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Frattanto ogni cosa era disposta pel nuovo giudizio. Quel Lucio, capitano della giustizia, del quale abbiamo accennato i severi e maligni procedimenti, era stato, in premio del suo zelo e della fedeltà, messo al temporario godimento del palazzo in Milano e della deliziosa villa di Mombello, ricchezza un tempo e ricreazione dei Pusterla; lasciandogli scorgere che, qualora i primitivi possessori cessassero di potervi pretendere mai più, ne rimarrebbe in lui l'assoluta padronanza.
In un anno egli vi si era naturalmente affezionato, e naturalmente desiderava conservarseli tutta la vita, tramandarli al suo carissimo primogenito; e, o non ritornare mai più nella patria, la quale ricordava la vergogna de' suoi bassi natali e della originaria sua povertà, o recarvi un fasto e una ricchezza che gli attirasse l'invidia di chi prima gli aveva avuto compassione. Il mezzo poi era così facile! Quando mai l'avaro e l'ambizioso si tolsero da un loro divisamento perchè costasse un'ingiustizia?
Facile, ho detto, il mezzo, cioè la condanna dei Pusterla, poichè i giudici sapevano di gratificarsi il potente coll'aggravare il preteso colpevole, e che, sentenziandoli a morte, secondavano la legge, la forza, la passione di una di quelle anime dispotiche, in cui il non volere aver torto è il sentimento surrogato a tutti gli altri. E già come complici della congiura del Pusterla molti erano stati mandati al supplizio: forse anche è vero che alcuni, o per violenza di tormenti, o per propria fiacchezza, o perchè credessero minor male il versare ogni colpa sopra chi pensavano trovarsi in luogo sicuro, avea deposto a carico di Francesco quanto bastasse alla legge per chiarirlo reo. Egli stesso, il Pusterla, col fuggire avea somministrato un indizio di sua reità. Il principe poi aveva manifestato troppo apertamente il voler suo col violare persino il diritto delle genti affine di aver nelle mani quel famoso ribelle; come tale egli era stato rappresentato ai Pisani, affine d'indurli a consegnarlo; come tale nominato alle varie Corti che s'informavano di quel fatto; come tale ritenuto nei discorsi del popolo, fra il quale la congiura del Pusterla era divenuta, a forza di ripeterlo, un fatto di comune persuasione.
Senza dunque parlare dei vigliacchi che non valutano la coscienza se non pel vantaggio di poterla vendere, anche i meno ligi fra i giudici, convocati a formare la commissione di giustizia, erano in disposizione sfavorevole affatto ai Pusterla. I nuovi tenevano a gran calcolo l'onore fatto ad essi dal Visconti col trasceglierli a riconoscere la rettitudine del suo procedere; e poichè ognuno crede sè medesimo probo e generoso, persuadevansi che egli, coll'elegger loro, avesse dato prova di giustizia, e quindi, senza quasi accorgersi, pendeano a non mostrare ingratitudine a Luchino col contrariarne i disegni.
Ben n'avea di quelli che, come buoni padri di famiglia, come cittadini di uno Stato che conservava il nome ed alcune apparenze di repubblica, avevano fremuto contro di un processo che l'equo sentimento e l'esame spassionato dichiaravano iniquo: ma le fittizie opinioni della società hanno saputo creare due onestà diverse pel particolare e pel magistrato, e insinuarono che uno possa come privato ammirare colui, che come giudice pretende esporre all'infamia.
Io non dico che queste cose si analizzassero come oggi: dico che come oggi le si facevano.
Quanto a coloro che avevano già avuto mano nel giudizio precedente, troppo interesse trovavano che il nuovo non ne discordasse. Posto ancora che contro dei Pusterla fossero mancate tutt'altre prove, fossero anzi (caso poco men che impossibile in processi di tal genere) apparse dimostrazioni di sua innocenza, il confessarlo incolpevole non tacciava di falsi i giudizj precedenti? Che sarebbesi detto se fossero risultati innocenti quelli, su' cui compiici già si era proferita una condanna? Dove sarebbe andata la dignità della giustizia qualora si fosse mostrato possibile che ella s'ingannasse? e s'ingannasse in decisioni irreparabili? il ritrattarsi è tale forza di virtù, che rare volte ne è capace un privato: non so se mai un corpo.
Pendevano dunque i giudici a volere trovar reo il Pusterla, persuasi fosse questo un atto di mera giustizia; per lo meno una conseguenza immediata e necessaria delle giustizie antecedenti. Così l'iniquità ha natura simile all'acqua; se appena faccia pelo in un edifizio, per robusto ch'e' sia, a poco andare l'avrà scassinato e riverso.
