocca del soldato, come per imporgli silenzio, rabbattè attentamente l'uscio e l'impannata della celletta; indi, afferrando il braccio dell'ignoto, - Ma voi chi siete?

- Sotto le spoglie del vile prezzolato, non mi riconoscete, fratel Buonvicino

Dai patimenti, dal nuovo abito e dall'arte sfigurato, tardava Buonvicino a ravvisarlo; poi, come l'altro si nominò, anch'egli, con tono di meraviglia e di interrogazione, ripetè:

- Alpinolo?» poi ne strinse fra le mani il capo, e, - Figliuol mio! tu qui? Come ardisci rimanere? Perchè cotesta divisa - tu?»

Alpinolo, alla presta e con termini di viva esecrazione, senza perdonare a stesso, gli espose il seguito delle sue avventure; la parte che aveva avuta al disastro del Pusterla, il tradimento di Ramengo, che fece raccapricciare il frate, e che gli scoperse di tratto una serie di iniquità, quali non aveva sospettate possibili.

- Ora comprendo (esclamava) perchè Ramengo è tornato sicuro, mette casa riccamente, e si allegra, e par che dica all'anima sua, Godi, esulta, abbiam trovato il nostro riposo. Ma tu, per amor del cielo, come sei tu qui? perchè

E Alpinolo, - Come io sia venuto e perchè sotto queste divise, è un segreto ch'io giurai di non manifestare: non vi riuscirà però difficile l'apporvi.

- Sciagurato! un assassinio?...» prorompeva frà Buonvicino, respingendolo dalle braccia tra cui lo teneva serrato a guisa di un padre che accoglie al pentimento un traviato figliuolo.

- Padre (interrompeva quell'altro l'incominciato rimprovero) qualunque vostra ammonizione sarebbe fuor di luogo e di tempo. Così avessi avuto il coraggio! Ma più di quel che potreste dirmi ora a voce, mi disse e mi dice sempre la vostra immagine, che tratto tratto mi si affaccia a ripetere quei consigli che m'avete dati tante volte in mia fanciullezza. Ora però non sono qui per questo. Rispondete: amate voi Margherita? il Pusterla?

- Se gli amoesclamò l'Umiliato, e corrugò la fronte guardando il cielo con un sospiro.

- Ebbene, dovete darmi mano a salvarli.

- Salvarli? Oh come?» domandò con ansietà frà Buonvicino; e come, quando nel bujo di una camera divampi il zolfanello, di subito rompe le tenebre una gaja luce, che poi immediatamente spegnendosi, lascia di nuovo al bujo, così nell'occhio di frà Buonvicino lampeggiò una gioja vivissima, ma passeggiera; all'istante un melanconico velo gli ottenebrò la fronte, e le esclamazioni di allegrezza finirono in un doloroso ohimè. Poi soggiunse: - Ah garzone, garzone! tu sei ancora quel desso; ancora non hai abbastanza imparato a che possa trascinarti cotesta foga intemperata, cotesto operar sempre, e non riflettere mai. Tu precipiti te stesso e loro.

- Padre, (replicava l'altro) il mezzo, a dirvelo, è meglio nol conosciate; sull'esito però ho calcolato abbastanza: e, se il diavolo non vi mette... cioè, se l'accidente... Insomma, anderà bene. Andasse anche male, ad essi che può risultar di peggio? Quanto a me, della vita mia non devo conto a nessuno.

- No? nemmeno a Colui che te l'ha data, e che può chiederti perchè l'hai gettata, innanzi che egli medesimo te la ridomandasse? Non sono davanti a lui eguali l'assassino e il suicida

Stette un momento sopra pensiero Alpinolo, poi, stringendo ancora la mano al frate, ripigliava: - Vivete pur tranquillo su quanto riguarda me. Il cuore mi dice che nessun male ne avverrà. Proprio dal cuore mi viene questa potente ispirazione, e le ispirazioni di raro ingannano».

Tentennò il capo frà Buonvicino, e, posandogli l'altra mano amorevolmente sulla spalla, - O figliuolo! e cotesta ispirazione da chi l'hai tu implorata? hai tu pregato mai con fede Iddio?

- Iddio! (interrompeva il giovane) c'è egli proprio questo Dio?» E, subito correggendosi, - Ah, sì, certo, egli vi è: vi deve essere per aver creato la Margherita, per aver tratto con mia madre in paradiso. Ma in paradiso che fa egli? perchè non reprime l'iniquità? perchè lascia il reprobo mangiare in pace il pane delle delizie, mentre il giusto affanna ai suoi piedi? Perchè il Pusterla è in carcere, e Ramengo fra gli agi? Perchè voi qui a gemere sulle miserie comuni, e Luchino in trono a moltiplicarle?

- Di poca fede! (replicava frà Buonvicino con un sospiro) Chi t'ha dato il diritto di scandagliare l'inesplorabile abisso della Provvidenza? Giusto è Dio, e i suoi giudizj sono veri e approvati per stessi; l'uomo li riverisca, presuma comprenderli. Pure tu, sei tu entrato nel cuore dell'empio e del savio? Hai visto quel che si nasconde sotto le bugiarde apparenze del godimento e delle pene; dell'umiliazione e del trionfo? Che se anche in terra questo patisce e quello esulta, forse che il regno di Dio finisce fra gli angusti confini di questa vita? Sarà giorno, quando, in bilancie assai diverse da quelle dell'uomo, staranno il riso e i patimenti, le soperchierie e la pazienza: quando i fortunati udranno dirsi: la vostra porzione di beni già l'avete tocca in terra. Frattanto ti viene lezzo dell'iniquità che domina il mondo? della mal provvista distribuzione di ciò che il secolo chiama beni e mali? Torci da loro, e forbendoti del fango, solleva il pensiero sopra queste lotte terrene, e pensa a Dio, e prega Dio».

