Cesare Cantù
Margherita Pusterla

CAPITOLO XXII. LA CATASTROFE.

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CAPITOLO XXII.

 

LA CATASTROFE.

 

Come gli antichi adornavano di fiori le vittime che conducevano a scannare sugli altari, così un costume universale copre di cortesie l'uomo che deve essere abbandonato alla giustizia, cioè al carnefice. Anche la Margherita, la vigilia della sua morte fu tolta dalla tana entro cui da mesi languiva, e collocata in una stanza, meno lurida, che serviva di chiesino. Anche questa era angusta, ma elevata e ariosa; una finestruola ingraticolata di ferro dava la vista sopra la campagna; un materasso, un tavolino, un ginocchiatojo e due sedili ne formavano tutto l'addobbo; un altare posticcio con due candelieri di legno faceva ricordare quelli, su cui i primi cristiani immolavano l'ostia incruenta nelle perseguitate catacombe.

Ivi la Margherita passò la notte - l'ultima sua notte - in preghiere e meditazioni. Pensava alle cose del mondo: tutto le rammentava che doveva lasciarle fra poco, ma vi si era ella forse attaccata più di quello che fosse necessario per conoscerle e trascurarle? Pensava ai suoi cari, e consolavasi di doverli presto rivedere in paradiso. Rincorreva il suo passato; non le pompe e gli illustri natali e la decantata bellezza e le magnificenze invidiate le tornavan ora in mente, ma lacrime terse, opportuni consigli, pietà profusa, ingiurie perdonate, risparmiati disgusti, li conosceva un tesoro riposto e vicino a fruttare.

Quello spiro d'aria più fresca, che suole mettersi sull'avvicinare dell'alba, la riscosse con un brivido molesto: e le corsero al labbro queste parole: - Che freddo avrà il mio Venturino colà alla campagna aperta

Erano voci strappatele dall'istinto, che la ragione trovava vaneggianti, ma non provava per assurde. Affacciossi quindi alla finestruola, e pose mente al primo biancheggiare dell'alba, colà verso i monti della bergamasca; un cielo limpido, soave, d'un tremulo sereno, qual suole nelle prime mattine dell'ottobre invitare ai passeggi, alle caccie, alla giuliva faccenda delle vendemmie. Dappertutto alla pompa dell'estate era succeduta la fantastica pacatezza dell'autunno. Una rugiada biancheggiante luccicava sugl'incurvati steli delle erbe nei prati intorno, e sulle tremule foglie dei pioppi che in lunghi filari stendevansi per la campagna, agitandosi e sibilando come sentissero la vita, come salutassero l'avvicinarsi del sole, così caro dopo le notti già lunghe e più che fresche.

La Margherita si affissò in quello spettacolo: - L'ultima aurora che io vedo

Così ogni cosa le rammentava come tutto fosse sul punto di finire; il rammentava a un'anima, che dalla nascita porta in l'orrore della distruzione, il desiderio della immortalità.

Ma a che vorrei io provarmi di ridire che cosa passasse nell'anima di essa? quante memorie e affetti e tormenti e desiderj e pensieri terreni e celesti si affollassero, si mescessero nella sua mente? Mille e mille soffersero, se non in quel grado, però a quel modo: l'uomo li compianse, e ne crebbe il numero. - Affrettiamoci alla fine.

Non appena albeggiò, frà Buonvicino presentossi all'uscio della cameretta, e ritenne il piede sulla soglia in riverente e pietoso silenzio contemplando la Margherita che pregava.

La lanterna, ch'egli recavasi in mano, lasciando lui e tutto il resto nel bujo che colà entro dominava ancora, raccoglieva i raggi sopra la Margherita, la quale così pareva alcuna cosa più che mortale. Erasi ella inginocchiata sul nudo pavimento, china la fronte sopra le mani giunte, e queste, appoggiate sur una sedia, avevano intrecciato fra le dita un rosario di cui stringevano la crocetta: - quel rosario stesso, quella croce, che con sì paziente cura avea frà Buonvicino medesimo intagliati nei primi giorni di sua conversione, e che aveva a lei presentato mentre dimorava in una ricca casa, cinta da ogni maniera di agiatezze e di eleganze, applaudita, contenta, fortunata, con a fianco il marito e sulle ginocchia un bambino, il quale cianciugliando la chiamava madre. Ed ora? quel marito, quel fanciullo erano sotterra, e fra pochi istanti ella pure sarebbe precipitata con loro. Osservandola frà Buonvicino con questi o simili pensieri, più e più gli si affondava l'occhio, si affilavano le scarne guancie, simili a un ruscello, ove l'assidua vampa del sole disseccò ogni umore, non lasciando che l'arido solco. Attento in lei, non ardiva turbare quello stato, che somigliava a calma. Anzi sarebbesi detto che ella dormiva, se tratto tratto un guizzo convulso, che le correva dal capo alle piante, non avesse dato troppo segno che ella vegliava, pativa.

- Sia lodato Gesù», pronunziò finalmente il frate con voce fioca e sommessa, alla quale risentitasi, la Margherita levò il capo, balzò di scatto in piedi, e facendosegli incontro colle braccia tese, dimandò col tono dell'angoscia: - O padre, vi è qualche speranza

Così questo balsamo, che natura preparò agl'infelici, come il latte della nutrice all'egro bambino, mai non vien manco fino all'ultima ora della vita. Il frate sospirò, alzò la destra e gli occhi al cielo, e proferì: - Lassù sono le speranze che non falliscono».

La faccia della Margherita, cui una viva fiamma aveva tutta colorita, di nuovo si fece pallida come tramortisse: giunse le mani; anch'ella eresse al cielo gli occhi lagrimosi, ed esclamò: - Signore, la vostra volontà e non la mia».

I conforti, le orazioni dei giorni antecedenti furono rinnovate in questo, tanto più vivamente quanto più sentivasi l'uno e l'altro vicini a separarsi fra loro e dalla terra, per ricongiungersi a Dio.

Frà Buonvicino offrì in presenza di lei il sacrifizio dell'altare, la commemorazione quotidiana del Giusto immolato per la verità, per la redenzione degli uomini, coi quali aveva diviso il pane e le miserie. Poichè il sentimento dei proprj mali non toglieva alla Margherita di conoscere e valutare gli altrui, si accorse a troppi segni dell'ambascia morale onde era compreso frà Buonvicino, e pregò Dio di dargli forza al passo tremendo. Dopo che il frate le ebbe comunicato il pane degli angeli, la travagliata si rasserenò; e, munita di viaticoprezioso, stette con lui ragionando del nulla di questo mondo, delle gioje a venire, dell'incontro coi suoi cari in grembo al vero amore.

Se io riferissi quei discorsi, sarebbero di edificazione alle anime pie: potrebbero forse, in terribili momenti di lotta e di scoraggiamento, recar ristoro a qualche accorato; ma che direbbero i lettori, che diranno già essi di un racconto, ove i più cercavano forse null'altro che il passatempo spensierato o un rimedio o un palliativo a quella micrania dell'anima, la noja, e invece vi trovano la riflessione e la religione?

Dai pii ragionamenti furono scossi quei due pietosi al tocco di una campana a martello.