Lettori miei, di buon cuore e di buon senso, voi vedete che io m'ingegno di mostrarvi come l'uomo, passo passo, giunga a reprimere il sentimento del retto e del dovere, deposto in fondo all'anima sua. So chi da tali fatti deduce che quel sentimento è un sogno, che l'uomo è una belva feroce, a frenare la quale bastino appena la forza dei patti sociali e la severità delle leggi: ma se esploreremo le vie che guidano al pervertimento morale, e quel che possano l'educazione e le leggi, vedremo che, se esso si vela e si deturpa fra l'ambizione, l'egoismo e la prepotenza, vive però nelle anime schiette e paghe del loro stato, per attestarne l'origine divina.
Per la pura verità bisogna confessare che la causa del Pusterla trovavasi ora di gran lunga peggiorata. In quel suo esigilo erasi egli veramente adoperato a cercar nemici al Visconti; gli stava a fronte Ramengo, il quale smaniava di trarre a fine una tela scelleratamente ordita, e pur troppo poteva produrre a carico di Francesco le pratiche conosciute a Pisa, i discorsi da lui tenuti nell'abbandono della confidenza; in fine il suo tentativo per unirsi allo Scaligero, a danno del Milanese. Farsi capo di esercito straniero contro la patria era colpa, che destava orrore a qualunque buon Lombardo.
Dopo ciò mi permetterete ch'io tralasci la fralezza delle prove, l'assurdo dei confronti, il sofisma delle deduzioni, le confessioni estorte o con tormenti o con raggiri o con suggestioni; tutto l'artifizio onde Lucio e gli altri s'industriarono a travisare la verità. Qui, come altrove, la storia potrebbe aver apparenza di satira.
Che se pure fra i disconforti che troppo spesso ella reca, vorremo in tutto questo cercare cosa che ne consoli, sia il considerare quanto la dignità dell'uomo abbia, da quel tempo in poi, acquistato rispetto. Allora dalla condanna restava generalmente colpito, non il reo soltanto, ma tutta la famiglia; e non intendo solamente del disonore, che fin oggi non s'imparò a limitare unicamente sul colpevole, ma le pene ancora ricadevano sugli aderenti del condannato, come sugli averi di lui. Nei delitti di Stato principalmente la brama di atterrire con esempj spaventosi faceva che i fratelli, la donna, i figliuoli s'involgessero nella condanna del ribelle; teneri fanciulli (tutte le storie il ricordano) vennero, per le colpe dei padri, sepolti nelle carceri, tratti al patibolo, dati a sbranare ai cani. Ora la nascita e la parentela danno soltanto diritto a gradi ed onori; allora si era più atroci, ma anche più logici.
Terminato il processo segreto dalla commissione di giustizia, il voto doveva, come l'altra volta, essere esposto al consiglio generale, che rappresentava o figuravasi rappresentare il popolo milanese. E Lucio in fatti, congregatolo per ordine del signor Luchino, gli presentò il processo affinchè lo trovasse giusto, e ne ratificasse la sentenza.
La campana del Broletto nuovo, che invitava i capifamiglia a radunarsi, ad ascoltare e dir di sì, piombò sul cuore di frà Buonvicino, come un preludio di morte, come i botti dell'agonia; e abbandonata la sua cella, discese a pregare nella chiesa. Quivi si andò a prostrare davanti a quell'avello medesimo, sopra il quale erasi inchinato nel memorabile giovedì santo, in cui Dio gli aveva parlato al cuore e chiamato a penitenza ed a vita nuova. Quante cose erano mutate da quel giorno! Anche ora la Margherita stava in cima dei suoi pensieri, ma deh in qual diversa sembianza!
Meditò, pregò pei sofferenti, pei loro oppressori: somigliante ai primi seguaci di Cristo allorchè, nelle perseguitate catacombe, si raccoglievano sulle ossa dei martiri a supplicare il Signore pei loro fratelli, che in quel momento suggellavano col sangue la fede nella virtù e nella verità. Invocò lo Spirito divino perchè mitigasse colui che pur troppo aveva in sua mano la vita di quegli sventurati; perchè, se non altro dissipasse da quegli infelici lo sconforto e i dubbj desolati, se mai, come pur troppo temeva, fossero destinati a vuotare il calice sino alla feccia.