Soprastava l'altro così un poco, siccome in meditazione, poi ripigliava: - Pregare! Quanto tempo ch'io non prego Dio di vero cuore! Oh, mi ricordo, allorchè fanciullo, col signor Ottorino, colla Margherita, io veniva a questo chiostro, in questa chiesa, e il dolce nome di padre, che non potevo dare a nessun uomo, lo davo a Quello che è nei cieli, e pregavo, e svelavo i miei peccati, i miei pensieri a un buon sacerdote; questo mi benediceva, sicchè, tranquillo e consolato, io me ne partiva siccome un angioletto. Che dolcezze! che giorni! Ora sono perduti, e irreparabilmente.

- Ma chi ti toglie (soggiungeva il frate, con premurosa amorevolezza) chi ti toglie di far altrettanto, qualora tu il voglia, in questo medesimo istante? Credi forse esausti i tesori della misericordia? quel Padre non è sempre colle braccia aperte ad aspettarti? Che non rispondi alle sue chiamate?

- No, no, (replicava il giovane con tono deliberato) no! impossibile! impossibile! Finchè un odio bollente, sanguinario mi parla solo di vendetta, come potrei? come ardirei? No, no; verrà tempo: son giovane; forse non durerà sempre a questo modo. Oh allora!... Ma adesso a quel che importa... Io mi apersi con voi, perchè in voi solo ho fiducia. Non venni per chiedervi parere: gli è un perder tempo il tentare di stornarmi. Ho bisogno di voi. Rispondetemi risoluto. Se io trovo modo di consegnare a voi il Pusterla e la sua donna, prendete sopra di voi di ridurli a salvamento?

- Così Dio m'ajuti come il farò! me ne dovesse costare la vita! Ma...

- Ebbene, sia vostra cura che, in tutte le seguenti notti, tre cavalli di gran lena siano lesti a quell'enorme noce, sapete? a mezzo della strada di Quadronno, di costa alla vigna di Susone dei Cantù. Il vulgo racconta non so quali paurose fole di quel luogo, di quella pianta, di streghe, di tregenda, di sabati; e però nessuno vi bazzica; onde è opportunissima per chi non patisca di queste ubbie».

Il frate taceva, pensava, come chi è preso da un desiderio senza speranza; e il giovane, con accorata insistenza, ripigliava: - Vi domando pur poco! Lo farete voi? A ogni modo, se vi ricusate, non sarà che un crescere i pericoli a me e a loro. Lo farete?»

Frà Buonvicino, deciso meno dagli argomenti del giovane che dalle ragioni librate fra , sollevò la fronte depressa, e con aria di tranquilla energia, ben diversa dalla impetuosa temerità di Alpinolo, rispose: - Lo farò.

- Deh, siate benedettoesclamò Alpinolo con effusione di gioja riconoscente, stringendogli con ambe le mani la destra, e baciandola e ribaciandola; poi, divisati i luoghi, distintamente accordata ogni cosa, già si avviava a partire, quando si rivolse, e, messo a terra il ginocchio, - Un'altra grazia, o padre: beneditemi».

Il frate, commosso, posò le palme sopra il capo inchinato di Alpinolo, e, - Dio ti benedica! voglia insinuarti uno spirito di amore, di prudenza, che temperi cotesta impetuosa volontà...»

finì, sentendosi intenerire ai singhiozzi di Alpinolo, il quale, come rimproverandosi questa commozione, si levò, e precipitossi fuori della cella, misurò rapidamente il corridojo, illuminato da un fioco lampione, e, giuntone in capo, si volse, rimirò il frate, il quale ancora dalla soglia gli accennava colla mano, e si dileguò.

Tali concerti ritornarono ad Alpinolo tutta la baldanza del pensiero, e provò la confidenza che ispira una robusta deliberazione, tanto somigliante alla soddisfazione di un disegno compito. La sera dopo, era egli sciolto del servizio, onde si condusse verso Quadronno per vedere se il frate vi stesse, secondo l'intelligenza. Scontrò un ragazzo il quale a furia scappava, e quando vide Alpinolo, - Signor soldato, (gli gridò) non andate in . Al noce v'è una frotta di diavoli in forma di cavalli»; e continuò a correre verso la città come spiritato; e tutta la vita sua seguitò a dire a chi non credeva, che stregoni e demonj e tregende erano cose di fatto, e che egli ne aveva l'esperienza dei proprj sensi; - esperienza infallibile, come dicono i filosofi.

In fatto Alpinolo, accostatosi presso al noce concertato, vide tre cavalli in ordine con un famiglio che li teneva: e se le tenebre non avessero impedito la vista, poco quindi lontano, dietro ad una macchia, avrebbe scorto il frate che durava in orazioni e in aspettazione. A ogni stormir di foglia, a ogni susurrare del vento autunnale fra i pampani della vigna, risentivasi frà Buonvicino, e guardava; poi, a ora a ora alzavasi a mirare verso la porta Romana se alcuno arrivasse, e sempre se ne torceva deluso. Veder una volta ancora la Margherita, vederla salvata dall'abisso ove l'avea fatta perduta, darle la buona andata, poi tornarsene a raccomandarla al Signore, queste erano le fantasie che lusingavano il povero frate; e la delizia di saperla una volta contenta co' suoi cari, tanto più cari dopo tanto vicendevole patire. Ma poi le infinite difficoltà se gli affacciavano, e disperava, e cadeva colla fronte sulla terra pregando e singhiozzando.