Trasalì la poverina; il frate si fece come se gli avessero confitto un pugnale nel cuore. Avevano entrambi indovinato esser l'agonia che, per lei, per lei sana, batteva la squilla del Broletto, ove doveva succedere l'esecuzione. Intanto uno spesseggiar di passi, un affaccendarsi di persone, un tirare di catenacci, lo scricchiolare d'un carro, davano avviso che era giunto il gran momento. La Margherita s'inginocchiò, e volle che di nuovo frà Buonvicino le compartisse l'assoluzione, e come in articolo di morte, chiamasse sopra di lei la benedizione del Signore. Il frate, levato in piedi, con solenne dignità di voce e di atto, protese le braccia, e spiegate le palme sopra il capo inchinato della donna, colla fronte supina, pallida sì, ma inondata di quella fiducia, che non alligna se non in chi crede e teme e spera altre cose che le mortali, pareva che congiungesse il cielo cui tenea levato lo sguardo, con quella penitente su cui ne invocava la misericordia e le retribuzioni. Margherita, in ginocchio avanti ad esso, colle braccia incrociate sul seno e le bianche mani che spiccavano sopra il nero vestito, piegando il collo in atteggiamento di compunta rassegnazione, ricevea quelle parole tremende e consolatrici. La lanterna, posata sullo scannello e divenuta pallida per la luce cresciuta del giorno, guizzando ad ora ad ora come sullo spegnersi, vibrava attorno alla testa della bella pregante un'aureola di tremoli raggi, qual si dipinge in giro al viso dei santi.

Ella ascoltò, segnossi, indi sorse come chi, avendo posto assetto ad ogni affar suo, si muove ad un lungo viaggio, da cui più non deve ritornare. Ma il frate allora cadendole ai piedi, - Signora (esclamò) fin qui ho adempito al sublime ministero di sacerdote dell'Altissimo. Ma io son uomo; io sono un peccatore miserabile: voi siete una santa. O signora! prima... prima di... vogliate dirmi che mi perdonate... mi perdonate se un tempo, io sciagurato, insidiai alla vostra virtù. Voi la conservaste. Benedetta! che così avete procurato a voi, a me tali consolazioni in quest'ora tremenda.

- Sì, benedetto Iddio», rispose ella con languida ma soavissima favella. - Fu dura la battaglia allora: temetti non bastarvi incontro: ma il Signore ci ajutò; e diede a voi fermezza di generosa risoluzione. Perdonarvi

E singhiozzando gli posava le candide mani sovra la testa piegata. - Perdono io non devo accordare a voi, che non mi offendeste. La vostra memoria mi restò sempre come schermo contro gl'inganni del mondo. Nei pericoli della gioja, fra i sinistri consigli del dispetto, io ripensava ai vostri nobili patimenti, io mi ripeteva, Che ne dirà Buonvicino! Ed ora che son qui... Ah! di quel che vi devo non potrà retribuirvi che Dio».

Lo rilevò di terra, gli mostrò quel rosario, quella croce; e baciandola aggiungeva: - Quando voi me la donaste, vi ricorda? Voi mi facevi l'augurio che un giorno potesse tornarmi di consolazione. Quel giorno è venuto... così diverso da quanto io voi altri avremmo allora potuto figurarci... e le consolazioni mi sono abbondate! Amico, io voglio morire con questa corona sul petto. Dopo che... io sarò... voi stesso levatemela dal collo. - Ah! il collo allora non l'avrò più... E serbatela sempre, in memoria della povera Margherita, che tanto e sì bene amaste».

Tacque, pianse, poi facendosi nuova forza, ripigliò: - Al signor Luchino andrete voi; voi stesso, ve ne prego: fate anche questo sacrifizio per me. E direte che gli perdono: Troverà egli superba questa parola? Ditegli che in paradiso pregherò per lui... che abbia compassione della mia povera patria. È questo il voto di una morente».

Qui nuovo silenzio, nuovo pianto, da cui la destò un altro botto della campana ferale; onde riprese: - Buonvicino, amico mio, vero amico... addio! addio! ci troveremo in cielo, e presto!»

Si sforzò di proferire con fermezza queste parole, ma il singhiozzo gliele ruppe in gola: il frate ripetè «Presto!» indi si trasse il cappuccio sugli occhi, e s'avviarono.

Già in piazza de' Mercanti era stato raccolto un visibilio di popolo, o dalla curiosità, o dal non sapere che altro farsi, o dal gusto plebeo di contemplare la soffrente natura, o dal contento di vedere una giustizia o una vendetta. Il caso, non così frequente, d'una donna condotta al supplizio, fece trarre anche più gente del consueto.

Da un giuggolo, o come diciamo noi lombardamente zenzuino, aveva preso nome un'osteria, presso alla quale erano il ricetto delle male femmine, cinto di mura, e la casa del carnefice, dietro al palazzo di giustizia, ove durò fin testè. Da quell'osteria, da quel lupanare molta gente sbucò quando videro mastro Impicca avviarsi cogli orribili attrezzi del suo mestiere, e sempre nuova turba gli si affilava dietro per la strada. Gli artieri, smettendo il lavoro s'invitavano uno coll'altro.

- Dove vai?

- Al broletto nuovo a vedere. E tu, non ci vieni?

- Un momento, e verrò anch'io».

I garzoncelli erano svignati dalle botteghe; le madri accorrevano portando in braccio i pargoletti, affinchè abbandonati non piangessero; i signori venivano a cavallo facendosi largo fra la pedonaglia, ed eccitando le maledizioni di quelli a cui si piantavano davanti; ed era una pressa d'arrivare i primi, di farsi più vicini, di collocarsi più opportunamente.

Già in altra occasione ebbi a divisarvi la piazza dei Mercanti, quella che allora dicevano il Broletto nuovo.

Delle due piazze, in cui esso rimane diviso per via del Palazzo della ragione, quella a libeccio, che sin qua conservò maggiori vestigia dell'antico, era appunto destinata al supplizio dei nobili (i plebei si giustiziavano al prato delle forche verso Vigentino): poichè la civiltà, troppo affinata abbastanza ipocrita, non si dava gran pensiero di allontanare il boja dal giudice, il luogo della sentenza da quello dell'esecuzione. Un palco di tavole posticcio innalzavasi dal mezzo, affinchè maggior numero di gente potesse godere la scena, e su quello veniva disponendo ogni cosa il manigoldo, uomo adusto e tarchiato, i cui robusti muscoli pronunziati si poteano contare, e vedeansi guizzare sotto l'abbronzita pelle del corpo, non coperto che da due rozze brache di pelle, strette alla carne. Fra goffi sghignazzi stava egli col suo garzone saldando due assi fra cui doveva inginocchiarsi la paziente, librando la mannaja con cui doveva farle balzare la testa saggiandone il filo, esercitandovi il braccio.

- Ehi mastro Impicca, questa scala tentenna», diceva il fattorino.

- Lascia pure, lascia (rispondeva il manigoldo). Quei che ci salgono non badano tanto per la sottile: quando discendono, non se la sentono sotto ai piedi».

Alcuni soldati, antichi compagni di Alpinolo, i quali, ordinati dal connestabile Sfolcada Melik a piedi della scala e intorno al palco, contenevano la folla, ridevano a quegli scherzi, applaudivano a' bei colpi che colui trinciava in aria; si ricambiavano le più lepide celie con un'indifferenza assassina, della quale ho trovato poco migliore, sopra un campo diverso, la serena tranquillità con cui un logoro damerino scherza sui sentimenti di una bellezza appassionata, facendole stillar sangue col carezzarle gentilmente una piaga infistolita.