Quando la vita sua propria fosse stata in quel momento sotto alla deliberazione di un tribunale, non avrebbe frà Buonvicino fatto altrettanto fervida e passionata l'orazione, non ne sarebbe stata altrettanto penosa la incertezza. A volta a volta gli sorgeva in cuore una consolante fiducia nella bontà morale dell'uomo, nel trionfo dei sentimenti generosi, ma tosto ne ricadeva in disperato abbandono. Tutto allora fissavasi in Dio; in Dio che si farebbe sostegno e premio dell'innocenza, che non darebbe il giusto qual nuovo trofeo all'empietà: ma poi si ricordava che Dio non somiglia al fango coronato del mondo, la cui autorità cessa appena che, come l'ultimo degli schiavi, ritorni alla polvere donde è uscito, ma che il suo regno si stende oltre i confini della tomba, e di là appunto cominciano le sue retribuzioni.
Alcune ore egli era rimasto così assorto nella meditazione e nella preghiera, allorchè sentì gentilmente toccarsi la spalla. Levò lo sguardo come persona riscossa da un profondo pensiero, e vide accanto a sè un giovane in elegante vestitino succinto, metà cilestro e metà bianco, schietto, assettato in modo da dar rilievo all'adatta struttura e all'agile robustezza del corpo, su cui il farsettino e i calzonetti non facevano tampoco una piega. Appoggiando con leggiadria al fianco sinistro la mano arrovesciata, con cui reggeva il berretto di velluto, pur bianco, donde cascava con grazioso vezzo una piuma di pavone, posando la destra sur una elegante bacchetta di ebano col pomo e il calzuolo di terso argento, tenevasi esso in rispettosa distanza, con quell'atto di ossequiosa gentilezza che si imparava nelle Corti. Una grossa serpe ricamata di argento sul suo giustacuore non lasciò dubitare a frà Buonvicino che non fosse un cameriere del Visconti; e, palpitando di speranza e di timore, se gli levò incontro coll'occhio che tutta ne esprimeva l'ansietà, e disse: - Che ha a comandarmi il signor vicario?»
Al che l'altro con un inchino rispondeva: - L'eccellentissimo signor vicario presenta per mio mezzo i suoi rispetti alla riverenza vostra; ha mandato larga limosina di messe al convento, e si raccomanda specialmente alle orazioni di esso. Poi le fa sapere come a quelli che furono stamane giudicati....
- Furono dunque giudicati?» l'interruppe frà Buonvicino, impallidì, arrossì, e chinando gli occhi, con voce profonda richiese: - E come?
- Alla morte» soggiunse l'altro con una indifferenza avviluppata nella cortesia, a quel modo che insegna il bel tratto sociale.
Frà Buonvicino ebbe appena forza di ridomandare - Tutti?
- Tutti» riprese l'altro. - E il principe, in singolar testimonianza della sua stima concede a vostra riverenza di poterli assistere negli ultimi loro momenti».
Fu vera pietà? fu un insulto raffinato questo di Luchino? Il frate nol cercò, ma in un istante misurò tutta l'acerbità di questa nuova situazione, una di quelle in cui il cuore o si spezza o s'impietrisce. Sollevò lo sguardo al cielo esclamando, - Si compia il sacrifizio!» indi, rivolto al messo, - Ringraziate il signor vicario di questo, che ricevo da lui come un favore, e dal Cielo come un'ultima prova.... e la più tremenda».
Delle ultime parole l'araldo non avrà inteso che il suono. I sentimenti profondi delle anime appassionate come possono venir compresi da chi si è logorato fra le apparenze pompose e le frivole importanze di una società in maschera? Onde, strisciando nuovi inchini, se n'andò a portare a Luchino i ringraziamenti del frate; e il frate tornò a inginocchiarsi, a orare, a prelibare tutta l'amarezza del calice preparatogli, e supplicare Iddio che desse coraggio a lui, a loro; che il sostenesse nel più doloroso e più sublime uffizio del suo ministero.
Al tocco del mezzogiorno dell'altro domani la Margherita sente aprire la sua prigione, e alza gli occhi: - Oh! non è un burbero carceriero; non incontra, come al solito, uno sguardo insultatore o indifferente; no: vede, - oh! vede, conosce un amico - Buonvicino! - Sulle prime non sa credere a sè stessa: un ah! uno spalancar degli occhi, un tender le braccia, rivelano la maraviglia ond'è inondata: poi balza dal suo scannello, si avvicina al frate....