L'altro domani toccava ad Alpinolo montare la guardia; e solo allora legò col carceriere il discorso che abbiamo riferito, per non lasciargli tempo a riflettere, e per tenergli le mani ne' capelli. Con esso rimase d'accordo che, quando egli, dopo la scolta che a momenti verrebbe a rilevarlo, entrerebbe ancora in sentinella, farebbero uscire i due dalla prigione, e per la guardina del carceriere, scendere in un cortiletto posteriore, dov'era la porta del soccorso, non divisa dallo spianato che per un fossatello largo un passo.

Abbiamo già fatto avvertire come la Rocchetta non fosse ridotta a compimento; molte parti ancora imperfette di mura; non approfondita la fossa; lavori tutti che erano stati sospesi perchè il luogo riconoscevasi non abbastanza addatto; per la qual cosa venne poi abbandonato, fabbricando invece il forte dall'altra banda verso San Nazaro.

Tutto ciò agevolava un'evasione. - I soldati (diceva Alpinolo) se la dormiranno a quell'ora così tarda; benchè la luna sia nel suo pieno, è però questa sera adombrata da nuvoloni minacciosi, talchè l'oscurità ci darà favore. Se possiamo procedere senza rumore, niente più facile che andar fuori.

- Come poi sarete fuori (soggiungeva Macaruffo) pensateci voi; che, quanto a me, m'allaccio le scarpe, e la do per la campagna senza guardarmi ai piedi, finchè non sento rumoreggiare il fiume d'Imagna».

Poco dopo venne un soldato a dare lo scambio ad Alpinolo; venne sbadigliando e divincolandosi come chi allora si sdormenta, e dicendogli con una voce sonnacchiosa: - Avevo attaccato di gusto. Te beato, o Quattrodita, che hai dinanzi due belle ore da dormire della grossa

Alpinolo gli cedette il posto senza lasciare scorger nulla e si ritirò nel camerotto; si ritirò, ma (lo crederete agevolmente) tutt'altro che a riposo; bensì all'agitazione naturale del tempo che scorre fra la deliberazione d'un disegno pericoloso e l'effettuarlo. Terribile tempo, quando tutte le forze dell'anima stanno assorte in quel pensiero, in quell'avvenire così vicino e forse così lontano; in un avvenimento, che fu lungo tempo meditato, svolto, blandito, e che sarà condotto a termine fra pochi istanti, o non più! Come gente che si accalchi a udire una ambita novella, così mille idee di possibili pericoli si affollano alla mente, e dietro a queste altrettanti spedienti per ripararvi; tutti gli scorre l'intelletto, a nessuno s'appiglia. Ora una fidata speranza già trasporta l'uomo al momento dopo... Gli vedresti allora l'occhio scintillare, allungarsi le labbra ad un sorriso. Poi la riflessione slancia attraverso all'immaginativa un cupo spavento; ostacoli insormontabili tra il frutto e la mano, ogni cosa scoperta, sventata; allora il ciglio si rabbuja, aggrinzasi la fronte, un ribrezzo invade la persona, i capelli s'arricciano, il sangue rigurgita al cuore, e un freddo sudore cola giù per le guancie.

In questo sogno immaginoso passavano Alpinolo e Macaruffo le due ore, - ore lente come il passo della morte. Il giovane computava ormai imminente l'istante che riscatterebbe ogni suo errore, restituirebbe alla libertà e all'onore vittime innocenti, farebbe per astio amarissimo al tiranno molte giornate. Gli pareva già vedere i Pusterla mettere il piede fuor della Rocchetta; - Ecco i cavalli; si monta; si sprona. - Addio, Milano! domattina trovano il carcere vuoto; che rodimento il signor Luchino! ha da mettere più di sei e più di dodici capelli canuti. Invano tenta soffocare il dispetto fra le tazze e le lascivie e il concetto di nuovi oltraggi. - E Ramengo? vedersi sfuggire le sue vittime - mancargli sotto la base, su cui ideava sollevare la scellerata sua grandezza - sapere liberi e lontani quelli che alzerebbero la voce a proclamarlo infame, traditore, spia! - Presto, cavalli su tutte le direzioni ad inseguirci. - Eh sì! noi siamo in sicuro. Si va; si rivede il tugurio de' mugnaj che curarono la bambina mia vita; ci tragittano; voliamo di , troviamo i fratelli. - Qual gioja d'essere ancora fra cuori consenzienti, poter ancora fremere, bestemmiare!

- L'hai tu scannato quel maledetto? mi domandano: - No, ma ho fatto meglio: ho strappato due vittime di bocca al biscione. - Sono conosciuti, festeggiati; la vista loro rinfuoca gli sdegni, rinfresca la memoria di quanto patì ciascuno; più non è che un fremere d'armi: ci uniamo: vendetta è il nostro grido; si muove sopra Milano; il popolo, sazio della costui tirannia, esce in folla ad ingrossare le nostre file; appena sa che appressiamo, la città rumoreggia: su e, sant'Ambrogio, sant'Ambrogio! scannano quella sua caterva di scherani: e lui, quel cane... oh potess'io essere il fortunato, che, tra la mischia e non più da assassino lo incontrassi, lo abbattessi, gli piantassi questo pugnale nel cuore

Gli brillava dentro il coraggio, e con un moto macchinale che preveniva la volontà, brandiva di fatti il pugnale in atto di chi mena un mandritto; e soffiando, si sentiva andar tutto in sudore. Trasse di capo il morione; colla palma terse la fronte, e anch'egli si pose a sedere sul pancone, sopra il quale tranquillamente sdrajati russavano due dei suoi commilitoni. Tenne il guardo biecamente fisso su loro: - Anime vendute! ministri della prepotenza! Ancor due ore, ed avrò gettata di dosso l'infame vostra assisa. Ancor due ore, e poi... E poi? forse da qui a due ore essi saranno levati contro di me, addosso a me. Se si destassero? se udissero? - Ch'io gli ammazzi? - Ma altre guardie vegliano abbasso. - No; non ci voglio pensare. Frà Buonvicino prega».

