Ulisse Barbieri
Plauto e il suo teatro

CAPITOLO IV. Il mercante di schiave.

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CAPITOLO IV.

Il mercante di schiave.

Girovagando nelle piccole borgate dell'Umbria, ove raccoglieva appena appena da sostentare la grama vita, il giovane poeta Accio Plauto, con pochi denari nelle tasche, con molta fede nel cuore e drammi e commedie che gli facevan ressa alla mente per saltar fuori, venne a Roma mentre con splendide feste solennizzavansi le vittorie dei Scipioni. Come il suo cuore dovette palpitare ponendo il piede in quella città delle meraviglie di cui ogni pietra parlavagli di grandezza e di gloria! – Egli era !... sulla terra dei Scipioni!... nella patria dei Gracchi!...

Egli era in Roma e dinnanzi a lui affacciavasi un sogno pieno di bagliori. – Sentiva di calcare la terra delle favolose memorie! Istupidito quasi egli ne contemplò i monumenti e passò per quelle vie di cui ciascun nome ricordavagli una vittoria od un eroe... – Lo seguiva la piccola schiera de' suoi comici ed assediavalo di tante domande alle quali egli appena appena sapeva come rispondere. – Quando però ebbe pagato il suo tributo all'ammirazione, ritornò in , pensò che restavagli qualche cosa di più positivo da fare, e presa una buona risoluzione cercò una taverna ove rifocillarsi coi suoi comici ed attendere l'indomani per provvedere ai proprj affari come meglio avrebbe potuto.

Per spender poco c'erano taverne dove si poteva allegramente trincare, e sotto gli archi delle basiliche v'erano ampie gradinate che potevano servire di comodo letto a qualcuno de' suoi attori nel cui animo c'era una grande ammirazione per quei gloriosi archi, e così pochi denari in tasca da farglieli trovare il più opportuno ricovero per passarvi una notte.

La notte pareva infatti tale qual conveniva per servir loro coll'infinito arco dei cieli, come il più ricco e splendido dei padiglioni, e Plauto stesso agitato dalla febbre della speranza e dall'inquietudine del domani la passò girovagando qua e .

Era poveramente vestito, e gli rodeva l'animo il pensiero di dover presentarsi agli edili che per fama sapeva sordidi ed avari. – La paura che all'offerta d'una delle sue commedie, potesse sentirsi ridere sulla faccia e di vedersi cacciato come un miserabile accattone, gli faceva battere il cuore.

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Davanti ad una casa vidde radunate alcune donne che discorrevano facendo un chiasso allegro e disordinato.

Erano belle, avvolte in ricche vesti e capitanate da una specie di megera dall'occhio torvo che ne componeva le chiome, ne stringeva le cinture, e pareva che si disponesse a condurle in mostra come mercanzia da smerciare...

«Suvvia!.... diceva la megera allargando la bocca per schiudere le labbra al più ignobile sorriso che abbia mai deformata una faccia umana: – È giorno di festa oggi, e purchè sappiate mostrare un po' di contegno, troverete un bravo tribuno o qualche vincitore di Zama e d'Annibale a cui non spiacerà gettarvi un'occhiatina e farvi un cenno...

«Lo credo bene Giugurta!... per gli Dei!... esclamò una vispa giovinetta dall'occhio nero, ardito e provocante; e se non dovesse essere così, direi che i vincitori d'Annibale sono stupidi come quei mori incatenati che vidi trascinare dietro al cocchio di Scipione!...

«Dice bene Nidia... esclamarono le altre.

«Se non guardan noi, chi devono guardare? ribattè la prima che aveva parlato. – Senti, Giugurta, come sono profumati i miei capelli!...

«Andiamo dunque!...

«Andiamo! esclamaron tutte.

E folleggiando come allegro sciame di passeri che volano di ramo in ramo, imboccarono la prima strada che capitò loro dinnanzi.