Momenti così fatti non hanno parole; e il muto linguaggio non esprime altro, se non che la piena dell'affetto impedisce di manifestare l'affetto. Quando poi riebbe le parole, - O padre! (esclamò) o fratello! qual consolazione è mai questa? Neppur addomandarla al Signore avrei osato. Il Signore dunque si ricorda di me, e mi manda un angelo fra questo purgatorio!
- Iddio, figliuola, non si dimentica di nessuno, neppure del vermicciuolo che calpestiamo passando. Tanto meno poi delle creature che più a lui somigliano».
Così il frate, con una voce carezzevole, affettuosa ed accorata, che mostrava come egli a fatica ritenesse le lacrime e che le cavava altrui. La Margherita infatti ruppe in un forte scoppio di pianto: era sì gran tempo che non provava l'ineffabile consolazione di piangere sopra un seno amico, di sfogar un'anima ambasciata con chi l'accettasse, la comprendesse, la compatisse! Poi, fra i singhiozzi ripigliava: - Lo so, padre, lo so che Dio non si scorda di nessuno, che non si è scordato di me. Oh chi m'avrebbe sostenuta fra tante angoscie se non era il pensiero del Signore? Ma dite: mio marito?... il mio Venturino?... Ne sapete notizie? Vi è permesso di darmene?»
E lo fissava con una sollecita attenzione, fra lo sgomento d'un sinistro annunzio e la fiducia che un tale amico non gliene dovesse recare che una consolante. Si rannuvolò novamente in viso frà Buonvincino, corrugò la fronte, e traendo un grave sospiro, come se il cuore gli scoppiasse, - Finora (rispose) sono sani - finora! gli ho abbandonati testè. Fui con essi jeri, vi sarò anche domani. Ed oggi e domani e l'altro verrò a portare a voi, buona Margherita, quelle consolazioni, che un Dio morto in croce ha lasciato per gli infelici, destinati a seguirlo ne' patimenti».
Una parola umana all'orecchio di chi soffre non ha prezzo sulla terra. Quanti, nei primi passi dell'errore a cui forse li sospinse la negligenza e il disprezzo degli uomini, o torcerebbero o si ravvederebbero, qualora l'orgoglio degnasse inchinarsi a sussurrare all'orecchio loro una voce di commiserazione, un invito al pentimento, un fiduciale richiamo alla virtù! Ma l'uomo pensa al castigo, alla vendetta; ed esacerbando, ostina nel delitto chi così facilmente potrebbe ravviare al bene. Quando poi patisce il giusto, come la Margherita, abbandonato agli strapazzi degli scherani, all'ansietà della solitudine, un motto di conforto somiglia alla voce dell'angelo, che ad Agar, languente di sete col bambino nelle solitudini di Betsabea, additava la fonte ristoratrice.
A questi salutevoli conforti non providero le istituzioni umane; ma la religione che, mentre tutta sembra intenta al cielo, non abbandona mai in terra chiunque dubita, travia, combatte, patisce, ha scritto fra i più assoluti precetti della misericordia il visitare i carcerati35. Le convenienze degli uomini, le quali nulla hanno a fare col vangelo, delle carceri hanno formato un luogo di squisiti tormenti per l'uomo, non reo perchè non ancora sentenziato. Ma nei paesi cristiani non hanno ancora rimosso dal sofferente le consolazioni della pietà religiosa, nè l'uomo condannato a morire ha privato dell'ultimo conforto, del mostrargli aperte le vie del cielo quando gli uomini lo cacciano dalla terra.
E che conforto sia quello il provava la nostra Margherita. Pur troppo l'apparizione del ministro della penitenza le annunziava chiaramente che il suo fine si avvicinava: però in quel momento sembrava tutto dimenticato, tutto, pel tripudio di trovarsi ancora presso ad un uomo; un uomo diverso da quelli, che soli da gran tempo vedeva, tormentati o tormentatori; uno che per ministero doveva esser buono, compassionevole, devoto alla sventura; uno poi come questo.
Con nuovo sfogo di pianto attestò ella dapprima la sua commozione: e frà Buonvicino non glielo interrompeva se non con qualche riflessione di pietà, di Dio, di perdono. Come essa potè riavere la favella, mille domande affollava intorno a que' suoi cari. Non aveva ella compreso il senso delle parole di frà Buonvicino? o nol voleva comprendere? Poteva la ragione dirle altro, se non che erano destinati al supplizio al pari di lei? Eppure voleva fare ancora illusione a sè stessa: e qual volta le correva al labbro una interrogazione precisa sulla sorte di essi, la respingeva sempre, quasi il sentirsene assicurare dovesse rompere quel tenue filo di speranza, al quale, siccome l'uomo che affoga, voleva pure tenersi appigliata in quell'estremità.