E cacciava quest'apprensione come un maligno fantasma; e quasi per istordirsi diceva: - Che temere? dormono sodo. Importa assai a que' ghiotti se stia per cadere il tiranno che ne ha comprato il valore! D'altri suoi pari sono piene le città d'Italia, non mancherà chi li tolga a stipendio per sicurezza de' suoi delitti e per isgomento della virtù generosa».

Quindi, per far inganno a stesso, e mostrarsi ai proprj occhi spensierato e sicuro, piegava il capo, e quasi si trattasse di deludere altrui, fingeva addormentarsi. - Sì, addormentarsi! La coscienza d'un gran pericolo, e non solamente suo, lo scoteva in fiero soprassalto; acceleravano il battito le arterie: chi l'avesse esaminato, ne avrebbe scorto il viso pallido, scontrafatto come il cadavere d'uomo violentemente soffogato. Sentendosi mancar il respiro, si alzò: chiotto chiotto affacciossi ad un finestrone alto e stretto, s'abbracciò ad un'esile colonnina, posta a sorreggere due archetti acuminati che facevano il vôlto; e sporto il capo fra lo stipite e quella, stette osservando la cupa maestà della natura, addormentata nel fondo della mezza notte. Il cielo era ingombro di nuvoloni, pregni di pioggia e di tempesta, che rapidi pel fosco silenzio camminavano, cozzavano, accavalciavansi, come i pensieri nel capo di esso.

- Oh, versassero almeno torrenti di acqua! rumoreggiasse il tuono, sicchè, fra il crosciare della pioggia e lo schianto dei fulmini, andasse inascoltato ogni rumore de' passi nostri! Perchè... già un passo basta a risvegliare questi mastini. - E allora?... Oh ma no: tutto è silenzio, il tuono li desterebbe: meglio così. E la luna sia velata, almeno sinchè abbiam valicato quel fossatello. Allora, giù pei campi... il desiderio di libertà impenna l'ale a quegl'infelici. - Quanti ringraziamenti! quanto ben me ne vogliono! - No, no; ora non è tempo di parole, di ringraziamenti; lesti al noce; colà sono i cavalli...»

E l'occhio di lui correva via via per la pianura, colla celerità che augurava possibile ai passi fuggitivi. La campagna era posseduta dalla sorda bonaccia che suole precedere lo scoppio della tempesta. - Fra poco (rifletteva Alpinolo) quella quiete sarà rotta dallo scalpitare de' tre cavalli che ci porteranno lontani da questa maledetta Milano».

E spiegando verso la città il pugno, in atto di chi slancia un sasso, rizzavasi, e incrociate le braccia sul petto anelante, si poneva a riguardarla.

- Anche colà tutto dorme. Dorme il povero, trovando nel sonno tregua alla fame, mal saziata col tozzo che o un ostinato lavoro o la superba carità del dovizioso gli procacciarono; dorme il ricco, smaltendo la sovrabbondante cena; dormono i forti concordi e i disuniti oppressi: dorme il tiranno... Possibile che dorma esso, mentre tante voci gridano contro di lui vendetta in cielo? mentre qua vegliano tanti per sua cagione, per ordine suo, nel dolore beffato? mentre per lui son io tempestato così? Eppure sì, dorme certo: non l'ho visto io dormire nel parco di Belgiojoso? Che fa a lui il duolo, il pianto dei miseri, se quel duolo, quel pianto ne assodano il potere?

- Ma i cittadini?... Dormono anch'essi. Oh, se non vegliarono mai neppure di giorno! Se, cullati dalla pace tra le oziose braccia, hanno sempre gli occhi chiusi ai torti, onde vengono oppressi ogni ora, ogni momento? Vigliacchi! hanno veduto la rovina di tante persone lor care, e tacquero. Che fa a loro il soffrire degli altri? E quand'anche toccano una nuova sferzata dall'oppressore, si risentono un tratto, danno una volta stizzosa pel letto gridando, Come si sta male! poi rattaccano più sodo. Se alcuno alza la testa, vede gli altri che dormono, e non l'odono o non gli badano; onde per lo meglio tace, si adatta, e l'ahi che preparava, finisce in un va bene. Quando verremo a liberarli, non ci cureranno: staranno forse contro di noi. Vigliacchi! Eppure tanti ne conobb'io - generosi, pronti a versare il sangue per l'utile comune. Or dove sono? Dove son più quei giorni? Ecco! appena diciannov'anni io conto, e già rimpiango il passato come un vecchio che gemette sulla tomba di tutti i suoi conoscenti

Lievemente ondeggiando il capo, cogli occhi aggravati da una spasmodica veglia e colla bocca socchiusa, stava incantato a riguardare quei tetti, quelle torri, su cui tratto tratto qualche nuvola squarciandosi versava un raggio di luce, tanto chiaro quanto fugace. Adesso erano immagini lontane, ch'egli cercava nelle proprie rimembranze; la fanciullezza sua, gli spensierati trastulli, rive tranquille dove era destinato a trascorrere sua vita, ignorando le iniquità degli uomini; accudendo un mulino, insidiando ai pesci, ed imbandendoli la sera sulla mensa frugale, pari a tutti gli altri mugnaj.

- Eppure no: chè essi hanno padre, madre, fratelli; io no, io nessuno! io germogliato come il grano di segale che il vento trasportò in cima di questa torre. Oh potessi almeno rimembrare di mia madre! potessi richiamarmi i sorrisi, i vezzi onde m'avrà vagheggiato appena io nacqui, e in quella sua terribile corsa giù pel fiume

Osservava in dito l'anello, il baciava e ribaciava.