Il più limpido sole che possa vedersi in Lombardia nelle migliori giornate della vendemmia, inondava d'una bianca luce e d'un mite calore le fosche pareti del Broletto, e risaltava sopra quella mobile decorazione di teste, la più parte scoverte, sopra petti ignudi di robusti operaj, sulle intarsiate carnagioni di donne vulgari, sui frustagni e le mezzelane dei braccianti, a cui facevano contrasto i variopinti mantelletti dei nobili, le piume ondeggianti dei berretti di velluto, il luccicare delle corazze e dei bruniti morioni. Pieno stivato era lo spazzo; le altane e gli sporti dei tetti circostanti erano orlati di faccie curiose: alcune dame (ho a dirlo?) avevano fatta ressa di trovare un balcone, un terrazzino, da cui potessero mirare quella infelice, ed onorarla di loro commiserazione. Arrampicati sugli sporti, spenzolati dalle ferriate, saliti uno sulle spalle dell'altro, i ragazzetti facevano dispregi ai vicini, lanciavano motti ai lontani, davansi scappellotti nascondendo la mano, come si fa in grande nella società. Qualche madre, mostrando al suo fanciulletto quell'apparecchio di morte, gli dicea: - Vedi quell'uomo lassù, colla barbaccia così nera e la cotenna così rossa? È quel che mangia i cattivi in due bocconi: è il bau: è il demonio; e se piangerai, ti porterà via».

Il fanciullo sbigottito gettava le tenere braccia attorno al collo di sua madre, e celava il viso nel seno di essa.

Alcun altro facendosene nuovo, forse chi sa? per un ultimo resto di vergogna d'essere vanuto a bella posta, - E chi è (domandava) che hanno da giustiziare?

- L'è (rispondeva il fortuito vicino) la moglie di quel che hanno fatto morir jeri.

- Ah, ah! (soggiungeva un terzo) dunque la madre di quel piccolino, che hanno ucciso insieme col signor Pusterla.

- Che? (ripigliava il primo) hanno ucciso anche un piccolino?

- Sicuro di sì (entrava una donna): e che bel ragazzino! due occhi azzurri come questo cielo: un visetto da Gesù bambino; capelli poi, che parevano oro filato. Io mi sono voluta mettere proprio da piè della scala, per farlo vedere a questo mio figliuolo ch'è qui, affinchè tenga a mente come Dio castiga i cattivi: e per questo ho veduto ogni cosa.

- Contatela anche a noi: contatelo, comare Radegonda».

E la Radegonda, superba d'intrattenere un crocchio, - Conterò (diceva). Quando fu ... ma per carità, fate un po' di largo: volete soffogarmi il mio Tanuccio? E sicchè, allorquando si trattò di montare su per la brutta scala, a vederlo quel fanciullo! non voleva a nessun patto; puntava i piedi, strillava, piangeva...

- E come forte! (interrompeva il Pizzabrasa). Lo si sentiva fin dalla loggia dei Mercanti, dov'io m'ero annicchiato; e chiamava, babbo, mamma!

- Tal e quale (ripigliava la donna); e che aveva paura di quel ceffo così brutto, tendendo il ditino verso mastro Impicca. Suo padre singhiozzava che non poteva parlare: ma il frate confessore gli si abbassò all'orecchio...

- Anche questo ho veduto», tornava il Pizzabrasa ad interromperla; e smanioso di far pompa di sue empiriche cognizioni, proseguiva: - E i biondi capelli del bambino si mescolavano colla barba e colla nera chioma dell'Umiliato, che parevano i ghirigori d'oro s'un coltrone da morti. Ho visto anche come il bambino accarezzava il frate, mentre questo gli parlava: e il frate...

- Come si chiama il fratedava su quel primo, che per sistema facevasi ignaro di tutto, e parlava sempre col punto d'interrogazione. Allora rispondeva una figura, vestito mezzo da prete, con faccia di devota presunzione, ed era lo scaccino della Passerella: - Egli è quello che predicò la quaresima passata in Santa Maria dei Servi. Avrebbe convertito anche un re Erode. Ma i tempi sono guasti, e profittava più meno che se predicasse al deserto.

- Ma il nome?

- Buonvicino, dei frati della ricchezza di Brera. Ma le ricchezze ch'egli cerca, come ripete sempre il mio signor curato, non sono di quelle che si acquistano col tessere panni. Lo conoscete il mio curato? quello è un uomo! chiedete, domandate, egli sa tutto a mena dito... e...

- Ma cosa diceva il frate al bambino?

- E lui cosa rispondeva?

- E suo padre cosa faceva?» interrogavano tra molti, non badando ai panegirici del sacristano, più che a quelli d'un giornalista.

Qui la Radegonda, ch'erasi alquanto indispettita di aver perduta la tribuna, contentissima ora di poterla riprendere quando nessun altro poteva dar ragguaglio, così ripigliava:

- Piano, piano: parlate voi o parlo io? Certuni vogliono ficcar il naso, e ne sanno un pien sacco. Cosa volete che il frate gli dicesse? Che andasse con coraggio; che da a un momento sarebbe cogli angeli in Paradiso.

- E il fanciullo?

- E il fanciullo a non volere; e dire, Lo so; il paradiso è un bel luogo; vi sono gli angeli; vi è il Signore; v'è quella cara Madonna: ma io voglio star qui con mio padre e colla mia mamma: voglio star qui con loro, replicava e piangeva.

- Santa innocenzaesclamava per istinto di compassione e non senza qualche lagrima, alcuno degli astanti, il quale poi, a interrogarlo se quel bambino fosse stato ben ucciso, avrebbe risposto di sì a non dubitarne. E la narratrice proseguiva: - Allora il frate - chi non l'ha visto! Sapete quando alcune volte, all'estate, la moglie del diavolo fa il bucato, che piove e nell'istesso tempo il sole? Così era il viso del frate. Gli cadevano dagli occhi lagrime grosse come i grani d'un rosario, e tutt'insieme sorrideva come un angelo anche lui. E poi diceva al ragazzino: Tuo padre viene con te in paradiso.

Il fanciullo lo guardò con occhi consolati, poi richiese: Ma la mamma? - La mamma, rispondeva l'Umiliato, verrà anch'essa tra poco. Allora il bimbo: Dunque se io stessi al mondo rimarrei senza di loro? E come il frate gli disse di sì, egli si pose co' suoi ginocchi a terra...»

Qui il singulto smentì l'ostentata franchezza della narratrice, che quasi vergognavasi d'avere o di mostrar compassione di condannati, come una damina di piangere al teatro; e il Pizzabrasa proseguiva: - Si mise a ginocchi, alzò al cielo due manine piccole, piccole e bianche come di cera, e intanto il manigoldo gli tagliava i capelli, e gli faceva i bocchi per mettergli paura.

- Quanto avrei pagato ad essere presenteSaltava su qualche circostante. «Mi piacciono tanto queste scene così affettuose!

- E perchè non venirvi?» gli chiedeva un vicino.

E l'altro: - Che volete? m'è toccato andare fin laggiù a San Vittor grande, a portare una briglia e una sella che avevo raccomodate.

- Ma però (ridomandava il primo interlocutore) avrete visto a far la fattura ad altri.

- Oh certo; ma a donna mai.

- Io (tornava a parlare lo scaccino della Passerella) io ho veduto quando hanno giustiziato la Mainfreda, quella scolara della Guglielmina, che voleva farsi papa. Lo Spirito Santo incarnato in una femmina, e i preti e il papa donne! Si può dar di peggio

E qui, colla facilità onde la compassione suole distrarsi dalle sventure non sue, voltavano il discorso sulle tonsure che le costei seguaci si facevano in mezzo alle treccie: su quel nascondiglio al terraggio di Porta Nuova, dove femmine e maschi si congregavano, e poi spegnevano i lumi e buona notte.

Altri spettatori frattanto di maggiore calibro discorrevano sulla colpa de' condannati.

- Che giustizia, eh, quella del nostro vicarioesclamava Malfiglioccio della Cocchirola, il quale, fallito nel suo mestiere, or dava pareri ai governanti. - Se meritano castigo, neppure a' suoi parenti egli la perdona.

- Erano gente senza religione», diceva un chierico in aria contrita.

- Ma se contano all'incontrario che l'uomo era fuggito ad Avignone per intendersela col papa.

- Se era ad Avignone, perchè non starvi?

- Era dunque un guelfo marcio.