- E il mio Francesco? Tanto m'ero allegrata allorchè lo seppi salvo! Come ricadde nelle mani di costoro? non l'avevate voi avvisato di non fidarsi?... Oh quel giorno ch'io l'ho veduto a condurre! Quanto deve anch'egli aver sofferto! Eppure in tanti patimenti non s'è scordato mai di me. Se sapeste! Egli ebbe cura di raccogliere un cencio, dove io aveva cominciato a ricamare un cesto di margheritine, quando mi condussero via di casa. Egli lo raccolse, il serbò: oh queste finezze non le sa che l'amore più vero, più gentile».
Frà Buonvicino chinava la testa e taceva. Ella proseguiva:
- E vi hanno narrato di quella terribile notte? Io non so bene ancora rendermi conto di quel trambusto. Parmi, tuttavia fosse un sogno. Eppure no, no, l'ho veramente abbracciato il mio Francesco; ho portato veramente su queste braccia il mio Venturino. - Sfinita come sono, non avrei creduto mi reggesse la forza di mutare due passi; ma l'amore materno che non fa? Io lo sostenni; l'avrei sostenuto, quel povero fanciullo, camminando per molte miglia. O padre, che consolazione fu quella! che speranza! quanta vita in quei beati istanti!... e quanto fugaci!»
Sospirava, e copertasi la faccia colle mani taceva; indi abbandonandosi di nuovo agli impulsi di un cuore schietto, bisognoso di esalare in parole l'affetto che da tanto tempo vi stagnava, - Oh se sapeste (continuava) se sapeste a mezzo quanto mi hanno fatto soffrire!» E gli raccontava alcuni dei suoi patimenti, i più vivi, i più ricordati, con una melanconia profonda, eppure scevra d'ogni rancore. - Qui dentro (proseguiva) sono entrata il 20 di giugno anno passato: or siamo al primo d'ottobre: quattrocensessantasette giorni! Vi pare? non uno ne sfuggì inavvertito alla prigioniera: non uno in cui la monotonia de' patimenti quotidiani non fosse rotta da qualcuno straordinario. E qui non vedere, non ascoltar altro che oppressi o tiranni: mai una faccia amica, paziente, caritatevole: mai una parola di consolazione; mai poter credere; mai esser creduta! E neppure, vedete, neppure un poco d'aria libera da respirare. - Io che l'amava tanto! io che là in riva al mio lago... Oh voi dovete ben ricordarvene!»
E qui si gettava sulla rimembranza delle serene ore giovanili, indi ripigliava: - Ma coloro che possono, deh come non pensano al tanto che fanno patire?... Ah pur troppo ci pensano!»
Gemeva, e una nube subitanea di corruccio le conturbava la fronte. Poi sforzandosi di stornare il pensiero dai suoi persecutori, seguitava dicendo: - E il sole?... o frà Buonvicino, come deve parer bello il sole; il sole nella sua pienezza, nella libertà, su per le colline! Io non ne ho sentito che l'afa per tutta quest'estate; ed ora, in tal rezzo, già rabbrividisco dal freddo. Eppure non fa che cominciare l'ottobre. Che sarà poi in dicembre, in gennajo!»
Un sospiro gemebondo del frate fece accorgere la Margherita del vero; e cascando ginocchione, esclamò, - Ah sì! allora non ci sarò più».
Un dirotto pianto seguitò all'ineffabile espressione di queste parole, così semplici e così solenni. Tanto è bella la vita, che l'abbandonarla rincresce per fino a chi la sostenta solo di travagli e di privazioni. Non insulti il riso delle anime forti all'accoramento della mia meschina. La generosità non consiste nel disprezzare la vita, sibbene nel non commettere alcuna viltà per conservarla. Chi durò i combattimenti da cui ella era uscita vittoriosa, ne schernisca il dolore, gli altri compiangano.
- Morire! (prorompeva essa) Morire così giovane! e morire innocente!
- Anche Cristo era innocente, figliuola mia; e lasciò per esempio nostro sè stesso, che bestemmiato tacque, che possente non minacciò, che moriva perdonando».