- Avevo giurato di non ispiccarmelo se non morendo. Ora lo butterò in gola all'avaro carceriere. Che importa! Trattasi di compire una buona azione. Tu ne sei contenta, o madre: non è vero? Tu sei santa lassù, e ti piace ch'io salvi quest'altra santa in terra».

E raddoppiava i baci intenerito.

- Ma mio padre? dov'è egli? perchè non lo conosco? Oh se lo sapessi! se il rivedessi! una parola di lui basterebbe a formare la dolcezza di tutta la mia vita; un suo consiglio temprerebbe questa foga rovinosa. Vederlo, trovarlo ed esser beato - beato come nel paradiso

con minore sospensione d'animo passava quel tempo Macaruffo. Seduto per terra con una gamba distesa e coll'altra piegata in modo, che colle giunte mani la reggeva al ginocchio, inchinato il capo sicchè tutta la faccia rimaneva adombrata, guardava egli sottecchi dietro dietro al soldato che sbadatamente passeggiava. L'aria fiera di quel soldato, la partigiana che quegli recavasi in mano, e il cui ferro luccicante riverberava a momenti la fievole luce del lampione, mettevano i brividi a Macaruffo. Già gli pare d'essere scoperto, e vedersi quel guerriero venire incontro a ferirlo; già sentesi il gelo di quell'arma in mezzo al ventre... aspira con angoscia, come davvero ferito; ed un ahi di spavento gli corre fino alla gola. Allora per isviare la paura caccia la mano in tasca, palpa la borsa, lento la slega, fa scorrere sotto ai polpastrelli gli zecchini; e come un innamorato forma mille proponimenti, che tutti poi distrugge il primo rivedere dell'oggetto de' suoi sospiri, così i terrori sbrattano dall'animo del carceriere al tocco, al rovistìo di quel metallo.

- Uno, due, tre... venti... quarantanove, cinquanta! e sono miei!» pensava egli. - Altro che giuggiole! Tanti anni di fatica non mi partorirono che stenti e miseria; ed ecco una notte mi fa capitare quello che in vita mia neppure avevo sperato! Oh stamattina devo pure essermi segnato bene! Ora capisco perchè il fuoco jersera soffiava a quel modo... Ed io balordo anguillai prima di accettare! Sì, sì; m'han detto giusto a chiamarmi il Lasagnone. Ma ora sarà finito questo rodimento di ascoltare ogni tratto, Lasagnone to qua, Lasagnone fa questo, fa quello. E i bettolieri? chè non c'è buco dove io non abbia messo il chiodino: domani gli avrò pagati di moneta corrente. Domani di quest'ora,  se le gambe mi dicono il vero, si arriva a casa: moglie, figli saltano dal pagliericcio, mi si fanno intorno a chiedere: Che novità è codesta? non è Natale, che anche i banditi vengono a casa. - Cheti , dico io: son fuggito. - Ma il signor Luchino? dice la donna. Dico io: Me ne infischio del signor Luchino e di chi fa per lui: mangi chi vuole quel suo pane di sette croste, dico: vale meglio un cantuccio del mio paese e lo stare in santa pace a maturar le ossa al mio focolare, che non tutta la sua città e il suo palazzo, - Sì, dice la donna: ma mangiare?

Allora senz'altro buttar fiato, caccio a mano la borsa; la fo sonare: - Che? sono cappelletti di chiodi? domanda Bortolino. Io li verso sul desco, e vedono - oh vedono! Che festa mia moglie! Perdincibacco, non fu sì allegra da nozze. E i puttini, che non han mai visto dindi, richiedono: Che roba son cotesti, o tata? - Sono, dico io, tutto quel che uno vuole: sono quelli che fanno muovere il mondo, e godere il paradiso in questa vita e nell'altra. Venerateli, dico, che hanno l'impronta di sant'Ambrogio. E se il tale e il tal altro vivono in sciali e la portano alta, e se noi baciam basso e gli obbediamo e facciamo le sberrettate, gli è perchè essi hanno di questi un buon dato. Altrimenti il Lasagnone sarebbero essi, ed io il bello e il buono e il bravo. Ah ah!

Si stropicciava le mani e brillava, e rideva davvero, talchè il soldato di sentinella si fermò a guatarlo. Quell'occhiata operò su di lui l'effetto, che sopra un insolente scolaretto côlto in fallo produce il cipiglio del sopraggiunto pedagogo. E rapido come il mutar dei vetri in una lanterna magica, si convenivano quelle ridenti immagini in immagini tetre, di pericoli, di castighi: e con queste gli entrava il consiglio di un tradimento.

- Ah Macaruffo, buona minestra hai fatto! Ma son in tempo di ripigliare la parola. Or ora, quando ricompare il Quattrodita, gli vo incontro e gli dico: Assolutamente non voglio; ho detto per baja. Ma egli rivorrà il suo denaro. Fossi matto! I fiorini al giorno d'oggi valgono sessantaquattro soldi di terzoli, e non se ne trovano sulle siepi.... Se potessi salvare la capra e i cavoli! - A buoni conti i fiorini sono in saccoccia (e li palpava, quasi per accertarsene): potrei andare dal signor Luchino e spiattellargli tutto. - Spiattellargli tutto! e poi? Vengono, pigliano il Quattrodita, l'impiccano: questo va di suo piede. Ma a me, cosa mi entra in tasca? Egli non potrà più pagarmi il fiasco e un boccone, come ha fatto le tante volte: e quel ch'è peggio, l'anello di diamante è bell'e andato. È vero che potrei dire, Signor Luchino illustrissimo, ho da cantare, ma voglio una mancia: egli me la prometterà: promettere costa poco: ma che mantenga? Dirà: Hai fatto parte del tuo dovere, e mi darà delle zucche marine. È poi, e poi, stesse li. La pena sarebbe che soggiungesse: Quei fiorini sono di mal acquisto, e me li togliesse, e li serbasse coi suoi, tutti d'acquisto eccellentissimo».