- Guelfo? (ripigliava il Malfiglioccio). Coteste le son novelle sparse per dare pasto a voi, gente grossa che credete. La sarebbe curiosa che fosse un peccato pei Milanesi l'essere guelfi. Per l'abbondanza che ci recarono quegli imperatori e i loro Ghibellini! tanta da averne troppo per odiarli e noi e i nostri figli e i figli dei nostri figli.

- Eh, voi non dite male (riprendeva il primo). Ma i nostri padroni amano più stare attaccati all'imperatore che non al papa: perchè quello è lontano e non fastidio; e se commettono birbonate non li scomunica.

- Zt,» faceva un altro ponendosi il dito sul naso; poi con voce sommessa seguitava: - Se ho a dirvela, io so da uno di quelli che hanno mano in pasta, che i giustiziati di adesso e cotest'altri dipinti sul muro, avevano fatto una maledetta trama per venderci agli stranieri, per metterci sotto la dominazione degli Scaligeri di Verona.

- Come? di queste? dite vero? Cosa ci hanno a fare gli Scaligeri ed i Veronesi con noi? Noi si vuole il biscione, e Sant'Ambrogio» gridavano zelanti patrioti. E - Viva il biscione, Viva Sant'Ambrogio» ripetevano molti altri: il qual grido dai fautori del principe veniva interpretato per un'espressione di popolare consentimento all'atto che si stava per eseguire.

Non mancavano però di quelli che, senza impacciarsi colla politica, ne tiravano della morale brava e buona, ripetendo ai loro vicini: - Ma! non so che dire. Colpa loro se sono stati così gonzi di lasciarsi acchiappare. I delitti si vogliono commettere colle debite cautele. Dico bene, Basabelletta

Tale interpellanza era drizzata a quel Menclozzo Basabelletta, preso e torturato per cagione dei discorsi tenuti appunto in piazza dei Mercanti con Alpinolo, e che era venuto ad osservare quell'apparato per esclamare, - L'ho scappata bella!» Non aveva dunque voglia di rispondere, di commentare; e senza darsene per inteso, guardava al cielo e diceva: - Bel tempo oggi: vuol durare».

Ma ai balconi, sui terrazzini circostanti, e nelle camere delle magistrature, ben più fini e socievoli discorsi tenevano signori e damine, di gualdane, di battaglie, dei pettegolezzi privati: degli ondeggianti favori della Corte; della passata dei tordi e della scarsezza delle lepri; chiedevano e riferivano novità; leggevano sul libro e di questo e di quello. E la signora Teodora, sposa novella di Francesco de' Maggi, una delle più lodate per avvenenza e per l'arte d'approfittarne, domandava così sbadatamente nel mettersi il guanto: - E come ha nome cotesta che hanno da far morire?

- Margherita Visconti por servirla», rispondeva pronto Forestino, figliuolo naturale del principe, che faceva il vagheggino tra quelle bellezze.

- Visconti? (ripigliava la sposa). È dunque parente del signor vicario?

- Così alla lontana», rispondeva il giovane: ma il buffone Grillincervello soggiungeva: - Ed avrebbe potuto venire con lui a parentela molto stretta: e appunto per non l'avere voluto, le tocca questo fine.

- Eppure le deve rincrescere (diceva qualche altro). È così giovane: così bella!

- E poi non assuefatta a morire», l'interrompeva il burlone, e destava all'intorno una vivace ilarità. Poi voltandosi a Forestino e al costui fratello Bruzio, intorno ai quali, perchè sterponi d'un gran signore, facevasi un circolo rispettoso, diceva loro a mezza voce: - Serenissimi, vi do avviso che, se mai aveste fatto assegnamento sulla sposina del signor Francesco dei Maggi, ella non m'ha l'aria di essere disposta a imitare dama Margherita».

A tali detti Bruzio chinava gli occhi con ipocrita modestia; e mentre il maligno giullare correva di qua e di a stornare la melanconia e i pensieri seri con arguzie, e giustificare con lazzi la iniquità, i due imitavano il padre loro donneando, mentre coll'assistere alle giustizie di lui preparavansi poi ad imitarlo quando potrebbero.

Fra ciò la campana aveva ricominciato i rintocchi: ogni picchiata del martello destava un suono, prolungato dall'oscillare del metallo; moriva; un momento di silenzio, poi un altro colpo, indi un altro, lento come i palpiti di un moribondo - e come quelli straziante.

- Viene?

- No.

- Ma che tarda?» si chiedevano l'uno all'altro, ed era un diffuso ronzío di curiosa impazienza, più meno di quanto in teatro indugiano al alzare il sipario.

- Che le avessero fatta la graziadomandava qualcuno.

- Per me tanto e tanto n'avrei piacere»: e il pubblico in fatti ne avrebbe avuto piacere tanto, quanto della esecuzione, perchè l'una e l'altra gli offrivano del pari argomento di ammirare, di scuotersi, di discorrere, di censurare, e di applaudire.

Ma presto furono tolti da quest'idea al vedere sulla parlera, che già era stata coperta di uno strato nero e di cuscini di velluto, uscire i principali magistrati, il podestà, il suo logotenente, e sopra gli altri distinto il capitano Lucio. Ve l'ho replicato che la giustizia era atroce, ma non ipocrita, e venivano a rimirare il compimento del loro lavoro.

Poi non tardò a vedersi un brulicare più vivo nei vichi strettissimi di intorno, a sentirsi un susurro, un ronzío più fitto, più pronunziato verso il portone che esce sulla Pescheria vecchia, per dove appunto doveva sfilare la compagnia ferale, dopo fatto un lungo giro affinchè a maggior numero fosse dato godere della scena o profittare della lezione.

- È qui, è qui», cominciavasi a dire: e come un drappello di difensori della patria al cenno di un prepotente caporale, così tutta quella calca si leva in punta dei piedi, tutti i colli si protendono, tutte le teste si piegano a quella banda, tutti gli occhi. Ed ecco, all'accelerato rintocco della campana, comparire dapprima uno stendardo nero orlato di argento, sul quale era effigiato uno scheletro in piedi, colla falce nell'una, l'oriuolo a polvere nell'altra mano; alla sua dritta un uomo col capestro al collo; a sinistra un altro col proprio teschio nelle mani. Dietro, coppia a coppia, si affilavano i fratelli della Consolazione. Erano una devota scuola, fondata in Santa Marta dei Disciplini alla Romana, come chiamavasi un oratorio, che poi fu ridotto in una delle meglio architettate chiese di Milano. Di questa scuola che poi fu trasferita in San Giovanni alle Case rotte, era principale istituto il confortare i giustiziati e suffragarli. Procedevano i confratelli in una veste di tela bianca collo strascico, e col cappuccio tutto cucito in giro, sicchè non potevasi levare che colla tunica stessa; al posto del viso non vedevasi che una croce di scarlatto, sotto i cui traversi si aprivan due forellini, tanto solo da dar luogo alla vista; sopra il cuore portavano una medaglia nera, dove era effigiato un Gesù crocifisso, con ai piedi della croce il teschio del santo Precursore; discinti in vita, colle mani giunte entro le maniche cascanti, avevan sembianza di notturni fantasmi. Gli ultimi portavano un cataletto, mentre a coro in lugubre melodia, cantavano il Miserere: - cantavano le esequie, portavano la bara per uno che era sano tuttavia.

Fendendo la turba giunsero presso al patibolo, ove deposero il letto funereo: e su per la scaletta e a piè di quella si schierarono in due file per ricevere tra loro la condannata, formando quasi una barriera fra il mondo e un essere che, di a pochi istanti, cesserebbe di appartenervi.

Ed ecco, tratto da due bovi guarniti a nero, avanzarsi lentissimo un carro, e sopra quello la povera nostra Margherita.