Il giovane poeta che teneva loro dietro collo sguardo, ne sentì il gajo chiaccherìo per alcuni istanti, poi più nulla.

Egli passeggiò ancora sulla piazza, tutto assorto ne' suoi pensieri.

Dalla porta dinnanzi a cui parlavano la megera e le fanciulle, venne fuori un uomo.

Egli si fermò e guardò lungo la via.

Aveva curvo il corpo ed un po' obeso. – Era ravvolto in una lunga veste color cenere; aveva l'occhio piccolo, semichiuso, la fronte piatta, i capelli fulvi e duri a somiglianza d'un istrice, le labbra grosse.

«Quei maledetti edili!... Oh mi caccieranno certo!... disse il giovane Plauto guardando a destra della strada, con voce alta e come se parlasse tra .

A quelle parole l'uomo che era uscito dalla porta e che stava per prendere la via per cui eransi dirette le donne, alzò il capo e lo squadrò attentamente.

«Che sia un istrione? pensò egli... Indi arditamente volgendosi a lui: – Cosa vuoi dagli edili? gli chiese.

Accio sorpreso così nel pieno corso delle sue riflessioni, si volse.

«T'intesi parlare di edili!... se non mi fa difetto l'orecchio, riprese l'altro. Ti veggo mal in arnese e dal viso che hai macilento e dagli occhi gravi, arguisco che per la scorsa notte avesti per tetto la volta stellata da dove ti avrà sorriso la bionda Cerere, l'Iddia amica dei gentili estri ma che non sa procurare però un buon letto a chi ha sonno, ond'è che pensai tra me, ecco un poeta!... Ti va il mio ragionamento?...

Il giovane tornò a squadrare con occhio curioso il suo strano interlocutore. – Non aveva una fisonomia fatta per accattivarsi troppa simpatia, ma v'era però nel suo accento un non so che di franco, ed in armonia colla brusca esposizione dei pensieri che passavangli per la mente, che non si trovò malcontento del suo esame.

Fatalista come quasi tutti i poeti, e massime i poeti d'allora, nelle cui idee la greca scuola aveva lasciato profonde le sue impressioni, egli pensò che il caso questo deus ex machina che intreccia coi destini degli uomini i più strani arzigogoli, poteva benissimo avergli messo tra i piedi quella specie di mediatore, onde aiutarlo nei suoi affari.

«Perchè non ne approffitterò? pensò egli.

«Potrebbe anche essere.

«D'altronde cosa ci rimetto?...

Questo egli lo pensava – e l'altro esaminatolo ed indovinate forse le sue mentali riflessioni. – È matto borbottò fra , ruminando nell'animo chi sa quanti progetti; dunque deve essere un poeta!....

«Lo sono infatti, gli rispose il giovane e cerco gli edili per vender loro una commedia!...

«Scritta da te?...

«Appunto e che io stesso reciterò coi miei attori.

«Hai degli attori?...

«Non molti ma ne ho.

«Per gli Dei!. devono essere ben affamati esclamò quegli con cui Accio aveva improvvisato quel dialogo, scoppianando in una sghignazzata.

«Non ne dubito, rispose secco il giovane.

«Sei franco e mi piaci.

«Tu mi troverai strano, riprese l'uomo, avvicinandosegli in atto confidente, è bene quindi che prima di dirti il perchè t'abbia fatto queste domande, ti esponga chi sono. – Qual mi vedi non sono amico degli uomini e ci sto alla larga come dalla peste, ma faccio affari e bisogna bene che mi assueffi a scambiare con essi ciò che essi chiamano parole e che io dico menzogne. – Tu parlavi fra te quindi non mentivi; non hai dormito, quindi la tua miseria non è una menzogna – io faccio un di tutto, e non guardo nei miei affari troppo pel sottile, ma questa questione sta tra me e la mia coscienza. Se tu chiedi in Roma di Momus il mercante, sentirai gridare come si grida al cane che ti vien tra i piedi, dalli! che è inferocito!... o come si urla ai mastini che si sguinzagliano nel Circo per inviperire le belve. Se vieni in casa mia ci trovi di tutto. – Perle, lane, e donne!... tutta roba che si traffica a diversi prezzi e che si tiene in serbo, colla differenza che la lana e le perle comperate una volta non costano altro, mentre le donne sono peggio delle spugne... Ebbene poeta, credi a me... se vai dagli edili per vendere una tua commedia ti ridono in faccia come feci io colla differenza che essi ti cacciano via senza nemmeno risponderti e che io ti dico, vendila a me!...