Pure questo partito, e come più sicuro, e come il meglio confacente alle abitudini sue, gli piaceva al gusto; ma anche qui non era tutto zucchero - Come ho da fare? Piantar qui, e correre a svegliare l'illustrissimo? - Mai più... di quest'ora! Lo dirò a questa guardia? Oibò! Forse è di balla col camerata; se no, crederà ch'io sia in cimberli. Gli mostrerò in prova i denari. Ecco subito un bolli bolli: - ma il Quattrodita è un bizzarro, che Dio ne guardi. Certo sta all'erta, tutt'in orecchi come una lepre: al primo passo che fo, salta fuori; a colui non gli croscia il ferro: e m'ha certi occhi, da non vi metter olio pepe a tirarmi una lanciata. Una lanciata! Allora l'illustrissimo mi rammenderà quell'occhiello

Fra questi e simili pensieri trascinò quel pajo d'ore. Non erano finite quando Alpinolo uscì a rilevare la sentinella, mostrandosi in atti ancora sonnacchioso.

- Bravo Quattrodita: (gli diceva il soldato) Arrivi a tempo: tengo a fatica aperti gli occhi.

- Va pur , Pagamorta (rispondeva Alpinolo), e dormi col cuore quieto, che se anche lascerai trascorrere il tempo non ti guasterò il sonnellino dell'oro»

- Viva il Quattrodita» replicava l'altro, sporgendogli la mano rozzamente. - Tocca. Un po' burbero, un po' stizzoso, ma di buon fondo. Bravo ragazzo! Lascia fare, che appena io diventi principe, ti erigerò caporale»

E con un ghignazzo che si conchiuse in un sonoro sbadiglio, se ne andò. I passi di lui rimbombarono lungo il corridojo, più e più sempre allontanandosi: ed Alpinolo li contava, guardandogli dietro con ansietà. Quello entrò nel camerotto, lasciò rabbattersi dietro l'uscio, e tutto ritornò nel silenzio. Alpinolo diede una girata origliando, guardando; e non udendosi fiato, si accostò al carceriere: - Ebbene?

- Ebbene?» replicò Marcaruffo, alzando il capo come per ismemorato, a guisa d'un baco da seta che dorme, e fissando in volto ad Alpinolo due occhi d'artificiosa storditaggine. Ma questi in atto imperativo e minaccioso afferrandogli il braccio, diceva: - Sta su: l'ora è opportuna.

- E poi?» domandava l'altro, mentre rizzavasi dinoccolato, e sentendo in quel punto meglio che mai quanta distanza corra fra il promettere di fare e il fare.

- Come? tu cagli? e i denarireplicava risoluto Alpinolo.

- E il diamanteridomandava Macaruffo.

- Sì, il diamante è qui; ed al varcare della soglia ti giuro da uom d'onore che sarà tuo. Ma a noi! il tempo stringe

L'altro si mosse dimenando la testa, e brontolando fra : - Uomo d'onore, uomo d'onore!» Ma una guardatura fulminante di Alpinolo, ed una stretta di mano che parve una tanaglia, lo fece accorto che non era più tempo di trarsi in dietro, e neppure di star in tentenno. Per far dunque che almeno l'effetto gli riuscisse senza sconciature, si trasse le scarpe, ossia gli zoccoli che allora ne facevano le veci; inginocchiossi, e recitò una preghiera che solo il terrore gli traeva sulle labbra, e colla quale non voleva se non domandare a complice il Cielo. A taciti passi allora inoltrandosi, spense il lampione che fiocamente rischiarava il corridojo; spiccò dalla cintura le chiavi, e s'avviò muro muro e tastone verso la carcere di Francesco Pusterla.

Solito sempre a mutare i passi fragorosamente, fischiando e cantando canzonacce con voce assordante, senza verun riguardo ai prigionieri, a cui il gridare spezzava i sonni e conturbava la fantasia, ora ciampeggiava con tutte le gelose e timide premure d'una madre, la quale gira attorno alla cuna dell'ammalato suo bambino. Il men che lieve fruscio dei panni gli metteva i brividi; i passi suoi, comechè fosse scalzo, gli pareva sonare più che quelli di un guerriero tutto ferro dai capelli alle piante; fin l'anelito studiavasi rattenere: le chiavi, per cura che adoperasse, girando nella toppa scricchiolavano, crocchiava l'imposta, onde se gli rizzavano le chiome in capo. Men pauroso, ma più sollecito, Alpinolo gli era sempre alle spalle, colla sospensione di un ladro mentre il compagno sconficca lo scrigno di un usuriere. Alla fine il chiavistello fu aperto, tirato il paletto; e Alpinolo si precipitò giù per due o tre rozzi scaglioni, chiamando sommessamente - Francesco! signor Francesco

Questi, al sentir dischiudere la prigione in ora tanto insolita e in più insolito modo, già coll'immaginazione era corso a quei timori, che sono abituali nei carcerati; una violenza, un assassinio. Buttossi ginocchione, chiese a Dio mercede dei suoi peccati, e gli raccomandò l'anima sua come se fosse sul punto di comparigli davanti; risvegliò il suo Venturino, baciollo, il rincantucciò nel più riposto angolo della prigione, dicendogli «Sta zitto»; lo ricoperse col suo stramazzo; gli pose davanti, come trincea, i soli arnesi che vi si trovavano, uno sgabello e la brocca: premura di paterno istinto, che ricorre ad ogni mezzo di difesa, per fiacco e inutile che il mostri la ragione. Così la chioccia, udendo la romba del nibbio che volge sopra il capo di essa le ampie ruote, chiama o ricopre i pulcini sotto l'ala, che neppure un momento li schermirà dal rapitore.