Così le diceva il frate; e dopo che l'indulgente sua pietà ebbe secondato l'affanno dell'angoscia, blandamente cominciò a svolgerla dalle cose del mondo, per fissarla unicamente nel pensiero di Quello, davanti al quale fra poco doveva comparire. Queste idee non riuscivano a lei strane e nuove; già seminate in cuor suo nella prosperità, erano rampollate fra le traversie: e la fiduciale compunzione da essa palesata la mostrò a frà Buonvicino tanto più degna di vivere, quanto meglio la trovava disposta a morire.
Facilmente il lettore potrà immaginarsi come passassero il tempo fra loro, come lo passassero dopo che si abbandonarono la prima giornata.
Un uomo, che, sfinito da lunga e dolorosa malattia, e dai tedj, sovente non meno spiacevoli, della cura e dei medicamenti, comprende o da aperte parole o dagli atti mal dissimulati dei parenti, dei circostanti che per lui è finita, che conviene disporsi al viaggio, da cui in eterno non si ritorna, sente in quell'istante rincalorirsi l'affetto della vita; e come un autore che, giunto al termine di un'opera sua, la rilegge e medita foglio per foglio, parola per parola, così egli ripassa sopra un corso di giorni ormai compito; numera ad una ad una le persone dilette, da cui fra breve sarà spiccato; ritorna sulle abitudini, sui luoghi, sulle cose che amò e che sta per lasciare: può rassegnarsi, per virtù benedirà anche il Padrone della vita e della morte, ma natura reclama i suoi diritti; e deh come ne lusinga la languida vitalità anche il più fioco raggio di scampo che gli baleni sugli occhi! Il momentaneo ristoro di una medicina, pochi minuti di sonno riposato, uno spasimo che si rallenti, una buona parola del medico, un'adulatrice congratulazione dei visitanti, gli fanno riguardare come certa la guarigione; già in sua mente ritesse la vita; quanti propositi, quante fantasie, quante opere, quanti godimenti!... Sciagurato! l'istante successivo, il male si aggrava, e lo spossamento, l'anelito, il rantolo vengono a poco a poco rimovendolo dalle affezioni, e facendogli desiderare l'indolente calma del sepolcro.
Ma chi, sano di sua persona, in tutta l'integrità delle forze del corpo e della mente, si conosce destinato a vivere ancora molti anni, sopra ai quali ha fatto un calcolo tanto più fondato, quanto egli è giovane e vigoroso, eppure ode intimarsi aver gli uomini decretato ch'egli muoja, che muoja il tal giorno, alla tal ora determinata: questo è tormento oltre il quale non sa spingersi la più tetra immaginazione. Nè questo avverrà nel fervore d'una battaglia, ove la foga, lo spettacolo, la mischia confusa, un'ira coraggiosa, una feroce emulazione inebriano i sensi e gli spiriti così, da gettar alle spalle il pericolo: ove il pericolo stesso è incerto, possibile la resistenza, la franchezza applaudita, ogni dimostrazione di timore beffata; ove il colpo giungerà repentino - se pure giungerà. Neppure è la condizione di chi trovasi in alto mare, sopra un legno che affondi, senza scorgere a tiro d'occhio una spiaggia, un naviglio. Quell'immensità medesima del cielo e delle onde sembra sostenere la speranza; l'affaccendarsi della ciurma a ristoppare, ad allegerire, a riversare l'acqua nell'acqua conforta l'immaginazione: la distraggono i tanti compagni di sventura se non altro vede unicamente la mano di Colui che padroneggia gli elementi e che ordina ogni cosa al meglio delle sue creature.
Ma qui, nella muta solitudine inosservata d'una prigione, sapere che ogni respiro avvicina alla morte: e contarne ogni passo, e non poterla nè impedire nè ritardare; e conoscere che un cenno degli uomini basterebbe a tornarti in mezzo del cammino di tua vita, ma che gli uomini hanno decretato il momento, in cui un altr'uomo, che non ti conosce, che non conosci, snuderà il tuo collo, ti saluterà amico, e per guadagnare una mercede, in un atomo ti renderà cadavere sformato!
L'umanità, nei vantati suoi progressi, ha studiato il modo di render quell'atomo men doloroso al corpo: fremette pensando che gli avi nostri ne esacerbassero gli spasimi: disputò, sperimentò qual sia men tormentoso al corpo: il soffogarne il respiro con un laccio, o il rompergli il petto colle palle, o lo spiccarne il capo: con delicata sollecitudine valutò il calibro e la scorrevolezza del capestro, il fermo polso dei prodi che mirano all'inerme petto del loro camerata, il fendente della mannaia che deve sprofondarsi in un ceppo, ma attraverso il collo di un uomo; calcolò i guizzi dell'appiccato, notò il rossore che coperse il viso di una magnanima decollata.