Per obbedire a quel vago sentimento, che comanda di ornarsi per tutte le cerimonie, anche le più melanconiche, la Margherita aveva voluto accomodarsi di un abito nero decente, e ravviarsi, e lisciare i capelli, il cui nero lucente viepiù spiccava sulla fredda uniforme bianchezza di una pelle morbidissima ma patita. Sul collo, dove un tempo le perle facevano gara di candidezza, ora appena le coccole del rosario parevano segnare la traccia, che fra poco la mannaja solcherebbe. Fra le mani giunte stringeva la crocetta pendente da quello, senza rimuovere mai gli occhi che già solevano splendere di giuliva benevolenza, ed ora, sbattuti in dogliosa spossatezza, non vedevano più che un oggetto, una speranza.

Le sedeva a canto frà Buonvicino, ancor più pallido di lei se era possibile, con alla mano la crocifissa effigie di Colui che patì tanto prima di noi, e per noi; e le andava tratto a tratto suggerendo una preghiera, un conforto: di quelle preghiere che nei giorni della gajezza infantile c'insegnano le madri, e che rincorrono opportune fin nei momenti più disastrosi. - Signore, nelle vostre mani raccomando lo spirito mio. - Maria, pregate per me nell'ora della morte. - Escianima cristiana, da questo mondo che ci è dato per esiglio, e torna alla patria celeste. - In paradiso ti rechino gli angeli, santificata dai tuoi patimenti».

Nessuno guardava ad altri che a lei. Benchè sfinita da tanti martirj, benchè colle traccie in viso della morte vicina, quando la videro esclamarono tutti: - Oh com'è bella! Così giovane!» e più di una lagrima cadde in quel punto, più di un sudario di seta coperse gli occhi delle signore; più di un guanto, usato ad impugnare lo stocco, asciugò o respinse il pianto che spuntava sul ciglio dei cavalieri. E si voltavano a guardare verso la tribuna, verso Lucio, se mai sventolasse la fusciacca bianca in segno di grazia.

Dietro al carro, colle braccia avvinte al tergo, sì stretto che la corda entrava nella carne, scarmigliato il crine e la barba giovanile, bendata la testa con un cencio di fazzoletto, in lacero arnese, serrato fra i soldati, arrancavasi ai piedi zoppicando e doglioso, un altro nostro conoscente, Alpinolo. Le percosse rilevate la notte della fuga non l'avevano ucciso, ma solo tramortito; poi, rinvenuto, i medici si adoperarono a restituirgli la salute, intanto che i giudici si preparavano a togliergli la vita.

In fatti anch'egli venne sottoposto al giudizio, che però, trattandosi non di un uomo, ma di un soldato, era sciolto da tante formalità, e affidato alla spicciativa procedura dei suoi capi. Ma questi non riuscirono mai a farlo parlare: i tormenti più squisiti furono adoperati: come fosse poco lo slogargli le braccia, gli fu applicato il fuoco alle piante dei piedi finchè ne scolasse l'adipe; ficcategli delle punte sotto alle unghie: oppressogli il petto con enorme peso: tutto soffrì senza contorcersi, senza proferire una sillaba. Soltanto una volta, che gli spasimi doveano averlo posto fuori di , fu inteso proferire queste due voci, Poveretta e Padre mio.

Non appena fu qualche istante lasciato libero, tentò sfracellarsi il cranio contro delle pareti, onde da quell'ora fu continuamente guardato a vista. Ma chi egli fosse, nessuno lo sapeva: i camerata lo conoscevano pel Quattrodita e nulla più: lombardo pareva alla bastarda pronunzia, ma del nome della condizione sua non si potè venire in chiaro, onde colla semplice indicazione di - un soldato per soprannome il Quattrodita - , venne condannato a dover fare da boja nel supplizio dei Pusterla, e dopo di loro essere giustiziato anch'egli; il suo cadavere tratto a coda d'asino alle forche fuori porta Vigentina, e ivi lasciato impeso per pascolo dei corvi.

Neppur dopo condannato vi fu modo di fargli aprir bocca; se non che, allorquando fu interrogato, secondo l'uso, se prima di morire avesse nulla a dimandare, chiese gli si restituisse l'anello che aveva sempre portato in dito. Quell'anello, unico suo bene ereditario, gli rammentava, se non altro, di avere avuto una madre, ora che gli toccava di morire senza aver adempito quella che era stata l'idea fissa di tutta la sua vita, cioè di trovare l'autore dei suoi giorni: onde, allorchè gli fu esaudita la domanda, se lo ripose in dito colla devozione di un moribondo.

Quando Francesco e Venturino furono condotti a morte, Alpinolo era stato trascinato ai piedi del palco, perchè, secondo la sentenza, dovesse fare le veci di manigoldo. Ma era facile eseguire la condanna in ciò che concerneva il suo cadavere, non era altrettanto nell'armargli la mano contro di coloro, che tanto aveva egli fatto per salvare. Intimatogli quell'ordine ferocemente insensato, e scioltegli le mani, esso entrò in tal furia, si pose in atto così minaccioso, che n'ebbero di grazia a legarlo di nuovo, persuasi che, fin quando gli rimanesse fiato, non si piegherebbe a tanta infamia.

Anche senza di ciò, nel veder sul patibolo que' suoi cari, nel pensare che avea contribuito a condurveli, considerate come Alpinolo si sentisse nel cuore! Se non che gli fu di alcuna consolazione il trovare che la Margherita non era con loro. - La tigre (disse fra ) rimase satolla col sangue nostro».

Come ebbe veduto balzare la testa del fanciullo, poi quella del padre, versando dalle pupille grosse lagrime, più di rabbia ancora che di dolore, si mosse francamente per porgere il collo al manigoldo, credendo che allora fosse la sua volta. Ma in quella vece si vide rimosso dal palco, senza conoscere il perchè, tratto ancora al suo fondo di torre a macerarsi un altro giorno, compassionando il giudizio veduto, e paventando la vergogna di un perdono e la gratitudine della clemenza.

Ma al domani fu cavato di nuovo, e il suo tormento giunse veramente al colmo quando scôrse la Margherita, la sorella di Ottorino, la sua amica, la signora sua, tratta sul carro dei malfattori a rinfrescare col suo sangue il sangue del consorte e del figliuolo. Così incatenato ne seguiva il lento cammino, cogli occhi il più spesso inchiodati a terra, talvolta balestrandoli sopra la moltitudine, quasi per cercarvi o il generoso coraggio che strappasse la vittima al tiranno, o almeno la generosa compassione, il cui fremito è compenso ai più rovinosi colpi dell'iniquità potente. Ma non avvisando in tutti che una indolente curiosità, atterrava novamente gli sguardi in atto di fiero disprezzo, e li riposava su quelli della martire; e allora esalava un sospiro dal più profondo del cuore.

Come l'onda trabocca al levare della chiusa che la reggeva in collo, così dietro ai soldati che tenevansi in mezzo Alpinolo, si rinchiudeva la folla divisa, e si accalcava, ingegnandosi  di mettere il passo innanzi a chi gli aveva preceduti, per vedersi poi oltrepassati anch'essi dai nuovi che sopravenivano. E già il carro era ristato ai piedi del palco: un solenne silenzio possedeva la turba spettatrice. La Margherita smontò, accostossi alla scala - la scala che per lei era quella del paradiso. Il carnefice, discesole incontro, le porse la lurida mano, come per ajutarla a salire. Era la mano che, il giorno innanzi, si era intrisa nel sangue dei suoi diletti! La Margherita, con un fremito istintivo, ma senza odio, la ricusò, e con passo quanto più poteva sicuro, incominciò a montare.

Povera martire! non hai finito di patire.