«A tutta questa sfuriata buttata con burbera franchezza, il giovane spalancava tanto d'occhi in volto a colui che gli cascava dalle nuvole quando meno che lo aspettava. Egli era brutto, anzi molto brutto, ma poteva essere pel momento l'angelo alato della speranza che veniva a cacciargli dalla fronte i foschi pensieri ed a farlo sorridere. – Diffatti colla fede che il giovane aveva nel suo genio, cosa gli mancava?...

«Una sola!...

Il campo su cui lanciarsi. – Egli era come il guerriero che in un giorno di battaglia anela il focoso destriero che sappia portarlo ove più furente ferva la pugna, e dove con maggior forza tempestano i colpi.

«Ed è la verità quella che tu mi esponi? chiese egli.

«Per gli Dei! rispose il mercante, t'avrei io fatta tutta questa sfuriata?...

«Dunque?..,

«Patto concluso.

«Io ti tetto e pane!...

«Io l'opera mia!...

.   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .   . 

Accio Plauto corse felice a portare la lieta novella ai suoi comici, che lo accolsero sorpresi essi pure dell'innaspettata fortuna e traendo da ciò gli auguri i più lieti pel giovane poeta a cui profetizzarono la fama di Menandro!... Baglione rientrato in casa aspettò l'arrivo delle sue donne a cui narrò la strana speculazione da lui intrapresa. – Egli era sorridente non pel pensiero d'aver fatta una buona azione, che tale idea non entrava affatto nei suoi calcoli, ma perchè era certo d'aver fatto un buon affare. –

«I romani incominciavano ad interessarsi alle pubbliche rappresentazioni che si davano sulle piazze in baracconi di legno che sfasciavansi subito dopo; ma vi si rappresentavano ibride farsaccie dette Attelane da Attalo che ne era l'autore. In ogni modo si rideva, e la manìa del riso era succeduta alla sete dei sanguinosi spettacoli dei Circhi. – Di tutte le fanciulle che costituivano la merce del mercante, quella che fu più lieta di tal nuova fu Nidia, una vispa creatura, greca per l'indole, molle, voluttuosa, spensierata. Romana per l'ardito arco delle sue ciglia!... pel lampo del suo sguardo sotto il quale come sotto il bagliore di una affilata lama lo stesso vecchio usuraio provava dei fremiti che si faceva un dovere di reprimere per non ingelosirne la bestiale Giugurta. Il motivo principale di questa concessione era dovuto alle lunghe braccia della vecchia che erano nerborute e forti quanto erano ardenti gli occhi della schiava.

Avere un poeta che direbbe dei versi, che narrerebbe nell'ora delle liete cene, l'argomento delle sue commedie, che la guarderebbe sorridente, perchè Nidia pensava già che doveva sorridergli, ciò era per la fanciulla un pensiero delizioso. Per la vecchia Giugurta invece, quel poeta disperato che veniva ad installarsi in casa sua, non era che un fastidio di più, ma sugli affari del marito essa non soleva discutere. Per la sera stessa si allestì dunque una sontuosa cena in cui furono invocati tutti gli Dei Olimpici e dove Plauto trovò che Nidia era incantevole, che la casa dell'usuraio era preferibile al cielo stellato!... e dove i suoi comici sognando allori bevettero discretamente del buon Falerno nelle anfore di creta che furono colmate e ricolmate più di una volta.


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