Miserabili! aggiungete queste atroci ironie alle troppe altre, onde mascherate d'ipocrita sensibilità l'egoismo. Miserabili! sembra troppo il dolore, dolor di un momento; se il carnefice non è abbastanza destro per lunga esperienza, se alla vittima prolunga il patire, un fremito, un bisbiglio, una indignata commiserazione si fa intendere tra la folla accorsa a vedere: Infelice! meschino! pover'anima, quanto sofferse! Pietà interessata, o piuttosto macchinale simpatia della natura alla vista delle pene di un nostro simile: pietà sconsiderata che non avverte al lento, penoso, atroce martirio dei momenti sì lunghi mentre passano sì celeri quando si contano passati, che compongono quell'uno, quei tre giorni interposti fra la sentenza e la esecuzione...
Ma quel dolore è inevitabile; ma la società ha diritto di recidere i membri infetti.
Sì? so che'l si dice; ho udito filosofi e statisti sostenerlo, filosofi e statisti impugnarlo, con ragioni per lo meno equilibrate, sicchè il dubbio stesso dovrebbe sospender l'azione. Che sarà se vi si aggiungano l'umanità e la religione: se la speranza ponga una mano su quel capo destinato al manigoldo, e mostri che si può farne ancora un cittadino, un padre, migliorandolo colle tremende lezioni della sventura, o colle amorevoli del perdono? se la fede indica una stilla di un sangue d'infinito prezzo, caduta a redenzione anche sovra quel capo che dal giudice è impassibilmente decretato alla forca, alla forca impassibilmente trascinato dal manigoldo?
E se mai fosse innocente? se capace di pentirsi, di tornar utile? come rimediare al colpo di quel ferro che tanto studiaste perchè riuscisse men doloroso? E se pure è una di quelle che voi chiamate necessità, come la guerra, come tante altre cose che per tali proclamate, permettete che io non ammiri tutti i progressi di una società, costretta a rimedj siffatti; di una società che stipendia un uomo per ucciderne un altro, che rende spettacolo dei cittadini il supplizio di un loro fratello.
Se però la religione non ha potuto ancora abolir le pene capitali, neppur segnando ciascuno col suggello della redenzione, neppur mostrando come a quel modo stesso finiva il Giusto; come, colui che ora è martoriato, può, il momento dopo, esultare fra i beati; se non potè ancora ispirar tanto amore quanto basterebbe per far cessare i delitti, ella accostossi a quelli che soffrono, e portò consolazione fino a quel terribile punto, per cui il mondo più non ne ha veruna.
Tra queste passò la Margherita il primo dei tre giorni concessile per prepararsi alla morte. Il secondo, a mezzodì, ricomparve frà Buonvicino presso la tribolata. Sul volto di lei era cresciuto il pallore; tutto annunziava come nessun riposo fosse stato concesso all'ansia dei suoi pensieri. Non per sè sola aveva essa patito: erasi rivolta ad altri esseri così cari, così vicini, e che pure non potea vedere, non rivedrebbe più - o li rivedrebbe sul patibolo. - Anche sul volto di frà Buonvicino, alle traccie di un lungo e abituale tormento se ne erano aggiunte di nuove e spasmodiche. Quando ebbe salutato la sua penitente, con voce fioca e ben diversa da quella di uomo che annunzi un favore, una grazia, - Signora, (le disse) vogliono ch'io v'informi come le consuetudini vi concedono di poter domandare quella grazia che vi piaccia».
L'occhio sbattuto e abbacinato della Margherita lampeggiò d'una gioja speranzosa; sopra il volto esangue le si diffuse un rossore così gentile, come quello onde l'immaginazione dipinge all'esule montanaro un tramonto di primavera sulle nevose cime della sospirata sua patria. E senza esitare esclamò: - Che mi mostrino mio marito».
Il frate l'aveva preveduto, e a stenti frenando le lacrime rispose: - Di questo desiderio non può oramai consolarvi che Dio.
- È morto?» chiese ella ritraendosi spaventata, e tendendo le mani irrigidite.
Il silenzio del frate e un sospiroso abbassar del capo, le diedero una terribile conferma.
- E mio figlio?» richiese ella con angoscia crescente.