Passava ella in mezzo ai confratelli della Consolazione, quando da uno di essi, con voce sommessa ma fiera, sentì dirsi: - Margherita, ricordatevi la notte di san Giovanni».

Come la rana già morta guizza al passar della corrente elettrica, così la Margherita, che già pareva tolta dalle cose terrene, trasalì al suono di quel motto; volse lo sguardo, pieno di terribile maestà e di profondo orrore, sovra il miserabile che aveva parlato, e traverso ai fori della buffa vide fissato sopra di un occhio acuto come di velenoso serpente.

Quelle parole lo diedero a conoscere anche a frà Buonvicino,  il quale stava a fianco della Margherita: sporse la mano a questa che, vacillando in atto di cadere, gliela ghermì collo spaventato vigore, onde, nei momenti che ci strazia un nemico, sentiamo imperioso bisogno di stringerci ad un fedele. E l'Umiliato, ponendole innanzi alla vista il crocifisso, le gridava:

- Egli morì perdonando ai suoi uccisori».

Ritenne Margherita le pupille nella devota effigie, le alzò al cielo, parve riconfortata, e raggiante del presentimento dell'immortalità, giunse sul funereo palco. Un istante appresso, il carnefice, afferratala per le nere chiome, presentò al popolo la testa recisa e boccheggiante.

Un fremito universale ruppe la taciturnità: chi diede in pianti, chi esclamò, chi intonò le preghiere di suffragio; i più vicini gridarono ai remoti e a quelli che non avevano veduto: - È morta». Allora, colla furibonda ansietà onde i cani assetati si precipitano alla fontana, furono visti alcuni correre sul patibolo, raccogliere in una scodella il sangue che sgorgava dal busto e pioveva dal capo, e fumante tracannarselo. Erano infelici, tormentati dall'epilessia, i quali credevano con tale rimedio orrendo guarire dalla più orrenda delle infermità.

Allorchè la Margherita porse il collo al fendente, frà Buonvicino, messosi con lei in ginocchio, alle orecchie, che fra poco più non udrebbero, le mormorò gli ultimi conforti; poi, con un atto risoluto, come chi finalmente esce da lunga situazione penosa, impugnato il crocifisso, levò con esso le giunte mani al cielo, le abbassò fin sul tavolato, e si lasciò cadere colla fronte sopra di esse. Il sangue di quella vittima lo spruzzò. Tutto era consumato, ed egli non si rimoveva da quell'attitudine. Fu scosso... Era morto.

Così l'angelo destinato a custodia di ciascuno, appena cessa di vivere quello al cui fianco era stato collocato dalla Provvidenza, compiuta la divina sua missione, ritorna con esso in Paradiso.

Sulla compassionevole scena tenevano fisso l'occhio due altre persone, con sentimenti, deh come diversi: Alpinolo e Ramengo, giacchè era lui appunto il confratello insultatore. Il primo, sotto all'aspetto di scellerato, copriva un generoso pentimento, un'immensa compassione, che nella fine lagrimata di quegli esseri virtuosi, gli faceva dimenticare affatto come, tra pochi momenti, avrebbe anch'egli a seguitarli di dei confini della vita.

Ramengo, sotto alla maschera della pietà, celava uno di quei cuori nefandi, che l'ira di Dio slancia talvolta sulla terra per una prova, e per un saggio dell'inferno. Guatava egli la Margherita, siccome pago della spasimata vendetta; e quando mirò spiccato il bel capo, si sporse avanti, struggendosi di potere, come quegli altri sciagurati, smorzare la lunga sete col sangue che ne sprizzava, e del quale alcune goccie gli chiazzarono il bianco vestito; contemplò, numerò, analizzò le spasmodiche contrazioni della faccia moribonda, il pallore che la occupava man mano che abbandonavala il sangue, il rotare degli occhi, che, più sempre affondandosi nelle orbite, parevano ingordi della luce violentemente rapita; s'immaginò perfino che uno sguardo ultimo lanciassero sopra di lui, ed esclamò: - Ora sono soddisfatto».

Mentre il carnefice, rimovendo la raschiatura inzuppata di sangue, e collocando nella bara il tronco esanime, che sotto al suo piede aveva cessato il doloroso vibrare, esclamava «E uno». Ramengo, girando la vista, si trovò dinanzi il soldato sconosciuto, che con coraggio cupo e taciturno montava sul patibolo. Pallido e sbattuto per le ferite del corpo e dei patimenti dell'animo, la morte istante non lo agitava però, deprimeva la fierezza della sua fronte, somigliante, a quella di un angelo decaduto, che si orgoglia del suo peccato, e non vuole perdono.

Appena gli vennero sciolte le mani incatenate alle reni, di schianto, siccome allo sbandarsi di una molla, se le recò alle labbra baciando l'anello. Quel diamante, fiammeggiando sugli occhi di Ramengo, gliene dovette richiamare alla memoria uno somigliante, che aveva altre volte posto in dito alla sua Rosalia, e poi trovato nella capanna di quei mulinaj sul Po. Questo vago senso e momentaneo si tramutò ben tosto in un fiero sbigottimento allorchè vide il condannato trarsi l'anello dal dito, affisarlo teneramente, baciarlo, premerselo al cuore, baciarlo di nuovo; indi, coll'espressione di chi si divide dalla cosa che più di tutte ha cara, che anzi unica ormai ha cara sopra la terra, porgerlo al garzone del manigoldo, e dirgli: - Tieni; dopo morto, va e seppelliscimi presso a quella santa».

Tra quel fatto, Ramengo avea osservata la mano di Alpinolo, con un dito meno: il dito appunto che esso aveva reciso al suo figliuolo, allorchè gli trasse nel suo geloso furore; quel dito, quell'anello, il suono delle parole misero il colmo alla sua agitazione. Si fece un passo avanti, spinse il braccio, e rapito l'anello di pugno al manigoldo, esclamò: - Lascia vedere! lascia vedere

Rimase questi attonito all'atto. Alpinolo gli fissò sul viso mascherato gli occhi tra curioso e indispettito; l'altro, mirando il condannato, fra i lineamenti scomposti e alterati non esitò a raffigurarlo. Raffigurò Alpinolo, il figliuol suo, - quello che tanto aveva desiderato, tanto cercato, - quello che solo poteva restituirlo alle consolazioni dell'amore, alle speranze della vanità, all'invidia del mondo; lo trovava, ma col piede sul patibolo, e portatovi da lui medesimo.

Non si ritenne: e come fuor di gridando, - Alpinolo, Alpinolo, ti ravviso», si scagliò tra il carnefice e lui, che già era salito sul pianerotte. Alpinolo ristette maravigliato nell'udire una voce che a nome pareva richiamarlo alla vita. Il carnefice, non sapendo spiegare questa scena, rimase un tratto sospeso, poi gridandogli, - Via, sgombrate, toglietevi fuor dei piedi», tornava per afferrare la vittima a destinata.

Ma quel rimbaccucato, opponendosegli a viva forza, - No, no, (gridava), egli non deve morire, no... Egli non è quello che è creduto... Non è un soldato mercenario... S'è infinto. È il bravo scudiere Alpinolo: quel desso che salvò il signor Luchino a Parabiago. - No, signori, no... non deve essere ammazzato così come un assassino.

- Che bubbole mi contate? (ripigliava mastro Impicca.) Sia chi si voglia, il mio mestiere è di ammazzarlo. Credete che io non sappia far la festa anche ad uno scudiero? Le vostre ragioni dovevate dirle al signor vicario.