Fra queste ambasciose attenzioni ode chiamarsi a nome: si scuote: è una voce conosciuta, ma da gran tempo non intesa - Chi è ? assassino o amicodomandò.

- Silenzio! un amico», rispose Alpinolo, e si nominò. - Vengo a camparvi: non perdete tempo, usciamo.

- E la Margherita?» fu la sola voce che replicò Franciscolo.

- Verrà anch'ella.

- Dio ci ajuti!» e strinse al giovane la mano in modo di esprimergli tutta la gratitudine passionata dell'uomo che, abbandonato da tutti, tradito, vicino a morte, ritrova un amico. Il giovane la sentì, e parevagli significare tante cose, che fossero fin troppo a compensare quel che aveva operato. Poi Francesco tolse sulle braccia il bambino, replicandogli: - Taci».

Il carceriere, a cui quel brevissimo indugio era parso un'eternità, non li vide, gli udì rimontare la scaletta, e raccomandò loro all'orecchio - Fate piano».

Così vennero alla stanza della Margherita.

La meschina non erasi dimenticata (e di che si dimentica il prigioniero?), non si era dimenticata che quel era il settimo anniversario del suo Venturino. Per una madre, per una malarrivata, di quante idee doveva essere feconda una tale rimembranza! Le doglie del parto, mitigate dalla consolazione di vedere, di toccare, di baciare una tenera creatura, un essere vivente, frutto delle proprie viscere, pegno d'un amore benedetto, illibato; nuovo nodo di tenerezza fra lo sposo e lei; e non saziarsi di guardarlo, di blandirlo, di comporlo; e col proprio latte sostentargli la vita che essa medesima gli diede, sono gioje di che il Cielo privilegiò le madri per ristoro ai travagli e alle fatiche del sacro loro stato.

Ricorrendo su quel giorno, alla Margherita tornavano in mente una stanza agiata, un onorevole letto e tante persone intente a prodigarle amorevoli cure, compatimento, congratulazioni: ed un marito contento, e le speranze che carolano intorno alla cuna d'un neonato.

Ma ora? Tutto mutato: squallore, tenebre, insulto stizzoso, il dubbio, lo sgomento; e, peggio di tutto ciò, il trovarsi disgiunta dal marito, e saperlo gettato in tormenti pari ai suoi, se non forse più atroci. E quel fanciullo, quell'essere innocente e caro, sua compiacenza e suo conforto, in sull'alba della vita, condannato, senza colpa, a soffrire le pene dello scellerato. Questo , che soleva essere una domestica festività, un giorno di felicitazioni sintanto che vissero insieme, ora non poteva che esacerbare gli spasimi, ora che, così vicina a lui, a loro, non poteva neppur una volta abbracciarli, tampoco vederli. Oh! vederli, vederli almeno da lontano, questo le pareva sarebbe bastato a innondarla di dolcezza; e ne richiedeva il buon Gesù, e inginocchiata pregava che almeno quella tenera pianticella fosse risparmiata, potesse crescere alla vita, conservando memoria e compassione di un padre, di una madre, chi sa a qual fine destinati.

Poi, quando l'orazione le aveva tornato alcuna calma, esclamava: - Signore, sia fatta la vostra volontà».

Alfine aveva declinati gli occhi al sonno; il sonno che, a malgrado dei tormentatori, vien pure soccorrevole alle ambasce del sofferente. Candida anima! il suo angelo le svolgeva innanzi sogni, visioni di tranquilli tempi andati, consolatrici speranze. Ridestandosi le immagini contemplate nel giorno, le era d'avviso trovarsi libera, e scorazzare sicura fra i suoi, sulle rive del lago Maggiore; ed era una primavera, bella quanto mai possa vedersi: tutto fiori, tutto riso, tutto quel mistico canto onde la natura par che conviti i mortali al banchetto della gioja e della benevolenza, e la fantasia vi aggiungeva quei magici vezzi che colorano un lungo desiderio insoddisfatto. Le pareva stare colà a trastullo colle fanciulle coetanee, ma esser già madre, e mostrare a quelle il suo bambino, che tenevasi alla poppa, e sollevandone lento lento i pannolini, scopriva ad esse quel viso d'alabastro, quegli occhi azzurri come il cielo, donde le era disceso.

Ed ecco la ferisce una voce lontana, fioca, - Margherita! Margherita

- È mio marito (dic'ella): quanto tempo che non ne intendo la voce! Sarà uscito di prigione, e vorrà vedere suo figliuolo. Ora vengo. Addio, compagne; state allegre finchè io ritorni».

E così continuando il sogno, alzasi di fatto dal giaciglio, e colla sorda voce del sonnambulo, risponde: - Vengo», e si muove realmente, e sente abbracciarsi. A quel tocco, all'intendere una voce che le suona qual dovette a Lazaro quatriduano sonare quella del divino amico che dal regno dei morti lo richiamava, si sveglia anch'essa, e trovasi in braccio al suo Francesco: - in braccio ad esso, e fra loro il fanciullo. Credeva sognare tuttavia, moveasi, fregava gli occhi; - quella era pure la mano di lui che le premeva il  capo contro il suo volto; erano pur quelli i suoi baci: vere lacrime sentiva scorrere infocate tra la guancia di lui e la sua.

Qual momento! Godine, infelice! godine l'ebbrezza, meritata con sì lungo soffrire; godi un lampo che folgora attraverso la notte del tuo patire: - un lampo.