Come colpita da un fulmine, rimase immota, non pianse, non parlò: chè dolori siffatti non hanno nè lacrime nè parole; poi, come rinvenuta, esclamò: - Ecco spezzati tutti i legami che mi tenevano avvinta a questa terra»; e levando gli occhi in atto di una sublime offerta, conchiuse: - Prepariamoci a seguitarli».
Si prostrò ginocchioni dinanzi alla sua seggiola, fra i singhiozzi ripetè le preghiere di suffragio pei morti, alternandole col frate, il quale erasi con lei inginocchiato; udì con rassegnato accoramento le ultime affettuose parole e le tenere scuse che le mandava il suo Francesco: intese con che coraggio fosse egli, un'ora prima, salito al supplizio in pace con sè stesso e cogli uomini, e conducendosi a mano il suo fanciullo, a cui aveva sperato essere scorta sul cammino di una vita splendida e nominata, e in quella vece lo doveva sorreggere sulla scala infame del patibolo.
I pensieri dunque della Margherita non avevano più dove arrestarsi in terra: dunque il cielo, oltre essere il porto da tante procelle, era anche il solo luogo dove oramai potesse ella confidare di raggiungersi con quei suoi diletti, unica speranza, unico suo voto da tanto tempo. Colla confessione terse le macchie che potessero aver appannata l'anima sua, santificata prima dalla beneficenza, poi dagli affanni, e colla fiducia di chi è ben vissuto, si dispose a presentarsi al tribunale di un Dio, la cui giustizia è così diversa da questa inumana del mondo.
In quel mezzo la città seguitava tranquillamente le sue fatiche ed i suoi riposi. L'alidore della stagione, la scarsa vendemmia di quell'anno, la guerra che avevan temuta, la peste che temevano, l'ultimo balzello imposto, le domestiche faccende, i pubblici divertimenti, erano il tema vagabondo delle comuni conversazioni. Alcuni parlavano del supplizio eseguito quella mattina; altri annunziavano che il giorno da poi s'aveva a giustiziare qualche altro: ma i privati sofferimenti non dovevan dissestare i negozi e gli interessi comuni. Abitudine antica: giacchè frà Buonvicino nell'osservare un siffatto contegno, ricordavasi come già dai suoi tempi, Isaja lamentasse che mentre il giusto perisce, non v'è chi in cuor suo vi pensi36.
I membri della commissione di giustizia, alle care famiglie, ai raccolti amici, nelle case, sotto i coperti, raccontavano gli andamenti di quel processo, il gran da fare che si ebbe per convincere persone, che si ostinarono sempre a protestarsi innocenti: ma si sentivano, dicevano essi, tolto un peso dal cuore coll'aver, dopo sì gran tempo, esaurita una causa tanto importante e avviluppata.
Che se alcuno domandava loro se la sentenza fosse stata giusta, dimostravano che era stata legale.
Il signor Luchino quella mattina abbandonò Milano, per passare un pajo di giorni a Belgiojoso, villa tanto opportuna per le caccie in quella stagione. Usciva con lui la signora Isabella, che della lontananza del bel Galeazzino sapeva e darsi pace e rifarsi. Cavalcava con essi di conserva l'arcivescovo Giovanni, che nell'attenta pettinatura della corona di capelli che circondavangli la rasa testa, e nell'esattezza delle pieghe e nella disposizione di una grande tonaca rossa foderata di zibellino, a maniche larghe, mostrava un desiderio più che scolaresco di far pompa di una bellezza che lo faceva primeggiare sovra tutti i prelati del mondo. Dietro a loro seguitava uno stuolo di amici, amici da Corte, e servi e cacciatori e palafrenieri. Il vulgo traeva ad ammirar que' bei cavalli, quelle stupende mude di segugi di Tartaria, quei falchi di Norvegia; vantava il lusso dell'arcivescovo, la furberia della signora Isabella, e la grande abilità di Luchino a trar d'arco, a cogliere col lancione una lepre, un cervo, un cinghiale.
Questo popolo, nel dare a Luchino il diritto di condannare a morte i rei, non gli aveva dato anche quello di fare la grazia? Una parola di lui poteva dunque camparli, anche secondo l'opinione di chi li tenesse per colpevoli. Ora non è micidiale del pari chi trucida e chi, potendolo impedire, nol fa? e potendolo così agevolmente?
Ma queste considerazioni non passavano per la mente al dabben popolo milanese - d'allora.
Si sarebbe desolato ove la grandine avesse guasti i campi: ma avrebbe creduto follia il togliersi fastidio per un'ingiustizia che si commetteva a carico di altri cittadini.