- Sì (replicava Ramengo con ansietà), il signor vicario le sa; non lo ha condannato: è un puro sbaglio... Per lui mi ha dato l'impunità, per lui... Aspetta... per carità... un momento... sospendi... Signori soldati, badate: questo qua, che si finse un vostro camerata, è lo scudiero Alpinolo, quel che fece prodezze a Parabiago - l'avrete certo sentito a menzionare, eh? Bene, è desso; e s'è fatto vostro compagno. Ma voi certo non soffrirete che un camerata vostro vada alla forca. - Udite, datemi mente. - Non dico di salvarlo ingiustamente: ingiustamente il lasciereste morire.... Di grazia, fate sospendere un momento... una mezz'ora sola. Vi prego, vi scongiuro, per le vostre donne, pei vostri figliuoli... C'è nessuno fra di voi che abbia moglie? che abbia un figliuolo? Fate che aspettino: chiamate il vostro capitano. Ehi, signor Melik, lei che è così bravo, così valoroso.... questo giovane non è quel che credono; lo guardi, non lo conosce? ha combattuto con lei il giorno di santa Agnese: dov'ella s'è fatto tanto onore. E quando il signor vicario saprà chi è, li castigherà se l'avranno lasciato finire a questo modo... perchè egli, il signor Luchino, mi ha rilasciato lettera d'impunità. - No, non deve morire. - Che? a Milano comanda il principe o il boja? - Non ha da morire, no!»

E bruscamente respingeva la branca del manigoldo, stesa impazientemente sopra di Alpinolo. All'ascoltar queste parole recise, affollate, emesse traverso al panno della visiera col gorgoglio di un fiasco, pel cui collo angusto si versi l'acqua della pancia capace, con un tono di angoscia, di affetto, di spavento, i soldati si guardavano l'un l'altro in viso; il capitano, che non sapea rendersene ragione, facevasi più d'accosto per conoscere il vero: se Lucio fosse stato ancora presente, sarebbero ricorsi a lui per nuovi ordini: ma egli, tosto che vide compiuta la sua giustizia, senza curarsi più che tanto di un soldato, che tampoco aveva un nome, se n'era ito a desinare. Tutto il vulgo spettatore accalcavasi viepiù da quella parte; e, - Chi è quel mascherone? - che fa colà tra il boja e il condannato? - cosa predica? - perchè questo ritardo?» e i più lontani facevano prova di aprirsi un varco a spintoni; quelli arrampicati sugli sporti o accomodati ai balconi, ai loggiati, alle finestre, sporgevansi in fuori a guisa dei passeri nidiaci, allorchè sentono la madre ritornare coll'imbeccata.

Mastro Impicca, sazio dell'indugio, battendo il piede così, che fece sobbalzare e sonare tutto il palco, esclamò con dispetto: - Ho altro a fare che dar ascolto alle tue fandonie, mascherone maledetto! Fatti da banda. In un batter d'occhio te lo spedisco, e dopo gli farai complimenti quanti vuoi»; e si accingeva a ridurre queste parole in fatti.

Ma Ramengo ripigliava: - No, no. Ti dico che tu non ci hai a far nulla: che fu condannato in iscambio: Ha il breve d'impunità: gliel'ho ottenuto io... O che? non deve valere il decreto fatto, firmato e suggellato dal vicario di un imperatore? Se tu sapessi quel che ho fatto per ottenerglielo! E ora il frutto di tante fatiche farmelo perdere a questo modo

E perchè il manigoldo, incapace di ragioni come di pietà, metteva risolutamente le mani alla vita di Alpinolo, Ramengo, inferocito, lo percosse di tale spunzone nei fianchi, che, cogliendolo improvviso, lo gettò ruzzolone dal palco. La plebaglia, vedendo a cascare il carnefice, ruppe in alti schiamazzi, in un batter di mani, in un bravo! bene! come quando vedeva un bel colpo alla pallamaglio. E Ramengo, lanciatosi al collo di Alpinolo, vedendo che i soldati si movevano per mettere un termine colla forza a questa nojosa resistenza, - Signori soldati (esclamava), signor capitano, voi, gente così generosa, volete ora venire a dar mano al boja, voi? a fare da boja voi stessi? Vergogna! Io posso farvi del bene. Dei denari ne ho molti, ne ho troppi - ve li darò - ve ne darò finchè ne volete, ma deh! ajutatemi, soccorretemi a camparlo. Giù le mani, canaglia! cosa credete, che egli sia carne venduta al pari di voi?... Egli è... è mio figliuolo

Il condannato fino a quel punto non avea compreso nulla più che gli altri della pietà inattesa e disinteressata d'uno sconosciuto, così lontano dall'idea, che purtroppo egli erasi formata della universale nequizia e vigliaccheria. L'udirlo parlare di impunità, di grazia ottenutagli, il vedere frapposto un ostacolo alla sua morte, che anche pei meglio risoluti è un gran passo; la premura appassionata che traspariva da ogni parola, da ogni gesto di quell'incognito, lo tenevano assorto e in dubbio, come uomo che sta sur un filo tra la vita e la morte. Ma appena udì quella parola di figliuolo, tutto si riscosse, ed esclamò: - Come?... figlio? voi mio padre

Sventurato! mai in tutta la vita sua non aveva inteso dirigersi quella parola soave; non aveva gustato mai la dolcezza dei domestici affetti; aveva sempre ambito, ma anche disperato di poter mai dire «O padre mio». Ed ora - Sarebbe possibile? questo sconosciuto sarebbe il padre mio? Eppure deve ben essere così. E chi altri se non un padre si curerebbe di un miserabile già sotto la mano del carnefice?

Quindi con inesprimibile sentimento accoglievasi tutto anch'esso contro Ramengo, lo abbracciava, trasaliva sotto gli amplessi di lui. Ora sì che il timore della morte lo invadeva! ora sì che avrebbe voluto ritrarre i piedi dal patibolo, tornare alla vita, dove gli era preparata una soavità non assaporata mai; dove non si troverebbe più solitario: dove all'esser suo si mescolerebbe un elemento nuovo, da cui ogni cosa restava modificata tutt'altrimenti, e che, togliendogli quel nauseato dispetto degli uomini ond'era invaso da un pezzo, gli abbelliva i molti giorni promessigli dalla sua fresca età. Colla fantasia ne scorreva i casi; sedeva a un convito d'amore ignorato; ritesseva una tela di vicende, a fianco di un padre, sotto una mano amorevole, che lo esortasse, il reprimesse, l'applaudisse. Ma se da questo sogno, che in un atomo abbraccia tanto tempo, ricadeva sul presente, eccogli davanti un ceppo, fumante ancora d'un sangue prezioso, e dove, fra un istante, anch'egli verserebbe il suo, sotto agli occhi di una moltitudine indifferente, tra la quale forse sarà mescolato colui, quell'esecrato autore di tanti mali; e starà a contemplarlo e sorridere.

A tali immagini, il garzone, pur dianzi così sicuro, sgomentavasi come il fanciullo all'idea del fantasma, e altrettanto abborrendo dalla distruzione quanto prima l'avea desiderata, ascondeva la faccia contro il seno dello sconosciuto, e ripeteva angosciosamente: - Padre, salvatemi. Sì, sono Alpinolo; sono il figliuol vostro; salvatemi».

Queste parole inferocivano il vigore di quell'altro, il quale con una smania rabbiosa lo cingeva delle braccia convulse, strideva, chiamava il cielo, chiamava gli uomini, implorava pietà, giustizia...

Pietà, giustizia implorava egli!

Ma il conestabile Sfolcada Melik, nojato ormai di questo indugio, - Suvvia, (disse ai soldati) non sia mai detto che lasciaste ritardare la giustizia da un mascalzone. Animo: traetelo di , e avanti».