- Zitta (le disse Francesco) e seguimi».

Nulla rispose la Margherita; gli tolse dalle braccia il fanciullo, e lo strinse al cuore, lo coprì di baci, lo innondò di lacrime: - O madri, voi sole sarete capaci di comprendere quell'istante. Il pargoletto non sapeva chi così affettuoso lo baciasse, lo stringesse; ma anch'egli, per quel ricambio che l'amore impone, prodigava i baci e le carezze. La Margherita, premendogli il volto contro il proprio seno, tra per amore e perchè stesse cheto, si mise sui passi del marito. Il quale, presala pel braccio, s'atteneva ad Alpinolo, che colla labarda in una mano tentando, coll'altra stava appigliato al carceriere; e questo, a passi lenti e lunghi, procedeva, col corpo aggobbato quasi per occupare spazio minore, appoggiandosi tutto sul piede posteriore, sporgendo le mani tentone, e fermandosi ogni tratto in ascolto.

Già è varcato il primo corridojo; pas ato l'uscio, entro cui dormono le guardie; traversato un andito oscuro, entrano nella cucina del carceriere, il quale rabbatte dietro di l'imposta, e respira, come già avesse compito il più difficile dell'impresa. Un altro usciale metteva a un cortile: - l'aprono: - in faccia si vede una porticina; - cinque passi: uscir da quella, saltare il piccol fosso, e sono in salvo. Dalla soglia tendono l'orecchio.... tutto è silenzio. Una sentinella, sdrajata boccone sur un muricciuolo dallato, appoggiando la fronte sulle braccia, dormiva. Macaruffo l'additò ansioso a Alpinolo; ma questi, spunzonandolo, gli fece intendere a cenni che non era nulla; che dormiva sodo; niente paura, non si sveglierebbe. Escono: scendono tre gradini: la Margherita, venendo ultima con Venturino, poneva il piede sul lastrico; la luna fendeva in quello il denso velo delle nubi, e un limpido raggio mostrava uno all'altro i fuggitivi, e lasciava distinguere la povera Margherita, pallida, scarna, in un trito e lacero vestire, diffuso il crine sulle spalle mezzo scoperte, come donna che sorge allora allora dal letto, eppure bella in tanto travagliosa negligenza.

Francesco e Alpinolo volsero uno sguardo pieno di amore, di compassione, di venerazione sopra di essa: il bambino sollevò anch'egli il capo, e colla manina facendo indietro i capelli che ingombravano la vista, fissò gli occhi per veder chi fosse l'amorevole portatrice; la scôrse: la ravvisò. Che tripudio, povero fanciulletto! - O mamma! mammaesclamò con uno strillo acuto, a guisa di chi rivedesse vivo un suo caro, che aveva pianto estinto; e le gettò le braccia al collo.

Gelarono tutti a quel grido, essa gli turò colla mano la bocca: - invano! era tardi.

La sentinella riscossa alzò il capo, vide gente, balzò in piedi. - Ajuto! gente! all'armi!» Non finì di urlare queste parole, che Alpinolo, dirupatosegli addosso, in men ch'io lo dica gli ebbe spiccato il capo di netto; poi, colla sciabola insanguinata alla mano, accennava agli atterriti che fuggissero, campassero; egli starebbe alla porta per impedirne l'uscita ad altri, finchè essi guadagnassero tempo.

Tutto inutile! Il grido d'all'arme era giunto agli altri soldati; da ogni parte traevano con lance, con fiaccole, gridando, minacciando. Alpinolo, col furibondo coraggio di una tigre che difende i suoi parti, cominciò a menare prima la spada, poi la lancia, infine il troncone di questa, col potere che aveva maggiore, sicchè ne stramazzò tanti quanti ne colse. Ma arrivatogli alle spalle Sfolcada Melik, gli girò sul caschetto un sodo colpo di mazza, che lo fece, tutto grondante del sangue suo e dell'altrui, ruzzolare come morto ai piedi della Margherita. Li baciò col labbro convulso Alpinolo; poi, alzando su di essa lo sguardo ondeggiante, esclamò: - Perdonatemi».

Macaruffo in sulle prime volle mostrare d'essere accorso anch'egli allor allora, e sguainando la coltella che teneva alla cintola, con parole fiere rivolto ai fuggiaschi, gridava a testa: - Ah cani! indietro, o vi scanno tutti. Di queste s'ha da farne a me? di queste?»

Ma dovette accorgersi che il ripiego non valeva, e poichè il Melik, bestemmiando in suo tedesco e menandogli di piatto la sciabola sulle spalle, gli diede la funesta certezza d'essere scoperto, gettato l'arma e la fierezza, si prostrò a terra, e colle braccia aperte e sollevate badava a strillare: - O Signore! o Vergine benedetta! pietà! misericordia! ho moglie! ho figliuoli

La Margherita intanto erasi abbracciata col marito: le loro lacrime si confondevano: i vagiti del fanciullo rompevano l'aria, ma nell'ansietà di quel terribile istante nulla si dissero, se non che Francesco esclamò: - O mia buona Margherita!» la parola così cara a quella infelice già nei prosperi suoi giorni, oche egli pronunziò con un tono da esprimere a un tempo amore, speranza, disperazione, una scusa, una preghiera, una domanda, una risposta, un giuramento.

Tutta ne comprese la forza Margherita, e ne trasse una stilla di ineffabile consolazione anche in quello spasimo orrendo, anche fra le urla e gli schernevoli insulti dei soldati mascalzoni, che a forza li dividevano e li ricacciavano nelle loro prigioni.


 

 

 


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2010. Content in this page is licensed under a Creative Commons License