Si mossero eglino di fatto, e tolsero in mezzo Alpinolo, il quale allora, dato nelle furie, cominciò a menar calci e pugni, mordere, graffiare, sinchè, sferratosi, riuscì a strappar di mano ad uno la mazza ferrata, e disposto a far le forze estreme, cominciò con essa a lavorare di qualità, che mal per chi l'accostava. I soldati, che, da quella notte in poi, sapevano come pesassero le costui braccia, impacciati anche dall'angustia e dal barcollamento del palco, davano indietro, intanto che Ramengo, collocatosi in mezzo della scaletta, come per abbarrarla del suo corpo, gridava in risposta al conestabile: - A chi mascalzone? Mascalzone sei tu, tedesco venduto! Io, sai chi sono io?» E stracciandosi d'in sul viso il cappuccio, si scopriva esclamando: - Sono Ramengo da Casale; impara a rispettarmi

L'alterazione prodotta della maschera e da una situazione così strana, non aveva lasciato che Alpinolo riconoscesse alla voce chi fosse il suo protettore. Ma come lo intese nominarsi, come, sospendendo un terribile colpo su cui abbandonavasi a due mani, si volse, e raffigurò quella faccia, la faccia che gli era fitta nella memoria siccome quella di un demonio, si tramutò a guisa di un uomo, il quale mentre accarezza e palpa il suo fido cane, tornato dopo lunga assenza, ascoltasse taluno gridargli: - Bada che è rabbioso».

Slanciò la mazza sul palco, e cogli occhi stralunati, colle braccia e gli indici protesi rigidamente verso di lui, profferì: - Ramengo! voi mio padreMandò un urlo disperato, levò la faccia al cielo, colle mani fra gli irti capelli, indi, invano rattenuto da quell'altro, che a guisa di energumeno smaniando, divincolandosi, pregava, bestemmiava, chiedeva perdono, corse egli stesso a furia, a sottoporre il capo al fendente.

Un minuto dopo, il disciplino tenevasi boccone, abbracciato ai piedi di un cadavere, seguitando a prorompere in urli, in pianti, in imprecazioni - ma chi l'avrebbe compassionato? era una spia.

I confratelli della Consolazione intonarono la preghiera dei defunti, e levando il feretro, più carico del preveduto, si avviarono a Santa Marta per darvi sepoltura. Il popolo, rispondendo a quelle preci, sfollava dalla piazza e si diramava anch'esso, per le varie stradelle, cedendo il passo a nuovi curiosi, che a fiotti si avvicinavano al patibolo per vedere, se non altro, gli apparati e gli avanzi, ed informarsi di quell'ultima scena. Poi ritornarono ciascuno alle occupazioni della giornata, fra le quali più di uno usciva tratto tratto esclamando con un sospiro: - Povera signora

- Un bel colpodiceva un altro. - La non deve aver patito nulla. Non si può dire che i nostri signori non ci mantengono uno dei carnefici meglio esercitati.

- Hai visto (aggiungeva un terzo) con che divozione, prima di sottoporre la testa, ella baciò il Crocifisso?

- E non volle (replicava un altro) che il boja le levasse il fazzoletto dal collo».

Qualche femminetta soggiungeva:

- Ma! a quest'ora la sarà in purgatorio a mondarsi dei suoi peccati. Il Signore è misericordioso.

- E quel frate (riflettevano altri) se eradolce di cuore non dovea far quel mestiero di assistere i giustiziati. Manca gente avvezza a queste funzioni? Si sa: non tutti son buoni per tutto».

Un altro intanto aggiungeva: - Che cosa poi saltasse in mente a quel disciplino di non voler lasciare, come dice il mio padrone, libero corso alla giustizia, vattela accatta.

- Avrà creduto di far un'opera di misericordia», rispondeva lo scaccino della Passerella.

- Oh, sta a vedere! (tornava su il primo) Che ci ha a fare la misericordia coll'impedire che si ammazzi? Opera di misericordia è seppellire i morti, dico io.

- Per me (udivasi qualche giovane) è la prima che ne vedo di queste, ma sarà anche l'ultima. Gesummaria! alla notte mi tornerà sempre sugli occhi quella figura, quel tronco, quel sangue...» e rabbrividendo si copriva il viso.

- Tutto sta ad assuefarsi» rispondeva un uomo maturo.

Ma questa era la ciurma, ignorante e brutale a segno da trarre curiosa a tali miserie. Che se la storica verità ci costrinse a rivelare, pur troppo al vero, quel vulgo, ci è di soddisfazione l'assicurare come la razza dei generosi non fosse scarsa, frammezzo agli insultanti dominatori e ai vili depressi; sconosciuta da questi, sospetta a quelli, ma destinata a far fede della virtù, allorchè i casi umani trarrebbero qualcuno a rinnegarla indispettito. Con fremito virile, e con dignitoso compatimento, riguardarono essi quel caso come un pubblico lutto, una lezione, un avviso; parte abbandonarono la città, perchè non sembrassero tampoco colla loro presenza autorizzare l'assassinio legale; alcuni vestirono a lutto; altri manifestarono anche in aperte voci l'indignazione, ed erano gli stessi che avevano disapprovato il Pusterla finchè lo credettero cospiratore.

Le madri poi, le buone madri lombarde, narrando quel caso ai raccolti figliuoli, e commovendoli a pietà, facevano loro suffragare i poveri condannati, e ripetevano: - Preferite di esser la Margherita sul patibolo, che non Luchino sul trono».

Così quel giorno tutti parlarono della meschina, del frate, del disciplino; molti ne discorsero anche il domani, più pochi il terzo ; poi nuovi mali, nuovi casi, nuovi supplizj vennero ben tosto a far dimenticare quei primi, a destare nuove curiosità, nuova compassione, nuove ciancie.

La scena si fu alla Corte, allorquando, ritornato Luchino a Milano, Grillincervello si pose dinanzi a lui ad atteggiare quel supplizio, ora contraffacendo con attucci e moine la rassegnata devozione della Margherita e la profonda pietà di fra Buonvicino, - tanto è facile volgere in riso le cose più serie e le più sante! - ora smaniando e armeggiando come aveva fatto Ramengo, eccitando al riso la brigata, e riscotendo gli applausi di quelli che ne erano stati testimonj oculari, e che esclamavano: - E' fa tal quale».

Luchino ne rise più degli altri, ma uno storico soggiunge che quella notte non dormi.

Chi può averlo detto a quello storico?

Poi anche alla Corte, come in città, a breve andare tutto fu messo in dimenticanza. Di fatto, al raccor dei conti, che cosa era succeduto? Alcuni innocenti in aspetto di rei eran stati percossi dall'iniquità in aspetto di giustizia: accidente tanto solito nella società - d'allora - , che non poteva destare mantenere a lungo l'interesse, non che l'orrore.

Ed io medesimo, ben lo sento, io ho troppo presunto col darmi a creder che, con patimenti così usuali, potessi tanto tempo occupare il lettore senza annojarlo.

Ma l'ho detto, e lo ripeto, non ho scritto per tutti, anzi, non ho scritto pei più, sibbene per quelli che davvero soffrono o hanno sofferto. Oh, se tra le pene ingiuste, con cui la calunnia, o la vendetta, o la satanica voluttà del far male, o anche l'interesse del potere e la pretesa necessità delle circostanze opprimono qualche volta l'innocente, se alcuno verrà un giorno a ricordarsi della mia Margherita; e nel pensare quanto quella pover'anima ha patito anch'essa dai cattivi, se ne sentirà un solo momento confortato; se mai nell'ora della prova qualche virtù vi trovasse un sostegno, una vergogna, qualche vizio, non crederò perduta la fatica di questo lavoro, dovesse pur rimanere trascurato e venire deriso dai miei compatriotti: n'avrò anzi conseguito quel compenso che unico desidero, - unico, dopo che il meditare e descrivere le sventure di quella meschina, disacerbò in lunghi e terribili giorni le mie.


 

 

 


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